• Non ci sono risultati.

L interventismo democratico e la tradizione repubblicana

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "L interventismo democratico e la tradizione repubblicana"

Copied!
20
0
0

Testo completo

(1)

L’ interventismo democratico e la tradizione repubblicana

Marina Tesoro

Nellastoriografiaitaliana del secondo dopoguerra, l’interventismo democratico,che trovò la suafon­

teispiratrice in Giuseppe Mazzini, nonha ingene­

regoduto di buona fama.Ingenui, utopisti, aggio­

gati, più o meno in buona fede, al carro dei nazio­

nalisti,inalcunerecenti letture gli interventistide­

mocraticisono statiimputatidi avereper primi le­

gittimato sul piano morale la formula della “guerra giusta,tornata recentementedi attualità, oppure di avere consentito quellincontro tra violenza e poli­ ticache saràdestinato a generare conseguenzefa­ tali neglianniimmediatamente successivi.

Nel saggio si discutono queste interpretazioni.Pur considerando alcuni elementi di ambiguità nel pen­ siero di Mazzini, che non a caso,apartiredaquel momento, vennericonosciutocome “profeta” an­

chedaculture politiche alternative a quella demo­ craticaerepubblicana, si valutano lemotivazioni ideali, storiche e politiche, cangianti nellediverse fasi della guerra,di intellettuali come Gaetano Sai- verninie Arcangelo Ghisleri, di esponenti delpar­

tito repubblicano e ingenerale di molti giovani che scoprironoo riscoprirono Mazzini nelcorso del con­

flittoe checontinuarono a riferirsia lui quando si trattò di saldare la scelta del 1914-1915con la suc­

cessivamilitanza antifascista.

In thè Italian historiography ofthesecondpost-war period, democratic interventionism wouldnot enjoy good name.Ingenuous and utopian,yokedto thè na- tionalistchariot more or less in goodfaith, thède­

mocratic interventionists were either accusedofhav- ing first givenmoral legitimacy to thè also recently revivedcliché of“just war”, or charged withhav- ing permittedthèwelding ofviolence and politics, a marriage doomedto produce fatai outcomes in thè following years.

Such interpretations are herediscussedalso in thè light of certain elements ofambiguity that may be foundin thè thoughtofMazzini, who was since then to be regarded not withoutanyground — as a

prophet" even by politicaicurrentsalternative to thèdemocratic and republican ones. The A. exam- ines thè ideal, politicai and historical motivations — subject to change in thècourse ofthe GreatWar ofsuch intellectuals asGaetano Salveminiand Ar­ cangelo Ghisleri, togetherwithexponentsofthe re­ publican partyand many young who discovered or rediscovered Mazzini during thè armed conflict and kept on drawing inspiration from him oncecalledto tie uptheir 1914-1915choice with theirsubsequent anti-Fascistmilitancy.

“Italia contemporanea”, dicembre 2006, n. 245

(2)

580 Marina Tesoro Premessa

Utilizzo l’espressione “interventismo democra­

tico” non soltanto, come vuole un consolidato canone storiografico, per riferirmi alla cerchia degli esponenti politici e degli intellettuali1 che desiderarono 1 ’ entrata in guerra dell’Italia a fian­

co dell’Intesa, giudicandola l’occasione imper­

dibile per democratizzare il paese e per equili­

brare in via definitiva e pacifica il sistema di rap­

porti intemazionali, ma comprendo in questa ca­

tegoria anche il Partito repubblicano italiano (Pri), cioè il partito politico che rivendicava per sé la diretta e legittima discendenza2 dal grande sconfitto del Risorgimento. La precisazione si impone. Infatti, nonostante i repubblicani ‘sto­

rici’ vengano collocati di solito nella cerchia del­

l’interventismo di sinistra, insieme ai sindacali­

sti rivoluzionari e ai mussoliniani3, oppure, al contrario, siano giudicati pericolosamente con­

tigui all’interventismo nazionalista4, l’aggetti­

vo scelto sembra del tutto pertinente perché ap­

pare difficile negare la loro appartenenza al cam­

po della democrazia, in ragione tanto della ma­

trice risorgimentale quanto anche delle finalità programmatiche, al di là delle intenzioni, di re­

cente dichiarate, di volersi disporre “alla testa del movimento rivoluzionario”5. In secondo luo­

go, il tema dell’interventismo democratico vie­

ne coniugato con il concetto di tradizione (maz­

ziniana), allo scopo di valutare la relazione che intercorre tra la scoperta (o la riscoperta) di Maz­

zini, compiuta da molti proprio durante la pri­

ma guerra mondiale, e la successiva scelta anti­

fascista adottata, senza abiure, da parte di alcu­

ni (non tutti) tra loro. Si tratta per lo più di uo­

mini giovani o giovanissimi al tempo delle agi­

tazioni interventiste, spesso arruolati volontari, in gran parte ufficiali o sottufficiali impegnati in prima linea, che non smisero di considerare Mazzini come il “profeta dell’idea repubblica­

na”6, il padre della democrazia italiana, l’ante­

signano del pensiero europeista, e perciò re­

spinsero sempre fermamente la sua rappresen­

tazione come “precursore” del fascismo7.

Da Mazzini 1 ’ interventismo democratico ere­

ditò essenzialmente due idee-forza. La prima ri­

conosce l’idea di “patria come coscienza della

Testo della relazionepresentata al convegno di studi Mazzini e il Novecento”,organizzato a Pisa da Domusmazzi­

niana, Scuoladi studi superiori S.Anna,Scuola normale superiore, 9-11 marzo2005. Gli atti del convegnoverranno pubblicati a curadi Andrea Bocchie Daniele Menozzi.

1 Inquesta sedeprenderòin considerazione soltanto il caso emblematico diGaetanoSalvemini e trascurerò, perlimi­ ti di spazio, altri personaggi come Cesare Battisti e LeonidaBissolati,già ampiamente indagati,ma che meriterebbe­ ro comunque ulterioririflessioni.

2 L’altro schieramento repubblicano, cioè ilPartito mazziniano italianodi Felice Albani, occupò una posizione di as­ solutamarginalitàsullascena politicaitaliana. Siveda comunqueLorenaCantarelli, Il partitomazziniano“Giovine Italia".Programma, organizzazione e storia (1922-1925), “IlPolitico”, 1982, n.2,pp.351-385.

3 Siveda per esempio,Brunello Vigezzi,LItalia di frontealla prima guerra mondiale. L’Italia neutrale, voi. I,Na­

poli,Riccardi, 1961, in particolare pp.373-395; RenzoDeFelice, Mussolini il rivoluzionario (1883-1920),Torino, Ei­

naudi, 1965,pp.305-309; Enzo Santarelli,Pietro Nenni, Torino, Utet, 1988, pp.37 sg.

4 Angelo Ventrone, Laseduzione totalitaria. Guerra, modernità,violenzapolitica (1914-1918), Roma, Donzelli, 2003.

5“L’Iniziativa”,23 maggio 1914. Per la partecipazionedei repubblicaniaimoti popolari che nel maggio 1914 ebbero come epicentro Anconae che vennero rappresentati come una prova insurrezionale, si veda Luigi Lotti, La settimana rossa,Firenze, Le Monnier, 1966.

6 Prima di Giovanni Gentile(Iprofeti del Risorgimento italiano,Firenze, Vallecchi,1923), e in unsignificato diverso, Arcangelo Ghisleri aveva utilizzatoil termine ‘profeta’, con riferimentoanche a Mazzini, per intitolare un suo volu­ me, che tanta influenza eserciteràsu Salvemini:cfr. Un italiano vivente[A.Ghisleri], IlLibrodei profeti dell’idea re­

pubblicana in Italia, Milano, Battistelli,1898.

7La duplice etalvolta opposta lettura del pensiero mazziniano rappresenta una sorta dileitmotiv nella critica storica inargomento.A questo riguardo Sauro Matterelli usa l’efficace espressioneparadosso”: cfr. PostfazioneaRoland Sarti, GiuseppeMazzini. La politica comereligione civile, Roma-Bari,Laterza,2005(ed. or. 1997), p. 331, ma, sulla consistenza deglielementi di ambiguità si veda, peresempio, anche Giuseppe Galasso, Guida a Mazzini, in Id., Da

(3)

patria”, definisce la nazione come “unità di prin­

cipi, di intento e di spirito” e affida all’Italia un compito di libertà e di liberazione. Su questi pre­

supposti ideali gli interventisti democratici fon­

darono le parti del loro discorso politico in or­

dine a temi quali: la rigenerazione morale degli italiani, la difesa del principio di nazionalità vio­

lato nelle terre irredente, il completamento del­

l’unificazione territoriale, la scelta per la tavo­

la di valori degli Stati democratici, contro l’au­

toritarismo militarista degli Imperi centrali. La seconda idea-forza, riflettendo la “norma etica, ispiratrice di tutta la [...] politica intemaziona­

le di [Mazzini]”8 afferma il progetto della “as­

sociazione di tutti i popoli, di tutti gli uomini li­

beri in una missione di progresso che abbracci l’intera umanità”9 e indica la prospettiva degli Stati Uniti d’Europa, come convergenza di na­

zionalità “liberamente e spontaneamente costi­

tuite” (aH’intemo della Giovine Europa, Maz­

zini aggiungeva per l’Italia la precisa prescri­

zione di allearsi preliminarmente con la “fami­

glia slava”). Sul piano politico gli interventisti democratici tradussero questi postulati nel gri­

do subitaneo di “Delenda Austria” durante i me­

si della neutralità; nella critica costante all’in­

dirizzo sonniniano, durante il conflitto; nella contrapposizione radicale alle pretese italiane

sulla Dalmazia e nella entusiastica accoglienza del wilsonismo, durante l’ultima fase dei com­

battimenti. Mischiati tutti insieme questi moti­

vi servirono a costruire i miti identificanti del­

l’interventismo di matrice mazziniana: la guer­

ra come “quarta guerra del Risorgimento”, “ul­

tima guerra”, “guerra giusta”.

Nella storiografia italiana del secondo dopo­

guerra, in generale e fatte salve alcune eccezio­

ni10, non si può certo dire che l’interventismo democratico abbia goduto di buona fama. Qua­

si che il tagliente giudizio su Mazzini e i demo­

cratici nel Risorgimento, espresso inizialmente proprio da Gaetano Salvemini nella veste di sto­

rico11, si fosse ribaltato ed esteso ai suoi epigo­

ni (tra i quali, peraltro, si ritroverà lo stesso Sal­

vemini, nei panni dell’intellettuale-militante), messi di fronte alla prima grande prova per l’I­

talia unita. Ingenui, utopisti, aggiogati, più o me­

no in buona fede, al carro dei nazionalisti, rei di non aver compreso o ignorato la natura impe­

rialistica del conflitto12, cattivi maestri, apripi­

sta del fascismo, in una recente lettura gli inter­

ventisti democratici sono stati bollati con il mar­

chio dell’eterna infamia, come “i più pericolosi ideologi della guerra”, perché rei di aver legit­

timato culturalmente quella formula della “guer­

Mazzini aSalvemini, Firenze, Le Monnier, 1974,pp.56-74. Per una più ampia riflessione cfr.,inoltre, Giovanni Be­ lardelli, Il fantasma di Rousseau:fascismo,nazionalsocialismo,e “vera democrazia",Storia contemporanea”,giu­

gno1984, n.3,pp.361-389e,daultimo,Jean-Yves Frétigné, Mazzini. Pére de Punite italienne, prefazione di Pierre Milza, Parigi, Fayard,2006.

8 AlessandroLevi,La carta d’EuropasecondoMazzini, “Nuova antologia”,settembre-ottobre1916. Il testo diLevi è stato riproposto in reprint sullamedesimarivista, con una lucida presentazione di Giovanna Angelini: ivi, gennaio- marzo 2005, pp. 242-266(la citazione nel testo è a p. 250).

9 Cfr. la citazione che Levi trae da un articolopubblicato in “GiovineItalia” del1832, inA. Levi, Lacarta d'Europa secondoMazzini, cit., p. 250.

10 Si vedanoinparticolare gli scrittiin materia di RobertoVivarelli, Leo Valiani,Costanzo Casucci.

11Non ho granstima né di Mazzini come senno politico, né dei democratici[...]. La democraziasi fece sfruttare im- becillescamente dai moderati Un solo democratico hadimostrato di avere la testa sulle spalle eoggiè dimenti­ cato da tutti: Carlo Cattaneo,che vide verso qual meta l’Italia era condotta dai moderatienonvolle lasciarsi sfrutta­

re, ese n’andò inIsvizzera. Tutt’alcontrario di Mazzini, che invitavasempre isuoia combattere sotto le bandieresa­

baude ein compensoera periodicamente condannatoa morte. Questo moralmente sarà eroismo,politicamente è cre­ tinismo”.Cosìin una letteraa Novello Parafava, 13agosto1899, in Gaetano Salvemini,Carteggi,voi.I, 1895-1911, a cura di Elvira Gencarelli, Milano, Feltrinelli, 1968, p. 48. Ma si veda comunque Alessandro GalanteGarrone, Sal­ vemini e Mazzini,Messina-Firenze, D’Anna, 1981; Roberto Vivarelli,Salvemini e Mazzini,Rivistastoricaitaliana”, XCVII, 1985,pp. 42-68.

12 Massimo L. Salvadori, Gaetano Salvemini, Torino,Einaudi, 1963, p. 96.

(4)

582 Marina Tesoro

ra giusta, di derivazione religiosa”, che adesso, all’inizio del ventunesimo secolo, “è arrivata al­

le estreme conseguenze”13. E non basta. Un al­

tro studio, pubblicato da poco, utilizza efficace­

mente un ricco corpo di fonti, anche inedite, per sostenere la tesi secondo la quale il processo di progressiva e sempre più vasta “contaminazio­

ne ideologica” tra culture politiche diverse, per­

sino antagoniste, prodottosi all’interno del gran­

de e permeabile contenitore interventista, avreb­

be creato (sottointeso, anche nel segno di Maz­

zini) “una nuova sensibilità, una nuova menta­

lità politica”, consentendo così di “individuare, o inventare” quegli strumenti adatti a gestire sia il consenso sia il dissenso, che saranno impie­

gati sistematicamente nelle successive espe­

rienze totalitarie14. Insomma, secondo queste li­

nee interpretative, da un lato andrebbe definiti­

vamente cancellata l’immagine — si può dire

— donchisciottesca degli interventisti demo­

cratici, perché al contrario essi per primi porta­

no la responsabilità di avere riconosciuto dignità morale a quella inaccettabile guerra (come ad altre guerre successive), e dall’altro bisogne­

rebbe dubitare seriamente della loro “innocen­

za di fondo rispetto all’incontro tra violenza e politica, che si verificò nel corso della guerra”15, destinato a generare conseguenze fatali negli an­

ni immediatamente successivi.

13 Angelo DOrsi, Gli interventisti democratici, “Passato e presente”, 2001, n.54, orainId., Ichiericiallaguerra: la seduzione bellica sugliintellettuali italianida Adua a Baghdad, Torino, Bollati Boringhieri,2005, p.138.

14A. Ventrone, Laseduzione totalitaria, cit., p. XV.

15A. Ventrone,La seduzione totalitaria, cit., p.' XV.

16 A.-DOrsi, Ichierici alla guerra, cit.,p. 9.

17A. Ventrone,La seduzione totalitaria, cit.,passim.

Sia chiaro: è legittimo il giudizio di chi, di­

chiarando in anticipo il proprio pacifismo asso­

luto16, arriva alla dannazione di chiunque abbia sposato la causa della guerra — di tutte le guer­

re — e appaiono altresì apprezzabili le inten­

zioni di chi, poggiando su una larga base docu­

mentaria, procede sulla strada della revisione storiografica e sollecita alla rilettura critica del fenomeno interventista. Tuttavia, nel mestiere storico, andrebbe evitata la tentazione di assol­

vere o condannare senza possibilità di appello, collocando un evento o un processo — nel caso specifico l’interventismo di derivazione mazzi­

niana — sul versante della verità o dell’errore, dalla parte del bene oppure del male e, al con­

trario, varrebbe sempre la pena di diversificare le fonti e di dispiegare ogni sforzo di compren­

sione. Per esempio, nell’analizzare la posizione del Pri di fronte alla guerra, si deve tener conto che i suoi aderenti o simpatizzanti si mossero in file sparse, offrendo di Mazzini una lettura nien­

te affatto uniforme, sovente opposta. Bisogna sta­

re attenti a non fare di ogni erba un fascio, per­

ché se è vero che esisteva un tipo di repubblica­

no rallié, o filonazionalista, o perfino, in qual­

che modo, protofascista come quello preso in esame, pressoché esclusivamente, nello studio appena ricordato17, dove si fa riferimento conti­

nuo a personaggi come Salvatore Barzilai, Co­

stanzo Premuti, Giovan Battista Pirolini, Inno­

cenzo Cappa, Camillo Marabini e, per certi aspet­

ti, Napoleone Colajanni, che in realtà da tempo occupavano, aH’intemo dell’organizzazione (e rispetto alla tradizione) mazziniana, posizioni anomale e personali, non è meno vero che fu pre­

sente sulla scena anche un altro modello di re­

pubblicano, quello — per intenderci — che ri­

ceveva la sua impronta da Arcangelo Ghisleri, un personaggio mai neppure citato.

Insomma, sarebbe il caso non soltanto di en­

fatizzare le similitudini, le convergenze, le con­

fluenze del repubblicanesimo italiano, o per me­

glio dire di alcuni suoi particolari filoni, con le correnti di pensiero e le formazioni politiche che, fin da allora, negavano i fondamenti della de­

mocrazia, ma giungerebbe opportuno anche sot­

tolineare le diversità, valorizzare le differenze, tracciare i confini di demarcazione. Inoltre, an­

drebbero considerati i dubbi, i conflitti interni,

(5)

L’interventismo democratico e la tradizione repubblicana

le difficoltà obbiettive, i condizionamenti am­

bientali, i motivi generazionali e le evoluzioni di pensiero nei diversi momenti — neutralità, intervento, periodi pre e post Caporetto, dopo­

guerra — di quegli uomini che, seguendo il det­

tato mazziniano, sostennero la necessità di scen­

dere in campo a fianco dell’Intesa, immaginan­

do il trionfo degli ideali democratici ovunque nel mondo, si convinsero del fatto che la “guer­

ra giusta” avrebbe generato la “pace giusta”; poi, una volta isolati, smentiti, sconfitti (la data del­

la loro Waterloo può fissarsi all’ 11 gennaio 1919, quando Leonida Bissolati tenne il famoso di­

scorso alla Scala di Milano, contestato da Mus­

solini e dai suoi), continuarono comunque a ri­

propone, per mezzo di riflessioni teoriche, op­

pure attraverso scelte di militanza politica, i mo­

tivi, per loro rimasti autentici e positivi, dell’in­

terventismo democratico. Non a caso nel caos del dopoguerra, la gran parte di quelli che, in trincea o nel fronte interno, avevano letto o ri­

pensato a qualche pagina di Mazzini18, trovaro­

no posto, più o meno stabilmente, entro le fila del combattentismo democratico: nella corren­

te minoritaria dell’Associazione nazionale com­

battenti (Anc), nel movimento “L’Italia libera”, nella Lega per il rinnovamento della politica na­

zionale, nelle sezioni del Partito sardo d’azione e del rinnovato Partito repubblicano italiano.

18 AlessandroGalante Garrone, Introduzionead Adolfo Omodeo, Momenti dellavita diguerra. Dai diari e dalle let­

tere ai caduti. 1915-1918,Torino, Einaudi, 1968,pp.XXXVII-XXXIX. Laprima edizione dellaraccolta di Omodeo era apparsanel 1934.

19 ErnestoRossi, "Nove anni sono molti’. Lettere dalcarcere 1930-1939, a curadi MimmoFranzinelli, Torino, Bol­

latiBoringhieri,2001, p. 68.

20 Emilio Gentile,Il mito dello Stato nuovo.Dall’antigiolittìsmo alla grande guerra,Roma-Bari, Laterza, 1982.

E anche dopo, quando in carcere, al confino o in esilio questo particolare genere di inter­

ventista si interrogò sulle proprie responsabilità storiche, in relazione alla “orribile strage”, ta­

luno portandosi fino a sconfessare la scelta del 1914-1915, tuttavia non smise di trovare in Maz­

zini, anzi proprio in quel Mazzini incontrato nel corso della grande guerra, un suscitatore di ener­

gie morali, un interlocutore culturale privile­

giato, un punto di riferimento politico, vivo e

per nulla superato. Scrivendo il 18 agosto 1931 dal reclusorio di Pallanza alla moglie, Ernesto Rossi ricorderà:

L’unicavolta chefui costretto a fare un’ora di morale [...]ai soldati al fronte, non ho trovato di meglio che leggereloro qualche pagina[dei Doveri dell’uomo}, spiegando lorocome lanostra guerra dovesseessere la continuazionedella lotta voluta da Mazzinipersal­ vare iprincipi umani dilibertàe digiustizia19.

Dunque, sul piano storiografico, si dovrebbe continuare a prestare attenzione ai fattori che in­

dussero alcuni uomini, già interventisti e com­

battenti, a respingere ostinatamente la trasfor­

mazione dell’Apostolo e il richiamo alla guer­

ra, affrontata anche in suo nome, in altrettanti elementi fondativi e legittimanti della ideologia e del regime fascista. Del resto, Emilio Gentile che, più di venti anni fa, aveva sostenuto la re­

lazione, se non proprio il rapporto di discen­

denza, del fascismo dal “radicalismo naziona­

le”, ispirato in buona misura da Mazzini20 (e con­

cretizzatosi, possiamo aggiungere qui, anche nell’interventismo democratico), ha successi­

vamente meglio precisato lo schema interpreta­

tivo. Nel presentare la nuova edizione del suo saggio II mito dello Stato nuovo (1999), l’auto­

re riconosce:

Leconnessioni del fascismo con il radicalismo nazio­

nale non costituisconodi perun elementovalido per accreditare una interpretazione, che partendo dalla con­

statazione di tali connessioni, arriviadefinire imovi­

mentichecompongono il radicalismo nazionale, co­

me una forma di‘protofascismo o addirittura di‘fa­ scismo-prima del fascismo’ [...].[Perché] nel radica­ lismo nazionale le idee di libertà culturale e dilibertà politica, di emancipazione e di liberazione dellemas­ se,didifesa dellaautonomia e della dignitàdell’indi­

viduoerano prevalenti rispettoalleidee che auspica­ vano soluzioni autoritarie. Inoltre,nella cultura del ra­

(6)

584 Marina Tesoro

dicalismo nazionale si formarono intellettuali e poli­ tici, checonfluirono tanto nelleschiere del fascismo quanto nelle schiere dell’antifascismo; molte idee e miti del radicalismo nazionale, presenti nell’ideologia del fascismo, riecheggiarono anchenelle ideologie de­

gli antifascisti che appartenevano alla medesimage­

nerazione antigiolittiana21.

21Emilio Gentile, Radicalismo nazionale, fascismo,totalitarismo, premessaalla nuova edizione di II mito dello Stato nuovo. Dal radicalismo nazionaleal fascismo,Roma-Bari, Laterza, 1999, p.XIII.

22 GaetanoSalvemini, Dal pattodi Londra alla pace di Roma.I documenti della politica che nonfu fatta, Torino,Go­ betti, 1925, p. XXI, cit. in M.L.Salvadori,Gaetano Salvemini,cit.,p. 94.

23 Mi permetto di rimandare aMarinaTesoro, Introduzione a Ead., Democraziain azione.Il progetto repubblicano da Ghisleri a Zuccarini, Milano,Angeli, 1996, pp. 11-22.

24 Sulpercorsoparallelo che, a partiredal1915, conduce, oltre Salvemini,ancheGentile, sia pure indirezione oppo­

sta,a mutare ilgiudiziooriginario su Mazzini cfr. Roberto Pertici, Storici italiani del Novecento, “Storiografia, 1999, n. 3, cap. Ili, Il Mazzinidi Giovanni Gentile, pp. 114-130.

25 Per ipiù recenti approcci storiograficialla tematica generazionale, cfr. Angelo Vami (acura di), Ilmondogiovani­ le inItalia traOttocento e Novecento,Bologna, Il Mulino, 1988;Maurizio Degl’Innocenti, L'epocagiovane. Gene­

razioni, fascismo,antifascismo, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 2002; Paolo Sorcinelli, Angelo Vami (acura di), Il se­

colo dei giovani. Le nuove generazioniela storia delNovecento, Roma, Donzelli, 2004.

26Sulle discussioni e sull’indirizzo politico adottatodal Prial XII Congresso nazionale (Bologna, maggio 1914), cfr.

Marina Tesoro, Irepubblicani nell’età giolittiana, Firenze,Le Monnier, 1978,pp. 301-328. In quella sede Luigi De Andreis, ponendosi in linea con le posizionida tempoassunteda partedi Ghisleri,aveva svolto una relazione sulla politicaintemazionale dai Contenutiesplicitamente antirredentisti, perché una guerraitaliana control’Austria avreb­

be giocato in favoredella dinastia sabauda e anche perché, in quel momento, un simile evento, lungi dal suscitare il desiderio di emancipazione dellenazionalitàoppresse, avrebbeal contrario“riunito la maggiorpartedelle razze del­ l’impero, intorno al trono feudale e cattolico, in odio all’Italia”(ivi, p. 320).

27M. Tesoro, Irepubblicani nell’etàgiolittiana,cit., pp. 74-87.

Alla luce di questa lunga premessa, propongo qui alcune riflessioni, seguendo una periodiz- zazione, per così dire, classica.

Dalla neutralità alle radiose giornate

Vale l’immagine plastica suggerita da Salvemi­

ni: l’Apostolo “[rinacque] a un tratto dal sepol­

cro in cui sembrava sotterrato da cinquant’an- ni”22, ricominciò a parlare il linguaggio della na­

zione e delle nazionalità, indicando così la scel­

ta di campo sul versante delle democrazie con­

tro gli imperi autoritari e tornando a spiegare che la guerra diventa una tragica necessità allorché si tratta di raggiungere il fine della pace “rige­

neratrice dell’umanità”. Il ‘ritorno’ a Mazzini avvenne quasi di istinto, ma non risultò affatto semplice né indolore. Quanti, all’interno del par­

tito-erede, tenevano il Maestro come simbolo,

icona, fonte di ispirazione, ma ne avevano ac­

cantonato la componente mistico-religiosa per acquisire l’impostazione positiva e autonomi­

stica di Cattaneo23, dovettero procedere, in qual­

che modo, alla sua rilettura; mentre altri, pro­

prio come Salvemini, si trovarono costretti a in­

terpretarne in chiave diversa il ruolo nella sto­

ria nazionale, per poterlo adottare politicamen­

te in quel tragico momento24.

Il Partito repubblicano poche settimane pri­

ma di Sarajevo aveva celebrato a Bologna il suo congresso di “rifondazione”: giovani contro vec­

chi (forse in nessuna altra forza politica orga­

nizzata dell’anteguerra il fenomeno della rivol­

ta generazionale ebbe tanto peso quanto nel Pii25), “blocco rosso”, antigiolittismo, anticolo­

nialismo, antimilitarismo, antirredentismo26.

Con certi ambienti, terreno di sospette trasver­

salità politiche e comportamentali (Massoneria, Carboneria), i conti sembravano essere chiusi una volta per sempre. La paternità mazziniana della formula “prima italiani, poi repubblicani”, tornata a echeggiare nel frastuono dell’impresa libica, era stata autorevolmente messa in dub­

bio27. Ma ecco, tutto a un tratto, deflagrare la grande guerra. Mentre si scoperchiava la tomba di Stagliene, il partito, riconosciuto come la ca­

(7)

585

sa di famiglia dei mazziniani ‘ storici ’, dopo ave­

re operato negli angoli più angusti della scena politica, si vide di colpo catapultato sul prosce­

nio e, dopo anni di penombra, finì scaraventato sotto la luce accecante dei riflettori. I responsa­

bili del Pri — i neorepubblicani, secondo l’az­

zeccata definizione che conierà per loro Piero Gobetti28 — furono letteralmente travolti dalla storia. Animati da sacro entusiasmo, gravati da una responsabilità politica che sapevano anda­

re oltre gli interessi di parte e di partito, perché riguardava l’intera nazione, questi giovani diri­

genti politici si sentivano sicuri di sé, abbastan­

za forti e capaci per assumere una posizione di avanguardia, e al tempo stesso di egemonia, nel movimento antitriplicista e interventista, già in atto all’indomani della dichiarazione di neutra­

lità. Si aggiunga che i neorepubblicani sentiva­

no avvicinarsi — ne parevano davvero convin­

ti — il momento della resa dei conti con la mo­

narchia. Presbitismo politico? Imprudenza? Pre­

sunzione? Resta il fatto che a loro, proprio ed esclusivamente a loro, credevano spettasse l’ob­

bligo morale e il dovere storico di afferrare il te­

stimone dalle mani di Mazzini, per guidare e condurre a termine la “rivoluzione incompiuta”

del Risorgimento29. Una pagina di Oliviero Zuc- carini, allora segretario politico del partito, ren­

de perfettamente l’atmosfera.

I repubblicani vennerosempre in Italiainesattamen­

tee mal giudicati [...]. E tuttavia, ancora una volta,

28 Piero Gobetti, / repubblicani, “Rivoluzione liberale, 17 aprile1923, ora in Id., Scritti politici, Torino, Einaudi,1969, pp.387-394. Il terminefufattoproprioda Oliviero Zuccarini, La realtà didomani. (Dal vecchio al nuovo repubbli­

canesimo),Roma, Edizioni de “La Critica politica”, 1924 (raccoltainopuscolodei due articoli, in risposta a Gobetti, pubblicatisu“La Critica politica”,1923,n.5e n. 7).

29 In generale, su questo, cfr. le acuteosservazionidi Giovanni Sabbatucci, La grande guerra ei miti del Risorgimen­ to,Il Risorgimento”,1995, n. 1-2(numero monografico che raccoglie gli attidel convegno “Il mito del Risorgimen­

to nell’Italia unita, Milano,9-12 novembre1993), pp.215-226.

30 Oliviero Zuccarini, Il Partitorepubblicanoelaguerra d’Italia (Storiadella Vigilia), Edizioni deL’Iniziativa”, Ro­

ma,1916,pp. VI-VII, XIV. Il volume fu redatto dal segretario politico del Prie pubblicatopoche settimaneprimadel suo arruolamento volontario, conlintentodiesporreedocumentare con precisione, sulla base di attiufficialie della stamparepubblicana, il pensiero e la posizione del partito (cfr. ivi, Avvertenza , p. XV).

31 Cfr. il testo integrale in O.Zuccarini, Il Partito repubblicano elaguerra dItalia, cit., pp. 53-55e inArcangelo Ghisleri, Democrazia in azione. Scritti politici e sociali,Roma,Casaeditriceromana, 1954, pp. 171-172. Proprio con riferimentoaquesto testo Roberto Vivarelli attribuisce la primogenituradell’interventismo al campodemocratico:

cfr. Storia delle origini del fascismo, voi.I,LItalia dalla grandeguerraalla marcia su Roma, Bologna, 11 Mulino, 1991, p. 125.

lastoria ha dato [loro] ragione. Ivalori ideali, che per tanti anni furono svalutati del tutto, hanno, improvvi­ samente, ripreso nella società undominio assoluto.

Gli interessi materiali sonopassati in secondoordine.

LaPatria, lUmanità non sono più considerate come astrazioni, parole vuotedisenso [...]. LItaliaha ri­ trovato l’anima del Risorgimento,di cuii suoi figli rinnovano i sacrifici e gli eroismi, esi è posta sulla via maestra [...]alla sua missione di civiltà edifra­

tellanza tra i popoli[...]. Nessuna guerradi conqui­ sta è giusta,è legittima. Unasolaguerratroverebbe il consentimentoditutti gliitaliani, perché guerra ve­

ramente italiana, quella attesa e invocata da un genio precursore, Giuseppe Mazzini:“La nostra guerra, la guerra dei popoli, la guerraultima,condizione di una pace perenne, la grande guerra degna di noi, la guer­

ra che, iniziando sotto gli auspiciitaliani il rifacimento della Carta d’Europa,ci porterebbe a capo diunal­ leanza di popoli e diuna nuova epoca di civiltà”. È tale la guerra che oggi si combatte suicampi insan­

guinati d’Europa?Irepubblicani lo hanno credutoe lo sperano30 31.

Il famoso manifesto, redatto in perfetto stile maz­

ziniano da Arcangelo Ghisleri e diffuso in mi­

gliaia di copie a metà agosto 1914, che propo­

neva l’alternativa drastica: “O sui campi di Bor­

gogna per la sorella latina, o a Trento e Trie­

ste”3 1, sembra essere una prova documentale ol­

tremodo espressiva per testimoniare la posizio­

ne di precario equilibrio del Pri, in quel momento cruciale. Da un lato, i dirigenti e i militanti do­

vevano preoccuparsi di non azzerare gli esiti del processo, appena concluso nel segno dell’in­

transigenza politica per rinnovare il partito ma,

(8)

586 Marina Tesoro

dall’altro, sentivano la necessità di restare coe­

renti con la tradizione mazziniana risorgimen­

tale, che contemplava, in casi di estrema neces­

sità, anche forme di compromesso con i mode­

rati e perfino con la Corona. Questione com­

plessa, ardua da comprendere e ancor più da ri­

solvere, destinata inevitabilmente a suscitare dubbi, incertezze, perplessità. Lo ricorda Alfre­

do De Donno, allora giovanissimo militante re­

pubblicano: “Il dilemma del manifesto non ci convinse. Ripensato a mente fredda, il campo di Borgogna messo sullo stesso piano di Trento e Trieste ad alcuni di noi parve discutibile, o per lo meno andava bene per un’ azione di parte. Non per una guerra nazionale”32.

32 Alfredo De Donno, Nella storia dellinterventismo, inEgidio Realeeil suo tempo, Firenze, La Nuova Italia, 1961, pp. 58-59.

33Zuccarini,ricordando il comizio interventista di Milano del 24-25 gennaio 1915,cheaveva visto Benito Mussolini tra gli oratori, saluteràconentusiasmolamagnifica fusionenellafede mazziniana” (Il Partito repubblicano e la guer­

ra, cit., pp.94-95). Unacartolina spedita da Mussolinia Zuccarini dalla zona di guerra, il 22maggio 1916, testimo­

nia come il futuro duce del fascismo non soltanto ricevesse copie di L’Iniziativa,ma ricercasselappoggio del se­ gretariopolitico del Pri per contrastareun’ipotetica ripresa delneutralismo,da lui definito sprezzantemente “pa- ciafondaismo”: cfr.Andrea Bocchi, Sei cartoline e una sconosciutatraduzionedi Benito Mussolini,di prossima pub­ blicazione inBollettino della Domus mazziniana”. Parimenti Conti,inun lettera dell 11febbraio 1915aGhisleri, an­ noterà:“Èchiuso[...] il periododellaaffermazione e illustrazionedella tesiinterventista (o sui campi di Borgognao aTrento e Trieste). Abbiamo posto il problema e in modosoddisfacente. L’Italia pensante è con noi”:cfr. Antonluigi Aiazzi (a cura di), Democraziacome civiltà. Il carteggio Ghisleri-Conti. 1905-1929, Milano, Editricepolitica moder­

na, p. 287.

34 SivedanoLuigiGhisleri,Diario della Legione repubblicana: la compagnia Mazzini(Nizza1914), acura di Vitto­

rio Parmentola,Archiviotrimestrale”, 1978, n. 1-2, pp.41-79; StefaniePrezioso, Itinerario di un “figlio del 1914’’.

Fernando Schiavetti dalla trincea all’antifascismo, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 2004, pp. 86-102.Perunavaluta­ zione problematicadel fenomenovolontaristico in quel frangente, si veda Pierre Milza, La légion des volontaires ita- liensdans larméefranfaise: une antichambre dufascisme?,in Id. (acura di), Les italiens en Francede 1914 à1940, Roma, École frangaise de Rome, 1986,pp. 143-154.

Nel corso del conflitto i comportamenti e le scelte degli uomini che si riconoscevano, pur con significative divergenze tra loro, nella me­

desima famiglia politica repubblicana furono fortemente condizionati dallo stato di massima esposizione degli inizi. Convinti di controllare e indirizzare il movimento interventista e per­

suasi di salvaguardare la propria autonomia, molti di loro finiranno invece per imboccare una strada costellata da errori e fallimenti. Svanirà subito l’illusione che, per merito principale, se non proprio assoluto, del Pii, il pensiero di Maz­

zini — si noti bene, il Mazzini della Santa al­

leanza dei popoli — sarebbe diventato patrimo­

nio consolidato, comune e condiviso di tutto l’in­

terventismo33. Altrettanto presto cadranno le speranze di mettersi alla testa di un ampio e com­

posito movimento di rinascita morale e di rin­

novamento democratico del paese, passando at­

traverso la prova della guerra. La rottura insa­

nabile con i socialisti, considerati da sempre, pur tra infiniti scontri e contrapposizioni, gli inter­

locutori privilegiati, e la scelta di altri referenti politici determinarono lo sbandamento del par­

tito, proprio mentre il clamoroso insuccesso del­

la spedizione di volontari in Francia — la Com­

pagnia Mazzini34 — toglieva credibilità ai lea­

der repubblicani, che quell’esperimento aveva­

no promosso e sostenuto.

Non fa meraviglia, dunque, che nella mente di molti interventisti di formazione mazziniana tornasse ad affacciarsi il pensiero, tanto costan­

te quanto assillante, di essere destinati, ancora una volta, all ’ impotenza politica. Tenendo in con­

siderazione anche questo elemento psicologico, si riesce forse a comprendere meglio perché es­

si non seppero trovare migliore soluzione se non quella di fare blocco (fascio) con tutti gli altri in­

terventisti, di qualunque colore fossero, per con­

servare almeno la speranza di lasciare un’im­

pronta, o forse solo una traccia, di sé e della cul­

tura politica che incarnavano in quegli eventi sto­

rici eccezionali e decisivi per il paese. Come già

(9)

era accaduto in alcuni momenti dell’epopea ri­

sorgimentale, a loro parve gioco forza scendere a patti con gli uomini e le organizzazioni della parte opposta. E così vedremo gli intransigenti neorepubblicani non soltanto stringersi ai grup­

pi rivoluzionari più affini — alla Mussolini o al­

la De Ambris —, peraltro già compagni di stra­

da e di barricate durante la ‘settimana rossa’, ma mettersi di nuovo assieme agli aborriti ‘libici’, che avevano spregiudicatamente rappresentato Mazzini come un colonialista; disporsi accanto ad ambigui personaggi, appena messi al bando dal partito, affiancarsi addirittura ai monarchici e ai nazionalisti, non potendo né chiedere né pre­

tendere alcuna credenziale.

Dall’agosto 1914 fino al maggio 1915, negli ambienti repubblicani, ricomposti in forme co­

sì eterogenee, l’ansia crebbe in maniera espo­

nenziale, trasformandosi in una vera e propria ossessione interventista, fino ad assumere le for­

me esaltate e scomposte del radiosomaggismo.

Soltanto quando 1 ’ ora della guerra alla fine giun­

se e si trattò di sottoscrivere la “tregua istitu­

zionale”35, gli esponenti del Pri o, per meglio di­

re, la componente dei rinnovatori, cominciò a coltivare il dubbio di ripetere lo sbaglio fatale di Mazzini, allorché si era fidato di Vittorio Ema­

nuele IL II rischio che il nome dell’Apostolo po­

tesse servire ad altri come un alibi o come una copertura, per perseguire scopi del tutto estra­

nei alla prospettiva dell’Italia democratica e del­

l’Europa concorde e libera, fu percepito imme­

diatamente dall’intellettuale Ghisleri e venne

35 Si veda il testo del “Manifesto agli italiani” delPri, in data 19 maggio1915,in O. Zuccarini, Il Partito repubblica­

no e la guerra, cit., pp. 121-122.

36 LucioCecchini, Lepistolario traArcangelo Ghisleri e Oliviero Zuccarini, Bollettinodella Domus mazziniana”, 1977,n. 1,inparticolare pp. 30-45;maanche le lettere di Zuccarini a Ghisleri, del21 giugno (inedita) e 7 agosto 1915 (parzialmente citata inM. Tesoro, Democrazia inazione, cit., p.149), inArchivio Ghisleri, Domusmazziniana,Pisa, C III b32/68-69.Sui tempestivi avvertimenti di Schiavetti, sivedaDinastia e popolo,“LIniziativa, 8maggio 1915.

37 Giuseppe Prezzolini, Partitie gruppi italiani davanti allaguerra, LaVoce”,1914,n.17.

38 G.S.,La politica esteradell’Italiae ilpacifismo. Replica aE.T. Moneta, Critica sociale”, 1908, n.22-23, ora in Gaetano Salvemini, Opere, voi. Ili,1.1, Come siamo andati in Libia e altri scritti dal1900 al 1915, a cura di Augusto Torre, Milano, Feltrinelli, 1963, p. 51.

39 GaetanoSalvemini, Guerraoneutralità?, Milano,Ravà ec.editori, 1915, ora in Id., Opere,voi. Ili, t.I,cit., pp.

455-474.

40Lettera a Ernesta Battisti, Firenze, 16ottobre 1914,inGaetanoSalvemini, Carteggio 1914-1920, a curadiEnzoTa- gliacozzo, Roma-Bari, Laterza, 1984, pp. 54-55.

compreso presto anche dal segretario politico Zuccarini36. Del resto, guardando dall’esterno la situazione dei repubblicani, Giuseppe Prez­

zolini aveva constatato che, continuando a chia­

mare in causa la monarchia per cancellare la ver­

gogna della neutralità, essi si “erano scavati la fossa” con le loro stesse mani37.

Anche Salvemini, che, per la verità, non nu­

triva allora alcun interesse per le sorti della Co­

rona, seguì una traiettoria per certi aspetti ana­

loga a quella dei neorepubblicani: si convertì, attraverso Cesare Battisti, dall’antirredentismo alla prospettiva della finis Austriae-, si accorse improvvisamente dell’attualità e della moder­

nità di Mazzini, non più soltanto come ispirato­

re morale, ma invece come concreto punto di ri­

ferimento politico; si identificò appieno con il suo pensiero sulla questione delle nazionalità;

ne condivise le previsioni e le prescrizioni nel campo della politica europea; chiamò alla guer­

ra, dalle colonne di “L’Unità”, perché si tratta­

va di uno scontro tra libertà e autoritarismo, e perché esistono — scrisse — “paci più orribili e più odiose della guerra, [...] che consumano a fuoco lento i popoli”38. Nel 1915 pubblicò un opuscolo, Guerra o neutralità?, dove rifuse pa­

recchi argomenti mazziniani39; intuì la possibi­

lità di veder strumentalizzato il mito di Mazzi­

ni e, per questo motivo, chiese all’amico Batti­

sti di non partecipare a un comizio insieme a Luigi Federzoni40, ma poi finì per perdere lui stesso lucidità e, nel maggio 1915, si infilò in una manifestazione unitari^ di interventisti, ve­

(10)

588 Marina Tesoro

stili con le casacche di tutti i colori41. Infine, a guerra dichiarata, proprio come i giovani diri­

genti repubblicani e come Ghisleri, l’amico fra­

terno in un tempo passato42, Salvemini, pur tra mille dubbi che riguardavano non tanto il re quanto piuttosto Sidney Sonnino, obbedì a un imperativo interiore e si impose di cessare le ostilità contro il governo e la tanto vituperata classe politica. Sospese le pubblicazioni di “L’U­

nità” e, a 42 anni, partì soldato.

41 M.L. Salvadori, Gaetano Salvemini,cit.,p. 95.

42 II terrenodi incontro traSalvemini eGhisleri negli anni di fine Ottocento era stato lo studiodi Cattaneo e lecomu­

ni riflessioni sul federalismo.La rottura,intervenuta nel 1901, derivò da motivi personaliedalle diversavisione poli­ tica, anchein ordine al ruolo dei partitidiopposizione nel sistema giolittiano. Da ultimo, su questo rapporto, cfr. Ma­ rina Tesoro,Autonomiee federalismo tra '800 e'900, inDaniela Preda,Cinzia Rognoni(a cura di), Storia e percorsi del federalismo. L’ereditàdiCarlo Cattaneo,t.II, Bologna, Il Mulino,2005, pp.569-583.

43Fernando Schiavetti, Nascita diuomini democratici,Belfagor”, 1954, n. 6,p. 688.

44Randolfo Pacciardi, Cuore di battaglia.Pacciardi racconta a Loteta, Roma, Nuove Edizioni delGallo, 1990,pp.

21-22.

45 Nicola Tranfaglia, Carlo Rosselli dall’interventismoa “Giustizia e Libertà’, Bari, Laterza,1968, pp.11-42;Giu­ seppe Fiori, Casa Rosselli. Vita diCarlo e Nello, Amelia, Marion eMaria, Torino,Einaudi, 1999,inparticolare i ca­

pitoliII e III. Pippo, il soprannome diMazzini,fuanche lopseudonimoadottatoin casa Rosselli per designare tanto Carlo quantoNello:cfr.Zefiro Ciuffoletti (acura di), IRosselli. Epistolario familiare, Milano, Mondadori, 1997,p.

412.

46 Sivedail classicoRobertWohl, Storia diuna generazione. La generazione del 1914, Milano, Jaca book, 1984 (ed.

or.1979), ma anche Giovanni Sabbatucci, Le generazioni dellaguerra, “Parolechiave,1988, n. 16, pp. 115-127.

47 Lettera di Ernesto Rossi aGiuseppina Molea(la sua madrinadiguerra), 11 febbraio 1916,cit.inGiuseppe Arma- ni, La forzadi non mollare. Ernesto Rossi dalla grande guerra aGiustizia e Libertà, Milano, Angeli, 2004, p.29.

Alle rumorose ed eccitate manifestazioni a favore dell ’ intervento, nella primavera del 1915, parteciparono numerosi giovani che, più tardi, troveremo allineati, più o meno regolarmente, nella filiera mazziniana. Ma in realtà, allora, po­

chi conoscevano a fondo il pensiero e l’opera dell’Apostolo. Fernando Schiavetti, che si era dedicato a una “lettura assidua di Mazzini e in particolar modo delle sue memorie autobiogra­

fiche” mentre era allievo della Scuola normale di Pisa, è un caso raro e forse unico43. Altri ave­

vano fatto studi superficiali e rapsodici, come Randolfo Pacciardi44, o respirato aria di fami­

glia, come Carlo Rosselli45, oppure si erano av­

vicinati al genovese attraverso la mediazione del cattaneano Ghisleri, come Giovanni Conti e Oli­

viero Zuccarini. In generale, la loro scelta di ar­

ruolamento volontario non poggiò su motivi di ordine ideologico, quanto piuttosto su una let­

tura degli eventi semplificata e quasi elementa­

re — la civiltà contro la barbarie, il bene verso il male — e, soprattutto, maturò come riflesso di esigenze esistenziali. Ernesto Rossi, per spie­

gare quel passaggio della sua biografia, che ri­

manda al più complesso tema della “generazio­

ne del 1914”46, annota con la consueta ironia e l’inimitabile under statement: “Avevo bevuto [troppa] camomilla domestica”47.

La guerra

I primi tempi di guerra trascorrono senza che i temi mazziniani, declinati in chiave di libertà, di dignità degli uomini e delle nazioni, di eman­

cipazione e solidarietà tra i popoli, trovino qua­

si più spazio né ricordo. Al fronte, i giovani in­

terventisti democratici, o con sogni di rivolu­

zione, travolti dalla devastante e annichilente esperienza della trincea e della terra di nessu­

no, non riservavano il loro tempo né i loro pen­

sieri alle questioni politico-ideali. Sentivano il problema in termini di dovere e di coscienza.

“Facevo coscientemente la guerra — testimo­

nierà per tutti Emilio Lussu in Un anno sul­

l’altipiano — e la giustificavo moralmente e politicamente. La mia coscienza di uomo e di cittadino non era in conflitto con i miei doveri

(11)

L’interventismo democratico e la tradizione repubblicana

militari”48. Nel bacino dell’interventismo il par­

tito dei neorepubblicani non soltanto aveva ir­

rimediabilmente smarrito la posizione di spic­

co, occupata per un breve momento, tra l’esta­

te del 1914 e la primavera del 1915, ma anda­

va perdendo ogni visibilità. I giovani, artefici del rinnovamento del partito, erano in unifor­

me; e intanto i vecchi, di età o di mentalità, i mazziniani nazionalisteggianti o nazionalisti, i capi della Carboneria e i fratelli delle logge mas­

soniche riacquistavano il controllo dell’orga­

nizzazione e della stampa di partito. Si rompe­

va il tabù deH’antiministerialismo: Ubaldo Co- mandini ed Eugenio Chiesa saliranno al gover­

no, come del resto anche Bissolati.

48 Cit.inGiuseppe Fiori,IlcavalieredeiRossomori. VitadiEmilio Lussu, Torino, Einaudi, 1985,p. 136.

49 Cfr. AraldoBenini(a cura di), Ventidue lettere di Gaetano Salvemini ad Arcangelo Ghisleri,“IlPonte”, 1973, n. 6, pp. 784-804: lettera del 25 ottobre 1916, p.788.

50R. Vivarelli, Storiadelle origini delfascismo, cit., p. 147.

51 Laprima edizione, profondamente modificata rispetto al testoin bozze del 1916, comparve nel febbraio 1918; ora in Gaetano Salvemini,Opere, voi. Ili, t.Il, Dalla guerramondialealladittatura (1916-1925), a cura di CarloPi- schedda, Milano, Feltrinelli, 1964, pp.283-473.

52 ArcangeloGhisleri, Due anni dopo. Contro lo sciovinismo jugo-slavo, in Id., Per l’Intesa Italo-Jugoslava. Scritti dellavigilia,Lugano, Istituto librario italiano, settembre 1918, p. 28. Il testo dell’opuscoloè in Id., Democraziain azione, cit., pp. 173-182. In generale,sulla posizionedel repubblicano in questo periodo,cfr. Giuseppe Tramarollo,Il concetto dinazionalitànel pensiero e nell’azionedi A. Ghisleri,in Atti del Convegno sul pensiero di A. Ghisleri. Cre­

mona22-23-24novembre 1968, Cremona, Editrice Padus [1969], pp. 10-17.

53ArrigòCajumi, Gl’impazienti, “La Nuova stampa,5novembre 1948.

54Lettera di Salvemini a Elsa Dallolio, 19ottobre 1916,in G.Salvemini, Carteggio 1914-1920, cit.,p. 284.

Intanto, gli studiosi più accreditati di Mazzi­

ni, come Ghisleri e Salvemini, tacevano perché si erano volontariamente imposti l’autocensura.

Constatò con amarezza lo storico pugliese: “O si parla in senso imperialista e si prepara il ri­

torno all’alleanza germanica o si chiude la boc­

ca”49. Soltanto alla fine del 1916, quando gli ar­

gomenti incompatibili con il principio mazzi­

niano di nazionalità avevano oramai occupato quasi del tutto il campo e mentre l’associazione Pro Dalmazia si appropriava anche dell’Apo- stolo risorgimentale, pur di dimostrare il ‘dirit­

to’ italiano su quel territorio, i due intellettuali reagirono e finalmente ripresero i contatti tra lo­

ro, dopo un silenzio durato quindici anni. Sal­

vemini nell’articolo dell’8 dicembre 1916, ap­

parso in prima pagina su “L’Unità”, che ripren­

deva quel giorno le pubblicazioni, citerà inte­

gralmente alcune parti di un messaggio, dai for­

ti echi mazziniani, appena pervenutogli da Lu­

gano, dove allora dimorava Ghisleri50.

Come Mazzini definisce la nazione, quali fos­

sero le modifiche e le integrazioni da apportare al suo pensiero per risolvere problemi da lui non affrontati o soltanto sfiorati, per esempio quel­

lo delle zone miste: questi furono i temi di ri­

flessione e di studio comuni ai due professori, nell’ultimo scorcio del 1916. Ma la censura im­

pedì a Salvemini di pubblicare il testo forse più impegnativo del periodo, redatto insieme al geo­

grafo Carlo Maranelli e già pronto in bozze, cioè La questione dell’Adriatico51, e Ghisleri non trovò altra strada se non quella di accludere al­

le lettere private, che indirizzava a qualche espo­

nente del Partito repubblicano e a qualche per­

sonalità di governo, un opuscolo dal titolo Guer­

ra dinastica o guerra di libertà?, pubblicato a sue spese in 200 esemplari, proprio per rispon­

dere all’associazione Pro Dalmazia52. Le lette­

re private dei due intellettuali, in quei mesi, gron­

dano sentimenti di frustrazione, tristezza, soli- titudine. L’uno, il “neo-Mazzini di Moffetta”, come molto tempo dopo verrà definito53, rico­

noscerà: “Noi non conchiudiamo niente. Met­

tiamo al sicuro la nostra coscienza ed è qualco­

sa per noi. È troppo poco per il paese”54. L’al­

tro, dalla sua postazione in Svizzera, osservan­

do desolatamente gli uomini del partito, con­

fesserà: “Una cosa sola mi irrita, che si citi Maz­

Riferimenti

Documenti correlati

Al di là dei rilievi svolti nella relazione (che non possono non essere condivisi) e fermo restando che incarichi del genere dovrebbero - come si è osservato inizialmente -

Alcuni mesi dopo, quando Annibale Rucellai, il nipote “buono” a cui il Casa aveva indirizzato memorabili lettere a sfondo pedagogico, decise che era giunto il momento per mettere

Se hai concluso l’iter per costituire un partito politico e vuoi partecipale alle elezioni alla Camera dei Deputati, secondo l’ultima legge elettorale approvata dal parlamento (il

Al riguardo ci si è domandati se non si debba raffigurare ormai la “nuova” società per azioni, ma discorso non troppo diverso può farsi per le società di capitali in generale, come

An increase in transparency not only improves banker A’s portfolio choice but it also reduces the risk of a bank run for a given portfolio choice policy.. As p is increased, the

Moreover, knowing the size and position of all the defects inside the samples, it was possible to foresee the defect at the origin of fatigue failure and to draw a hazard ranking

Prioritari: il contrasto dell’abbandono scolastico, la formazione e l'aggiornamento permanente dei docenti, l’introduzione di sistemi di valutazione degli insegnanti

la questione dell’interpretazione del diritto è certamente più “vi- sibile” (e, al contempo, è resa ancor più problematica e interes- sante) proprio in quanto – e da quando –