L’ interventismo democratico e la tradizione repubblicana
Marina Tesoro
Nellastoriografiaitaliana del secondo dopoguerra, l’interventismo democratico,che trovò la suafon
teispiratrice in Giuseppe Mazzini, nonha ingene
regoduto di buona fama.Ingenui, utopisti, aggio
gati, più o meno in buona fede, al carro dei nazio
nalisti,inalcunerecenti letture gli interventistide
mocraticisono statiimputatidi avereper primi le
gittimato sul piano morale la formula della “guerra giusta”,tornata recentementedi attualità, oppure di avere consentito quell’incontro tra violenza e poli ticache saràdestinato a generare conseguenzefa tali neglianniimmediatamente successivi.
Nel saggio si discutono queste interpretazioni.Pur considerando alcuni elementi di ambiguità nel pen siero di Mazzini, che non a caso,apartiredaquel momento, vennericonosciutocome “profeta” an
chedaculture politiche alternative a quella demo craticaerepubblicana, si valutano lemotivazioni ideali, storiche e politiche, cangianti nellediverse fasi della guerra,di intellettuali come Gaetano Sai- verninie Arcangelo Ghisleri, di esponenti delpar
tito repubblicano e ingenerale di molti giovani che scoprironoo riscoprirono Mazzini nelcorso del con
flittoe checontinuarono a riferirsia lui quando si trattò di saldare la scelta del 1914-1915con la suc
cessivamilitanza antifascista.
In thè Italian historiography ofthesecondpost-war period, democratic interventionism wouldnot enjoy good name.Ingenuous and utopian,yokedto thè na- tionalistchariot more or less in goodfaith, thède
mocratic interventionists were either accusedofhav- ing first givenmoral legitimacy to thè also recently revivedcliché of“just war”, or charged withhav- ing permittedthèwelding ofviolence and politics, a marriage doomedto produce fatai outcomes in thè following years.
Such interpretations are herediscussedalso in thè light of certain elements ofambiguity that may be foundin thè thoughtofMazzini, who was since then to be regarded — not withoutanyground — as a
“prophet" even by politicaicurrentsalternative to thèdemocratic and republican ones. The A. exam- ines thè ideal, politicai and historical motivations — subject to change in thècourse ofthe GreatWar — ofsuch intellectuals asGaetano Salveminiand Ar cangelo Ghisleri, togetherwithexponentsofthe re publican partyand many young who discovered or rediscovered Mazzini during thè armed conflict and kept on drawing inspiration from him oncecalledto tie uptheir 1914-1915choice with theirsubsequent anti-Fascistmilitancy.
“Italia contemporanea”, dicembre 2006, n. 245
580 Marina Tesoro Premessa
Utilizzo l’espressione “interventismo democra
tico” non soltanto, come vuole un consolidato canone storiografico, per riferirmi alla cerchia degli esponenti politici e degli intellettuali1 che desiderarono 1 ’ entrata in guerra dell’Italia a fian
co dell’Intesa, giudicandola l’occasione imper
dibile per democratizzare il paese e per equili
brare in via definitiva e pacifica il sistema di rap
porti intemazionali, ma comprendo in questa ca
tegoria anche il Partito repubblicano italiano (Pri), cioè il partito politico che rivendicava per sé la diretta e legittima discendenza2 dal grande sconfitto del Risorgimento. La precisazione si impone. Infatti, nonostante i repubblicani ‘sto
rici’ vengano collocati di solito nella cerchia del
l’interventismo di sinistra, insieme ai sindacali
sti rivoluzionari e ai mussoliniani3, oppure, al contrario, siano giudicati pericolosamente con
tigui all’interventismo nazionalista4, l’aggetti
vo scelto sembra del tutto pertinente perché ap
pare difficile negare la loro appartenenza al cam
po della democrazia, in ragione tanto della ma
trice risorgimentale quanto anche delle finalità programmatiche, al di là delle intenzioni, di re
cente dichiarate, di volersi disporre “alla testa del movimento rivoluzionario”5. In secondo luo
go, il tema dell’interventismo democratico vie
ne coniugato con il concetto di tradizione (maz
ziniana), allo scopo di valutare la relazione che intercorre tra la scoperta (o la riscoperta) di Maz
zini, compiuta da molti proprio durante la pri
ma guerra mondiale, e la successiva scelta anti
fascista adottata, senza abiure, da parte di alcu
ni (non tutti) tra loro. Si tratta per lo più di uo
mini giovani o giovanissimi al tempo delle agi
tazioni interventiste, spesso arruolati volontari, in gran parte ufficiali o sottufficiali impegnati in prima linea, che non smisero di considerare Mazzini come il “profeta dell’idea repubblica
na”6, il padre della democrazia italiana, l’ante
signano del pensiero europeista, e perciò re
spinsero sempre fermamente la sua rappresen
tazione come “precursore” del fascismo7.
Da Mazzini 1 ’ interventismo democratico ere
ditò essenzialmente due idee-forza. La prima ri
conosce l’idea di “patria come coscienza della
Testo della relazionepresentata al convegno di studi “Mazzini e il Novecento”,organizzato a Pisa da Domusmazzi
niana, Scuoladi studi superiori S.Anna,Scuola normale superiore, 9-11 marzo2005. Gli atti del convegnoverranno pubblicati a curadi Andrea Bocchie Daniele Menozzi.
1 Inquesta sedeprenderòin considerazione soltanto il caso emblematico diGaetanoSalvemini e trascurerò, perlimi ti di spazio, altri personaggi come Cesare Battisti e LeonidaBissolati,già ampiamente indagati,ma che meriterebbe ro comunque ulterioririflessioni.
2 L’altro schieramento repubblicano, cioè ilPartito mazziniano italianodi Felice Albani, occupò una posizione di as solutamarginalitàsullascena politicaitaliana. Siveda comunqueLorenaCantarelli, Il partitomazziniano“Giovine Italia".Programma, organizzazione e storia (1922-1925), “IlPolitico”, 1982, n.2,pp.351-385.
3 Siveda per esempio,Brunello Vigezzi,L’Italia di frontealla prima guerra mondiale. L’Italia neutrale, voi. I,Na
poli,Riccardi, 1961, in particolare pp.373-395; RenzoDeFelice, Mussolini il rivoluzionario (1883-1920),Torino, Ei
naudi, 1965,pp.305-309; Enzo Santarelli,Pietro Nenni, Torino, Utet, 1988, pp.37 sg.
4 Angelo Ventrone, Laseduzione totalitaria. Guerra, modernità,violenzapolitica (1914-1918), Roma, Donzelli, 2003.
5“L’Iniziativa”,23 maggio 1914. Per la partecipazionedei repubblicaniaimoti popolari che nel maggio 1914 ebbero come epicentro Anconae che vennero rappresentati come una prova insurrezionale, si veda Luigi Lotti, La settimana rossa,Firenze, Le Monnier, 1966.
6 Prima di Giovanni Gentile(Iprofeti del Risorgimento italiano,Firenze, Vallecchi,1923), e in unsignificato diverso, Arcangelo Ghisleri aveva utilizzatoil termine ‘profeta’, con riferimentoanche a Mazzini, per intitolare un suo volu me, che tanta influenza eserciteràsu Salvemini:cfr. Un italiano vivente[A.Ghisleri], IlLibrodei profeti dell’idea re
pubblicana in Italia, Milano, Battistelli,1898.
7La duplice etalvolta opposta lettura del pensiero mazziniano rappresenta una sorta dileitmotiv nella critica storica inargomento.A questo riguardo Sauro Matterelli usa l’efficace espressione “paradosso”: cfr. PostfazioneaRoland Sarti, GiuseppeMazzini. La politica comereligione civile, Roma-Bari,Laterza,2005(ed. or. 1997), p. 331, ma, sulla consistenza deglielementi di ambiguità si veda, peresempio, anche Giuseppe Galasso, Guida a Mazzini, in Id., Da
patria”, definisce la nazione come “unità di prin
cipi, di intento e di spirito” e affida all’Italia un compito di libertà e di liberazione. Su questi pre
supposti ideali gli interventisti democratici fon
darono le parti del loro discorso politico in or
dine a temi quali: la rigenerazione morale degli italiani, la difesa del principio di nazionalità vio
lato nelle terre irredente, il completamento del
l’unificazione territoriale, la scelta per la tavo
la di valori degli Stati democratici, contro l’au
toritarismo militarista degli Imperi centrali. La seconda idea-forza, riflettendo la “norma etica, ispiratrice di tutta la [...] politica intemaziona
le di [Mazzini]”8 afferma il progetto della “as
sociazione di tutti i popoli, di tutti gli uomini li
beri in una missione di progresso che abbracci l’intera umanità”9 e indica la prospettiva degli Stati Uniti d’Europa, come convergenza di na
zionalità “liberamente e spontaneamente costi
tuite” (aH’intemo della Giovine Europa, Maz
zini aggiungeva per l’Italia la precisa prescri
zione di allearsi preliminarmente con la “fami
glia slava”). Sul piano politico gli interventisti democratici tradussero questi postulati nel gri
do subitaneo di “Delenda Austria” durante i me
si della neutralità; nella critica costante all’in
dirizzo sonniniano, durante il conflitto; nella contrapposizione radicale alle pretese italiane
sulla Dalmazia e nella entusiastica accoglienza del wilsonismo, durante l’ultima fase dei com
battimenti. Mischiati tutti insieme questi moti
vi servirono a costruire i miti identificanti del
l’interventismo di matrice mazziniana: la guer
ra come “quarta guerra del Risorgimento”, “ul
tima guerra”, “guerra giusta”.
Nella storiografia italiana del secondo dopo
guerra, in generale e fatte salve alcune eccezio
ni10, non si può certo dire che l’interventismo democratico abbia goduto di buona fama. Qua
si che il tagliente giudizio su Mazzini e i demo
cratici nel Risorgimento, espresso inizialmente proprio da Gaetano Salvemini nella veste di sto
rico11, si fosse ribaltato ed esteso ai suoi epigo
ni (tra i quali, peraltro, si ritroverà lo stesso Sal
vemini, nei panni dell’intellettuale-militante), messi di fronte alla prima grande prova per l’I
talia unita. Ingenui, utopisti, aggiogati, più o me
no in buona fede, al carro dei nazionalisti, rei di non aver compreso o ignorato la natura impe
rialistica del conflitto12, cattivi maestri, apripi
sta del fascismo, in una recente lettura gli inter
ventisti democratici sono stati bollati con il mar
chio dell’eterna infamia, come “i più pericolosi ideologi della guerra”, perché rei di aver legit
timato culturalmente quella formula della “guer
Mazzini aSalvemini, Firenze, Le Monnier, 1974,pp.56-74. Per una più ampia riflessione cfr.,inoltre, Giovanni Be lardelli, Il fantasma di Rousseau:fascismo,nazionalsocialismo,e “vera democrazia",“Storia contemporanea”,giu
gno1984, n.3,pp.361-389e,daultimo,Jean-Yves Frétigné, Mazzini. Pére de Punite italienne, prefazione di Pierre Milza, Parigi, Fayard,2006.
8 AlessandroLevi,La carta d’EuropasecondoMazzini, “Nuova antologia”,settembre-ottobre1916. Il testo diLevi è stato riproposto in reprint sullamedesimarivista, con una lucida presentazione di Giovanna Angelini: ivi, gennaio- marzo 2005, pp. 242-266(la citazione nel testo è a p. 250).
9 Cfr. la citazione che Levi trae da un articolopubblicato in “GiovineItalia” del1832, inA. Levi, Lacarta d'Europa secondoMazzini, cit., p. 250.
10 Si vedanoinparticolare gli scrittiin materia di RobertoVivarelli, Leo Valiani,Costanzo Casucci.
11“Non ho granstima né di Mazzini come senno politico, né dei democratici[...]. La democraziasi fece sfruttare im- becillescamente dai moderati Un solo democratico hadimostrato di avere la testa sulle spalle eoggiè dimenti cato da tutti: Carlo Cattaneo,che vide verso qual meta l’Italia era condotta dai moderatienonvolle lasciarsi sfrutta
re, ese n’andò inIsvizzera. Tutt’alcontrario di Mazzini, che invitavasempre isuoia combattere sotto le bandieresa
baude ein compensoera periodicamente condannatoa morte. Questo moralmente sarà eroismo,politicamente è cre tinismo”.Cosìin una letteraa Novello Parafava, 13agosto1899, in Gaetano Salvemini,Carteggi,voi.I, 1895-1911, a cura di Elvira Gencarelli, Milano, Feltrinelli, 1968, p. 48. Ma si veda comunque Alessandro GalanteGarrone, Sal vemini e Mazzini,Messina-Firenze, D’Anna, 1981; Roberto Vivarelli,Salvemini e Mazzini, “Rivistastoricaitaliana”, XCVII, 1985,pp. 42-68.
12 Massimo L. Salvadori, Gaetano Salvemini, Torino,Einaudi, 1963, p. 96.
582 Marina Tesoro
ra giusta, di derivazione religiosa”, che adesso, all’inizio del ventunesimo secolo, “è arrivata al
le estreme conseguenze”13. E non basta. Un al
tro studio, pubblicato da poco, utilizza efficace
mente un ricco corpo di fonti, anche inedite, per sostenere la tesi secondo la quale il processo di progressiva e sempre più vasta “contaminazio
ne ideologica” tra culture politiche diverse, per
sino antagoniste, prodottosi all’interno del gran
de e permeabile contenitore interventista, avreb
be creato (sottointeso, anche nel segno di Maz
zini) “una nuova sensibilità, una nuova menta
lità politica”, consentendo così di “individuare, o inventare” quegli strumenti adatti a gestire sia il consenso sia il dissenso, che saranno impie
gati sistematicamente nelle successive espe
rienze totalitarie14. Insomma, secondo queste li
nee interpretative, da un lato andrebbe definiti
vamente cancellata l’immagine — si può dire
— donchisciottesca degli interventisti demo
cratici, perché al contrario essi per primi porta
no la responsabilità di avere riconosciuto dignità morale a quella inaccettabile guerra (come ad altre guerre successive), e dall’altro bisogne
rebbe dubitare seriamente della loro “innocen
za di fondo rispetto all’incontro tra violenza e politica, che si verificò nel corso della guerra”15, destinato a generare conseguenze fatali negli an
ni immediatamente successivi.
13 Angelo D’Orsi, Gli interventisti democratici, “Passato e presente”, 2001, n.54, orainId., Ichiericiallaguerra: la seduzione bellica sugliintellettuali italianida Adua a Baghdad, Torino, Bollati Boringhieri,2005, p.138.
14A. Ventrone, Laseduzione totalitaria, cit., p. XV.
15A. Ventrone,La seduzione totalitaria, cit., p.' XV.
16 A.-D’Orsi, Ichierici alla guerra, cit.,p. 9.
17A. Ventrone,La seduzione totalitaria, cit.,passim.
Sia chiaro: è legittimo il giudizio di chi, di
chiarando in anticipo il proprio pacifismo asso
luto16, arriva alla dannazione di chiunque abbia sposato la causa della guerra — di tutte le guer
re — e appaiono altresì apprezzabili le inten
zioni di chi, poggiando su una larga base docu
mentaria, procede sulla strada della revisione storiografica e sollecita alla rilettura critica del fenomeno interventista. Tuttavia, nel mestiere storico, andrebbe evitata la tentazione di assol
vere o condannare senza possibilità di appello, collocando un evento o un processo — nel caso specifico l’interventismo di derivazione mazzi
niana — sul versante della verità o dell’errore, dalla parte del bene oppure del male e, al con
trario, varrebbe sempre la pena di diversificare le fonti e di dispiegare ogni sforzo di compren
sione. Per esempio, nell’analizzare la posizione del Pri di fronte alla guerra, si deve tener conto che i suoi aderenti o simpatizzanti si mossero in file sparse, offrendo di Mazzini una lettura nien
te affatto uniforme, sovente opposta. Bisogna sta
re attenti a non fare di ogni erba un fascio, per
ché se è vero che esisteva un tipo di repubblica
no rallié, o filonazionalista, o perfino, in qual
che modo, protofascista come quello preso in esame, pressoché esclusivamente, nello studio appena ricordato17, dove si fa riferimento conti
nuo a personaggi come Salvatore Barzilai, Co
stanzo Premuti, Giovan Battista Pirolini, Inno
cenzo Cappa, Camillo Marabini e, per certi aspet
ti, Napoleone Colajanni, che in realtà da tempo occupavano, aH’intemo dell’organizzazione (e rispetto alla tradizione) mazziniana, posizioni anomale e personali, non è meno vero che fu pre
sente sulla scena anche un altro modello di re
pubblicano, quello — per intenderci — che ri
ceveva la sua impronta da Arcangelo Ghisleri, un personaggio mai neppure citato.
Insomma, sarebbe il caso non soltanto di en
fatizzare le similitudini, le convergenze, le con
fluenze del repubblicanesimo italiano, o per me
glio dire di alcuni suoi particolari filoni, con le correnti di pensiero e le formazioni politiche che, fin da allora, negavano i fondamenti della de
mocrazia, ma giungerebbe opportuno anche sot
tolineare le diversità, valorizzare le differenze, tracciare i confini di demarcazione. Inoltre, an
drebbero considerati i dubbi, i conflitti interni,
L’interventismo democratico e la tradizione repubblicana
le difficoltà obbiettive, i condizionamenti am
bientali, i motivi generazionali e le evoluzioni di pensiero nei diversi momenti — neutralità, intervento, periodi pre e post Caporetto, dopo
guerra — di quegli uomini che, seguendo il det
tato mazziniano, sostennero la necessità di scen
dere in campo a fianco dell’Intesa, immaginan
do il trionfo degli ideali democratici ovunque nel mondo, si convinsero del fatto che la “guer
ra giusta” avrebbe generato la “pace giusta”; poi, una volta isolati, smentiti, sconfitti (la data del
la loro Waterloo può fissarsi all’ 11 gennaio 1919, quando Leonida Bissolati tenne il famoso di
scorso alla Scala di Milano, contestato da Mus
solini e dai suoi), continuarono comunque a ri
propone, per mezzo di riflessioni teoriche, op
pure attraverso scelte di militanza politica, i mo
tivi, per loro rimasti autentici e positivi, dell’in
terventismo democratico. Non a caso nel caos del dopoguerra, la gran parte di quelli che, in trincea o nel fronte interno, avevano letto o ri
pensato a qualche pagina di Mazzini18, trovaro
no posto, più o meno stabilmente, entro le fila del combattentismo democratico: nella corren
te minoritaria dell’Associazione nazionale com
battenti (Anc), nel movimento “L’Italia libera”, nella Lega per il rinnovamento della politica na
zionale, nelle sezioni del Partito sardo d’azione e del rinnovato Partito repubblicano italiano.
18 AlessandroGalante Garrone, Introduzionead Adolfo Omodeo, Momenti dellavita diguerra. Dai diari e dalle let
tere ai caduti. 1915-1918,Torino, Einaudi, 1968,pp.XXXVII-XXXIX. Laprima edizione dellaraccolta di Omodeo era apparsanel 1934.
19 ErnestoRossi, "Nove anni sono molti’’. Lettere dalcarcere 1930-1939, a curadi MimmoFranzinelli, Torino, Bol
latiBoringhieri,2001, p. 68.
20 Emilio Gentile,Il mito dello Stato nuovo.Dall’antigiolittìsmo alla grande guerra,Roma-Bari, Laterza, 1982.
E anche dopo, quando in carcere, al confino o in esilio questo particolare genere di inter
ventista si interrogò sulle proprie responsabilità storiche, in relazione alla “orribile strage”, ta
luno portandosi fino a sconfessare la scelta del 1914-1915, tuttavia non smise di trovare in Maz
zini, anzi proprio in quel Mazzini incontrato nel corso della grande guerra, un suscitatore di ener
gie morali, un interlocutore culturale privile
giato, un punto di riferimento politico, vivo e
per nulla superato. Scrivendo il 18 agosto 1931 dal reclusorio di Pallanza alla moglie, Ernesto Rossi ricorderà:
L’unicavolta chefui costretto a fare un’ora di morale [...]ai soldati al fronte, non ho trovato di meglio che leggereloro qualche pagina[dei Doveri dell’uomo}, spiegando lorocome lanostra guerra dovesseessere la continuazionedella lotta voluta da Mazzinipersal vare iprincipi umani dilibertàe digiustizia19.
Dunque, sul piano storiografico, si dovrebbe continuare a prestare attenzione ai fattori che in
dussero alcuni uomini, già interventisti e com
battenti, a respingere ostinatamente la trasfor
mazione dell’Apostolo e il richiamo alla guer
ra, affrontata anche in suo nome, in altrettanti elementi fondativi e legittimanti della ideologia e del regime fascista. Del resto, Emilio Gentile che, più di venti anni fa, aveva sostenuto la re
lazione, se non proprio il rapporto di discen
denza, del fascismo dal “radicalismo naziona
le”, ispirato in buona misura da Mazzini20 (e con
cretizzatosi, possiamo aggiungere qui, anche nell’interventismo democratico), ha successi
vamente meglio precisato lo schema interpreta
tivo. Nel presentare la nuova edizione del suo saggio II mito dello Stato nuovo (1999), l’auto
re riconosce:
Leconnessioni del fascismo con il radicalismo nazio
nale non costituisconodi perséun elementovalido per accreditare una interpretazione, che partendo dalla con
statazione di tali connessioni, arriviadefinire imovi
mentichecompongono il radicalismo nazionale, co
me una forma di‘protofascismo’ o addirittura di‘fa scismo-prima del fascismo’ [...].[Perché] nel radica lismo nazionale le idee di libertà culturale e dilibertà politica, di emancipazione e di liberazione dellemas se,didifesa dellaautonomia e della dignitàdell’indi
viduoerano prevalenti rispettoalleidee che auspica vano soluzioni autoritarie. Inoltre,nella cultura del ra
584 Marina Tesoro
dicalismo nazionale si formarono intellettuali e poli tici, checonfluirono tanto nelleschiere del fascismo quanto nelle schiere dell’antifascismo; molte idee e miti del radicalismo nazionale, presenti nell’ideologia del fascismo, riecheggiarono anchenelle ideologie de
gli antifascisti che appartenevano alla medesimage
nerazione antigiolittiana21.
21Emilio Gentile, Radicalismo nazionale, fascismo,totalitarismo, premessaalla nuova edizione di II mito dello Stato nuovo. Dal radicalismo nazionaleal fascismo,Roma-Bari, Laterza, 1999, p.XIII.
22 GaetanoSalvemini, Dal pattodi Londra alla pace di Roma.I documenti della politica che nonfu fatta, Torino,Go betti, 1925, p. XXI, cit. in M.L.Salvadori,Gaetano Salvemini,cit.,p. 94.
23 Mi permetto di rimandare aMarinaTesoro, Introduzione a Ead., Democraziain azione.Il progetto repubblicano da Ghisleri a Zuccarini, Milano,Angeli, 1996, pp. 11-22.
24 Sulpercorsoparallelo che, a partiredal1915, conduce, oltre Salvemini,ancheGentile, sia pure indirezione oppo
sta,a mutare ilgiudiziooriginario su Mazzini cfr. Roberto Pertici, Storici italiani del Novecento, “Storiografia”, 1999, n. 3, cap. Ili, Il Mazzinidi Giovanni Gentile, pp. 114-130.
25 Per ipiù recenti approcci storiograficialla tematica generazionale, cfr. Angelo Vami (acura di), Ilmondogiovani le inItalia traOttocento e Novecento,Bologna, Il Mulino, 1988;Maurizio Degl’Innocenti, L'epocagiovane. Gene
razioni, fascismo,antifascismo, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 2002; Paolo Sorcinelli, Angelo Vami (acura di), Il se
colo dei giovani. Le nuove generazioniela storia delNovecento, Roma, Donzelli, 2004.
26Sulle discussioni e sull’indirizzo politico adottatodal Prial XII Congresso nazionale (Bologna, maggio 1914), cfr.
Marina Tesoro, Irepubblicani nell’età giolittiana, Firenze,Le Monnier, 1978,pp. 301-328. In quella sede Luigi De Andreis, ponendosi in linea con le posizionida tempoassunteda partedi Ghisleri,aveva svolto una relazione sulla politicaintemazionale dai Contenutiesplicitamente antirredentisti, perché una guerraitaliana control’Austria avreb
be giocato in favoredella dinastia sabauda e anche perché, in quel momento, un simile evento, lungi dal suscitare il desiderio di emancipazione dellenazionalitàoppresse, avrebbeal contrario“riunito la maggiorpartedelle razze del l’impero, intorno al trono feudale e cattolico, in odio all’Italia”(ivi, p. 320).
27M. Tesoro, Irepubblicani nell’etàgiolittiana,cit., pp. 74-87.
Alla luce di questa lunga premessa, propongo qui alcune riflessioni, seguendo una periodiz- zazione, per così dire, classica.
Dalla neutralità alle radiose giornate
Vale l’immagine plastica suggerita da Salvemi
ni: l’Apostolo “[rinacque] a un tratto dal sepol
cro in cui sembrava sotterrato da cinquant’an- ni”22, ricominciò a parlare il linguaggio della na
zione e delle nazionalità, indicando così la scel
ta di campo sul versante delle democrazie con
tro gli imperi autoritari e tornando a spiegare che la guerra diventa una tragica necessità allorché si tratta di raggiungere il fine della pace “rige
neratrice dell’umanità”. Il ‘ritorno’ a Mazzini avvenne quasi di istinto, ma non risultò affatto semplice né indolore. Quanti, all’interno del par
tito-erede, tenevano il Maestro come simbolo,
icona, fonte di ispirazione, ma ne avevano ac
cantonato la componente mistico-religiosa per acquisire l’impostazione positiva e autonomi
stica di Cattaneo23, dovettero procedere, in qual
che modo, alla sua rilettura; mentre altri, pro
prio come Salvemini, si trovarono costretti a in
terpretarne in chiave diversa il ruolo nella sto
ria nazionale, per poterlo adottare politicamen
te in quel tragico momento24.
Il Partito repubblicano poche settimane pri
ma di Sarajevo aveva celebrato a Bologna il suo congresso di “rifondazione”: giovani contro vec
chi (forse in nessuna altra forza politica orga
nizzata dell’anteguerra il fenomeno della rivol
ta generazionale ebbe tanto peso quanto nel Pii25), “blocco rosso”, antigiolittismo, anticolo
nialismo, antimilitarismo, antirredentismo26.
Con certi ambienti, terreno di sospette trasver
salità politiche e comportamentali (Massoneria, Carboneria), i conti sembravano essere chiusi una volta per sempre. La paternità mazziniana della formula “prima italiani, poi repubblicani”, tornata a echeggiare nel frastuono dell’impresa libica, era stata autorevolmente messa in dub
bio27. Ma ecco, tutto a un tratto, deflagrare la grande guerra. Mentre si scoperchiava la tomba di Stagliene, il partito, riconosciuto come la ca
585
sa di famiglia dei mazziniani ‘ storici ’, dopo ave
re operato negli angoli più angusti della scena politica, si vide di colpo catapultato sul prosce
nio e, dopo anni di penombra, finì scaraventato sotto la luce accecante dei riflettori. I responsa
bili del Pri — i neorepubblicani, secondo l’az
zeccata definizione che conierà per loro Piero Gobetti28 — furono letteralmente travolti dalla storia. Animati da sacro entusiasmo, gravati da una responsabilità politica che sapevano anda
re oltre gli interessi di parte e di partito, perché riguardava l’intera nazione, questi giovani diri
genti politici si sentivano sicuri di sé, abbastan
za forti e capaci per assumere una posizione di avanguardia, e al tempo stesso di egemonia, nel movimento antitriplicista e interventista, già in atto all’indomani della dichiarazione di neutra
lità. Si aggiunga che i neorepubblicani sentiva
no avvicinarsi — ne parevano davvero convin
ti — il momento della resa dei conti con la mo
narchia. Presbitismo politico? Imprudenza? Pre
sunzione? Resta il fatto che a loro, proprio ed esclusivamente a loro, credevano spettasse l’ob
bligo morale e il dovere storico di afferrare il te
stimone dalle mani di Mazzini, per guidare e condurre a termine la “rivoluzione incompiuta”
del Risorgimento29. Una pagina di Oliviero Zuc- carini, allora segretario politico del partito, ren
de perfettamente l’atmosfera.
I repubblicani vennerosempre in Italiainesattamen
tee mal giudicati [...]. E tuttavia, ancora una volta,
28 Piero Gobetti, / repubblicani, “Rivoluzione liberale”, 17 aprile1923, ora in Id., Scritti politici, Torino, Einaudi,1969, pp.387-394. Il terminefufattoproprioda Oliviero Zuccarini, La realtà didomani. (Dal vecchio al nuovo repubbli
canesimo),Roma, Edizioni de “La Critica politica”, 1924 (raccoltainopuscolodei due articoli, in risposta a Gobetti, pubblicatisu“La Critica politica”,1923,n.5e n. 7).
29 In generale, su questo, cfr. le acuteosservazionidi Giovanni Sabbatucci, La grande guerra ei miti del Risorgimen to,“Il Risorgimento”,1995, n. 1-2(numero monografico che raccoglie gli attidel convegno “Il mito del Risorgimen
to nell’Italia unita”, Milano,9-12 novembre1993), pp.215-226.
30 Oliviero Zuccarini, Il Partitorepubblicanoelaguerra d’Italia (Storiadella Vigilia), Edizioni de “L’Iniziativa”, Ro
ma,1916,pp. VI-VII, XIV. Il volume fu redatto dal segretario politico del Prie pubblicatopoche settimaneprimadel suo arruolamento volontario, conl’intentodiesporreedocumentare con precisione, sulla base di attiufficialie della stamparepubblicana, il pensiero e la posizione del partito (cfr. ivi, Avvertenza , p. XV).
31 Cfr. il testo integrale in O.Zuccarini, Il Partito repubblicano elaguerra d’Italia, cit., pp. 53-55e inArcangelo Ghisleri, Democrazia in azione. Scritti politici e sociali,Roma,Casaeditriceromana, 1954, pp. 171-172. Proprio con riferimentoaquesto testo Roberto Vivarelli attribuisce la primogenituradell’interventismo al campodemocratico:
cfr. Storia delle origini del fascismo, voi.I,L’Italia dalla grandeguerraalla marcia su Roma, Bologna, 11 Mulino, 1991, p. 125.
lastoria ha dato [loro] ragione. Ivalori ideali, che per tanti anni furono svalutati del tutto, hanno, improvvi samente, ripreso nella società undominio assoluto.
Gli interessi materiali sonopassati in secondoordine.
LaPatria, l’Umanità non sono più considerate come astrazioni, parole vuotedisenso [...]. L’Italiaha ri trovato l’anima del Risorgimento,di cuii suoi figli rinnovano i sacrifici e gli eroismi, esi è posta sulla via maestra [...]alla sua missione di civiltà edifra
tellanza tra i popoli[...]. Nessuna guerradi conqui sta è giusta,è legittima. Unasolaguerratroverebbe il consentimentoditutti gliitaliani, perché guerra ve
ramente italiana, quella attesa e invocata da un genio precursore, Giuseppe Mazzini:“La nostra guerra, la guerra dei popoli, la guerraultima,condizione di una pace perenne, la grande guerra degna di noi, la guer
ra che, iniziando sotto gli auspiciitaliani il rifacimento della Carta d’Europa,ci porterebbe a capo diun’al leanza di popoli e diuna nuova epoca di civiltà”. È tale la guerra che oggi si combatte suicampi insan
guinati d’Europa?Irepubblicani lo hanno credutoe lo sperano30 31.
Il famoso manifesto, redatto in perfetto stile maz
ziniano da Arcangelo Ghisleri e diffuso in mi
gliaia di copie a metà agosto 1914, che propo
neva l’alternativa drastica: “O sui campi di Bor
gogna per la sorella latina, o a Trento e Trie
ste”3 1, sembra essere una prova documentale ol
tremodo espressiva per testimoniare la posizio
ne di precario equilibrio del Pri, in quel momento cruciale. Da un lato, i dirigenti e i militanti do
vevano preoccuparsi di non azzerare gli esiti del processo, appena concluso nel segno dell’in
transigenza politica per rinnovare il partito ma,
586 Marina Tesoro
dall’altro, sentivano la necessità di restare coe
renti con la tradizione mazziniana risorgimen
tale, che contemplava, in casi di estrema neces
sità, anche forme di compromesso con i mode
rati e perfino con la Corona. Questione com
plessa, ardua da comprendere e ancor più da ri
solvere, destinata inevitabilmente a suscitare dubbi, incertezze, perplessità. Lo ricorda Alfre
do De Donno, allora giovanissimo militante re
pubblicano: “Il dilemma del manifesto non ci convinse. Ripensato a mente fredda, il campo di Borgogna messo sullo stesso piano di Trento e Trieste ad alcuni di noi parve discutibile, o per lo meno andava bene per un’ azione di parte. Non per una guerra nazionale”32.
32 Alfredo De Donno, Nella storia dell’interventismo, inEgidio Realeeil suo tempo, Firenze, La Nuova Italia, 1961, pp. 58-59.
33Zuccarini,ricordando il comizio interventista di Milano del 24-25 gennaio 1915,cheaveva visto Benito Mussolini tra gli oratori, saluteràconentusiasmola“magnifica fusionenellafede mazziniana” (Il Partito repubblicano e la guer
ra, cit., pp.94-95). Unacartolina spedita da Mussolinia Zuccarini dalla zona di guerra, il 22maggio 1916, testimo
nia come il futuro duce del fascismo non soltanto ricevesse copie di “L’Iniziativa”,ma ricercassel’appoggio del se gretariopolitico del Pri per contrastareun’ipotetica ripresa delneutralismo,da lui definito sprezzantemente “pa- ciafondaismo”: cfr.Andrea Bocchi, Sei cartoline e una sconosciutatraduzionedi Benito Mussolini,di prossima pub blicazione in “Bollettino della Domus mazziniana”. Parimenti Conti,inun lettera dell’ 11febbraio 1915aGhisleri, an noterà:“Èchiuso[...] il periododellaaffermazione e illustrazionedella tesiinterventista (o sui campi di Borgognao aTrento e Trieste). Abbiamo posto il problema e in modosoddisfacente. L’Italia pensante è con noi”:cfr. Antonluigi Aiazzi (a cura di), Democraziacome civiltà. Il carteggio Ghisleri-Conti. 1905-1929, Milano, Editricepolitica moder
na, p. 287.
34 SivedanoLuigiGhisleri,Diario della Legione repubblicana: la compagnia Mazzini(Nizza1914), acura di Vitto
rio Parmentola, “Archiviotrimestrale”, 1978, n. 1-2, pp.41-79; StefaniePrezioso, Itinerario di un “figlio del 1914’’.
Fernando Schiavetti dalla trincea all’antifascismo, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 2004, pp. 86-102.Perunavaluta zione problematicadel fenomenovolontaristico in quel frangente, si veda Pierre Milza, La légion des volontaires ita- liensdans l’arméefranfaise: une antichambre dufascisme?,in Id. (acura di), Les italiens en Francede 1914 à1940, Roma, École frangaise de Rome, 1986,pp. 143-154.
Nel corso del conflitto i comportamenti e le scelte degli uomini che si riconoscevano, pur con significative divergenze tra loro, nella me
desima famiglia politica repubblicana furono fortemente condizionati dallo stato di massima esposizione degli inizi. Convinti di controllare e indirizzare il movimento interventista e per
suasi di salvaguardare la propria autonomia, molti di loro finiranno invece per imboccare una strada costellata da errori e fallimenti. Svanirà subito l’illusione che, per merito principale, se non proprio assoluto, del Pii, il pensiero di Maz
zini — si noti bene, il Mazzini della Santa al
leanza dei popoli — sarebbe diventato patrimo
nio consolidato, comune e condiviso di tutto l’in
terventismo33. Altrettanto presto cadranno le speranze di mettersi alla testa di un ampio e com
posito movimento di rinascita morale e di rin
novamento democratico del paese, passando at
traverso la prova della guerra. La rottura insa
nabile con i socialisti, considerati da sempre, pur tra infiniti scontri e contrapposizioni, gli inter
locutori privilegiati, e la scelta di altri referenti politici determinarono lo sbandamento del par
tito, proprio mentre il clamoroso insuccesso del
la spedizione di volontari in Francia — la Com
pagnia Mazzini34 — toglieva credibilità ai lea
der repubblicani, che quell’esperimento aveva
no promosso e sostenuto.
Non fa meraviglia, dunque, che nella mente di molti interventisti di formazione mazziniana tornasse ad affacciarsi il pensiero, tanto costan
te quanto assillante, di essere destinati, ancora una volta, all ’ impotenza politica. Tenendo in con
siderazione anche questo elemento psicologico, si riesce forse a comprendere meglio perché es
si non seppero trovare migliore soluzione se non quella di fare blocco (fascio) con tutti gli altri in
terventisti, di qualunque colore fossero, per con
servare almeno la speranza di lasciare un’im
pronta, o forse solo una traccia, di sé e della cul
tura politica che incarnavano in quegli eventi sto
rici eccezionali e decisivi per il paese. Come già
era accaduto in alcuni momenti dell’epopea ri
sorgimentale, a loro parve gioco forza scendere a patti con gli uomini e le organizzazioni della parte opposta. E così vedremo gli intransigenti neorepubblicani non soltanto stringersi ai grup
pi rivoluzionari più affini — alla Mussolini o al
la De Ambris —, peraltro già compagni di stra
da e di barricate durante la ‘settimana rossa’, ma mettersi di nuovo assieme agli aborriti ‘libici’, che avevano spregiudicatamente rappresentato Mazzini come un colonialista; disporsi accanto ad ambigui personaggi, appena messi al bando dal partito, affiancarsi addirittura ai monarchici e ai nazionalisti, non potendo né chiedere né pre
tendere alcuna credenziale.
Dall’agosto 1914 fino al maggio 1915, negli ambienti repubblicani, ricomposti in forme co
sì eterogenee, l’ansia crebbe in maniera espo
nenziale, trasformandosi in una vera e propria ossessione interventista, fino ad assumere le for
me esaltate e scomposte del radiosomaggismo.
Soltanto quando 1 ’ ora della guerra alla fine giun
se e si trattò di sottoscrivere la “tregua istitu
zionale”35, gli esponenti del Pri o, per meglio di
re, la componente dei rinnovatori, cominciò a coltivare il dubbio di ripetere lo sbaglio fatale di Mazzini, allorché si era fidato di Vittorio Ema
nuele IL II rischio che il nome dell’Apostolo po
tesse servire ad altri come un alibi o come una copertura, per perseguire scopi del tutto estra
nei alla prospettiva dell’Italia democratica e del
l’Europa concorde e libera, fu percepito imme
diatamente dall’intellettuale Ghisleri e venne
35 Si veda il testo del “Manifesto agli italiani” delPri, in data 19 maggio1915,in O. Zuccarini, Il Partito repubblica
no e la guerra, cit., pp. 121-122.
36 LucioCecchini, L’epistolario traArcangelo Ghisleri e Oliviero Zuccarini, “Bollettinodella Domus mazziniana”, 1977,n. 1,inparticolare pp. 30-45;maanche le lettere di Zuccarini a Ghisleri, del21 giugno (inedita) e 7 agosto 1915 (parzialmente citata inM. Tesoro, Democrazia inazione, cit., p.149), inArchivio Ghisleri, Domusmazziniana,Pisa, C III b32/68-69.Sui tempestivi avvertimenti di Schiavetti, sivedaDinastia e popolo,“L’Iniziativa”, 8maggio 1915.
37 Giuseppe Prezzolini, Partitie gruppi italiani davanti allaguerra, “LaVoce”,1914,n.17.
38 G.S.,La politica esteradell’Italiae ilpacifismo. Replica aE.T. Moneta, “Critica sociale”, 1908, n.22-23, ora in Gaetano Salvemini, Opere, voi. Ili,1.1, Come siamo andati in Libia e altri scritti dal1900 al 1915, a cura di Augusto Torre, Milano, Feltrinelli, 1963, p. 51.
39 GaetanoSalvemini, Guerraoneutralità?, Milano,Ravà ec.editori, 1915, ora in Id., Opere,voi. Ili, t.I,cit., pp.
455-474.
40Lettera a Ernesta Battisti, Firenze, 16ottobre 1914,inGaetanoSalvemini, Carteggio 1914-1920, a curadiEnzoTa- gliacozzo, Roma-Bari, Laterza, 1984, pp. 54-55.
compreso presto anche dal segretario politico Zuccarini36. Del resto, guardando dall’esterno la situazione dei repubblicani, Giuseppe Prez
zolini aveva constatato che, continuando a chia
mare in causa la monarchia per cancellare la ver
gogna della neutralità, essi si “erano scavati la fossa” con le loro stesse mani37.
Anche Salvemini, che, per la verità, non nu
triva allora alcun interesse per le sorti della Co
rona, seguì una traiettoria per certi aspetti ana
loga a quella dei neorepubblicani: si convertì, attraverso Cesare Battisti, dall’antirredentismo alla prospettiva della finis Austriae-, si accorse improvvisamente dell’attualità e della moder
nità di Mazzini, non più soltanto come ispirato
re morale, ma invece come concreto punto di ri
ferimento politico; si identificò appieno con il suo pensiero sulla questione delle nazionalità;
ne condivise le previsioni e le prescrizioni nel campo della politica europea; chiamò alla guer
ra, dalle colonne di “L’Unità”, perché si tratta
va di uno scontro tra libertà e autoritarismo, e perché esistono — scrisse — “paci più orribili e più odiose della guerra, [...] che consumano a fuoco lento i popoli”38. Nel 1915 pubblicò un opuscolo, Guerra o neutralità?, dove rifuse pa
recchi argomenti mazziniani39; intuì la possibi
lità di veder strumentalizzato il mito di Mazzi
ni e, per questo motivo, chiese all’amico Batti
sti di non partecipare a un comizio insieme a Luigi Federzoni40, ma poi finì per perdere lui stesso lucidità e, nel maggio 1915, si infilò in una manifestazione unitari^ di interventisti, ve
588 Marina Tesoro
stili con le casacche di tutti i colori41. Infine, a guerra dichiarata, proprio come i giovani diri
genti repubblicani e come Ghisleri, l’amico fra
terno in un tempo passato42, Salvemini, pur tra mille dubbi che riguardavano non tanto il re quanto piuttosto Sidney Sonnino, obbedì a un imperativo interiore e si impose di cessare le ostilità contro il governo e la tanto vituperata classe politica. Sospese le pubblicazioni di “L’U
nità” e, a 42 anni, partì soldato.
41 M.L. Salvadori, Gaetano Salvemini,cit.,p. 95.
42 II terrenodi incontro traSalvemini eGhisleri negli anni di fine Ottocento era stato lo studiodi Cattaneo e lecomu
ni riflessioni sul federalismo.La rottura,intervenuta nel 1901, derivò da motivi personaliedalle diversavisione poli tica, anchein ordine al ruolo dei partitidiopposizione nel sistema giolittiano. Da ultimo, su questo rapporto, cfr. Ma rina Tesoro,Autonomiee federalismo tra '800 e'900, inDaniela Preda,Cinzia Rognoni(a cura di), Storia e percorsi del federalismo. L’ereditàdiCarlo Cattaneo,t.II, Bologna, Il Mulino,2005, pp.569-583.
43Fernando Schiavetti, Nascita diuomini democratici,“Belfagor”, 1954, n. 6,p. 688.
44Randolfo Pacciardi, Cuore di battaglia.Pacciardi racconta a Loteta, Roma, Nuove Edizioni delGallo, 1990,pp.
21-22.
45 Nicola Tranfaglia, Carlo Rosselli dall’interventismoa “Giustizia e Libertà’’, Bari, Laterza,1968, pp.11-42;Giu seppe Fiori, Casa Rosselli. Vita diCarlo e Nello, Amelia, Marion eMaria, Torino,Einaudi, 1999,inparticolare i ca
pitoliII e III. Pippo, il soprannome diMazzini,fuanche lopseudonimoadottatoin casa Rosselli per designare tanto Carlo quantoNello:cfr.Zefiro Ciuffoletti (acura di), IRosselli. Epistolario familiare, Milano, Mondadori, 1997,p.
412.
46 Sivedail classicoRobertWohl, Storia diuna generazione. La generazione del 1914, Milano, Jaca book, 1984 (ed.
or.1979), ma anche Giovanni Sabbatucci, Le generazioni dellaguerra, “Parolechiave”,1988, n. 16, pp. 115-127.
47 Lettera di Ernesto Rossi aGiuseppina Molea(la sua madrinadiguerra), 11 febbraio 1916,cit.inGiuseppe Arma- ni, La forzadi non mollare. Ernesto Rossi dalla grande guerra aGiustizia e Libertà, Milano, Angeli, 2004, p.29.
Alle rumorose ed eccitate manifestazioni a favore dell ’ intervento, nella primavera del 1915, parteciparono numerosi giovani che, più tardi, troveremo allineati, più o meno regolarmente, nella filiera mazziniana. Ma in realtà, allora, po
chi conoscevano a fondo il pensiero e l’opera dell’Apostolo. Fernando Schiavetti, che si era dedicato a una “lettura assidua di Mazzini e in particolar modo delle sue memorie autobiogra
fiche” mentre era allievo della Scuola normale di Pisa, è un caso raro e forse unico43. Altri ave
vano fatto studi superficiali e rapsodici, come Randolfo Pacciardi44, o respirato aria di fami
glia, come Carlo Rosselli45, oppure si erano av
vicinati al genovese attraverso la mediazione del cattaneano Ghisleri, come Giovanni Conti e Oli
viero Zuccarini. In generale, la loro scelta di ar
ruolamento volontario non poggiò su motivi di ordine ideologico, quanto piuttosto su una let
tura degli eventi semplificata e quasi elementa
re — la civiltà contro la barbarie, il bene verso il male — e, soprattutto, maturò come riflesso di esigenze esistenziali. Ernesto Rossi, per spie
gare quel passaggio della sua biografia, che ri
manda al più complesso tema della “generazio
ne del 1914”46, annota con la consueta ironia e l’inimitabile under statement: “Avevo bevuto [troppa] camomilla domestica”47.
La guerra
I primi tempi di guerra trascorrono senza che i temi mazziniani, declinati in chiave di libertà, di dignità degli uomini e delle nazioni, di eman
cipazione e solidarietà tra i popoli, trovino qua
si più spazio né ricordo. Al fronte, i giovani in
terventisti democratici, o con sogni di rivolu
zione, travolti dalla devastante e annichilente esperienza della trincea e della terra di nessu
no, non riservavano il loro tempo né i loro pen
sieri alle questioni politico-ideali. Sentivano il problema in termini di dovere e di coscienza.
“Facevo coscientemente la guerra — testimo
nierà per tutti Emilio Lussu in Un anno sul
l’altipiano — e la giustificavo moralmente e politicamente. La mia coscienza di uomo e di cittadino non era in conflitto con i miei doveri
L’interventismo democratico e la tradizione repubblicana
militari”48. Nel bacino dell’interventismo il par
tito dei neorepubblicani non soltanto aveva ir
rimediabilmente smarrito la posizione di spic
co, occupata per un breve momento, tra l’esta
te del 1914 e la primavera del 1915, ma anda
va perdendo ogni visibilità. I giovani, artefici del rinnovamento del partito, erano in unifor
me; e intanto i vecchi, di età o di mentalità, i mazziniani nazionalisteggianti o nazionalisti, i capi della Carboneria e i fratelli delle logge mas
soniche riacquistavano il controllo dell’orga
nizzazione e della stampa di partito. Si rompe
va il tabù deH’antiministerialismo: Ubaldo Co- mandini ed Eugenio Chiesa saliranno al gover
no, come del resto anche Bissolati.
48 Cit.inGiuseppe Fiori,IlcavalieredeiRossomori. VitadiEmilio Lussu, Torino, Einaudi, 1985,p. 136.
49 Cfr. AraldoBenini(a cura di), Ventidue lettere di Gaetano Salvemini ad Arcangelo Ghisleri,“IlPonte”, 1973, n. 6, pp. 784-804: lettera del 25 ottobre 1916, p.788.
50R. Vivarelli, Storiadelle origini delfascismo, cit., p. 147.
51 Laprima edizione, profondamente modificata rispetto al testoin bozze del 1916, comparve nel febbraio 1918; ora in Gaetano Salvemini,Opere, voi. Ili, t.Il, Dalla guerramondialealladittatura (1916-1925), a cura di CarloPi- schedda, Milano, Feltrinelli, 1964, pp.283-473.
52 ArcangeloGhisleri, Due anni dopo. Contro lo sciovinismo jugo-slavo, in Id., Per l’Intesa Italo-Jugoslava. Scritti dellavigilia,Lugano, Istituto librario italiano, settembre 1918, p. 28. Il testo dell’opuscoloè in Id., Democraziain azione, cit., pp. 173-182. In generale,sulla posizionedel repubblicano in questo periodo,cfr. Giuseppe Tramarollo,Il concetto dinazionalitànel pensiero e nell’azionedi A. Ghisleri,in Atti del Convegno sul pensiero di A. Ghisleri. Cre
mona22-23-24novembre 1968, Cremona, Editrice Padus [1969], pp. 10-17.
53ArrigòCajumi, Gl’impazienti, “La Nuova stampa”,5novembre 1948.
54Lettera di Salvemini a Elsa Dallolio, 19ottobre 1916,in G.Salvemini, Carteggio 1914-1920, cit.,p. 284.
Intanto, gli studiosi più accreditati di Mazzi
ni, come Ghisleri e Salvemini, tacevano perché si erano volontariamente imposti l’autocensura.
Constatò con amarezza lo storico pugliese: “O si parla in senso imperialista e si prepara il ri
torno all’alleanza germanica o si chiude la boc
ca”49. Soltanto alla fine del 1916, quando gli ar
gomenti incompatibili con il principio mazzi
niano di nazionalità avevano oramai occupato quasi del tutto il campo e mentre l’associazione Pro Dalmazia si appropriava anche dell’Apo- stolo risorgimentale, pur di dimostrare il ‘dirit
to’ italiano su quel territorio, i due intellettuali reagirono e finalmente ripresero i contatti tra lo
ro, dopo un silenzio durato quindici anni. Sal
vemini nell’articolo dell’8 dicembre 1916, ap
parso in prima pagina su “L’Unità”, che ripren
deva quel giorno le pubblicazioni, citerà inte
gralmente alcune parti di un messaggio, dai for
ti echi mazziniani, appena pervenutogli da Lu
gano, dove allora dimorava Ghisleri50.
Come Mazzini definisce la nazione, quali fos
sero le modifiche e le integrazioni da apportare al suo pensiero per risolvere problemi da lui non affrontati o soltanto sfiorati, per esempio quel
lo delle zone miste: questi furono i temi di ri
flessione e di studio comuni ai due professori, nell’ultimo scorcio del 1916. Ma la censura im
pedì a Salvemini di pubblicare il testo forse più impegnativo del periodo, redatto insieme al geo
grafo Carlo Maranelli e già pronto in bozze, cioè La questione dell’Adriatico51, e Ghisleri non trovò altra strada se non quella di accludere al
le lettere private, che indirizzava a qualche espo
nente del Partito repubblicano e a qualche per
sonalità di governo, un opuscolo dal titolo Guer
ra dinastica o guerra di libertà?, pubblicato a sue spese in 200 esemplari, proprio per rispon
dere all’associazione Pro Dalmazia52. Le lette
re private dei due intellettuali, in quei mesi, gron
dano sentimenti di frustrazione, tristezza, soli- titudine. L’uno, il “neo-Mazzini di Moffetta”, come molto tempo dopo verrà definito53, rico
noscerà: “Noi non conchiudiamo niente. Met
tiamo al sicuro la nostra coscienza ed è qualco
sa per noi. È troppo poco per il paese”54. L’al
tro, dalla sua postazione in Svizzera, osservan
do desolatamente gli uomini del partito, con
fesserà: “Una cosa sola mi irrita, che si citi Maz