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Sport e sinergie per rinnovare l ACI

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Academic year: 2022

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E

ntra nella sala riunioni della sua azienda, dove ci hanno fatto accomodare i suoi assistenti, brandendo perentorio un iPad.

Lo depone sul tavolo di fianco ai due cellulari, educatamente spenti. Lo apre, determinato. Poi si lascia porre la prima domanda. Inizia così il nostro incontro con il neoeletto presidente dell’ACI, Angelo Sticchi Damiani, ingegnere leccese di 66 anni portati splendidamente. Che mostra di avere le idee chiare. Ed è in grado di usare parole dirette quando lo sente necessario.

• Entriamo subito nel vivo. Qual è il suo stato d’animo, vista la situazione attuale dell’automobile? C’è molto da fare per rilanciare il rapporto fra gli italiani e l’auto?

«Lo stato d’animo, innanzitutto: determinato.

Mi sento animato da tanta voglia di affrontare un momento complesso che richiede un im- pegno forte da parte della presidenza, della segreteria e di tutti gli Automobile Club pro- vinciali. In un periodo come questo c’è bisogno di tutti e serve una grande armonia, in ogni direzione, con uno sforzo corale. Poiché stiamo vivendo una fase difficile, che l’Italia soffre in modo particolare. Dobbiamo rilanciare il ruolo dell’ACI, che mi sembra sia stato un po’

assente sui grandi temi. Vogliamo tornare a

essere gli interlocutori di governo e Parlamento su tutte le decisioni in materia di auto. Cosa che recentemente non è accaduta».

• Perché, secondo Lei?

«L’ACI non è stato reattivo su alcuni aspetti.

Ha mantenuto un atteggiamento di difesa per paura di intorbidire i rapporti col governo.

Ma io penso che ogni tanto si debba passare all’attacco. Parlo subito chiaro: la nostra è una leale collaborazione con il governo, ma non per questo dobbiamo avere un atteggiamento timido e preoccupato».

• A che cosa si riferisce?

«Non possiamo essere d’accordo con alcune recenti decisioni del governo. La forte tassazio- ne che sta subendo oggi il mondo dell’auto, in particolare sulla benzina, è un metodo molto rapido per fare cassa. L’ACI deve dire basta.

Noi contiamo su un milione e 200 mila soci ma rappresentiamo in generale tutti gli auto- mobilisti. Per questo abbiamo il diritto-dovere di dire basta, senza fare battaglie.

Tornando alla benzina, dobbiamo resistere: i due euro al litro che paghiamo ci portano ad essere il Paese europeo più tartassato. E questo danneggia tutto il sistema dei trasporti. Ma, al di là delle dinamiche di carattere economico,

quello che ci preoccupa è che si arriva a sco- raggiare l’uso dell’auto e della moto e ciò alla fine mortifica un mercato già in grande crisi».

• Allude al superbollo?

«Per non parlare di quello. Guardi, l’ACI può fare molto. Dobbiamo convincere il Parlamento a guardare bene tutto. Il governo sta indicando una strada e sta facendo anche cose ottime.

Qualche volta, però, sembra voler lanciare segnali di moralizzazione, ma si tratta del 5%. Tutto il resto è danno. Se una piccola percentuale di italiani evade, il resto non lo 4

Il nEoElEtto prEsIdEntE ha lE IdEE bEn chIarE E una tabElla dI marcIa molto IntEnsa. Il prImo passo: far lavorarE InsIEmE lE dIvErsE socIEtà dEll’automobIlE club d’ItalIa E sfruttarnE appIEno lE potEnzIalItà.

«pEr dIvEntarE – dIcE – un’armata potEntIssIma».

E poI: IntrodurrE nuovI strumEntI dI comunIcazIonE;

allargarE glI IntErvEntI rIvoltI allE fascE dI utEntI pIù dEbolI; promuovErE InIzIatIvE pEr spIngErE I corsI dI guIda sIcura E pEr avvIcInarE I ragazzI al mondo dEllE garE («pErché In pIsta possono darE sfogo alla voglIa dI vElocItà, sEnza corrErE rIschI»). Il caro bEnzIna E Il supErbollo? «tocca a noI adEsso dIrE basta!»

l’intervista

Angelo Sticchi Damiani

di Paolo Gavazzi

Sport e sinergie

per rinnovare l’ACI

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fa. Io avrei cercato di stanare gli evasori in un modo diverso, non portando alla crisi un set- tore già tartassato come il nostro. A meno che non si debba girare tutti in Panda per essere considerati buoni contribuenti. Come si può mortificare la tradizione italiana di un settore trainante che ora fatica? Quanta Iva in meno incasserà lo Stato? E queste decisioni avranno davvero portato a una minore evasione? Lei pensa che un evasore totale sia preoccupato?

Non credo. Invece così si colpisce chi ha voluto investire in una passione, acquistando una bella auto anziché un quadro o un cavallo».

• Insomma, la classe politica avrebbe bisogno di qualche lezione da chi ne capisce un po’

di più in fatto di automobili?

«Di parlare di “lezioni“ con i professori del governo non me la sentirei. Però spiegare bene le conseguenze di alcune decisioni, quello sì.

Tornando alla criminalizzazione delle auto di grossa cilindrata, il danno di cui parlavo non si riferisce solo ai costruttori, ma anche alla rete di concessionari dove lavorano decine di migliaia di persone. Li stanno ammazzando.

Sono aziende che hanno fatto investimenti:

pensi agli impegni assunti di carattere immobi-

5 liare e di attrezzature. Ecco dove sta il danno».

• State guardando anche alle assicurazioni?

«Certamente sì. Possiamo fare tanto anche qui.

Abbiamo una compagnia, Sara Assicurazioni, molto caratterizzata sulla rc auto. A giorni presenteremo uno studio su come sia possibile abbattere del 40% i costi degli attuali premi, eliminando una serie di anomalie tutte italiane.

Innanzitutto con provvedimenti legislativi, per esempio contro le frodi. Sappiamo che esistono sacche di interessi che hanno costruito

Sport e sinergie

per rinnovare l’ACI Un ingegnere con 4 ruote nel Dna

Leccese, 66 anni, sposato con due figli, Angelo Sticchi Damiani è ingegnere civile progettista di strade.

In campo sportivo è stato pilota rally negli anni ’70. È nella Commissione Sportiva Automobilistica Italiana (CSAI) dal 1975. Dall’84 al 2000 è stato direttore di gara internazionale. Dal 1973 è organizzatore del Rally del Salento, “classica” del Campionato Italiano Rally, valevole per la Coppa Europa Fia Rallies a coefficiente 10.

Dal 1993 è stato vicepresidente della CSAI, all’interno della quale ha anche ricoperto l’incarico di presidente della sottocommissione Rallies e della sottocommissione Circuiti e Sicurezza. Dal 1990 è presidente dell’Automobile Club Lecce.

Nel 1994 è diventato anche membro del Comitato esecutivo dell’Automobile Club d’Italia. È presidente della società ACI Consult Spa. Appassionato di auto storiche, ha partecipato a tre edizioni della Mille Miglia Storica (dal 1997 al 1999) e possiede una collezione di vetture d’epoca. È stato presidente del Comitato Organizzatore del Rally d’Italia Sardegna, valevole per il Campionato Mondiale FIA Rallies.

Dal 1998 è componente della Commissione Circuiti in seno alla FIA (Federazione Internazionale dell’Automobile). Nel 2009 è stato eletto presidente della CSAI.

Nominato vicepresidente dell’ACI nel corso del 2011, è adesso stato eletto alla massima carica dell’ente.

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appieno. Dove conta di intervenire?

«L’ACI è un ente importante che si è svilup- pato molto. Le sue società sono diventate dei colossi: ACI Informatica e ACI Global sono esempi perfetti. Hanno seguito brillantemen- te il loro business ma non sempre c’è stato un raccordo fra gli scopi statutari dell’ente, le sue politiche e soprattutto è mancato un raccordo fra le direzioni e le società. Ci sono accavallamenti, ma la cosa peggiore è che non ci sono sinergie. Dobbiamo mettere a sistema tutte le enormi potenzialità umane e tecniche delle società che fanno capo all’ACI. Credo ci siano società che sono sfruttate al 40% del loro potenziale. È il caso di ACI Informatica. Se sappiamo sfruttare tutte le risorse, sui vari temi, possiamo diventare un’armata potentissima.

E questo grazie all’aiuto degli AC provinciali

che sono un terminale perfetto del nostro lavoro. Sono convintissimo che ogni società possa sviluppare il proprio business e darne alle consorelle. Dobbiamo sentirci un gruppo, una holding. Quindi, attraverso scambi, si potrà fare utili e allo stesso tempo l’interesse dell’ACI. Dobbiamo però capire tutti, dirigenza e AC provinciali, quali siano i nostri obiettivi.

Troppe iniziative sono state rese possibili solo perché un presidente si è reso disponibile a un grande business in questo senso. Questo

business va smantellato, perché le compagnie non ne soffrono ma a pagare alla fine è l’utente».

• Un presidente scatenato...

«Eh, sì. Perché questo significa fare l’interesse degli automobilisti. Vanno azzerati i costi in- giustamente ribaltati sull’utente. Non voglio parlare delle frodi, dove addirittura ci si inventa un sinistro. Ma voglio debellare questo sistema di interessi di comodo che nascondono una forte penalizzazione. Dobbiamo agire sulla prevenzione e intervenire in Parlamento perché legiferi in tal senso».

• Presidente, tornerei all’inizio: Lei ha parlato di armonia, che cosa intende? Ci sono correnti pericolose?

«No. Io penso che ogni elezione che finisce come quella recente, con pochi voti di scarto, segni sempre una certa divisione. Credo però che il problema sia già risolto al 90%. Ma armonia ci deve essere anche fra tutti gli AC provinciali, fra gli uffici ACI e la dirigenza, fra direzioni e società».

• Lei ha fatto capire che le potenzialità dell’ACI non sono state sviluppate

parlare con i responsabili degli enti locali.

Ma ciò è avvenuto a macchia di leopardo. I progetti sono buoni, le tecnologie ottime e siamo anche competitivi sul mercato, eppure non siamo riusciti ad essere sincronizzati per portare avanti un discorso comune».

• Tornando a noi, non teme che l’ACI abbia un’immagine un po’ fredda? Non crede che serva un restyling?

«Onestamente penso proprio di sì. Ci sarà parecchio da fare. Dobbiamo rispondere a molte domande provenienti dall’esterno, molte delle quali sono del tutto nuove. Noi dob- biamo tornare a essere considerati come lo eravamo un tempo: l’interlocutore del governo per qualsiasi decisione sul mondo dell’auto. I giornali specializzati, in passato, riportavano puntualmente ogni mese il parere dell’ACI, dei nostri tecnici, la nostra posizione sulle deci- sioni in materia di circolazione, eccetera. Noi dobbiamo essere credibili e preparati, dando risposte giuste e rapide. Abbiamo la forza di un milione e 200 mila soci, ma bisogna fare una politica adeguata».

• Non pensa che sarebbe necessario introdurre nuovi strumenti di comunicazione come possono essere Facebook o Twitter?

«Devo confessare che ci sto già lavorando. È vero, dobbiamo riuscire a comunicare in modo diverso. Sappiamo che i giovani prediligono queste nuove forme ed è quindi importante sfruttarle in modo attivo, rispondendo a chi ci contatta su Facebook o Twitter. E poi l’al- tro strumento di contatto è lo sport, un altro legame atavico con i giovani».

• È soddisfatto di come funzionano oggi gli strumenti di informazione per la mobilità, o anche qui c’è qualcosa da migliorare?

«Penso che ci sia ancora molto da migliorare. In Italia si vanno creando grandi gruppi in tema di infomobilità e noi non possiamo assolutamente rimanere fuori da questo settore. Dobbiamo essere interlocutori privilegiati delle aziende di telecomunicazione, dei produttori e delle case automobilistiche. L’obiettivo è acquisire dati e trasmetterli direttamente all’automobilista in tempo reale, soprattutto per affrontare le situazioni improvvise nei grandi centri urba- ni. Dobbiamo essere propositivi e non delle comparse».

• Come si prepara per rispondere ai periodici attacchi al PRA?

«Questo argomento è davvero delicato. Non le nascondo che mi preoccupa molto, ma qui serve uno scatto di orgoglio. Guardi, nessuno in realtà ha mai criticato la qualità del servizio del Pubblico Registro Automobilistico, ma

l’intervista

Angelo Sticchi Damiani

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Angelo Sticchi Damiani in una foto del 2010, al test Ferrari con i migliori piloti del Campionato F3. Nell’altra pagina, con Luca Badoer e Giancarlo Fisichella, piloti della Ferrari, e Giancarlo Minardi, fondatore dell’omonima scuderia emiliana.

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le tariffe corrisposte sono ferme a 17 anni fa».

• Cambiamo tema. Quale ruolo può avere l’ACI nel miglioramento del rapporto fra auto e ambiente? E che cosa pensa dell’Ecopass-Area C di Milano?

«Abbiamo già consentito alle vetture alimen- tate a gpl e metano di partecipare alle gare automobilistiche, ma dobbiamo andare oltre.

Quanto ai provvedimenti antismog di cui parla, sono contrario. L’Area C di Milano mi pare una tassa che avvantaggia i ricchi e colpisce i poveri.

Serve un piano strategico che tenga conto delle situazioni nei vari quartieri, valuti opportune limitazioni alla circolazione ed avvantaggi il trasporto pubblico locale in base alla reale qualità del servizio. L’ACI ha fior di tecnici, basti pensare alla Direzione Studi e Ricerche.

Possiamo offrire soluzioni integrate per evitare i blocchi. Al momento vedo realizzare soltanto dei palliativi che non risolvono il problema alla fonte. E noi vorremmo aiutare a farlo».

• Che cos’è ACI per il Sociale?

«Mi lasci ricordare il progetto Teseo. È un dispositivo destinato agli anziani, a chi soffre di amnesie, ai portatori della sindrome di Down. Persone con problemi, ma che hanno voglia e bisogno di mobilità. L’apparecchio è georeferenziato e mappato: registra online la posizione della persona e – in caso di necessi- tà – attraverso un pulsante manda un allarme segnalando per sms l’ubicazione esatta. Siamo convinti che possa essere di grande aiuto per gli anziani e per i loro familiari. È in fase spe- rimentale a Roma e contiamo di estenderlo a tante altre città. Mi pare che possa essere il simbolo di un ACI che sa essere vicino alle categorie deboli».

• Altro problema serio è la sicurezza stradale. C’è ancora molto da fare?

«È un’altra bellissima sfida. Riconosco che siamo sempre stati in prima linea, ma in ma- teria di sicurezza stradale non si fa mai abba- stanza. I problemi sono tanti e complessi. In primo piano i giovani: ho studiato l’argomento guardando le statistiche che evidenziano un picco di mortalità tra i 18 e i 22 anni di età. La popolazione di neopatentati si può dividere in due categorie. L’80% ha desiderio di guida e di libertà; il restante 20% è rappresentato da ragazzi studiosi e posati che non saranno forse grandi appassionati di automobilismo ma non fanno stupidaggini al volante.

Tolti i casi patologici rappresentati da una minoranza di soggetti con problemi di alcol e

ma un valore! Il vero problema è che questi ragazzi si buttano a capofitto a fare cose, alla guida, che in realtà non sanno e non possono fare: schiacciano sull’acceleratore senza sapere quale reazione avrà il veicolo e quali possano essere le conseguenze nell’affrontare una curva a velocità elevata».

• E quindi?

«Quindi dobbiamo lavorare sulla formazione in due modi. Il primo dovrebbe essere quasi naturale: un padre che compra l’auto al figlio

come prima cosa dovrebbe iscriverlo a un corso di guida sicura. Costa meno di uno smartpho- ne e bisogna iniziare a considerarlo una cosa normale, come fare l’assicurazione.

Un corso insegna non solo a sapersela cavare nelle varie situazioni, soprattutto fa maturare il ragazzo facendogli capire che ancora non sa guidare davvero. Messo alla prova nelle situazioni più banali, il giovane si accorge che non sa cosa fare. Questo è il vero messaggio.

«Cercheremo di coinvolgere ragazzi e famiglie direttamente negli autodromi con feste, sagre, mostre e mercatini per fargli prendere contatto con il mondo dello sport attraverso qualche giro di pista. Gli autodromi sono ormai molti in Italia ed è lì che si capisce dove si possono fare certe cose: si impara a rispettare le regole e si impara a correre. E soprattutto si impara a farlo nei circuiti, non su strada.

Se si capisce che si può coltivare la passione per la velocità in modo corretto, il problema è risolto.

Del resto, lei ha mai sentito di piloti morti in incidenti su strade normali? E aggiungo, lei sa qual è l’età media di chi si iscrive a un corso di guida sicura?».

• Francamente no...

«Circa 50 anni. Significa che uno lo fa quando ha coscienza di non saper guidare bene. Noi dobbiamo farglieli fare a 18 anni. Con Facebook e Twitter questo messaggio sarà martellante».

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• Eccoci quindi allo sport, argomento che conosce benissimo. Il momento economico non è di aiuto. Ma, Ferrari a parte, non ci sono piloti o marchi tricolori di primo piano in questo momento.

Che cosa si può fare per evitare di diventare una nazione di serie B?

«Finché avremo una Ferrari in F1, senza dimen- ticare realtà come Dallara, o Lamborghini fra le Gt, non potremo certo dire di essere in serie B. Certo, ci manca un costruttore italiano nei rally. Quando Lancia è uscita dal mondiale la scuola italiana ne ha sofferto. Ora è il momento dei francesi; presto debutteranno i tedeschi della Volkswagen. Le newentry ci sono e la speranza è che il Gruppo Fiat, come Lancia o come Abarth, individui un modello con cui tornare nel WRC. Del resto, se tante altre case lo fanno qualche motivo ci sarà. Il gruppo PSA non è in condizioni più rosee, eppure corre con Citroën. Renault, pur non avendo un’auto da campionato del mondo, investe però moltis- simo sullo sport e sui giovani».

• Giovani, un tema che le è caro.

«Basti pensare alla Ferrari Driving Academy e alla Formula CSAI-Abarth: progetti partiti in passato con la CSAI di Macaluso e che han- no avuto risultati interessanti. Se quest’anno purtroppo non c’è un italiano in F1, per me è solo un fatto di ricambio generazionale. Ma presto i frutti li vedremo. Marciello, Rigon e Valsecchi sono solo i primi nomi di ragazzi in panchina che presto vedremo in F1».

è in Sardegna, a detta di tutti la gara più bella del campionato. Percorsi splendidi, guidati, in ambienti paradisiaci. Alternative possibili alla Sardegna allo stato attuale non se ne vedono.

Il rischio era perdere la validità mondiale, cosa che avrebbe significato perdere il contatto con i piani alti dell’automobilismo».

• Saliamo ai vertici dello sport: Formula1. Si è tanto parlato di un secondo GP in Italia.

Ma serve una seconda prova del Mondiale nel nostro Paese?

«Oggi lo considero sinceramente inattuabile.

Quello di Roma era un progetto bellissimo e ben strutturato, ma non è realistico pensare a due GP in Italia. Quindi Monza. Sino alla fine della F1: per storia, bellezza della pista, tradizione e valore. Quel circuito è il tempio dell’automobilismo. Non riesco a immaginare la F1 senza Monza. E anche se si fosse corso a Roma, Monza sarebbe rimasta, sia chiaro».

• ACI e CSAI sono due realtà di primo piano nel mondo sportivo. Che progetti ci sono per il futuro?

«In questo momento hanno un rapporto stra- ordinario, facendo capo alla stessa persona...

Battute a parte, quella attuale è una fase tran- sitoria che credo sia necessaria per riuscire a fare quello che sto facendo. Cioè ridisegnare l’architettura dell’ordinamento sportivo italia- no. L’eccessiva autonomia della CSAI poteva trasformarsi in un “mostro” in casa, perché l’ACI ha rischiato di perdere lo sport. Una cosa

• Non è il caso di tornare a gare con vetture economiche e poco preparate, per permettere a più gente di cimentarsi in corsa?

«Chi vuole arrivare alla F1 ha la strada segnata:

kart, Formula CSAI Abarth, F3 e poi formule più importanti, fino appunto ai Gran Premi.

Gli altri percorsi sono diversi. Ecco perché vogliamo far avvicinare la gente agli autodromi, come le dicevo prima».

• Dalla base degli appassionati traspira però qualche insoddisfazione. Il sentire comune è che molti campionati e categorie diverse disorientino il pubblico. Non crede sia il caso di proporre una riorganizzazione dei regolamenti, per i rally per esempio, dove davvero le categorie sono numerosissime?

«Sì. Ma non le nascondo che questa scelta di prevedere vari campionati e titolazioni, che ha polverizzato la classifica assoluta, è servita in un momento difficile a coinvolgere i costrut- tori, con cui abbiamo svolto un gran lavoro soprattutto per i giovani. Anzi, sarò franco.

Siamo riusciti a tenere case che altrimenti ci avrebbero lasciato. E questo ci ha permesso di confermare i nostri numeri: avere 70 iscritti alle gare anziché 30 cambia molto».

• Sempre in tema rally, avere una gara mondiale in Italia è importante?

«È fondamentale. Non possiamo permetterci di non avere un rally mondiale. Allora sì che saremmo in serie B. E il nostro rally mondiale

l’intervista

Angelo Sticchi Damiani

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9 cui Lei va all’attacco del mondo dell’auto...

«Sì. Si guardi intorno in questo ufficio. Lo sport è la faccia bella dell’ACI e la storia dell’Automobile Club d’Italia nasce proprio dallo sport».

• Due parole per concludere. È noto che Lei è un grande appassionato e anche collezionista. Ci racconti qualcosa…

«Quella per le auto è una passione per tradizione di famiglia. Mio nonno paterno prese la patente nel 1907. Ho ancora una copia del suo esame di guida e conservo tuttora la sua patente. Fu il primo privato a prendere la patente nella provincia del Salento di allora (che comprendeva Brindisi, Taranto e Lecce), dove fino alla grande guerra erano state immatricolate 220 auto e mio nonno ne aveva 14. Isotta, Fiat, Studebaker. Un tesoro di cui sono purtroppo rimaste solo foto e qualche cric…

Sono un collezionista di Lancia e questo ufficio lo mostra chiaramente (ci sono poster e foto delle partecipazioni del presidente alla Mille Miglia storica, sempre con la fidata e amatissima Aurelia B24 rossa, la sua preferita, ndr). Ma ho anche delle Abarth e alcune Alfa. Sono quasi tutte italiane. Due sole le scappatelle: una Jaguar e una MGB».

L’intervista è finita. Il presidente, egregio oratore, non ha avuto bisogno di sbirciare gli appunti. E il suo iPad è rimasto spento.

Angelo Sticchi Damiani con due promesse dell’automobilismo: Mirko Bortolotti (pilota F2) a destra e Loris Spinelli (campione del mondo di kart KF2) a sinistra. Nell’altra pagina, con Marco Tronchetti Provera, presidente e a.d. di Pirelli.

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