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Cari ex alunni e amici della Badia

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Academic year: 2022

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L’Amore è stato il segreto della vita di Gesù: è nato, ha predicato e ha fatto miracoli ed è mor- to in croce sempre e solo per amore. Penso che questo amore sia stato il segreto della vita della Vergine Maria.

Guidata dall’amore che lo Spirito suscitava in lei, è stata capace di seguire Gesù suo Figlio sempre, dalla nascita a sotto la croce. Lo stes- so amore, reso sempre più grande dallo Spirito Santo, l’ha resa Madre della Chiesa e di ogni cristiano.

L’apostolo Paolo descrive con tratti molto ef¿caci le caratteristiche dell’amore cristiano:

«la carità è benigna, è paziente, non è invidiosa, non si gon¿a di orgoglio, non cerca il proprio interesse, non prova sentimenti di ira, perdona il male ricevuto, non gode quando vede ingiu- stizie, si compiace della verità; tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1 Cor 13,1-13).

Chi ha vissuto pienamente questa carità?

Un nome solo può venirci alla mente: Gesù.

L’apostolo, facendo l’elenco delle qualità della carità, ha certamente presente la vita di Gesù; ne ha fatto quasi un ritratto. Ma dopo Gesù viene

C

ari ex alunni e amici della Badia di Cava, al risveglio, al mattino quando apriamo la ¿nestra, il no- stro sguardo punta dritto verso il cielo. Ci sorprendono i colori dell’alba e dell’aurora. Osserviamo il sole che sorge all’orizzonte, i suoi raggi diffondono luce al giorno che inizia. Così pure nelle calde serate di agosto volgiamo lo sguardo al cielo terso per ammirare le stelle e la luna.

Anche la liturgia del mese di agosto è piena di riferimento alle realtà del cielo. La festa del- la 7ras¿gurazione porta il nostro sguardo ver- so l’alto, alla manifestazione sul monte Tabor mentre Gesù è in preghiera e dialoga con Mosè ed Elia.

La solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria ci fa volgere ancora lo sguardo al cielo. «Non ha conosciuto la corruzione del sepolcro colei che è stata preservata dal pec- cato» e associata allo stesso destino del Figlio.

È la Pasqua di Maria, detta anche Dormizione o Transitus. Per noi cristiani, chiamati a celebra- re l’Assunzione in corpo e anima al cielo della Vergine Maria, tale solennità alimenta la spe- ranza che «come tutti muoiono in Adamo tutti riceveranno al vita in Cristo» (1 Cor 15,22). In questo tempo di pandemia, l’esperienza della morte ha toccato la vita di diverse famiglie e ne sono stati visitati giovani, adulti e anziani, sen- za differenze di categorie sociali e di ogni parte del mondo.

Volgere il nostro sguardo all’orizzonte del cielo signi¿ca aprire il nostro spirito a una vi- sione di speranza; per mezzo di Cristo siamo in comunione con tutti i nostri cari defunti. In Maria Assunta in cielo, «primizia e immagine della Chiesa, Dio ha fatto risplendere per noi pellegrini sulla terra, un segno di consolazione e di sicura speranza» (Prefazio).

Alla Beata Vergine Maria Assunta in cielo desideriamo af¿darci, sicuri di una sua partico- lare intercessione. E che cosa chiedere? Quale dono di grazia invocare? Ognuno di noi ha i suoi bisogni e le sue preghiere da rivolgere a Maria. C’è però, una grazia particolare che in- voco. La invoco per me e la invoco per ognuno di voi. La grazia di avere sempre più vivo amo- re nel nostro cuore. Il Vangelo ci dice con chia- rezza che l’amore è tutto e senza amore dentro di noi tutto quello che facciamo non vale nulla.

Volgere lo sguardo a Maria Assunta in cielo e chiedere la grazia dell’Amore

Maria che nel suo cuore ha saputo amare come Gesù suo Figlio e quindi in modo perfetto.

Noi, invece, siamo poveri peccatori proprio perché non abbiamo la forza di vivere l’amore pienamente come Gesù e Maria. Nel profondo della nostra persona si annida una tentazione molto forte che si chiama egoismo, il contrario dell’amore. L’egoismo è il nostro potente pa- drone.

Ecco allora che volgendo lo sguardo a Maria Assunta in cielo, chiedo questa grazia partico- lare: avere la forza di migliorare sempre nell’a- more. Chiedo questa grazia, prima di tutto, per me perché il monaco sacerdote deve avere un cuore che sa sempre accogliere e mai escludere, un cuore buono e fedele. Chiedo anche che, per intercessione della Beata Vergine Maria, ognu- no di voi cresca nell’amore per gli altri.

Se abbiamo la grazia di migliorare nell’amo- re di Cristo, se abbiamo la grazia di progredire nella carità, di far crescere il suo amore senza resistere, tutto diventerà più bello e più sempli- ce. Le famiglie saranno vive e feconde, perché una famiglia vive solo di amore; i rapporti tra genitori e ¿gli saranno più sinceri e solidali; le comunità religiose saranno più vivaci e ricche di vocazioni. Vergine Maria, piena di fede e di umiltà, prega per noi e rendi il nostro cuore si- mile a quello di tuo Figlio Gesù, pieno di amore e di carità.

Cari ex alunni, in attesa di incontrarci nel consueto Convegno di settembre in Badia, re- stiamo in comunione di preghiera. Preghiamo e invitiamo a pregare perché il Signore libe- ri il mondo dalla pandemia e dalla violenza.

Preghiamo perché lo Spirito Santo ci suggerisca i pensieri e i sentimenti più opportuni per en- trare con serena ¿ducia e attenta vigilanza negli orizzonti che il prossimo futuro ci viene a pro- porre.

A tutti un fraterno augurio nel Signore.

? D. Michele Petruzzelli CONVEGNO ANNUALE

DELL’ASSOCIAZIONE EX ALUNNI DOMENICA 13 SETTEMBRE con conferenza del dott. Giuseppe Battimelli

Programma a pag. 4 La Madonna delle Grazie è venerata nella

Cattedrale della Badia dal 1929

(2)

L

’Italia è un Paese maltrattato. Pre- tendere il riconoscimento della sua sovranità è un’ambizione che con- trasta con la decadenza del sistema civile. Lasciamo da parte le sciarade sulla giustizia e quelle sulla pubblica ammini- strazione che dovrebbero farci vergognare den- tro e fuori l’Unione europea. Il sistema sanita- rio - le cui dif¿coltà abbiamo drammaticamente sperimentato nei mesi scorsi - è nelle mani del- le Regioni che nominano, spesso senza nessuna competenza, i direttori generali delle Asl e degli istituti afferenti, ma abbiamo ricercatori di pri- missimo ordine che, però, spesso fuggono all’e- stero per non aver a che fare con la burocrazia, la politica, le strutture fatiscenti, le liste d’atte- sa, e tutto quel parco giochi dell’orrore racchiu- so nella maggior parte degli ospedali.

La ricchezza dell’Italia è il suo patrimonio paesaggistico e culturale, lo si ripete quando non si hanno argomenti. Eppure è così. Ma in con- creto cosa si fa per difenderlo? Lo Stato destina a questo comparto appena lo 0,21 del bilancio, vale a dire 21 centesimi ogni 100 euro spesi, mentre il degrado, l’incuria, il vandalismo, la trascuratezza nella difesa dell’ambiente, la de- cadenza del mondo rurale e la crescita smisurata e disordinata di quello urbano (non sono soltan- to le periferie ad essere diventate inguardabili e infrequentabili, ma anche il centro delle città è ridotto a pascolo o a discarica) aumentano a di- smisura giorno dopo giorno. Per¿no la raccolta dell’immondizia è un problema, mentre altro- ve, dalla Germania all’Austria, alla Spagna, ai Paesi scandinavi è una risorsa: si riscaldano, ne ricavano energia elettrica, ci guadagnano “com- postandola” e vendendola a chi sostanzialmente gliela regala, all’Italia, per esempio.

Il nostro Paese detiene il primato dei siti archeologici e culturali inclusi nella lista dell’

Unesco, ma anno dopo anno arretra nelle gra- duatorie che indicano il numero dei turisti. Nel 170 era in testa alla classi¿ca mondiale, oggi è solo quinta superata da Francia, Spagna, Stati Uniti e Cina. Nel frattempo la distruzione delle opere d’arte o il loro trafugamento non fa più notizia: per fortuna abbiamo un Nucleo opera- tivo dei Carabinieri che cerca, riuscendoci bril- lantemente, a recuperare ciò che il grande mer- cato dell’arte italiano vende in tutto il mondo illegalmente, comandato dal generale Roberto Riccardi, un colto ed intraprendente militare che potrebbe fare il critico (il suo ultimo libro s’intitola Detective dell’arte), mentre difende il nostro patrimonio.

Ma non basta. Anche in questo settore gli in- vestimenti statali sono modesti e l’educazione al bello è pressoché nulla. Fate un esame agli insegnanti e vi spaventerete della loro ignoran- za in storia dell’arte, senza contare il resto. Le biblioteche pubbliche (non parliamo neppure di quelle private) sono deserte, i parchi trascurati, i siti meno conosciuti abbandonati, come le ville vesuviane, solo per fare un esempio, o inserite in un contesto da malebolge nauseante.

In Parlamento si litiga furiosamente sull’a- bolizione della prescrizione, vale a dire se un individuo deve essere condannato a restare im- putato per tutta la vita (e già questo è manico- miale); fuori dal Parlamento (proprio oggi ci

sembra) l’ex-capo dei Cinque Stelle arringherà il suo popolo sulla “moralità” del taglio dei vi- talizi agli ex-parlamentari dal momento che la loro alzata d’ingegno di città di due anni fa sem- bra in pericolo: i giudici che loro stessi hanno nominati, pescandoli da Camera e Senato, han- no fatto trapelare che è ben dif¿cile attuare una misura di genere stante le pronunce della Cassa- zione e della Corte costituzionale sulla violazio- ne dei principi che il provvedimento contiene.

Af¿nché non si proceda, i giudici designati, di orientamento pentastellato, non partecipano alle sedute e tutto è bloccato. A cominciare dai fondi

¿n qui non erogati ai parlamentari che giacciono depositati da qualche parte in attesa di un giu- dizio.

Una bella Italia.

Mentre facciamo questi conti, ci vengono in mente i dati della decadenza che relegano l’Ita- lia nei bassifondi dell’Unione europea (non ci azzardiamo ad altri paragoni - Stati Uniti, Cina, Giappone, Australia, Singapore, per esempio).

E annotiamo la catastrofe demogra¿ca, innan- zitutto, documentata pochi giorni fa dall’Istat.

L’Italia è l’ultimo Paese dell’Unione con un tas- so di fertilità dell’ 1,32%. Dal 1° gennaio dello scorso anno, ci informa Cristina Coccia, biologa e studiosa della materia, nel suo saggio L’ane- mia demogra¿ca, che nel 2018 la popolazione ammontava a 60 milioni e 391 mila residenti, oltre 90 mila in meno rispetto all’anno prece- dente (con una diminuzione dell’1,5 per mille).

La popolazione cittadina è scesa a 55 milioni e 157 mila unità. Sempre nel 2018 abbiamo avu- to 449 mila nascite (9 mila in meno dell’anno precedente), mentre i morti sono stati 636 mila, 13 mila in meno rispetto al 2017: non perché la vita si è allungata, ma per il semplice fatto che le malattie si sono cronicizzate grazie alle scoperte farmacologiche. E l’incidenza sulla qualità della vita è tutta da ripensare, anche in termini eco- nomici.

Ancor peggio gli ultimi dati relativi al 2019 resi noti nei giorni scorsi dall’Istat. Il nostro Pa- ese ha iscritto all’anagrafe solo 420.170 bambi-

ni, in diminuzione di oltre 19.000 unità rispetto all’anno precedente. La bilancia demogra¿ca è aggravata da altri due dati segnalati sempre dall’Istat: è crollato il numero degli stranieri in arrivo in Italia (-8,6%) mentre è aumenta- to quello degli italiani che emigrano all’estero (+8,6), soprattutto giovani per motivi di studio e di formazione. Per effetto di questi Àussi, il saldo migratorio in Italia è di appena 152.000 persone.

L’Italia, dunque, fa meno ¿gli rispetto a chiunque in Europa, con tutte le conseguenze che si possono immaginare.

La crescita poi, ha raggiunto lo strabiliante record dello 0,3%, senza tener conto degli effet- ti del coronavirus e riferendoci a dati resi noti prima della pandemia. Ultimissimi in assoluto.

Con distacco. Maglia nera, insomma. E con questo trend immaginare prospettive di svilup- po che ci vengono a raccontare è più d’una presa in giro: è un insulto. Il Pil ha toccato il -11%.

Per l’istruzione pubblica lo Stato spende il 7,9% del totale del suo bilancio: non guardate le cifre tedesche, francesi, e neppure greche e cipriote (in rapporto al Pil ovviamente), potreste avere un attacco di bile. Si fa presto a dire che la scuola è in stato comatoso. E l’Università pure.

Chi era quel ministro che voleva tassare le me- rendine e le bibite per dare un po’ di ossigeno all’Istruzione?

Ultima cifra - ma questa volta in rapporto al Pil, non al bilancio statale - la riserviamo agli investimenti per la cultura in generale: la giria- mo a tutti gli interessati, a cominciare dal mi- nistro Franceschini. Alla cultura viene destina- to l’1,1% del bilancio statale. Anche in questo comparto l’Italia è ultima con distacco depri- mente dal resto dell’Europa.

Italia sovrana? Ma che cosa ci rimane da di- fendere? La dignità? Per fortuna questa è cosa privata che non ci sogniamo di mettere nelle mani di nessuno.

Questi dati ci dicono molto di più di quanto testimoniano. Essi sono lo specchio di un’Italia che ha perduto la sua anima. Crisi istituziona- le, civile, demogra¿ca s’inscrivono nel “libro nero” del Paese che ha dimenticato la propria identità. Innanzitutto nazionale e cattolica. La decrescita, in campo economico, va attribuita alla cattiva gestione delle risorse a favore di ar- ricchimenti non sempre leciti; il pro¿tto sta di- struggendo l’ambiente; l’egoismo e l’edonismo sono le ragioni primarie della decrescita demo- gra¿ca. Di fronte ad un paesaggio siffatto spera- re nel ritorno ad una corretta e sobria e frugale e dignitosa esistenza è doveroso, ma da quanto si vede in giro, sembra che la diffusa immoralità sia destinata ad aumentare. I dati sugli aborti e le fecondazioni eterologhe, da ultimo, oltre alle tendenze che promuovono l’eutanasia, ci dicono più delle cifre che abbiamo citato quale sia lo stato dell’Italia alla quale più che un vaccino per combattere l’epidemia, occorrerebbe un vacci- no spirituale per riprendersi dal coma nel quale è precipitato.

Gennaro Malgieri

Un paese maltrattato e decadente, altro che sovrano...

Beatrice, guida di Dante, del pittore tedesco Carl Osterley. Il vestito tricolore offre la bella illusione di vedere in lei la nostra Italia.

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Pandemia e «stati di eccezione»:

una possibile riÀessione sui segni dei tempi

C

ome è a tutti noto, la pan- demia ha determinato un vero e proprio “stato di ec- cezione” imposto ad ogni settore della società. Al di là dei mezzi usati per fare fronte all’e- mergenza, il sacri¿cio di libertà costitu- zionalmente riconosciute e garantite è stato di tutta evidenza. Tra queste libertà è annoverata quella di culto, riconosciu- ta all’art. 19 della Costituzione italiana sotto garanzia di libera professione in forma privata e pubblica. Se questo vale per tutte le confessioni religiose, per la Chiesa cattolica vi è il riconoscimento di “ordine sovrano e indipendente” che la contraddistingue nei rapporti con lo Stato mediante lo strumento concordata- rio, come previsto dall’art. 7 della Carta.

Le regole sul con¿namento si sono abbattute anche su questo particolare contesto con il divieto di celebrazioni pubbliche che in molti casi si è tradotto anche in divieto di accesso alle chiese per momenti di preghiera personale, a discrezione – questa volta – degli Ordi- nari diocesani. Tuttavia, in questa sede, appare opportuno evidenziare quanto queste misure abbiano inÀuito su una certa concezione legata proprio all’e- sercizio del pubblico culto cattolico quale si manifesta principalmente nella celebrazione della Messa. Il Concilio Vaticano II, nel rinnovamento del lin- guaggio teologico, ha favorito una visione della celebrazione eucaristica di tipo “assembleare”, per cui la Messa sarebbe valida solo in presenza del popolo e con il suo attivo concorso. E for- mulazioni come quelle che vedono il sacerdote

“presiedere” l’assemblea suggeriscono una tale concezione. I divieti della pandemia con messe celebrate dai soli sacerdoti e senza concorso di fedeli impongono una riÀessione e poco rileva il fatto che esse si siano potute teletrasmettere.

Se è vero che “l’Eucaristia fa la Chiesa”, è an- che vero che ogni Messa ha un’indole pubblica e comunitaria. Anche quelle celebrate more an- tiquo dal solo sacerdote e con il solo ministro a rispondervi, specie in epoche in cui la concele- brazione non era neppure prevista.

Un’enciclica dimenticata di Paolo VI, Myste- rium ¿dei, fa chiarezza sull’argomento: «Poiché ogni Messa celebrata viene offerta non solo per la salvezza di alcuni, ma anche per la salvezza di tutto il mondo, ne consegue che, se è som- mamente conveniente che alla celebrazione della Messa partecipi attivamente gran nume- ro di fedeli, tuttavia non è da riprovarsi, anzi da approvarsi, la Messa celebrata privatamen- te, secondo le prescrizioni e le tradizioni della santa Chiesa, da un Sacerdote col solo ministro inserviente; perché da tale Messa deriva grande abbondanza di particolari grazie, a vantaggio sia dello stesso sacerdote, sia del popolo fedele e di tutta la Chiesa, anzi di tutto il mondo, gra- zie che non si possono ottenere in uguale mi- sura mediante la sola Comunione». L’enciclica, datata 3 settembre 1965, ovvero tre mesi prima della chiusura del Concilio, intendeva replicare a quanti già mettevano in discussione la validi-

tà della “messa privata” a tutto favore di quella

“comunitaria”, discettavano di “simbolismo”

per elidere la presenza reale, abbandonavano termini consolidati come “transustanziazione”

per i più seducenti “trans¿nalizzazione” o “tran- signi¿cazione”. E al centro del pronunciamento papale resta l’affermazione per cui «la Messa è azione di Cristo e della Chiesa».

Di fatto la pandemia ha riproposto quest’essen- ziale verità relegando in secondo piano i dibatti- ti teologici di quanti continuano ad affermare la natura della Messa come «azione della comuni- tà sacerdotale, composta da tutti i battezzati che si riuniscono, sotto la presidenza del presbitero/

parroco». Gli autori di queste affermazioni, co- erentemente, si sono visti costretti a decretare uno stato di “eccezione liturgica” non dissimile nei contenuti da quello di natura costituzionale.

Ancora più signi¿cativa appare la sospensio- ne della comunione eucaristica che ha visto la riproposizione della “comunione spirituale” in

sostituzione di quella sacramentale. An- che qui si è assistito al recupero di una forma ritenuta obsoleta, ben nota però a tutta la spiritualità tradizionale, Alfon- so de’ Liguori in primis, il quale attin- ge all’immagine di un “vaso d’argento”

per la comunione spirituale, parallelo al “vaso d’oro” di quella sacramentale.

Un vaso che sarà sì d’oro se la comu- nione eucaristica è segnata dalla piena consapevolezza della gravità dell’atto.

Tuttavia, il passaggio ad espressioni quali “banchetto eucaristico” in luogo di “sacri¿cio eucaristico” segna anche in questo caso un’evoluzione semasiolo- gica, che adombra ben altro contenuto.

Non c’è dubbio infatti che il banchetto evochi immagini di rilassata convivialità cui poco si addice l’idea di una vittima sacri¿cale per la redenzione del mondo.

Del resto, quest’ansia di de¿nizione per- vade il testo più antico dell’istituzione eucaristica, la prima lettera di Paolo ai Corinzi. Qui l’Apostolo, allarmato per la tendenza dei Corinzi, eredi del simposio greco, a confondere la cena eucaristica con un’ordinaria cena, ammonisce che

«chiunque mangi questo pane e beva questo calice indegnamente sarà reo del corpo e del sangue del Signore». E se reus nel diritto romano signi¿ca la per- sona per cui si procede in giudizio, én- ochos nell’originale greco sta ad indicare tout- court il colpevole. È da notare che queste parole non sono più proclamate nella solenne liturgia del Giovedì Santo, a differenza del messale pre- conciliare, per una lettura del passo paolino più conforme allo spirito dei tempi.

Papa Francesco, con riferimento alla pande- mia, ha dichiarato che «peggio di questa crisi c’è solo il rischio di sprecarla, chiudendoci in noi stessi». Se la riÀessione si allarga ad una di- mensione più ampia, lo spreco può anche consi- stere nell’incapacità di leggere negli eventi per valutare quanto alcune scelte inÀuiscano sulla percezione della realtà sacramentale della Chie- sa. Se poi la trama di questi eventi si colloca nell’evangelico contesto dei “segni dei tempi”, più che di invito sarà pur legittimo parlare di monito.

Nicola Russomando Paolo VI ha dato alla Chiesa l’enciclica ³Mysterium ¿dei´ nella

quale, tra l’altro, fa chiarezza sulla Messa

- versare la quota sociale di euro 25,00

- versare la quota sociale di euro 35,00

- versare la quota di solo abbonamento di euro 10,00.

La Segreteria dell’Associazione

“Ascolta” viene inviato soltanto a coloro i quali versano la quota di soci ordinari o sostenitori. Posso- no riceverlo anche quelli che ver- sano una quota di abbonamento di euro 10,00. Pertanto, chi desidera ricevere il periodico deve scegliere una delle tre seguenti modalità:

PER RICEVERE “ASCOLTA”

(4)

L

a pandemia che stiamo vivendo da coronavirus SARS-CoV-2 ha de- terminato nella fase di emergenza, soprattutto per i pazienti che ri- chiedevano il ricovero in un’unità di terapia intensiva, un grave dilemma, ad un tempo speci¿camente sanitario, medico e bio- etico e certamente altamente drammatico, che è stato il seguente: chi ammettere alle cure e chi no? chi curare e/o chi curare per primo a fronte di risorse strumentali, tecniche ed assistenziali divenute criticamente scarse?

Di grande importanza sulla questione, per le diverse valutazioni da più parti espresse, è stato un testo redatto dalla Società Italiana di Aneste- sia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva (SIAARTI), in data 6 marzo 2020 dal titolo:

”Raccomandazioni di etica clinica per l’am- missione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione, in condizioni eccezionali di squi- librio tra necessità e risorse disponibili”; cui ha fatto riscontro possiamo dire, un documento del Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) dell’

8 aprile 2020, dal titolo «Covid 19: la decisione clinica in condizioni di carenza di risorse e il criterio del ‘triage in emergenza pandemica’».

La SIAARTI indica oltre l’appropriatezza clinica e la proporzionalità delle cure anche i criteri di giustizia distributiva e di appropriata allocazione di risorse sanitarie limitate, af¿n- ché siano garantiti i trattamenti di carattere in- tensivo ai pazienti con maggiori possibilità di successo terapeutico e con maggior speranza di vita, ma ciò che ha sollevato perplessità in alcuni e contrarietà in altri, è l’affermazione che

«può rendersi necessario porre un limite di età all’ingresso in TI senza però compiere scelte meramente di valore».

Il CNB a sua volta nel citato documento fa- cendo riferimento che «nell’allocazione delle risorse si debbano rispettare i principi di giusti- zia, equità e solidarietà», riconosce «il criterio clinico come il più adeguato punto di riferimen- to, ritenendo ogni altro criterio di selezione, quale ad esempio l’età, il sesso, la condizione e il ruolo sociale, l’appartenenza etnica, la di- sabilità, la responsabilità rispetto a comporta- menti che hanno indotto la patologia, i costi, eticamente inaccettabile».

Qual è allora una prima possibile osservazio- ne sotto l’aspetto bioetico che possiamo rilevare?

Se il criterio preliminare è l’appropriatezza, indubbiamente la ventilazione assistita nella grave insuf¿cienza respiratoria è una terapia appropriata, secondo una valutazione e una de- cisione clinica, che risponde alla massimizza- zione del bene¿cio e a minimizzare il rischio, mentre riguardo alla proporzionalità è utile ri- cordare che essa può essere intesa sia in senso clinico (tipo/oggetto della terapia) ma anche in senso etico.

Come questione di fondo ci si deve porre la seguente domanda: un trattamento è sempre dovuto e in ogni caso? E in tutti i soggetti? In qualunque condizione clinica si trovino? Natu- ralmente no. Si attua in questo modo una discri- minazione? No.

Il trattamento può essere dovuto e giusto per tutti, ma non è identico per tutti, perché non tutti possono rispondere alla terapia allo stesso modo e quindi non si attua nessuna discriminazione sulle persone/pazienti.

Le persone sono tutte uguali e i pazienti go- dono di pari uguaglianza nel diritto alle cure.

La prospettiva è diversa invece se si ammette una disuguaglianza a priori delle persone, de- terminata dal valore da attribuire alla loro esi- stenza (dato biogra¿co) in base alla qualità della loro vita (dato biologico) e magari alla loro età;

in questo caso non si esprime un giudizio clini- co-terapeutico ma un pre-giudizio sulla persona stessa e sulla sua vita in funzione della situazio- ne in cui si trova e per la quale si decide se quel trattamento è proporzionato o meno.

Il documento della SIAARTI è indubbiamen- te di rilievo (tra le 15 raccomandazioni in esso contenuto, vi è quella che si chiede di arrivare a triage estremi di drammatiche scelte, solo dopo avere esperito tutte le altre possibilità come l’in- serimento di altri posti letto, trasferimento dei pazienti in altri ospedali, in altre regioni, ecc.) perché ha dato degli orientamenti quando la si- tuazione di emergenza sanitaria era gravissima, assimilabile alla “medicina delle catastro¿” ed evolveva in modo drammatico e sebbene fosse riservato ai medici e agli intensivisti è stato pub- blicizzato, dando segno all’opinione pubblica di trasparenza su una materia molto delicata.

Inoltre ha rappresentato comunque una ri- Àessione offerta ai medici rianimatori in un mo- mento critico per diversi motivi, di ordine etico, laddove si richiedono decisioni rapide a fronte di elevate richieste in casi di particolare com- plessità clinica; e di ordine tecnico-comporta- mentale su linee guida condivise anche rispetto a eventuali contenziosi sulla responsabilità me- dica immediati (possibilità di contestazioni-ag- gressioni con i familiari dei pazienti) e futuri (di tipo giudiziario).

In de¿nitiva riteniamo che il criterio più ade- guato anche nell’emergenza sanitaria è quello clinico mentre il fattore età in sé non è un cri- terio da riconoscere acriticamente o che possa essere pregiudizievole e discriminante a priori alla terapia intensiva, al pari di altri criteri, an- cor più se da ciò ne deriva un giudizio di va- lore sul paziente anziano, ma può rientrare in una valutazione complessiva, tenendo conto del quadro clinico generale, delle co-morbidità, del- la fase e della gravità della patologia in atto ecc.

Importante è sottolineare che in casi di triage estremi qualsiasi decisione attuata, per il medico si rivela altamente drammatica e per quanto pro- blematica, angosciante e controversa costituisce un atto altamente etico, perché l’etica vuol dire responsabilità e decisione, che si giusti¿ca e si applica nel caso concreto qui ed ora; essa valu- ta non su principi astratti o in modo teorico ma concretamente, tenendo conto delle circostanze, dei luoghi, delle risorse, ecc.

Pertanto possiamo affermare che nelle gra- vi dif¿coltà di valutazione delle condizioni cliniche, il medico può fare ricorso all’equità, criterio che si colloca nell’area della giustizia distributiva ma ad un tempo è virtù morale (epi- cheia), che interpreta il fatto concreto, orien- tando la scelta ed evitando in radice qualcosa di moralmente negativo. Ciò può contribuire a fronte di dif¿coltà insuperabili di carattere mo- rale a fornire un punto di riferimento quando i termini della questione sembrano drammatica- mente alternativi.

Giuseppe Battimelli Ex alunno 1968-71 Vice Presidente Nazionale dell’Associazione

Medici Cattolici Italiani (AMCI) Vice Presidente Nazionale della Società Italia- na per la Bioetica e i Comitati Etici (SIBCE)

Emergenza pandemica

Chi curare e chi curare per primo?

70° CONVEGNO ANNUALE Domenica 13 settembre 2020

PROGRAMMA Domenica 13 settembre

CONVEGNO ANNUALE

Ore 10 - Vi saranno in Cattedrale alcuni sa- cerdoti a disposizione per le confessioni.

Ore 11 - S. Messa concelebrata in Cattedrale, presieduta dal P. Abate D.

Michele Petruzzelli in suffragio degli ex alunni defunti.

Ore 12 - ASSEMBLEA GENERALE dell’As- sociazione ex alunni nella sala delle farfalle.

- Conferenza del dott. Giuseppe Battimelli, del Direttivo dell’Associazione, sul tema

“Nulla sarà come prima. 8na riÀessione al tempo del covid 19”.

- Comunicazioni della Segreteria dell’Asso- ciazione.

- Interventi dei soci.

- Conclusione del P. Abate . - Gruppo fotogra¿co.

Ore 13,30 - PRANZO SOCIALE nel refetto- rio del Collegio.

NOTE ORGANIZZATIVE

1. La quota per il pranzo sociale resta ¿ssa- ta in euro 20,00 con prenotazione almeno entro venerdì 11 settembre.

Potranno partecipare al pranzo sociale solo coloro i quali avranno fatto pervenire in tempo la prenotazione per e-mail (donleo- ne@libero.it) o per telefono (089-463922).

Chi si è prenotato per il pranzo deve dar- ne conferma ritirando il buono entro le ore 11,00 di domenica 13 settembre.

2. Nel giorno del convegno, presso la por- tineria della Badia, funzionerà un apposito 8f¿cio di segreteria, presso il quale si potrà versare la quota sociale per il nuovo anno sociale 2020-2021.

A tale uf¿cio bisogna rivolgersi anche per ritirare i buoni per il pranzo sociale e per prenotare la foto-ricordo del convegno.

INVITO SPECIALE

Diamo qui di seguito i nomi degli ex alun- ni che sono particolarmente invitati al con- vegno.

I “VENTICINQUENNI”

III LICEO CLASSICO 1994-95

Adamo Vito, Apostolico Antonio, Belgio Alfredo, Cappuccio Chiara, Catapano Rosa, Cuomo Vincenzo, Di Benedetto Raffaele, Gentilella Alessandra, Giampietro Simona, Iuorio Paola, Laurenzana Luca, Lavita Francesco, Monaco Luca, Musa Stefano, Paglioli Carla, Pirro Bruno, Riccardi Marianna, Scartaghiande Rosa, Strianese Generoso, Tammaro Ciro, Vicidomini Andrea.

V LICEO SCIENTIFICO 1994-95

Armenante Albino, Ciuni Luisa, D’Angelo Benedetto, Della Corte Umberto, Di Benedetto Gabriele, di Martino Gian Franco, Duilio Edoardo, Fimiani Annarita, Fimiani Francesca, Ghizzoni Gianluigi, Iervolino Andrea, Lombardo Antonino, Nella Pasquale, Pisapia Tiziana, Russo Francesco, Sanso Luca, Torino Leopoldo, Vigilante Biagio.

(5)

I

l 27 marzo scorso papa Francesco rivolge- va al mondo le sue parole toccanti da una piazza S. Pietro deserta e con alle spalle la basilica vuota: « “Venuta la sera” (Mc 4,35). Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle no- stre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paraliz- za ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci sia- mo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa ».

Le parole descrivono il periodo drammatico e misterioso che ha scosso il mondo. Un virus, il più piccolo degli organismi in natura, ha blocca- to tutto, e tutti ci siamo sentiti coinvolti in prima persona. Il Papa, addirittura, è arrivato a chiede- re conto a Dio del suo “disinteresse”, col “non t’importa?” che i discepoli impauriti rivolsero a Gesù sulla barca nella tempesta.

Ma Francesco realisticamente ha messo il dito sulla piaga accennando alla nostra insensi- bilità: “Non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri e del nostro pianeta gravemente ammalato”. E ha concluso con un accenno alla nostra ingenuità: “Abbiamo proseguito imper- territi, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato”.

Non mancano, purtroppo, quelli che si cre- dono illuminati e lanciano ricette mirabolan- ti dagli effetti infallibili. E quando la crisi è all’acme, si dichiarano profeti inascoltati: “Te lo avevo detto io”.

Ma fanno peggio i profeti di sventura che confermano con sicumera i castighi di Dio su un mondo che merita di essere punito.

A ben pensarci, è più saggio e certamente più cristiano, seguire un consiglio diverso, raccolto anche dalla prestigiosa rivista “Civiltà Cattolica”

(n. 4077 di maggio 2020) in un articolo intitola- to “Il virus è una punizione di Dio?”: leggere, cioè, la parola di Dio come un messaggio di Buona Notizia che richiama alla conversione un mondo in crisi, non come un giudizio moralisti- co o una profezia di sventura. La parola, infatti, deve essere proclamata per edi¿cazione, esorta- zione e conforto, non per maltrattare, prevarica- re o opprimere lo spirito. Non a caso il Papa, nel già ricordato discorso del 27 marzo, si è rivolto audacemente al Signore: “Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta.

Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la nostra rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri”.

In un esame personale, ognuno è libero di ri- conoscere le proprie colpe, secondo il libro dei Proverbi (testo della Volgata): “Iustus prior est accusator sui – Il giusto è il primo accusatore di

se stesso” (18, 17). Ma non si può approvare l’atteggiamento di chi, come il fariseo del van- gelo, si ritiene giusto e rigetta le colpe sugli altri: “Non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri” (Lc 18, 11).

E allora? Virus casti- go di Dio? Andiamoci piano. Preferiamo mil- le volte il Dio della misericordia e dell’a- more: “Il Signore, Dio misericordioso” (Es 34,6); “Dio è amore”

(1Gv 4,16). Se poi sia- mo tentati di fermare chi punta il dito contro un mondo che cam- mina male, compor- tiamoci invece come il Padre Ludovico da Casoria, da poco eleva- to agli onori dell’alta- re. Un suo confratello, come spesso accade, gli faceva la litania dei mali del mondo. Padre Ludovico tagliò cor- to: “Hai ragione, tutto va male: cominciamo noi due a comportarci bene”.

D. Leone Morinelli

Lezione del virus Covid-19

Papa Francesco ha offerto una interpretazione profonda della pandemia da coronavirus Covid-19

Oltre 154mila morti, 3,5 milioni di casi. Usa i più colpiti, poi Italia, Spagna, Colombia. Usa:

oltre 33 mila vittime, Trump pensa a riaprire l’America in tre fasi. Più di 150mila vittime nel mondo. Record di contagi a Tokyo. Sono oltre 154mila le vittime di coronavirus al mondo, e più di 3 milioni 550mila casi. È la più recente stima della John Hopkins University, che vede la triste classi¿ca guidata dagli Usa (37mila morti e 700mila casi), seguiti da Italia (22.700 decessi e 170 mila contagi) e Spagna (20mila morti e 190mila contagi). In Usa si registra il maggior numero di contagi e di decessi al mon- do: 700.282 i casi, 36.773 le morti (+3.856 nelle ultime 24 ore). Il numero dei contagiati da co-

Coronavirus nel mondo al 18-04-2020

ronavirus in America Latina ha raggiunto sta- notte quota 90.059, dei quali 4.247 sono mor- ti. È quanto emerge da una statistica elaborata dall’Ansa sulla situazione esistente in 34 nazio- ni e territori latinoamericani. In appena tre gior- ni la regione è passata da 80.120 contagi e 3.364 morti, al bilancio odierno. Il Brasile continua a essere il primo Paese nella regione per numero di casi e di deceduti, registrando oltre un terzo dei positivi dell’America Latina con 32.682 casi confermati, e la metà delle vittime, pari a 2.141.

Dopo il Brasile, il secondo Paese per numero di contagi nella regione è il Perù, che registra 13.489 casi positivi e 300 vittime. Segue il Cile, con 9.252 contagi e 116 deceduti per coronavi- rus. L’Ecuador è il quarto Paese in America La- tina per numero di casi confermati (8.450) a cui si aggiungono 421 morti, continuando ad essere il Paese della regione più colpito dalla pandemia in rapporto alla popolazione. Nell’elenco delle nazioni con oltre mille casi registrati, seguono il Messico (6.297 positivi e 486 morti), la Repub- blica Dominicana (4.126 e 200), Panama (4.016 e 109), la Colombia (3.439 e 153) e l’Argentina (2.758 e 129).

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tamattina siamo qui per dare l’ulti- mo saluto al nostro confratello D.

Raimondo Gabriele. Siamo qui davan- ti ad un semplice, ad un piccolo del Regno, ad una pecora debole, come dice san Benedetto (cfr. RB 27), parlando dei monaci che non si sostengono da soli, ma che hanno bisogno di un accompagnamento conti- nuo.Dopo appena quattro mesi di infermità (do- vuta ad un carcinoma), durante i quali ha conti- nuato a combattere la buona battaglia della fede, egli ha terminato la sua corsa e ha realizzato lo scopo della vita di quaggiù: amare e servire Dio e i fratelli per entrare per sempre nella Vita che non conosce tramonto.

La prima lettura (Rom 6,3-9), ricordandoci che, nel battesimo, siamo stati innestati nella vita nuova del Cristo morto e risorto, vuol farci anche comprendere che essa sboccerà piena- mente al momento del passaggio da questa vita terrena, piena di limiti e di imperfezioni, a quel- la eterna perfetta e in¿nita.

Anche nel brano evangelico ascoltato (Gv14,1-6) - una pagina che gon¿a il cuore di speranza - Gesù invita i suoi discepoli di ieri e di oggi a non essere turbati e ad avere fede in Lui, rassicurandoci che Egli pensa a ciascuno di noi e che per ciascuno di noi ha preparato un po- sto presso il Padre suo che è nei cieli. Del resto, come cristiani, noi crediamo che la morte non è un salto nel nulla, ma un ritorno alla Casa del Padre, un ritorno a Dio dal quale proveniamo.

È perciò alla luce di questa fede che oggi dia- mo l’ultimo saluto al nostro carissimo D. Rai- mondo, e - al di là del vuoto che la sua dipartita lascia nella nostra comunità - vogliamo sperare che egli ha raggiunto la meta verso la quale an- che noi siamo incamminati, e che è andato ad occupare il posto preparato quale ricompensa per la sua sequela di Gesù nella scuola del servi- zio divino istituita da san Benedetto.

Monaco cavense dall’anno 2000: venti anni di vita monastica dedicati e spesi per la sua co- munità, come foresterario, direttore della cucina e della lavanderia e sacrista. Lo ricordo servi- zievole tra le navate della Basilica, ad ogni ma- trimonio, tra ¿ori, riso e varie faccende e attento alla musica e ai canti, lì, quando serviva all’al- tare.

Don Raimondo era gentile e altruista nono- stante la sua sofferenza; disponibile per chiun- que avesse bisogno del suo aiuto. Si faceva volere bene da tutti e sapeva tessere legami di sincera amicizia.

Era un monaco sensibile e sorridente nella sofferenza e quindi era impossibile non volergli bene.

A conferma di questo, sono numerosissime le testimonianze di cordoglio e di vicinanza che ho ricevuto in questi due giorni a partire dall’Arcivescovo di Amal¿ - Cava, Mons. Ora- zio Soricelli, dall’Abate Presidente della nostra Congregazione, dall’Abate Visitatore e poi da diversi superiori dei monasteri della Provincia Italiana, dalle autorità civili, il Sindaco di Cava de’ Tirreni, dai sacerdoti, da confratelli monaci e religiosi, dagli oblati del nostro monastero e da tantissimi amici e famiglie.

Una personalità debole e sofferente quella di D. Raimondo; minata dalle malattie che sempre lo hanno accompagnato e che lo rendevano talo- ra impaziente, insofferente e, a volte, impulsivo.

Ma fondamentalmente era buono, molto curato e sempre ordinato e pulito.

Io ne parlo per il tempo da quando sono qui e chiedo scusa se magari nelle mie parole non c’è la giusta misura di questa ¿gura che ho cono- sciuto recentemente, da solo sette anni!

Devo dire però che l’esperienza ultima del- la malattia lo ha reso dolce e docile, sensibile e

¿ducioso, accrescendo il suo atteggiamento di abbandono.

Ringrazio di cuore i confratelli più anziani della comunità che con la preghiera e l’affetto fraterno gli sono stati vicini e, in particolare, rin- grazio quelli più giovani che in questo periodo si sono prodigati nell’assistenza a D. Raimondo:

D. Domenico, D. Massimo e D. Pietro. Con non pochi sacri¿ci hanno saputo stargli vicino e così alleviare le sue sofferenze e raccogliere i suoi lamenti. Grazie al personale dipendente per l’at- tenzione dimostrata verso D. Raimondo.

Desidero ringraziare con tutto il cuore e con tutta l’anima il Dottor Giuseppe Battimelli, ex alunno della Badia e medico di D. Raimondo come di tutta la comunità. Sin dal mese di gen- naio si è impegnato con una singolare vicinan- za al suo paziente, curandone il dolore. Grazie, Dottore Battimelli, lei ha dimostrato, nei fatti, sincera stima e cordiale simpatia per i monaci e per l’Abate. Lei è stato un angelo mandato da Dio per D. Raimondo e per me. Il Signore la ricompensi per il bene profuso e il servizio prestato.

Ultimamente, ogni volta che si chiedeva a D. Raimondo come andava, la sua risposta era sempre quella: “bene … sia fatta la Sua volontà”

sussurrata con un ¿lo di voce. La intensa soffe- renza, non ha fatto altro che limare i suoi spigoli, addolcire le sue durezze, illuminare la sua om- brosità. Come dice il libro della Sapienza, «Dio lo ha provato e lo ha trovato degno di sé, lo ha saggiato come oro nel crogiuolo, lo ha gradito come l’offerta di un olocausto» (Sap 3, 1-9).

Cosa si può dire ancora di lui, della sua sto- ria, che già non sapete tutti? Qui in questi anni in monastero ha fatto di tutto. Anche sul piano

operativo, D. Raimondo ha sempre dato alla comunità il suo apporto generoso, dimostrando una disponibilità pronta e umile al servizio. Per anni D. Raimondo ha preparato la cena del saba- to e della domenica per la comunità.

Se dovessimo porci dinanzi agli occhi l’ico- na della casa di Betania, è senz’altro la ¿gura di Marta quella alla quale egli assomigliava di più. E ¿no a quando ha potuto, è sempre stato in movimento, quasi bisognoso di fare qualcosa, anche al di fuori del suo compito primario. E tutti ricordiamo bene come, ¿no a pochi mesi fa, dopo cena, ogni sera, era lui che si assumeva il compito del riordino del refettorio e di sistemare la cucina.

Esempi piccoli all’apparenza, ma signi¿cati- vi di quell’amore e di quella fedeltà quotidiani che D. Raimondo ha sempre avuto per la sua famiglia monastica.

Questa sua generosità rimane per la nostra piccola comunità uno stimolo e un modello da imitare.

Ecco, ora siamo qui a salutare e ricordare prima di tutto un monaco, uno che ha cercato il Signore e si è impegnato nella sua comunità monastica.

Ma come dice la Scrittura, un uomo si capi- sce e si può giudicare solo alla ¿ne, quando il libro della vita si chiude de¿nitivamente con un Amen cantato in cielo. Il libro della vita mona- stica di D. Raimondo è un piccolo libro, ma è un bel libro perché la sua vita è stata breve ma ricca della grazia di Dio.

Potremmo anche dire che D. Raimondo se ne è andato troppo presto, aveva ancora tanto da dire, tanto ancora da fare, per questo il nostro dolore è così grande!

D. Raimondo lascia a tutti noi un impegno di vita, cioè di non dimenticare mai che solo nel Signore e sulla sua via del Vangelo si trova vita, gioia e salvezza.

Anche noi facciamo allora nostra questa le- zione e cerchiamo di non vivere questo momen- to, questo ultimo saluto, nella tristezza di un fratello che ci lascia. Più che un rimpianto, il nostro sia un ricordo pieno di speranza.

In questo spirito D. Raimondo ci ha salutati e lasciati con il cuore sereno due giorni fa.

Il Signore lo accolga nella sua luce e doni anche a noi quello che a lui ha già concesso, il premio della vita eterna. Interceda per lui il Be- ato Falcone abate, di cui oggi ricorre la memoria liturgica.

Arrivederci D. Raimondo, il tuo ricordo sia benedizione per la tua sorella Maria, il cognato, i nipoti e per tutti noi.

(Sabato 6 giugno 2020 - Basilica Cattedrale - ore 11,00)

Omelia alle esequie di D. Raimondo Gabriele

D. Raimondo Gabriele deceduto alla Badia il 4 giugno 2020

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D. Raimondo nacque a Siracusa il 10 novembre 1966. Compì gli studi nella città natale, conse- guendo la maturità magistrale. II servizio mi- litare in Marina gli consentì di viaggiare molto.

Dopo diverse esperienze, il 25 gennaio 1999 entrò come postulante nel Noviziato della Badia.

Compì l’anno canonico di noviziato nell’abbazia di Montecassino, concluso con la professione temporanea il 1° ottobre 2000. Nel triennio di professione semplice svolse diverse incomben- ze, soprattutto nell’ambito dell’infermeria e della foresteria. Fu anche sollecito autista per i con- fratelli, assistente degli anziani e collaboratore nel Museo.

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iovedì 21 aprile 1485, a poco più di due settimane dalla Pasqua (caduta quell’anno il 3 aprile), si presentarono a Maiori innanzi ad Antonio de Campino, pubblico no- taio per autorità regia ed apostolica, tre uomini, accompagnati da grande seguito, per stipulare un contratto. Due di loro erano molto noti ed importanti: più precisamente, uno era l’Arci- vescovo di Amal¿ monsignor Andrea de Cunto e l’altro era don Pinto Staibano, Abate del mo- nastero benedettino di Santa Maria de Olearia, allora ancora popolato da monaci e funzionante.

La terza persona era invece un semplice pastore di 35 anni, nativo di Ponteprimario, destinato però a divenire assai conosciuto, in vita, dopo morte e ¿no ai nostri giorni: trattasi di Gabriele Cinnamo, che in quello stesso anno, essendogli la Madonna apparsa col titolo di Avvocata in una grotta sul monte Falesio, aveva, su invito di Lei, lasciato il gregge e preso l’abito di eremi- ta coll’intento di vivere lì in preghiera. Motivo del contratto era proprio l’apparizione, giacché i luoghi in cui essa era avvenuta (sia la grotta che i boschi circostanti) erano di proprietà del detto monastero di Santa Maria de Olearia.

Il notaio, dopo aver costituito le parti, regi- strò la dichiarazione di Gabriele Cinnamo, qua- li¿cato come religioso ed eremita benedettino (“religioso viro fratre Gabriele de Cennamo de Majoro ordinis Sancti Benedicti heremitorum”):

con essa fra Gabriele manifestava il proposito di ritirarsi in romitaggio e di condurre vita eremiti- ca “ubi dicitur ad Falezo soprano “, costruendo ivi con l’aiuto dell’Onnipotente e della Vergine una chiesa “sub vocabulo Sanctae Mariae dela Advocata” con alcune celle per sé e per altri ere- miti che avessero voluto seguirlo, ed a tal ¿ne chiedeva all’Abate Staibano, al cui monastero i luoghi appartenevano, che gli fosse accordato in modo caritatevole e benigno (“caritative et benigne”) il permesso di realizzare tutto ciò. La risposta dell’Abate - pure registrata dal notaio - fu pienamente affermativa: la richiesta poteva di buon grado trovare accoglimento, poiché l’in-

tento perseguito era sicuramen- te apprezzabile e l’opera, lungi dal ledere i diritti del suo mo- nastero, andava a lode di Dio e della Madonna. Venne pertanto stipulato un contratto con cui egli concesse in en¿teusi ed in perpetuo sia la grotta sia i bo- schi limitro¿. L’en¿teusi era uno strumento giuridico a quei tempi utilizzato di frequente, che aveva il pregio di assicura- re al concessionario una ampia facoltà di godimento, in cambio di un canone o censo annuo in denaro o in natura da versare al concedente. A fra Gabriele e agli eremiti suoi successori, in quanto en¿teuti, i detti beni fu- rono perciò trasferiti “in domi- nio, possessione et potestate”, con diritto di edi¿care la chiesa e le celle, abitarvi, seminare, raccogliere i frutti e tagliare legna per loro uso personale,

“libere et sine impedimento et contradicione”. Il censo dovu- to fu convenuto in una libbra di cera lavorata (pari a poco più di 300 grammi), da corrispondersi ogni anno all’Abate del mona- stero di Santa Maria de Ole- aria nel giorno dell’ottava di Pasqua. Non essendo possibile, per la lontananza dei luoghi, l’immissione - contestualmente al contratto - di Gabriele Cin- namo nel possesso reale e cor- porale dei beni concessi, questa

ebbe luogo, simbolicamente e come per antica tradizione di origine longobarda, “per fustem”, ossia mediante la consegna, dall’Abate a lui e davanti al notaio, di un ramoscello d’albero.

Dal momento che l’en¿teusi era ¿nalizzata ad un preciso scopo di culto, l’Abate si attribuì il diritto di espellere dai luoghi le persone che in futuro non vi avessero condotto vita eremitica secondo le regole e precisò che i beni e gli edi-

¿ci costruiti sarebbero automaticamente tornati in possesso del monastero di Santa Maria de Olearia qualora fossero venuti meno gli eremiti e ¿no a che non ne fossero arrivati altri.

Il notaio redasse il contratto in più esemplari e, come allora di prassi, interamente in latino, inserendo altresì con minuzia tutte le clausole di rito previste dal diritto dell’epoca a tutela dei diritti e degli obblighi delle parti, le quali prestarono quindi al suo cospetto “pro majori observancia” il giuramento sui Santi Evangeli.

Alla stipula intervenne anche l’Arcivescovo di Amal¿. Egli, apponendo a conferma la Sua sot- toscrizione, diede in merito il suo pieno e gradi- to assenso e dichiarò espressamente che l’atto tendeva all’incremento della religione; inoltre, af¿nché fossero quanto prima costruite la chiesa

“sub vocabulo Sanctae Mariae dela Advocata”

e le celle per gli eremiti, concesse 40 giorni di indulgenza a tutti i fedeli che, pentiti e confes- sati, avessero cooperato all’edi¿cazione o con- tribuito ad essa con elemosine.

Il contratto - che si conserva presso l’archivio arcivescovile di Amal¿ e che è stato tempo fa trascritto da padre Vincenzo Criscuolo - si chiu-

Il culto della Madonna Avvocata

de con 1’indicazione dei testimoni, che furono diversi (alcuni anche forestieri), probabilmente per il particolare valore della concessione. Tra essi, oltre al Decano della Cattedrale di Amal¿

don Alessandro Salato, che nel 1497 fu nomi- nato Vescovo di Minori, vanno ricordati, per- ché tutti di Maiori, il laico Ambrogio Russo ed i sacerdoti don Troiano de Blancha, don An- geluccio Imperato, don Andreuccio Cerasuo- lo, don Renzo Siccoda, don Giacomo Farina e don Cosimo Cumbalo, che in seguito divenne Prevosto della Collegiata. In virtù dello stipu- lato contratto di en¿teusi, fra Gabriele poté così attuare quanto aveva lodevolmente in animo, costruendo un altare nella grotta, una chiesa ed un eremo, che accolse altri sette eremiti, e dif- fondendo col suo zelo la devozione alla Vergine tra la popolazione. Dal 21 aprile 1485 sono pas- sati moltissimi anni, tante cose sono cambiate a Maiori, ma di questo antico contratto “mariano”

il principale effetto, che è il culto alla Madon- na Avvocata, non è certo venuto meno. Tuttora infatti, nella grotta dell’apparizione e nella so- vrastante chiesa sul monte Falesio, continuano a salire ogni anno migliaia e migliaia di persone, le quali, ricordando la ¿gura del pastore/eremita Gabriele Cinnamo, pregano la Madre di Dio e cantano ripetutamente con fede “Evviva Maria e chi la creò”.

Donato Sarno (da “Vita Cristiana di Maiori”, n. 5-6 mag- gio-giugno 2014)

Il disegno rappresenta il pastore Gabriele Cinnamo il quale è invitato in sogno a prendere l’abito di ere- mita e a costruire la chiesa dell’Avvocata.

La statua della Madonna Avvocata esposta nella Cattedrale della Badia l’8 dicembre 2011 nel millenario dell’abbazia

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I

l P. D. Giovanni Leone fu il mio primo Rettore nel Seminario Diocesano del- la Badia nell’anno scolastico 1947-48, quando frequentavo la I media. Il Semi- nario si riaprì il 18 ottobre, dopo le lun- ghe vacanze estive, ridotte ad un mese l’anno successivo da D. Benedetto Evangelista. Dal 18 al 25 ottobre, giorno di apertura delle scuole, ferveva la preparazione che doveva assicurare il giusto avvio dell’anno di formazione con istru- zioni tenute dal Rettore e anche dai prefetti di camerata D. Ezio Ciotti e D. Antonio Carbone.

Sin dall’inizio mi resi conto che il Rettore era molto impegnato. Tra l’altro, era anche direttore dei lavori nella Badia, che curava con compe- tenze proprie degli ingegneri. Egli era anche il progettista del noviziato, l’ultima opera appena completata tra il 1947-48, che ci conduceva a visitare con evidente soddisfazione.

Per il molto lavoro non era sempre presente in Seminario. Nel mese di maggio, in particolare, quando era atteso per la pratica mariana, spesse volte faceva sapere che non poteva venire. Ecco uno dei motivi: stava costruendo, nientemeno, un armonium per il santuario dell’Avvocata.

Come educatore, si presentava sempre con un sorriso incoraggiante, ma non rinunciava alle dovute correzioni. Per lui, tra i primi doveri dei ragazzi c’era lo studio della musica (pianoforte e armonium): non riusciva a immaginare un pre- te ignorante di musica. Di conseguenza, il saba- to sera, dopo le lezioni di pianoforte del maestro Caiafa, i ragazzi che avevano riportato voti bas- si erano rassegnati a prendersi i rimproveri o i castighi del Rettore. Perciò supplicavano il ma- estro perché volesse correggere il voto assegna- to. Ma ottenevano poco, come quando, a volte, il “regalo” di un 5½ o addirittura un 5½+, molto eloquente. In realtà le sue attese dalle lezioni di musica erano ambiziose: dopo qualche mese esigeva che i seminaristi fossero in grado di fare da organisti alla Messa festiva in cappella.

Fiore all’occhiello del Seminario era poi l’ac- cademia dell’Epifania in onore di Gesù Bam- bino, nella quale si eseguivano canti, poesie e simili davanti allo scelto uditorio dei monaci e dei collegiali, che allora non andavano a casa per le vacanze natalizie.

Quanto alla scuola, era molto severo con gli alunni segnalati per scarso pro¿tto. Invece era tollerante verso i ragazzi che rimanevano in Seminario pur senza propensione o attitudine alla vita sacerdotale. Per il Rettore non era un problema: in ogni caso la permanenza in Semi- nario assicurava una buona formazione umana e cristiana. Tuttavia, alla ¿ne dell’anno scolastico 1947-48, certamente dovette soffrire per l’uscita dei due seminaristi che avevano conseguito la licenza liceale. Non c’è certezza, ma sono con- vinto che fu la delusione per quella defezione a indurlo a lasciare dopo 14 anni l’uf¿cio di Ret- tore, che fu af¿dato a D. Benedetto Evangelista.

Negli anni successivi mi seguì da lontano, godendo dei progressi negli studi. Ebbi modo, in particolare, di cogliere la sua grande gioia nell’ottobre del 1955, quando lasciai il Semi- nario diocesano per entrare nel noviziato come aspirante alla vita monastica. Ma che disse pre- cisamente? Sembra strano, eppure, senza alcuna esitazione, disse queste testuali parole: “Allora

Don Giovanni Leone visto da vicino

tu mi assisterai sul letto di morte?” Ironia della sorte! Dopo meno di due anni, il 27 agosto 1957, D. Giovanni ¿niva tragicamente tra le onde del mare di Santa Maria di Castellabate, lontano da tutti i confratelli. Una piccola grazia ebbe dal buon Dio: D. Anselmo Sera¿n, che spesso si re- cava nella diocesi abbaziale per apostolato, quel giorno si trovava proprio a S. Maria. Informato che era successa una disgrazia, accorse subito con la carità che lo distingueva. Sollevando il drappo che copriva il corpo senza vita, riconob- be con dolore il confratello e praticò i conforti religiosi che ritenne possibili.

Giuseppe (era questo il suo nome di battesi- mo) era nato a Gravina in Puglia il 1° febbra- io 1902. Dopo i primi studi nella sua cittadina, entrò nel Seminario della Badia, dove dall’an- no scolastico 1916-17 al 1918-19 frequentò dalla III alla V ginnasiale. Nel 1919-20 passò al Seminario regionale di Molfetta, dove restò due anni. Il richiamo della Badia si fece subi- to sentire: abbandonato il sogno di divenire sa- cerdote diocesano, nel 1921 entrò nel noviziato della Badia ed emise la professione monastica il 4 marzo 1922. Compì gli studi teologici nel Collegio Internazionale di S. Anselmo in Roma, dove ebbe la possibilità di iniziare lo studio del canto gregoriano. Ordinato sacerdote il 18 set- tembre 1926, fu inviato a Padova per seguire il corso di laurea in scienze ¿siche e matema- tiche in quella università. Non poté completare gli studi perché fu richiamato in monastero per assumere la complessa amministrazione e per insegnare nella scuola teologica. Divenne così esperto in diritto canonico, da comporre un vo- luminoso trattato sul diritto matrimoniale, molto apprezzato per completezza e per chiarezza.

Un solo anno insegnò sacra eloquenza e alla

¿ne pubblicò il volume “Come si parla in chie- sa”, ritenuto un gioiello in materia, che fu adot- tato in moltissimi seminari.

Quanto all’insegnamento, ebbe diversi in- carichi sia nel Liceo sia nella Scuola Teologica della Badia. In particolare, insegnò matematica per un paio d’anni nella scuola del Seminario e religione al Liceo per una decina d’anni. Mentre nella Scuola Teologica alternò per alcuni anni l’insegnamento di canto gregoriano, patrologia, sacra scrittura e sacra eloquenza, e alla ¿ne con- servò la sola cattedra di diritto canonico.

Dopo l’alluvione del 25 ottobre 1954 fu inca- ricato della direzione dei lavori nella Badia, ma ben presto fu impegnato in tutta la diocesi a co- struire o restaurare chiese, canoniche e asili. Tra le opere più importanti realizzò la costruzione ex novo dell’istituto Matarazzo a Castellabate, che fu af¿dato alla sua direzione amministrati- va, tecnica e artistica.

Ho sempre considerato D. Giovanni un uomo geniale. Come già accennato, per ogni insegna- mento che gli fu af¿dato, pensò subito a compi- lare il libro per gli studenti, che doveva rendere la materia semplice e accessibile a tutti. Così avvenne per il canto gregoriano, nel quale riuscì a competere con i maggiori esperti e a superarli per la chiarezza che gli era propria. Non a caso la sua “Grammatica di canto gregoriano”, usci- ta nel 1925 quando egli aveva 23 anni, tenne incontrastato il campo in tutta Italia con varie edizioni e ristampe, ¿no all’ultima del 1956,

interamente rifatta col titolo di “Corso di canto gregoriano”, accompagnata da una edizione mi- nore per principianti dal titolo “Primi elementi di canto gregoriano”. Unanime consenso ac- colse anche il suo voluminoso trattato di diritto matrimoniale, già ricordato, rimasto a livello di bozza di stampa per la mancanza di un curatore della pubblicazione dopo la sua morte.

Fu geniale non solo per le pubblicazioni. Ri- cordo che in Seminario, alla richiesta di oggetti di toletta, come dentifricio si riceveva normal- mente un prodotto in polvere inventato dal Ret- tore, contenuto in un elegante tubetto cilindrico di cartone, che sfoggiava il nome grecizzante

“Eudontina”.

Fu senza dubbio geniale per i lavori edili. Tra l’altro era in grado di stendere personalmente i progetti come un ingegnere di professione. Non per nulla era fornito del manuale usato dagli in- gegneri, il ben noto “Colombo”.

Sotto le varie attività, comunque, D. Giovan- ni nascondeva una intensa vita spirituale e un immenso amore alla vita monastica. Ho già rife- rito una sua risposta, che rivelava la speranza di essere aiutato a ben morire. Certamente teneva presente il precetto della Regola di S. Benedet- to, contenuto tra gli strumenti delle buone opere (cap. 4): “Avere la morte ogni giorno in sospet- to dinanzi agli occhi”. La conferma fu raccolta la mattina stessa della sua morte, quando volle saldare un debito dandone la spiegazione ai pre- senti: “Si può morire da un momento all’altro e non dobbiamo rimandare a domani quanto pos- siamo fare oggi”.

L’esempio di D. Giovanni induce non solo a conciliarci con il pensiero della ¿ne ma ad abbracciare in tutto la volontà di Dio, facendo vibrare continuamente nel nostro spirito la pa- rola di Gesù: “Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo” (Lc 12, 40).

D. Leone Morinelli Il P. D. Giovanni Leone a colloquio con il Card.

Adeodato Piazza, venuto a conferire la benedi- zione abbaziale al P. Abate D. Fausto Mezza nel dicembre 1956.

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L’albero ha speranza

Miei cari ex alunni,

sarei tentato di dire che ci lasciamo prima anco- ra di esserci conosciuti: due anni appena sono stato a capo della Associazione come Assisten- te e come Direttore del vostro glorioso “Ascol- ta”. Af¿do l’una e l’altro, l’Associazione e il Periodico, ad altre mani (…). Ma l’amarezza del distacco è compensata largamente dal fatto che se si allentano da una parte i contatti di un lavo- ro diretto e immediato, dall’altra si stringono i nodi misteriosi che legano ogni ¿glio al Padre.

Ah sì! nella paternità nuova in cui la Divina Provvidenza ha dilatato il mio cuore, accolgo anche voi, miei carissimi ex alunni, anziani e giovani, che della nostra Badia siete parte inte- grante, parte viva e vitale, cui il Signore af¿da il compito di portare nei vari strati della società italiana il messaggio di S. Benedetto, nella ge- nuina interpretazione di S. Alferio, degli altri nostri SS. Padri, dei vostri educatori di ieri e di oggi.

Con sentimenti veramente paterni, vorrei dirvi subito una parola di ¿ducia e di speranza. Non è forse di questo che avete urgente bisogno? For- se la nostra società, anche quella che si trova a vivere ad un alto tenore di vita, la cosiddetta so- cietà dei consumi, anzi quella soprattutto, non è attanagliata dall’angoscia o, qualche volta, addirittura afferrata e travolta dalla disperazio- ne? Una vostra facile esperienza: quante cose hanno oggi i vostri bimbi che voi, all’età loro, sognavate soltanto? Ebbene, quante volte vi ca- pita di vedere i loro volti illuminati dal sorriso, quante volte li vedete soddisfatti, sereni, grati?

Poveri bimbi, vittime della loro sazietà, vittime dell’atmosfera viziata in cui vivono!

È vero, tante cose vanno male oggi, tanti valori sono in crisi, chi lo nega? Ma perché rifugiar- si nel più nero pessimismo? perché dimentica- re che nel momento più buio della notte, s’in- comincia a risalire verso la luce? perché non

considerare che al di sopra della coltre di nubi splende il sole radioso nel cielo sereno? Niente paura! siamo alla vigilia di una radiosa primave- ra; siamo alla vigilia di una rinascita sfolgorante dei valori dello spirito, siamo alla vigilia di una società migliore: gli uomini, stanchi e delusi, si rialzeranno fratelli, dopo essersi inginocchiati dinanzi al Cristo, che è la nostra speranza, al Cristo che sollecita oggi, più che in altre epoche, e urge col suo amore l’umanità smarrita.

La meravigliosa festa di mezzo agosto, ripre- sentandoci il mistero dell’Assunzione di Maria in anima e corpo al cielo, non è forse un richia- mo alla speranza? Le più stupende conquiste della tecnica non potranno mai colmare il biso- gno indistruttibile che l’uomo ha della felicità, e le altezze vertiginose raggiunte dalle sonde spaziali, non potranno farci mai dimenticare che in¿nitamente al di sopra si appuntano, per un bisogno incoercibile, i nostri cuori, in Dio e in Colei che qui “giuso, intra i mortali, è di

speranza fontana vivace”!

Cari ex alunni, il vecchio Giobbe riconosceva all’al- bero, quasi avesse coscienza, la stu- penda virtù della speranza: “l’albe- ro ha speranza!”

Non l’avremo dunque noi, ¿gli di Dio, baciati dal suo Amore, illu-

minati dal sorriso della Madre, questa beata speranza?

Con tanta speranza nel cuore, io al cuore vi stringo, miei cari ex alunni e paternamente vi benedico.

+ Michele Abate (Ferragosto 1969)

Il venerabile Padre, volendo far visita ai fratelli dei monasteri della Calabria, decise di passare per la chiesa del beato apostolo ed evan- gelista Matteo, che è situata nel lido del Cilen- to, presso l’antico suo sepolcro, per celebrarvi la Messa. Essendo arrivato già vicino con la barca, vedendo il tempo ottimo per la naviga- zione, comandò ai marinai di continuare, deci- dendo di prestare al suo ritorno il debito della sua devozione all’Apostolo. E così avvenne, non tanto perché egli volesse adempiere il suo voto, quanto per opera e virtù dell’Apostolo.

Infatti al ritorno, dubitando della fedeltà del mare, e volendo passare oltre senza visitare l’A- postolo, quando giunse davanti alla sua chiesa, rovesciatasi la barca, il Padre cadde in mare e così fu costretto a soddisfare la sua promessa.

Ma in questa costrizione dell’Apostolo avvenne un mirabile spettacolo: il santo Padre, essendo

Fermezza tra Santi ma con ragionevole sconto

Visite di S. Pietro abate di Cava alla chiesa di S. Matteo a Casalvelino

caduto nel mare, giunse alla terra attraverso l’acqua, ma i suoi vestiti furono trovati asciut- ti, come se non fossero stati toccati dall’acqua.

Molti fratelli conobbero quel miracolo ed erano soliti raccontare che la valigia che conteneva la cappella, i libri, i panni e tutti i vasi sacri furono trovati senza alcuna umidità, come se non fosse- ro caduti in mare, ma portati per terra. Da questo fatto si conobbe quanto il Padre fosse familiare dell’Apostolo, che lo ritenne al suo ministero e permise che cadesse nel mare, ma lo condus- se illeso come per terra. E così avvenne che il beato Padre, il quale non aveva voluto fermarsi lì volontariamente, fosse forzato a rimanervi e potesse sciogliere tanto più devotamente il suo voto alla memoria del santo Apostolo, quanto più chiaramente aveva conosciuta la sua volon- tà verso di sé.

(dalle Vite dei quattro primi abati cavensi Alfe- rio, Leone, Pietro e Costabile di Ugo da Venosa)

S. Pietro Abate, terzo Abate della Badia, in un quadretto del ‘500, dà l’abito monastico ai mol- ti giovani che vogliono diventare monaci. Nella sua vita, Ugo da Venosa riferisce che Pietro, in un momento di euforia, dichiarò di aver dato l’abito a tremila monaci, ovviamente di tutta la Congregazione Cavense.

S. Matteo apostolo di Caravaggio Esauriti gli inediti del P. Abate Mezza, si ritie-

ne opportuno offrire agli ex alunni gli editoria- li di “Ascolta” stilati dal P. Abate D. Michele Marra, a cominciare dal 1969, già raccolti in volume dall’avv. Antonino Cuomo nel 2001.

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