Articoli e studi di Don Floriano Pellegrini
La spiritualità ladina
1Esistenza di una spiritualità ladina: si est
Al di là delle dispute, anche animate, dell’ultimo decennio, non ci sono dubbi che, quella ladina, è sorta, ovvero sia stata percepita inizialmente e defini- ta come una realtà linguistica. E’ merito indiscutibile e imperituro dei glottologi aver individuato l’esistenza, dove riscontrata e nelle modalità riscontrate, di aree linguistiche ladine. Un senso di doverosa gratitudine deve essere espresso, an- che da me, in quest’ottica, al professor Giovan Battista Pellegrini.
Pur tuttavia, dopo aver riconosciuto alla lingua, nell’analisi della nostra questione o, meglio, della nostra realtà un’importanza fondamentale, essenziale e permanente e aver stabilito in essa l’elemento tipico di identità dei suoi fruito- ri, non sarebbe scientifico attendersi che le comunità di lingua ladina riconosca- no esclusivamente nella lingua, come di fatto non avviene, il criterio oggettivo e costitutivo della loro identità complessiva.
Se il linguista, infatti, osserva e studia i «fruitori di una parlata ladina» in quanto «di una parlata ladina» (della cui esistenza e consistenza è lui giudice e garante), l’antropologo, il sociologo, lo storico e altri studiosi osservano e stu- diano i «fruitori di una parlata ladina» in quanto fruitori. Data per certa l’esistenza delle parlate ladine, questi ultimi studiosi si sentono e sono autoriz- zati a compiere i passi scientifici che, di conseguenza, ritengono opportuni.
L’antropologo, il sociologo, lo storico, ecc., studiando le comunità di lingua la- dina, non si accontentano di prendere in esame l’effettiva diffusione della lin- gua, il suo grado di permanenza tra i vari gruppi sociali o la sua evoluzione in prospettiva storica. Lo fanno e ne ricavano utili indicazioni; ma ad essi, più che le parlate, interessano i soggetti parlanti, visti nelle varie loro dimensioni, quali soggetti inseriti in una più vasta cultura generale, di cui sono ad un tempo tra- smettitori e modificatori, testimoni ed artefici. La stessa lingua ladina, in questa
1 Articolo forse del 2004, già pubblicato sulla rivista «Ladins!», di Borca di Cado- re. Ripubblicato il 21 agosto 2013, come n. 1204 dei «Comunicati del Libero Maso de I Coi». Da allora, come è noto, la concezione di ladinità di don Floriano si è modificata; ma quest’articolo conserva, per alcuni aspetti, un suo interesse.
prospettiva, non può essere intesa che come un dato oggettivo e, nel contempo, suscettibile di modificazioni, essendo strumento vivo di persone vive.
A livello popolare e secondo una prima formulazione concettuale della ve- rità appena espressa, si è perciò giunti ad affermare che l’identità delle comunità di lingua ladina è data, insieme con la medesima lingua, dagli «usi e costumi».
Questo binomio, forse proprio a causa di un certo fascino intessuto di misterioso che gli deriva dalla sua genericità (cioè da un suo aspetto precario e non scienti- fico), si è imposto nel parlare collettivo, dei diretti interessati, dei loro osservato- ri e persino, a volte, in dibattiti tra studiosi. «Usi e costumi» sono diventati, in qualche modo, la parola d’ordine di quanti, per romanticismo o con animosità, hanno rivendicato alle comunità ladine un’identità ben oltre la lingua; gli «usi e costumi» sono stati percepiti, allora, come lo smisurato orizzonte di un oceano oltre il quale (o nel quale) le comunità ladine avrebbero potuto porre il fonda- mento delle più varie attese e scorgervi l’America, il continente nuovo di una se- colare redenzione. L’espressione «usi e costumi» ha, naturalmente, anche un si- gnificato positivo; pur prestandosi a generalizzazioni indebite, può essere intesa in un senso più specifico di «usanze e tradizioni», «ritualità e costumanze»,
«tecniche consuetudinarie e folklore». Esplicazioni che, come si vede, conserva- no abbondanti margini di adattabilità soggettiva, ma che, pure, individuano un secondo criterio di identità (oltre al primo, della lingua) ed esso è di ordine an- tropologico, se non più specificamente etnico. Mi sembra innegabile, infatti, che, nella ricerca e nella individuazione di questo secondo criterio, si mostri di parti- re da una posizione intellettuale ben precisa riguardo al «mondo» ladino e dalla persuasione che esso sia una entità etnica specifica, dotata (inevitabilmente se- condo questo assioma) di proprie modalità espressive, oltre la lingua parlata, nei
«linguaggi comportamentali», che mi sembra l’espressione sinonima scientifi- camente più accettabile di «usi e costumi».
In quest’ultima accezione, escludendo altri assiomi e indebite speranze, è possibile, e persino necessario, riconoscere l’esistenza del secondo criterio di i- dentità delle comunità ladine: i linguaggi comportamentali.
Tutto questo, d’altronde, vale sia per le comunità ladine che per le altre comunità storiche, maggioritarie o minoritarie che siano in un determinato terri- torio, presenti o passate. E, per tutte, è legittimo e doveroso chiedersi se l’identità consista solo in modalità espressive, dirette o indirette, per giungere sùbito ad ammettere che un terzo criterio di identità, e non il minore, deve esse- re identificato nell’animus che sottende alle espressioni, nella particolare sensibi- lità che fa da motore interiore alle individuate estrinsecazioni, in una parola: nel- la sua spiritualità. Lì, infatti, ovunque sia, dove abbiamo linguaggi comporta- mentali specifici, sussiste, nel contempo, una spiritualità specifica. Non essendo stata una nostra invenzione l’ammissione e l’affermazione del sussistere di lin-
guaggi comportamentali (popolarmente «usi e costumi») ladini, è nostro dovere di coerenza scientifica ammettere pure l’esistenza di una spiritualità ladina.
Caratteri della spiritualità ladina: quid est
Il termine spiritualità è stato preferito al sinonimo spirito, perché quest’ultimo può far immaginare una realtà immateriale, come è l’anima, tanto più che proprio nelle parlate ladine spirito è sovente sinonimo di anima umana.
Né questo termine si riferisce, come si è indotti a credere, alle realtà imma- teriali e trascendenti, di cui si vorrebbe fare un’analisi o studio; né, tanto più, si riduce a quelle particolari realtà trascendenti e immateriali che chiamiamo reli- giose.
Spiritualità è il dinamismo interiore, cosciente e insieme pre-cosciente, che compenetra e caratterizza dall’interno ogni cultura e in tutti gli aspetti di essa. Si identifica con l’«anima di una particolare cultura» e l’ «anima della comunità»
che in essa si riconosce; ovvero, a livello individuale, nell’ «anima» di una de- terminata maggioranza o minoranza di persone che compongono tale comunità.
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E’ nostro desiderio contribuire a far prendere coscienza, ossia a portare a livello di consapevolezza, l’esistenza e le modalità d’essere della spiritualità la- dina, cioè delle popolazioni di lingua ladina, quali concretamente sono. Non è necessario, né importa che questa spiritualità sia in misura più o meno vasta di- versa e originale rispetto a quelle delle comunità limitrofe (o non limitrofe) non ladine; importa coglierla per quello che è. Nel contempo, proprio per la defini- zione cui crediamo doverci attenere, scientifica, non possiamo limitarci ai feno- meni esclusivamente esterni, alle sue manifestazioni, né – tanto meno – a quelle meramente religiose. Sarebbe errato limitarci all’analisi delle ritualità religiose, come pure, all’opposto, eluderle; ritenerle uniche manifestazioni della spirituali- tà o, al contrario, marginali all’interno della più vasta «anima» ladina. Nulla di oggettivo ci autorizzerebbe a ciò.
2 In «Lo spirito ladino di Zoldo» (Centro culturale Amicizia e Libertà, 2001, p. 3), avevo introdotto il concetto di Weltanshauung ed avevo osservato: «Questa pub- blicazione… permetterà di intuire… i dinamismi interiori e la “spiritualità” o, per meglio dire, la Weltanshauung degli abitanti di Zoldo, e come tali beni, speci- ficamente culturali, rischino d’essere annullati dalla Weltanshauung attualmente dominante, ricca di stimoli e risultati, tecnologicamente avanzata e cosmopolita, ma, proprio per la sua forza, inavvertitamente incline all’eliminazione delle altre identità culturali».
Il dinamismo interiore, che costituisce una spiritualità, mette in atto, e do- cumenta l’essere in atto di due dinamismi: un modo specifico di percepire la re- altà e un modo specifico di rapportarsi con essa.
Un proprio modo di percepire
La prima realtà che, ognuno e sempre, percepisce e con la quale è chiama- to ad entrare in rapporto è il proprio io. Già nella comprensione del proprio io, ognuno percepisce lo «spazio» che gli appartiene e quello che non detiene, ovve- ro il mondo oltre l’io, con il quale, pure, ognuno deve entrare in relazione. E questo «mondo oltre» 3 si svela, un po’ alla volta, formato da altri soggetti che l’io percepisce, altrettanto gradualmente, posti a due livelli, rispetto a sé: alcuni sono ad un livello simile al suo (la madre, i familiari, la comunità, nelle sue arti- colazioni e nei suoi ampliamenti); altri soggetti si svelano all’io di natura diversa da sé e dai primi, per delle innegabili diversità di essere, cioè di rapportarsi all’io stesso (l’ambiente e gli esseri che lo popolano o, semplicemente, compongono).
La spiritualità ladina, come ogni altra, ha a che fare, in misura diversa, con o- gnuno di questi livelli di percezione e relazione.
Poiché, come stiamo osservando, un elemento essenziale della cultura (la- dina e non solo) è la sua spiritualità, è legittimo di conseguenza dedurre che la realtà ladina può essere compresa a pieno quando se ne individuino, studino e tengano presenti non solamente la lingua parlata, i linguaggi comportamentali e gli elementi oggettivi (tecnici) che costituiscono la prima e i secondi, ma anche e non secondariamente quando se ne apprenda il dinamismo interiore, l’ «anima»
delle comunità ladine. E questo apprendimento culturale, che, unico, permette la comprensione della civiltà ladina, non può essere fatto in modo indiretto, limi- tandosi allo studio e alle analisi intellettuali della realtà ladina, ma deve essere accompagnato dalla volontà e disponibilità, anche in ordine di tempo, di lasciar- si coinvolgere in modo diretto nell’esperienza storica vivente, ossia nell’identità delle comunità ladine. 4
3 Si tratta, all’evidenza, di una categoria psicologica. Ma è interessante tener pre- sente che nella metafisica e religiosità popolari si parla di «l’altro mondo», in senso assoluto, come lo spazio vivente ultraterreno, sfuggevole all’esperienza sensitiva, ma dedotto, quasi per istinto, dalla constatazione precoce della fugge- volezza delle cose e della caducità delle esistenze.
4 «Chi viene in montagna, chi sale sulle Dolomiti e non si sforza di mettere in se- conda linea il proprio razionalismo, pur così produttivo di bene, per lasciarsi co- involgere e, potrei dire, quasi travolgere dall’intuizione dello spirito profondo delle cose, lì dove opera il grande palpito della vita; chi non ammette che in que- ste sensazioni di stupore e di provvisorio appaiano luci di verità dimenticate; chi
E, ciò, è tanto più vero, se si considera che ogni spiritualità è, per sua natu- ra, ad un tempo creatività e fissità, arte e tecnica, oggettività e soggettività, dati di fatto e rielaborazione, epoca per epoca e comunità per comunità, dei pur sta- bili dati di fatto, uguaglianza e varietà all’interno di uno stesso contesto cultura- le e, nel nostro caso, possibilità e realtà di un insieme di elementi oggettivi co- muni, tra le comunità ladine, e un insieme di rielaborazioni diverse dei medesi- mi elementi.
Da un punto di vista oggettivo, il dato reale che, in forma costante e radi- cata, deve essere percepito dai ladini, a riguardo della società è l’identità e a ri- guardo dell’ambiente è la situazione montana.
Sull’identità e sul suo significato c’è un gran parlare, in parte giustificato.
A mio parere l’identità non è altro che la storia di una persona o di una comuni- tà vista in quel suo attimo fuggevole che chiamiamo «il presente»; è l’ieri in quanto si affaccia nell’oggi e lo riempie di sé; il «ci sono», in quanto un «ci sono»
che non si è creato o si sta creando dal nulla, quasi fosse dotato di una purezza astratta e irreale, ma in quanto estrema conseguenza di un «ci sono stato». Iden- tità è il presente reale, l’oggi consapevole della sua dimensione storica, l’oggi in quanto scelta di appartenere alla propria dimensione storica ovvero, da un pun- to di vista storico, la storia in quanto realtà viva, attuale, fatto presente.
non crede, con la forza della fede, l’entusiasmo e la purezza di un credente, che questa è la strada per cogliere il panorama stupendo dell’unità originaria, è ina- datto a vivere in sé lo spirito del mito creatore», tipicamente ladino («Lo spirito ladino di Zoldo», cit., p. 109). E continuo, quasi exempli gratia, quando invece è un canto liberatorio dell’anima:
« Ah, il brivido della prima volta, e sempre! Il respiro sospeso e il tuffo, nel fra- gore delle immense cascate; la vertigine dell’abisso e le profondità infinite, le mille voci e il canto della vita, e il tesoro della parola ritrovata!:
- la bianca distesa della neve e il verde prato: il ritratto della tua fresca primave- ra;
- le rosseggianti albe e i tramonti infuocati: il tuo bagno d’aria, mattiniero e sera- le;
- il passerotto morbidone, che canta nascosto sul ramo: le carezze pomeridiane affiancati, sulla lunga staccionata del rifugio;
- il profumo del pane e della selvaggina: voi due, gorgoglio e fragranza, lunga- mente attesi;
- il melodioso rintocco delle campane laggiù, nel fondovalle: lassù, ove la luna rallegra le stelle, va un pallido bacio. »
Ebbene: il dato oggettivo dell’identità evidenzia che il mondo ladino bel- lunese (situato nel territorio amministrativo della provincia di Belluno) è costitu- ito da sei comunità, storicamente distinte (di aree storiche distinte), ovvero ca- ratterizzate da altrettante identità storiche: 1) Il Cadore: comunità di ladini vene- to-friulani; 2-4) L’Agordino, Rocca Pietore e Zoldo: comunità di ladini veneto- bellunesi; 5) L’Ampezzo: comunità di ladini veneto-tirolesi; 6) Il Fodom [e Col] : comunità di ladini tirolesi. Questo significa che nel mondo ladino provinciale c’è un elemento unificatore (la base linguistica ladina), assieme a una varietà di e- lementi linguistici diversificati e a ben sei identità storiche. Nel complesso, per- tanto, da un punto di vista oggettivo e fermandosi a questi due elementi, il mondo ladino bellunese è radicalmente e storicamente diviso.
Queste differenze oggettive, essendo reali, non possono essere sottaciute o guardate con fastidio; devono, anzi, essere valorizzate per ciò che rappresentano per ogni comunità e, ad un tempo, riconosciuta la loro importanza, coordinate con il secondo dato di fatto oggettivo del mondo ladino: la situazione montana.
L’ambiente montano è un dato oggettivo comune a tutto il mondo ladino, bellunese e non bellunese. Un dato macroscopico, totale; non vi è area ladina che non sia di montagna; i ladini sono, per loro natura, degli alpigiani o montanari;
la spiritualità ladina, sotto ogni profilo, può essere compresa a pieno e sviluppa- si totalmente solo in rapporto ad un ambiente montano. E’ fatta di legni, pietre, muschi, ghiaioni, distese prative, boschi, malghe, torrenti, ampi orizzonti, cime, campi di neve, bufere di vento, selvaggina, solitudini e piazze di villaggio, rin- tocchi di campanili aguzzi e scoppiettio di legna sui focolari; e di molte altre co- se che gli altri, i non ladini, o non hanno o hanno diversamente, con una perce- zione complessiva simile – forse – ma non eguale, con un’eco interiore diversa, con un diverso rimpianto quando questo ambiente si fa lontano. E con una tena- ce volontà di difenderlo, perché percepito come il proprio, cioè insostituibile, come è insostituibile il corpo, e sentito come un insostituibile valore.
Quante volte ho fatto questa esperienza diretta! «Allontanandomi dalla città e dai suoi centri periferici (che pur amo, e tenacemente, per le ricchezze di umanità), lasciando un po’ alla volta alle spalle i villaggi della pianura e del fondovalle, ho la sensazione struggente di compiere dentro di me e per me un atto di coraggio; quello di apprendermi a ignorare, e abbandonare al loro sconta- to destino, le piccole sicurezze, le rassegnate quieti (…). L’anima si fa vigile e soppesa, verso nuovi rapporti di valore, cose e situazioni. Molte, allontanando- mi da esse, smarriscono la loro effimera valenza, sbiadiscono, ammutoliscono, scompaiono nel nulla. Nel contrasto mi elevo e, abbandonando, ho la gioia di e- levarmi, affrancato da troppe convenzioni, stagno di morbosità; pregusto abitu- dini semplici, amiche di vere conquiste, spose fedeli della libertà». 5
5 «Lo spirito ladino di Zoldo», cit., p. 101.
Un proprio modo di rapportarsi
Dalla particolare forma di percezione, che caratterizza ovunque la spiri- tualità ladina, si sviluppa, ovvia conseguenza, una particolare forma di rappor- tarsi con la società e con l’ambiente naturale.
Nei confronti della comunità, ovvero delle persone, considerate singolar- mente o in quanto membri del gruppo sociale, la spiritualità ladina tradizionale è caratterizzata dalla presenza di due «filtri» culturali, non esclusivi ma pur sempre importanti.
Primo «filtro» è la tendenza, netta, a rapportarsi socialmente, ad opera dell’io, per il tramite della grande famiglia del parentado o casato; ad ogni modo con riferimento alla famiglia. Una tendenza agevolata e ufficializzata dalle cul- ture (secondo le varie epoche e i vari luoghi) dominanti. Nel modo comune di parlare è ancora frequente l’omettere il cognome di una persona, spesso diffusis- simo in un villaggio, per indicare il nome di casato. Per fare come esempio il mio caso, io non vengo indicato dai paesani come «Floriano Pellegrini», ma al Furian di Beretìn, perché del casato Pellegrini Beretìn. In alcuni comuni (ad es. in Cado- re) il nome di casato è stato ufficializzato, con la registrazione all’anagrafe civile;
in altri (come in Zoldo) ciò non è avvenuto, ma il modo di rapportarsi e rappor- tare le persone è identico. La vita comunitaria delle Regole, d’altra parte, è sem- pre avvenuta e ancora avviene in base alle famiglie, che sono i titolari delle Re- gole, non i singoli regolieri; pure l’assegnazione dei lavori collettivi o a piódech (di natura pubblicistica e obbligatori, non di volontariato, come molti credono) avveniva per fuochi ossia famiglie. Anche in ambiente ecclesiastico vi era la stes- sa impostazione; in Zoldo, ad esempio, la raccolta delle decime obbligatorie per il parroco non avveniva per singole persone, ma per casati, e questi erano distin- ti tra da mas (da maso, cioè le famiglie contadine) e da fór (da forno fusorio, cioè le famiglie dei lavoratori del ferro).
Questo «filtro» culturale aveva evidenti aspetti positivi, a cominciare dalla valorizzazione delle stesse famiglie, ma anche dei limiti, come il pericolo di una insufficiente attenzione al valore e al ruolo delle singole persone.
Il secondo «filtro» è l’evidente tendenza a sottolineare la figura maschile e, in contrappeso, a sminuire socialmente il ruolo di quella femminile. Anche in questo, la spiritualità ladina non ha un carattere esclusivo; pur tuttavia ha, o a- veva, anche questo carattere. L’insegnamento cristiano ha educato ad equilibrare questa visione istintiva, ma non è riuscito a sradicarla. E’ noto l’uso abituale del
«voi» nel parlare tra marito e moglie e sono note varie forme di rispetto nei con- fronti della donna; pur tuttavia, la visone di fondo maschilista è ben documenta- ta da proverbi, «usi e costumi» e persino dalle regolamentazioni o consuetudini normative locali. Era proibito alle donne, ad esempio, occupare in chiesa posti
accanto agli uomini; identica separazione doveva essere osservata nelle proces- sioni. La donna riusciva ad avere un ruolo sociale importante quando, «ecce- zion che conferma la regola», avesse avuto dei caratteri attribuiti normalmente all’uomo, ad esempio la proprietà dei beni immobili o, nel caso di vedovanza, il potere di rappresentare la famiglia. Le norme di alcune Regole testimoniano e conservano ancora una visione maschilista, magari con l’eccezione del «privile- gio» delle donne «padrone di casa». La visione maschilista, in vero, non permet- teva alla fin fine neppure una piena valorizzazione dell’uomo, perché fondata quasi esclusivamente sulla capacità di ricoprire un ruolo sociale dominante, at- traverso la proprietà (e la sua produzione, nel lavoro) e la fecondità (strettamen- te connessa, in quest’ottica, con la prima). Un’analisi che si sforzi, come deve, d’essere senza pregiudizi, coglie inoltre che, in tale contesto culturale la figura maschile era altresì gravata da particolari doveri, anche di tutela nei confronti delle donne, sicché, in definitiva, non è facile dare una valutazione complessiva;
si è portati a sottolineare l’uno o l’altro aspetto, in modo esclusivo, e ne risulta una visione facile da memorizzare ma non del tutto esatta. Ritengo necessario si proceda con precisione nella raccolta dei dati e con cautela nella valutazione ge- nerale.
Nei confronti dell’ambiente, la percezione della realtà montana circostante quale realtà onnicomprensiva, che impone il suo modo di relazionarsi, suscita incontro e scontro, amore e odio, slancio verso la comunione e lotta per difen- dersi, gioia e paura, stupore e timore.
La natura o, se vogliamo, la montagna è un soggetto che impone un rap- porto di priorità e di forza. La montagna precede e supera l’esistenza dei suoi singoli abitatori, umani e non umani; nel suo grembo tutto si evolve, il cessare è tanto normale come l’iniziare, eppure la montagna in sé stessa permane.
«L’esperienza quotidiana mostra che tutto esiste e tutto passa; uomini e cose non sono da sé stessi e, quindi, non esistono in senso assoluto, ma sono stati e sono resi partecipi dell’essere. Ci sono, per misteriosa gratuità, e nel volgere di un cer- to tempo non ci sono più; eppure, frattanto, ci sono, ovvero esistono, continuano a ricevere l’esistenza. Gli esseri del mondo, tra cui l’uomo, vivono la loro traiet- toria terrena sospesi a una fuggevole concretezza, assaporando quella vita che continuamente viene loro data e continuamente sfugge loro di mano; sul presen- te batte il sole ed è già notte, e l’alba eternamente risorgente. – La provvisorietà, pur spiacevole, non è percepita dalla cultura ladina con senso di angoscia e, cioè, come un limite da sconfiggere o, in qualche modo, scongiurare; è accettata, come un ovvio dato di fatto. L’attenzione è sempre puntata sul positivo del presente e nell’oggi è dato, ed è quindi moralmente giusto, essere felici».6 Dal senso della priorità cronologica, la spiritualità ladina deduce con estrema facilità una specie
6 «Lo spirito ladino di Zoldo», cit., p. 107.
di priorità ontologica della natura; e la caducità degli esseri viventi non sembra essere, in questa prospettiva, una debolezza metafisica (la contingenza), ma la si- tuazione normale e, con ciò, fondamentalmente positiva, nella sua ineluttabilità.
La montagna, poi, si presenta nella sua forza, vitale, feconda nei campi e nelle stalle, ma anche distruttiva, attraverso alluvioni, temporali, grandinate sui campi, bufere di vento. All’essere umano, al ladino, non resta che accettarla nella sua realtà, gioire per la sua fecondità ed essere ben consapevole della sua ener- gia distruttiva. Con la natura non si scherza; essa dà tutto, ma può anche chiede- re tutto; è generosa e, ad un tempo, spietata. Il ladino non sceglie il tipo di rap- porto con la montagna, ma lo accetta, con ragionevole consapevolezza. «La luce del sole riscalda e feconda, ma può abbagliare e inaridire; l’acqua disseta e puri- fica, ma può annegare e inondare. La montagna non illude né inganna, la durez- za è il segnale della sua sincerità; l’acciaio del suo splendore non ammette di fondersi con il fango delle leggerezze e dei compromessi; si sa». 7
Nel conto del «dare e ricevere», l’uomo in questo rapporto ha tutto da guadagnare. A chi l’ama, la montagna si svela nella sua bellezza abissale.
«Eccola, Dèa o Dio, divinità comunque, adagiata nella gestazione del mondo, pulsante di sangue verde, forte come il nero, e biondeggiante di sole. Un susseguirsi di rigogliosi seni, che il vento accarezza e rassoda, suo angelo (…).
Mentre corri libero sui suoi pianori, ne sali le cime, ti arrampichi sulle sue pareti rocciose, ti rinfreschi all’acqua gelida dei suoi torrenti, oppure riposi nella fre- schezza delle sue erbe in fiore, intuisci che la sua essenza vitale, sempre rinnova- ta, altri la riceveranno in dono. Tu l’ascolti, grato, senza dir parola. Il tuo viaggio nell’inquietudine è finito; la cappa di nebbie che di tanto in tanto avvolge la tua anima, si è sciolta; non hai più bisogno, come prima, di cercare fuori quella ri- conciliazione con te stesso, che ora senti dentro. La pace della montagna ti av- volge, è con te e con il tuo spirito; e senti nascere il desiderio di espanderla, co- municandola». 8
Dal senso della bellezza dell’ambiente di vita, la spiritualità ladina svilup- pa un proprio senso estetico, esprimendolo nel gusto musicale (dai fischietti e dalle erbe sonore dei ragazzi ai canti patriarchini, dai cori paesani ai campanót o concerti di campane, dal fischiettare ritmico al piacere dei campanacci al collo delle mucche al pascolo), degli intagli (sulle assi dei fenili, nelle stue, sugli ogget- ti da lavoro ecc.), delle decorazioni e dei ricami e merletti, 9 ad es. sugli abiti e in
7 «Lo spirito ladino di Zoldo», cit. p. 111.
8 «Lo spirito ladino di Zoldo», cit. p. 110.
9 Una collezione di pizzi e merletti zoldani è visitabile presso il Museo dell’Amicizia Erwin Maier» di Paluzza.
particolare su qualche capo del vestiario; nel gusto dei fiori, abbondanti, alle fi- nestre e negli orti. 10
Lo spirito mitificatore ladino
Carattere non esclusivo, ma importantissimo, saliente, ineliminabile della cultura ladina, della sua spiritualità e identità è quel particolare dinamismo inte- riore che ritengo giusto definire «spirito mitificatore ladino». Non è un attributo esclusivo del ladino e sarebbe molto utile un confronto con le altre culture, sia antiche che viventi e soprattutto con quelle delle aree linguistiche limitrofe: ve- neta, carnica, tirolese e trentina. E’ un lavoro che non è mai stato intrapreso, ep- pure sarebbe essenziale.
Allo spirito mitificatore ladino ho dedicato uno studio nel 2000, 11 e da es- so ricavo la seguente, ampia citazione.
«Alla base del dinamismo mitificatore vi è lo stupore, ossia la gioia pri- mordiale dell’intuizione; alle fondamenta di quello razionalizzatore vi è, al con- trario, lo sforzo del concetto. Tra stupore e ragione vi è la dialettica che esiste tra intuizione e concettualizzazione. La prima scrive le frasi iniziali del pensiero; ed è ancora un suo abbozzo (…). La ragione, invece, chiude la porta della cono- scenza; quel che è dentro è salvo, ciò che resta fuori è l’altro, materia per ulterio- ri concetti, per successivi dati, ma egualmente positivi ossia definiti. – “Fare” i concetti, razionalizzare, ridurre a positivo è necessario, ma è pure un astrarre dalla vita, che procede in modo irrazionale, senza soluzioni di continuità. – Di- ciamo “oggi”, “ieri” e, così dicendo, poniamo a guardiana del confine tra i due l’ora di mezzanotte. Più in generale dividiamo il tempo in mesi, anni, periodi;
ma tra mese e mese, anno e anno, epoca ed epoca vi è, in realtà, una continuità sostanziale (…). Quello che avviene al livello della dimensione tempo, si verifica pure al livello della dimensione spazio; la cultura ladina lo percepisce in modo vivissimo (…). Lo spirito mitificatore corrisponde al primo tentativo di chiarire il rapporto temporale e spaziale tra gli esseri della natura-ambiente e tra quel particolare abitatore della natura e dell’ambiente circostante che è l’uomo, il montanaro stesso. – Sviluppare lo spirito mitificatore significa, di conseguenza, prolungare fin dove ragionevolmente possibile il momento fuggevole e perma- nente dell’intuizione, anche se, nel frattempo, vengano date o siano date delle
10 Nella primavera 2004 ho lavorato per porre in essere, a Coi di Zoldo, un espli- cito Ort di Fior ladino, con l’interramento di varie qualità di fiori autoctoni. Il la- voro, per quanto abbia richiesto molta cura e molto tempo, è stato pienamente appagante.
11 Cfr. «Lo spirito ladino di Zoldo», cit., p. 3. Studio poi ripreso nello stesso «Lo spirito ladino di Zoldo», alle pp. 101-115.
motivazioni razionali in merito al tipo di rapporto tra gli oggetti di cui ci si va occupando, nello stupore dell’intuizione».
E’ questo un aspetto della spiritualità ladina che, per la sua importanza e vastità, non posso trattare in un solo incontro, qual è questo.
Prima conclusione
Affermare l’esistenza di una spiritualità ladina equivale, a mio vedere, ad affermare l’esistenza del mondo ladino. Poiché sono convinto dell’esistenza del- la prima, difendo con ardente consapevolezza il diritto ad esistere del secondo.
Un giorno sorgerà su questa pallida Terra, che ci ospita, un senso di più gioiosa amicizia vicendevole, di più fruttuosa accettazione della diversità delle spiritua- lità e delle identità? Forse un giorno non sarà più necessario combattere per dire che si esiste; quel giorno è affidato alle nostre volontà, al nostro studio, ma non è ancora nato.
Mentre lavoriamo per costruirlo, ribadiamo, ad alta voce, il carattere del nostro essere, pronunciamo senza paura il nostro nome. Spiritualità viva è anche questione di un dignitoso coraggio.
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