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Capitolo 2 – La sostenibilità negli interventi edilizi

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Academic year: 2021

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Capitolo 2 – La sostenibilità negli interventi edilizi

2.1

Il concetto di sostenibilità

Fino agli anni 70 la disponibilità di nuove tecnologie e di risorse comportò uno sviluppo nel campo dell’edilizia; il concetto di sviluppo fu legato soprattutto agli aspetti economici della crescita e della produzione di beni.

Nel 1973 i Paesi Arabi interruppero il flusso dell'approvvigionamento di petrolio dai paesi appartenenti all'Opec (Organization of the Petroleum Exporting Countries) ai Paesi importatori dell'oro nero, a causa dell’appoggio verso Isreaele da parte degli Stati Uniti e dei Paesi Europei durante il periodo di tensione tra lo stato di Israele e gli stati di Egitto e Siria. In quegli anni la situazione mediorientale era incandescente: i Paesi arabi non avevano ancora riconosciuto il diritto dello Stato di Israele ad esistere.

Questo avvenimento improvviso ed inaspettato sfociò in una prima crisi energetica che portò all'innalzamento vertiginoso del prezzo del petrolio, che in molti casi aumentò più del triplo rispetto alle tariffe precedenti. I governi dei Paesi dell'Europa Occidentale, i più colpiti dal rincaro del prezzo del petrolio, vararono provvedimenti per diminuire il consumo di petrolio e per evitare gli sprechi.

Ci fu poi un forte interesse verso nuove fonti di energia, alternative al petrolio, come il gas naturale e l'energia atomica per cercare di limitare l'uso del greggio e quindi anche la dipendenza energetica dai Paesi detentori del greggio. Infatti si diffuse la consapevolezza della fragilità e della precarietà del sistema produttivo occidentale, le cui basi poggiavano sui rifornimenti di energia da parte di una tra le zone più instabili del pianeta.

La crisi energetica cambiò certamente la mentalità della popolazione su alcuni importanti temi. Si diffuse una maggior consapevolezza dell'instabilità del sistema produttivo e si rivalutò l'importanza del petrolio, che non fu più visto come l'unica fonte di energia possibile. Con la crisi energetica del 1973 cominciarono ad entrare nel vocabolario comune nuove parole come ecologia, risparmio energetico ecc. simboli di un cambiamento appena iniziato della mentalità delle persone.

Qualche anno prima della crisi energetica esistevano già dei movimenti ambientalisti a livello mondiale che cercavano di far prendere coscienza del fatto che l'utilizzo umano delle risorse naturali stava raggiungendo il limite e che questa tendenza, piuttosto che diminuire, stava raggiungendo un livello di allarme. L'interesse internazionale sullo sviluppo globale, fortemente connesso allo stato di salute e di povertà dei paesi in via di sviluppo, risultò evidente nel programma di sviluppo sostenibile stilato dall'ONU.

La Conferenza delle Nazioni Unite riguardo all'Ecosistema Umano del 1972, che si tenne a Stoccolma, fu la prima importante conferenza indetta dall'ONU che cercò di mettere sui piatti della bilancia da un lato l’incremento demografico,

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l’inquinamento e il consumo di risorse e beni del mondo industrializzato, dall’altra parte la povertà, la necessità di cibo, di acqua e di tetti del mondo in via di sviluppo. Tale conferenza segnò l'inizio della cooperazione internazionale in politiche e strategie per lo sviluppo ambientale.

Nel 1980 l'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura pubblicò il suo influente documento "Strategie per la Conservazione del Mondo", seguito nel 1982 dalla "Carta per la Natura", che richiamò l'attenzione sul declino dell'ecosistema globale.

La Commissione mondiale delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo (la Commissione Brundtland) lavorò per due anni per provare a risolvere l'apparente conflitto fra tutela dell'ambiente e sviluppo. La commissione giunse alla conclusione che l'approccio allo sviluppo avrebbe dovuto mutare e divenire sostenibile; venne fondata la definizione di sostenibilità:

"equilibrio fra il soddisfacimento delle esigenze presenti senza compromettere la possibilità delle future generazioni di sopperire alle proprie".

Il termine “sostenibile” nasce nel tema dell’ecologia, dove indica la capacità di un ecosistema di mantenere processi ecologici, fini, biodiversità e produttività nel futuro. Perché un processo sia sostenibile esso deve utilizzare una quantità massima di risorse naturali (spazio ambientale) ad un ritmo tale che esse possano essere rigenerate naturalmente ovvero senza compromettere un ecosistema. Sono emerse oramai chiare evidenze scientifiche che indicano che l'umanità sta vivendo in una maniera non

sostenibile, consumando le limitate risorse naturali della Terra più rapidamente di quanto essa sia in grado di rigenerare.

Il passaggio dalla società basata sul consumo alla società basata sulla sostenibilità deve tener conto della capacità minima di riproducibilità biologica di un ecosistema (capitale naturale critico) e della quantità di inquinamento che lo stesso ecosistema è in grado di sopportare (capacità di carico). Lo sviluppo sostenibile è una forma di sviluppo (economico, delle città, delle comunità, ecc.) che non compromette la possibilità delle future generazioni di perdurare nello sviluppo preservando la qualità e la quantità del patrimonio e delle riserve naturali (che sono esauribili mentre le risorse sono considerate come inesauribili). L’obiettivo è di mantenere uno sviluppo economico compatibile con l’equità sociale e gli ecosistemi, operante in regime di equilibrio ambientale.

Sulla base di questi principi nel 1992 venne indetta dalle Nazioni Unite una conferenza mondiale sull’ambiente e lo sviluppo che si tenne a Rio de Janeiro; tra i principali temi trattati ci furono il problema dell’ozono, delle piogge acide e dei cambiamenti climatici dovuti al cosiddetto “effetto serra”. La natura internazionale di questi problemi, che dimostrano la globalizzazione degli effetti delle attività umane sul nostro pianeta, e la necessità di porvi rimedio

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rapidamente con azioni concordate, non riuscì in maniera opportuna a far nascere accordi pienamente condivisi da tutti i paesi. Certamente la conferenza di Rio può essere considerata una sorta di pietra miliare nella storia della politica ambientale del pianeta in cui furono sancite tre importanti dichiarazioni per cercare di conciliare le politiche di sviluppo degli stati con la salvaguardia dell’ambiente.

La prima esposizione di principio sancita fu la dichiarazione sull’ambiente e lo sviluppo che assegnava ad ogni stato il diritto sovrano di seguire proprie politiche nello sfruttamento delle risorse naturali, senza pregiudicare le esigenze delle generazioni future. Di fatto questa dichiarazione è il primo documento conseguente al lavoro della commissione Brundtland relativo allo sviluppo sostenibile.

La seconda enunciazione fu la dichiarazione di principio sulle foreste che affermava l’impegno dei paesi industrializzati a limitare le emissioni dannose e fornire assistenza ai paesi in via di sviluppo, i quali a loro volta si impegnavano alla conservazione del patrimonio forestale.

La terza esposizione riguarda il fondo mondiale per la protezione dell’ambiente o Global Enviroment Facility (G.E.F.). Il fondo, creato nel 1990, fa fede alla Banca Mondiale e ha lo scopo di finanziare interventi che rientrano in una delle seguenti categorie:

1. riduzione delle emissioni di gas serra;

2. protezione delle biodiversità, intese come patrimonio genetico rappresentato da tutte le specie di flora e di fauna esistenti sulla terra e dei loro habitat;

3. protezione dell’inquinamento delle acque internazionali; 4. protezione dello strato di ozono.

Un ulteriore importante documento sancito a Rio è strettamente collegato con la dichiarazione sull’ambiente e lo sviluppo, ovvero il documento di analisi sullo sviluppo sostenibile altrimenti noto con il nome Agenda 21, contenente un programma di azione politico-programmatica in campo ambientale. A partire dall’Agenda 21, si susseguono una serie di trattati che hanno lo scopo di favorire la salvaguardia del nostro pianeta e ad indirizzare il comportamento verso il modello della sostenibilità: la Carta di Aalborg (1994), la Convenzione Habitat II della Conferenza Mondiale ONU di Istanbul (1996).

Un’altra tappa fondamentale, di cui stiamo aspettando i risultati è il protocollo di Kyoto, un trattato internazionale in materia ambientale riguardante il riscaldamento globale sottoscritto nel dicembre 1997 da più di 160 paesi in occasione della Conferenza della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui

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cambiamenti climatici (UNFCCC). Il trattato, perché potesse entrare in vigore, richiedeva che fosse ratificato da non meno di 55 nazioni firmatarie che producessero almeno il 55% delle emissioni inquinanti. Questa condizione è stata soddisfatta nel febbraio del 2005, dopo la ratifica da parte della Russia. Il trattato prevede l'obbligo per i paesi industrializzati di operare una riduzione delle emissioni di elementi inquinanti in una misura non inferiore al 5% rispetto alle emissioni registrate nel 1990 — considerato come anno base — nel periodo 2008-2012

Il protocollo di Kyoto prevede il ricorso a meccanismi di mercato, detti flessibili; il principale meccanismo prende il nome di meccanismo di sviluppo pulito che riduce le emissioni al costo minimo possibile. In altre parole tale meccanismo cerca di massimizzare le riduzioni ottenibili a parità di investimento.

E’ stato calcolato che nel mondo si immettono 6000 Mt di Co2, di cui la metà dai paesi industrializzati e la metà dai paesi in via di sviluppo; con il protocollo l’immissione prevista è di 5850 Mt. Ad oggi i paesi che hanno ratificato il protocollo o che hanno avviato le procedure per la ratifica sono 174 e questi paesi contribuiscono per il 61,6% alle emissioni globali di gas serra.

La decrescita

In questi anni Serge Latouche e Maurizio Pallante hanno dato vita ad un nuovo concetto politico che prende il nome di descrescita e che critica duramente il concetto di sostenibilità così definito. Infatti il senso politico comune pone, come obiettivo di ogni società moderna, l’aumento del livello di vita e del benessere commisurato all’incremento del Prodotto Interno Lordo. Invece la decrescita sostiene che la crescita economica, intesa come accrescimento costante di uno solo degli indicatori economici possibili (ovvero del PIL), non è sostenibile per l'ecosistema della terra. Come afferma il principio fondamentale della teoria il funzionamento del sistema economico attuale dipende essenzialmente da risorse non rinnovabili e quindi non può essere perpetuabile. Dato che le riserve di materie prime (e soprattutto di energia) sono limitate, viene contraddetto il principio della crescita illimitata del PIL e anzi la crescita così praticata genera dissipazione di energia e dispersione di materia. Del resto i concetti di sviluppo legati al consumo e all’incremento dei consumi sono entrati in crisi proprio quando ci siamo resi conto che le risorse del pianeta non potevano essere sfruttate all’infinito perché molte di loro si sarebbero esaurite senza trovare analoghe sostituzioni. Il benessere, inteso come miglioramento delle condizioni di vita, deve essere ottenuto senza aumentare il consumo ma attaverso altre strade.

E’ da rilevare come molti studiosi in linea generale concordino comunque sul fatto che per arrivare, o almeno avvicinarsi ad uno sviluppo sostenibile del pianeta, pur non essendo necessario e possibile bloccare i consumi dell’uomo, è indispensabile, come dice Paolo Sylos Labini, mettersi nell’ottica di perseguire uno strato immateriale di benessere.

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In questo senso potremmo parlare non solo di sostenibilità ambientale, ma anche sostenibilità sociale in riferimento al diritto da parte di tutte le popolazioni a soddisfare le proprie esigenze primarie.

L’alternativa proposta consiste quindi nell’ampliare il significato della parola benessere in una concezione più moderna intesa come qualità della vita basata su una serie di fattori non necessariamente economici ma sociali come la salute, l’istruzione, i diritti civili, la salute degli ecosistemi, la qualità della giustizia, le buone relazioni tra i componenti di una società, il grado di uguaglianza, il carattere democratico delle istituzioni. Proprio per perseguire queste strade sono nati dei movimenti che hanno come fine il cambiamento del paradigma dominante dell’aumento dei consumi per portare benessere alla popolazione, come i gruppi di acquisto solidale (GAS), i sistemi di scambio non monetario o gli ecovillaggi.

A tutt’oggi, con la crisi energetica del nuovo millennio, non solo abbiamo preso coscienza che le risorse del pianeta non possono essere sfruttate all’infinito ma che lo sfruttamento delle stesse risorse e la loro lavorazione e smaltimento produce degli effetti indesiderati ovvero dei prodotti di scarto che non siamo in grado di smaltire e che possono mettere in discussione la nostra sopravvivenza.

Il perché dell’edilizia sostenibile

Secondo stime attuali dell’Unione Europea circa il 40% del consumo totale di energia dei paesi post-industriali è da imputare al settore dell’edilizia, inteso non solo come attività edificatoria ma anche come produzione dei materiali da costruzione, utilizzo del territorio e costruzione e gestione degli edifici.

Questo valore è utile per dimostrare che lo sviluppo sostenibile di un territorio (nell’accezione moderna del significato) non può prescindere dall’attenzione di questo settore e di come indirizzare il mondo del costruire e dell’abitare verso criteri di sostenibilità comporti un elevato contributo al perseguimento degli stessi obiettivi.

Con particolare riferimento all’Italia possiamo citare i seguenti valori di riferimento.

Di tutta l’energia consumata nel nostro paese circa il 30% è imputabile all’edilizia e incide del 35% sulle emissioni di Co2 in atmosfera (secondo i trend mondiali). Secondo la scala dei consumi energetici il settore dell’edilizia si colloca dopo i trasporti e prima del settore industriale.

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Attualmente l’Italia è costretta a importare circa il 17% dei consumi di energia elettrica totale dall’estero. Questo dato dimostra che, attivando politiche rivolte al contenimento dei consumi energetici del settore civile, è possibile arrivare al pareggio del bilancio energetico.

Le tecniche di edilizia sostenibile, applicate non soltanto al patrimonio nuovo ma anche all’eredità esistente, potranno consentire di operare risparmi dei consumi energetici e idrici fino al 50% dei quantitativi attualmente assorbiti e quindi, nella ipotesi di una diffusione su scala nazionale, ridurre circa il 17% delle emissioni di Co2 equivalente.

L’introduzione dei principi di sostenibilità nel settore delle costruzioni sul territorio italiano contribuirà al contenimento dei consumi energetici e al raggiungimento degli obiettivi individuati dal Protocollo di Kyoto che prevede, per l’Italia nel 2010, una riduzione del 6,5% delle proprie emissioni di Co2 equivalente.

Sono trascorsi più di 10 anni dalla sottoscrizione del Protocollo da parte di oltre 160 paesi di tutto il mondo; l’Italia è ancora lontana dall’obiettivo imposto. Basa pensare che nel 2006 è stata calcolata una emissione di Co2 pari a 88,4 milioni di tonnellate in più rispetto a quanto previsto. Se la commissione di controllo verificasse e decidesse di multare l’Italia ci sarebbe una sanzione pari a € 30 per ogni tonnellata in esubero, e cioè equivale a una cifra pari a circa 2,6 miliardi di €.

Pertanto per ottenere dei miglioramenti nel campo edilizio, è necessario pensare a realizzare un edificio efficiente sotto almeno tre punti di vista:

1) riduzione della richiesta di energia, tramite un migliore isolamento termico, tenuta all’aria, recupero di calore, sistemi di schermatura solare, ecc;

2) ricorso alle energie rinnovabili, come il sole, le pompe di calore, il vento, le biomasse, ecc;

3) conversione efficiente della energia fossile, come ad esempio caldaie ed elettrodomestici ad alta efficienza.

In effetti se ripercorriamo la storia dell’architettura, troviamo nel 25 a.C. il trattato “De Architectura” di Vitruvio in cui è scritto che l’architettura ha tre componenti fondamentali, solidità, funzione e bellezza.

Architectura: scientia (ars) ad opes gerendum ut vita melior fiat, ratione utens facultate quae congruenter componat quod, in omni aedificandi descriptione, imperfecta ac perfecta, firmitas, utilitas et venustas exigunt.

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Architettura è la scienza (o arte) necessaria per gestire le risorse disponibili, affinché il modo di vivere sia migliore, usando la ragione come facoltà che componga armonicamente ciò che, in ogni progetto, preliminare e definitivo, la solidità, la funzionalità e l’estetica richiedono.

Il patrimonio edilizio italiano è stato edificato in gran parte prima degli anni ’70, cioè prima della crisi energetica, quindi senza porre alcuna attenzione alla questione energetica ed ambientale, per cui gli edifici raramente risultano dotati di un efficace isolamento termico ed ancora più raramente sono dotati di sistemi per il guadagno termico. L’efficienza degli impianti ha sostituito ciò che invece è importante: l’efficienza del sistema edilizio.

Data la crescente richiesta di qualità interna agli edifici e lo svilupparsi di tecnologie in ambito impiantistico, ci si è preoccupati di ottenere tali condizioni esclusivamente attraverso efficienti sistemi impiantistici determinando l’aumento del fabbisogno energetico degli edifici. La miglior qualità dell’ambiente interno si può ottenere anche soltanto attraverso una corretta progettazione, studiando in modo efficace i parametri dell’ambiente (orientamento, ventilazione, ecc), la forma e l’inerzia degli edifici, i materiali.

L’architettura bioclimatica

Il rapporto tra clima, uomo e ambiente ha messo in evidenza la necessità di risparmiare energia. L’incombere di una nuova crisi energetica e l’avvicinarsi di cambiamenti climatici hanno fatto emergere le problematiche del risparmio energetico e dell’utilizzo di energie rinnovabili.

Le soluzioni proposte fino a oggi appaiono esclusivamente di tipo ingegneristico e tecnologico. Si ha l’impressione che si stia affermando il concetto secondo cui la casa risulta essere una “macchina per abitare”, come veniva concepita dal movimento moderno.

Diversamente l’architettura bioclimatica è un’architettura che ottimizza le relazioni energetiche con l’ambiente naturale circostante mediante il suo disegno architettonico. L’aggettivazione "bioclimatica" è il risultato dell’interazione tra due concetti fondamentali:

• l'essere vivente, "bios" - utente dell'architettura, vita, attenzione alla vita ed al benessere umano;

• l'ambiente esterno, il "clima" – insieme degli aspetti climatici del luogo, delle risorse rinnovabili (sole, vento, acqua); delle risorse fisico-ambientali del territorio (orografia, vegetazione, terreno)

L’architettura bioclimatica si basa su un modello abitativo che soddisfa i requisiti di comfort con il controllo passivo del microclima. Lo sfruttamento degli apporti energetici dell’ambiente esterno riduce il fabbisogno energetico necessario per riscaldare/raffreddare la temperatura interna, di conseguenza viene minimizzato l’uso degli impianti meccanici.

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E’ possibile infatti ottimizzare la temperatura interna delle abitazioni riducendo al massimo il consumo di energia attraverso la corretta scelta delle caratteristiche costruttive e strutturali, i materiali impiegati, la disposizione delle superfici vetrate.

Il concetto di bioclimatica è profondamente legato all’esauribilità e alla capacità di carico dell’ambiente e, dato che una grande quantità di emissioni di gas inquinanti provengono proprio dagli impianti di climatizzazione e di riscaldamento, avere una efficienza energetica degli edifici contribuisce a diminuire una buona parte delle emissioni inquinanti e al risparmio delle risorse non rinnovabili di energia.

Gli elementi caratteristici dell’architettura bioclimatica dipendono proprio dalla forma stessa dell’edificio. Anche se ogni edificio viene plasmato a seconda del luogo in cui si trova e si adatta alle caratteristiche dell’ambiente circostante, possiamo comunque definire degli obiettivi comuni per sfruttare al meglio gli apporti gratuiti dell’ambiente. In particolare si propone di:

• sfruttare le brezze estive per raffrescare e ventilare gli ambienti interni, anche con camini e torri di ventilazione;

• disporre le superfici vetrate verso sud per ricevere in inverno gli apporti gratuiti solari e avere opportune schermature da utilizzare durante la notte per non disperdere calore e durante l’estate per non far entrare i raggi solari;

• progettare la forma dell’edificio in modo tale che esso stesso si schermi dai venti freddi invernali e dal freddo.

L’architettura vernacolare, ovvero quell’architettura documentata della tradizione storico-costruttiva tipica di un luogo, rispondeva in modo spontaneo all’esigenza che l’uomo aveva di difendersi dalle condizioni climatiche avverse dell’ambiente. Basti pensare che tale architettura creava una perfetta sintesi tra clima, forma e materia; era l’edilizia povera e sapiente, che utilizzava i materiali ricavati dall’ambiente circostante le cui tecniche costruttive venivano tramandate di generazione in generazione. In effetti tali architetture in un certo senso si basavano sugli stessi principi bioclimatici che ai nostri giorni cerchiamo di applicare al nuovo patrimonio edilizio. Davanti alla scarsità di risorse energetiche e alla indisponibilità tecnologica, l’unico modo con cui

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l’uomo poteva proteggersi dalle condizioni climatiche non favorevoli era attraverso la stessa architettura. Con l’avvento dell’energia elettrica e la scoperta degli impianti tecnologici i principi man mano sono andati perduti.

Di questa architettura sapiente ne sono un esempio i sassi di Matera dove nelle case, la luce arriva dall'alto come in una casbah nordafricana, e la temperatura è costante a 15 gradi, con la massa termica del tufo marino che funziona da climatizzatore; i raggi del sole d'estate, perpendicolari e roventi, rimangono fuori mentre d'inverno, i raggi più inclinati, scivolano sul fondo delle grotte. Anche i trulli pugliesi dell’Italia meridionale con la loro muratura a sacco di spessore molto elevato unita alla quasi totale assenza di aperture ad eccezione della porta d'ingresso e, raramente, di un piccolissima finestra per garantire un minimo ricambio di aria all'interno, ne assicura una elevatissima inerzia termica, garantendo una buona conservazione del calore all’interno durante l'inverno e conservando in estate il fresco che le murature stesse hanno accumulato durante la stagione fredda e che cederanno a poco a poco fino alla seconda metà del mese di agosto, quando, per effetto dell'inversione termica, si verifica una sensazione di maggior calore all'interno che non all'esterno.

A volte si passa dall’architettura a veri e propri insediamenti bioclimatici, chiamati anche eco-villaggi, ovvero interi quartieri che sono progettati per assicurare il comfort non solo all’interno degli edifici ma anche all’interno del quartiere. Queste comunità si basano esclusivamente sulla sostenibilità ambientale e hanno lo scopo di dare benessere ai fruitori non soltanto da un punto di vista fisico ma anche psichico; rispondendo all’attuale disfacimento delle famiglie, delle cultura e della società, gli eco-villaggi si propongono come un modello sostenibile sul piano economico, sociale ed ecologico e come un modello di autosufficienza.

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La bioarchitettura

L’architettura bioclimatica riguarda quindi l’aspetto specifico del comfort termico tramite la maggior efficienza termica degli edifici, lo studio dell’ambiente e gli apporti gratuiti delle condizioni climatiche esterne. All’interno di uno studio più completo, è da ritenere che l’edilizia è una attività permanente che incide sui consumi delle risorse, sulla salute e sul comportamento sociale di chi non soltanto usufruisce dell’edificio ma anche di coloro che lo percepiscono in maniera indiretta. L’architettura che concilia il miglioramento della qualità della vita dei fruitori, l’autosufficienza energetica dell’edificio e il minor consumo del carico ambientale può essere definita bioarchitettura.

La parola bio (vita) - architettura (per la vita) nasce dal contributo di Ugo Sasso, il quale ha fondato nel 1991 l’Istituto Nazionale di BioArchitettura a Bolzano. La definizione di bioarchitettura è la seguente:

l'insieme delle discipline che attuano e presuppongono un atteggiamento ecologicamente corretto nei confronti dell'ecosistema ambientale. In una visione caratterizzata dalla più ampia interdisciplinarietà e da un utilizzo razionale e ottimale delle risorse, la Bioarchitettura tende alla conciliazione ed integrazione delle attività e dei comportamenti umani con le preesistenze ambientali ed i fenomeni naturali. Ciò al fine di realizzare un miglioramento della qualità della vita attuale e futura. La novità programmatica della Bioarchitettura non risiede nella specificità delle singole discipline, quanto nelle connessioni capaci di determinare una visione olistica del territorio e della qualità architettonica

Riassumendo il pensiero del bioarchitetto Ugo Sasso, il progetto ecologico non deve esaurirsi nell’edificio eco-sostenibile, ma deve avere al centro l’uomo, la qualità sociale del vivere della persona che vi andrà ad abitare, la sua appartenenza al luogo geografico e sociale, la salvaguardia del suo mondo di relazioni stratificatosi attraverso il tempo nelle città e nei paesi.

La bioarchitettura ricerca una nuova cultura progettuale finalizzata alla realizzazione di abitazioni, quartieri e città concepiti come organismi viventi, dotati di un elevato grado di complessità e capaci di rispondere a diverse esigenze; qualità estetica, durabilità, flessibilità e benessere degli utenti. E’ possibile costruire meglio, in modo più sano e confortevole, realizzare ambienti ricchi di comfort e benessere che garantiscono maggiore durabilità. In un progetto di bioarchitettura si prendono in esame le forze magnetiche naturali, campi elettromagnetici artificiali, comportamento dei materiali da costruzione,

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forma e disposizione degli spazi, luce naturale e colori. Questi ambiti di studio riportano gli edifici in un corretto rapporto sia con gli aspetti esterni (suolo, vento, sole, acqua, clima, umidità, vegetazione, ecc) che con le necessità biologiche, la bioarchitettura ne amplia la visione sulla base di considerazioni antropologiche e storicistiche.

In sostanza la bioarchitettura propugna un’architettura più umana che vede come obiettivo primario del progetto la sua facilità di antropizzazione, riducendo al minimo gli sprechi e il rischio di effetti negativi sull’uomo e sull’ambiente.

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2.2

Sostenibilità sociale ed ambientale

Il termine “sviluppo sostenibile” è apparso nella sfera sociale con il rapporto Brundtland nel 1987 per conciliare la politica dello sviluppo e la politica ambientale.

Da quel momento in poi la “questione ambientale” diventa un tema politico di primaria importanza; va in crisi di fatto la visione fortemente antropocentrica che vedeva la superiorità dell’uomo sulla natura e anzi, la globalizzazione del rischio ambientale diventa una minaccia alla sopravvivenza dello stesso genere umano.

La definizione nata di sviluppo sostenibile mette in correlazione i due concetti di sostenibilità e di sviluppo:

• sostenibilità intesa come conservazione di uno sviluppo duraturo garantito per le generazioni attuali e future;

• sviluppo inteso come raggiungimento di valori democratici per garantire equità in tre differenti sfere:

• equità sociale all’interno delle singole comunità; • equità interregionale tra le varie comunità;

• equità intergenerazionale tra le comunità presenti e future. In queste tematiche assumono un ruolo significativo due principi, quello inter-temporale ed inter-regionale.

Il principio inter-temporale si riferisce alle dinamiche temporali sulla sostenibilità.

L’equità, come valore da ottenere tra le diverse generazioni, necessita di programmazioni politiche su una scala temporale a lungo termine e quindi diversa da quella usata nei nostri tempi nel settore economico. Il principio di posterità deve assumere il significato di valore per incoraggiare la società a sviluppare una visione di cosa si vuole sostenere.

L’inter-temporalità ha significato non solo nel futuro ma anche nel passato. Se teniamo conto che le riserve e i depositi naturali si sono formati nel corso di tempi lunghissimi, è come se la società nella loro utilizzazione sfruttasse anche il tempo che è stato incorporato dall’inizio della loro trasformazione in riserve naturali (ad esempio la combustione di un litro di petrolio distrugge un processo dinamico che forse è durato milioni di anni).

Il patrimonio che una generazione prende in prestito da quella successiva è inteso quindi sia come passato perché questa eredità proviene appunto dal passato, e sia come futuro perché passerà nelle mani di nuove generazioni. Per citare un esempio uno studioso di queste tematiche di nome Welford in alcun scritti sottolinea che gli Indiani Irochesi del Nord America avevano un orizzonte di programmazione che arrivava a prevedere gli effetti delle loro decisioni pari a sette generazioni. Sempre lo stesso Welford richiama un antico proverbio del Kenya che fornisce un’immagine limpida del significato di

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posterità e di avvenire: “Noi non ereditiamo la Terra dai nostri genitori; la prendiamo in prestito dai nostri figli”. Il principio inter-regionale si riferisce invece all’assenza di confini della dinamica ambientale.

Gli eventi generali della natura riguardano indiscriminatamente tutti i paesi, ma non solo, anche nell’economia e nella società, grazie alla globalizzazione dei mercati, istituzioni, stili di vita, culture; viviamo quindi in una rete di connessioni in cui le diversità sono mischiate.

Partendo dalla definizione di Roosvelt del 1949 di paesi sottosviluppati, riferendosi ai paesi rimasti fuori dallo sviluppo economico, si introduce una direzione universale di sviluppo richiedendo dei programmi internazionali per mitigare le disparità fra le economie nazionali; infatti con la decolonizzazione, l’aumento del commercio internazionale, la crescita di importanza del sistema delle Nazioni Unite e la competizione fra capitalismo e socialismo cresce l’interesse mondiale riguardo allo sviluppo economico dei paesi meno favoriti. Recentemente però è stato preso in considerazione il fatto che le risorse necessarie al mantenimento dello stile di vita dei paesi sviluppati potrebbero esaurirsi nell’arco di una o due generazioni, e questo ha creato nuove attenzioni sulle intricate interconnessioni dei problemi di equità inter-regionale. In contemporanea è emersa anche la preoccupazione che il sistema ambientale non riesca a contenere gli effetti cumulativi dei rifiuti derivanti dagli scarichi prodotti dall’uso delle risorse secondo il nostro stile di vita. Per questo è nata l’esigenza di rivedere il concetto di sviluppo in un ambito più ampio per tenere in considerazione il rischio globale derivante dal mantenimento e dalla diffusione dello stile di vita alla occidentale anche ai paesi definiti sottosviluppati.

Una tappa fondamentale è stata sicuramente la Conferenza di Rio del 1992 che con la sua Dichiarazione testimonia la crescita di consapevolezza dell’umanità e da inizio ad un nuovo modo di agire da parte dei governi del mondo, come confermato dalla recente Conferenza di Kyoto del 1997.

Sul tema dello sviluppo sostenibile esistono molte teorie ed approcci, tutti necessari per sviscerare la questione sotto diversi punti di vista; quindi le strategie di sviluppo sostenibile non possono essere messe in pratica facendo prevalere un solo approccio poiché esso contiene una parte di verità e può escluderne altre.

In occasione della conferenza di Rio de Janeiro, all’interno dell’Agenda 21, sono state elencate tutta una serie di azioni e politiche che ogni paese si è impegnato a mettere in atto nel corso del XXI secolo ai fini di uno sviluppo economico, sociale ed ambientale sostenibile. Le componenti elencate sono ambiente, economia, socio-cultura, equità sociale, equità interlocale, equità intertemporale, diversità, sussidiarietà, networking e partnership e, infine, partecipazione.

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Le suddette componenti sono riconducibili essenzialmente a tre aree, la sostenibilità ambientale, sociale ed economica.

2.2.1 Sostenibilità sociale

Trattare il tema della sostenibilità sociale significa discutere di equità, accessibilità, partecipazione, identità culturale e stabilità istituzionale; le questioni riportate pongono l’attenzione su una distribuzione socialmente equa di costi e benefici derivati dal modo in cui l’uomo gestisce l’ambiente.

Nel corso degli ultimi decenni molti autori hanno dibattuto i caratteri principali della transizione dall’epoca industriale ad una nuova, non ancora meglio definita (post-industriale, post-moderna, ecc.). Da un lato alcuni autori concordano col definire la società ancora moderna dato che molti fenomeni, etichettati come post-moderni, riguardano l’esperienza del vivere in un mondo che ha caratteri di continuità con l’era moderna seppure in maniera storicamente nuova.

Altri autori invece appoggiano la tesi che l’epoca attuale sia qualitativamente differente da quella moderna, essendo caratterizzata da nuovi prodotti culturali ed un nuovo modo di teorizzare il mondo sociale.

La mente post-moderna risulta essere relativista ed irrazionale; la coscienza dei rischi, dei dubbi e dell’incertezza nella vita sociale ed umana, determina la consapevolezza che la realtà è complessa e può essere rappresentata da traiettorie contorte che non sempre l’esperienza riesce a sciogliere. Il pensiero post-moderno non si aspetta più di trovare una formula omnicomprensiva e definitiva della vita perché ha consapevolezza che non esiste.

Sia da una parte che dall’altra comunque la sostenibilità appare sempre più come uno dei simboli dell’attuale transizione dall’era industriale e moderna ad un’altra epoca in cui sussiste una contaminazione tra le varie discipline del pensiero umano in cui si ritrovano concetti come: sapere, capitale umano, cultura, progresso, equilibrio, equità, complessità, caos, cambiamento, incertezza, rischio.

Tale processo ha contaminato la sociologia, dato che il suo fondamento scientifico risiede proprio nell’analisi della società e dei loro cambiamenti. Influenzata da altri paradigmi scientifici, la sociologia è attualmente del tutto

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consapevole del fatto che natura e società, artificiosamente separate nella società industriale classica, sono in realtà profondamente interrelate. E’ consapevole che i cambiamenti sociali influenzano l’ambiente naturale e viceversa, riconoscendo poteri casuali alla natura e considerandola come mediata dai processi sociali.

La sostenibilità sociale, come avverte Adil Khan, include l’equità, l’”empowerment”, l’accessibilità, la partecipazione, l’identità culturale e la stabilità istituzionale, aspetti di studio prettamente sociologico. Viene posta l’attenzione su una distribuzione socialmente equa di costi e benefici derivati dal modo in cui l’uomo gestisce l’ambiente e dovrebbe tendere a:

 diversificare ed integrare le risorse umane, socio-culturali ed

economiche;

 valorizzare le identità locali e la biodiversità;

 realizzare sistemi organizzativi partecipativi e non gerarchici;

 sostenere l’equità, la democrazia, la conservazione delle risorse ed

una più alta qualità della vita.

La sociologia, insieme ad altre scienze, dovrebbe cercare di colmare i problemi di comprensione di culture e civiltà che non sono occidentali e che interessano altre ampie parti del pianeta. Lo studio delle trasformazioni sociali non può più ignorare il punto centrale attorno a cui ruota la società: l’essenza della vita, non solo limitata agli uomini ma comprendente animali e piante.

2.2.2 Sostenibilità ambientale

Oggi giorno si trovano numerosissime definizioni del concetto di ambiente, poiché ogni disciplina che vi si interfaccia ne ha creata una. Il concetto di ambiente per la tematica di sostenibilità può essere definito non in senso assoluto ma solo rapportato ad un certo soggetto.

Questa definizione in effetti introduce un nuovo modo di pensare alle problematiche ambientali e modifica l’approccio da esclusivamente ambientalista ad ecologico (l’ambiente viene analizzato in relazione ad un soggetto di riferimento).

Il passaggio da una visione esclusivamente naturalistica ad un approccio territorialista avviene in seguito alla perdita della qualità dello spazio costruito e al degrado della complessità dei sistemi territoriali integrati, cioè dello spazio antropico. Per recuperare la qualità ecologica del territorio è necessario attuare la salvaguardia dell’uomo stesso, ovvero individuare metodologie utili a migliorare l’esistenza dell’uomo nei luoghi che contribuisce a creare.

La crisi ecologica dell’insediamento umano ha conseguenze negative soprattutto sull’esistenza dell’uomo. Nel momento in cui si nota un peggioramento dell’ambiente fisico (aggressività dell’aria, dell’acqua, rumore, ecc.) ed è presente un’insostenibilità ambientale nel lungo periodo (distruzione

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della ricchezza originaria, tendenza all’esaurimento delle risorse, ecc.) si impone il tentativo di riordinare l’insediamento umano e le relazioni con il proprio intorno.

In seguito a queste considerazioni nasce la necessità di superare la dicotomia spazio naturale – spazio antropico, ovvero bisogna andare oltre quella cultura ambientalista protezionistica che separa le oasi naturali – da preservare – dalle aree artificiali – in cui è possibile ogni trasformazione – per comprendere la molteplicità e la differenziazione strutturale e funzionale di ogni espressione vitale come insieme altamente organizzato che assimila, trasforma e modifica energie, in un perenne divenire di tutte le entità che lo costituiscono. In questo quadro, lo sviluppo delle società umane deve ritrovare una misura rispetto ai processi della biosfera in continua trasformazione: è necessario tentare di coniugare senza contrapporre esigenze umane e processi biofisici.

La tematica dello sviluppo sostenibile e l’applicazione dei diversi strumenti al fine di quantificare la sostenibilità nel settore edilizio (e non solo) tentano di consentire la progettazione ecologica degli insediamenti umani; emerge comunque anche la necessità che una progettazione ecologica degli insediamenti non possa fare a meno di interagire ed alimentarsi con le caratteristiche essenziali del luogo in cui agisce.

Per perseguire la sostenibilità ambientale:

• l’ambiente va conservato quale capitale naturale che ha tre funzione principali

 fonte di risorse naturali;

 contenitore dei rifiuti inquinanti;

 fornitore di condizioni per il mantenimento della vita;

• le risorse rinnovabili non devono essere sfruttate oltre la loro naturale capacità di rigenerazione;

• la velocità di sfruttamento delle risorse non rinnovabili non deve essere più alta di quella relativa allo sviluppo di risorse sostituire ottenibili attraverso il progresso tecnologico;

• la produzione dei rifiuti ed il loro rilascio nell’ambiente devono procedere a ritmi uguali o inferiori a quelli di una chiaramente dimostrata e controllata capacità di assimilazione da parte dell’ambiente stesso; • i servizi di sostegno all’ambiente devono essere mantenuti.

Per molto tempo ha prevalso il pensiero che l’uomo non sarebbe stato condizionato dall’ambiente fino a quando lo avesse dominato trasformando le leggi naturali di combinazione fra dualismi come caos ed ordine.

Di contro, dagli insegnamenti dell’ecologia ne deriva che esiste un insieme di specie e di elementi differenti come naturale combinazione determinata da regole e forze diverse; ciò che agli occhi dell’uomo appare caotico risponde probabilmente ad un ordine naturale.

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La presa di coscienza dell’uomo che tutto risponde ad un ordine naturale, ovvero che ciascuna componente ha proprie caratteristiche e dinamiche facendo parte del complesso quadro naturale, ha portato l’uomo oltre l’approccio scientifico per dare un proprio ordine a ciò che ritiene solo caos, di razionalizzare ciò che appare irrazionale alla sua attuale conoscenza. Per questi motivi si è sviluppato un ampio retroscena su cui è nata la nozione di sostenibilità.

In realtà, il cammino verso il pensiero ecologico (tradizionale ed innovativo) è stato lungo e consistente. Nel 1866, grazie al contributo di Ernst Haeckel il termine ecologia viene inteso come studio scientifico dell’interazione fra gli organismi, le specie ed il loro ambiente. L’ecologia intesa come disciplina scientifica viene collocata verso la fine del secolo scorso; da quel momento e per molti anni, l’ecologia si è sviluppata come una disciplina connessa alla natura e con un ruolo marginale, mentre l’economia, la sociologia ed altre discipline erano riservate agli esseri umani e allo sviluppo.

L’ecologia è divenuta un punto di riferimento scientifico, soprattutto a partire dagli anni ‘60, tanto che i suoi contenuti si sono estesi fino a coprire l’intera problematica ambientale.

Secondo le metodologie biologiche di definizione dello sviluppo sostenibile, i sistemi biologici dovrebbero costituire le fondamenta di tutte le attività economiche.

Lo studioso Miller nei suoi scritti distingue fra un ecosistema naturale sostenibile ed un sistema umano semplificato; il primo sistema si basa sull’energia solare, sulla produzione di ossigeno e sul consumo di anidride carbonica, sulla creazione di suoli fertili, sull’accumulazione, sul graduale rilascio delle acque e sulla loro purificazione (lo stesso vale per gli inquinanti ed i rifiuti), sull’auto-mantenimento e auto-rinnovamento. Il secondo invece è caratterizzato dal sistema entro cui stiamo vivendo, ovvero la maggior parte dell’energia deriva dalla combustione di fossili o dall’energia nucleare, dal consumo di ossigeno e dalla produzione di anidride carbonica, dall’impoverimento dei suoli fertili, dal rilascio rapido delle acque e dalla loro contaminazione, così come vale per gli inquinanti ed i rifiuti, dal bisogno di rinnovamento e manutenzione continui e ad alti costi.

Secondo Miller, il secondo sistema non può più essere accettato come modello di vita ed occorre invece perseguire la riconciliazione tra natura ed umanità che sono state a lungo conflittuali.

2.2.3 Sostenibilità economica

Come è noto i concetti economici convenzionali facevano riferimento a tre principali fattori di produzione: terra, lavoro, capitale.

Tradizionalmente la sostenibilità economica implica il mantenimento del capitale; da essa deriva la classica definizione di reddito che indica quanto un

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soggetto può consumare in un certo periodo di tempo senza ridurre la sua ricchezza (capitale).

Per capitale si intendeva ogni bene (fisico e finanziario) tale da rendere possibile la produzione di altri beni e capace di generare reddito; venivano esclusi invece materie prime e terra, da una parte, e lavoro, dall’altra. Questi due fattori non erano considerati capitale, anche se indispensabili per la sua produzione.

Questi concetti che hanno accompagnato la Rivoluzione Industriale e su cui è stato basato il pensiero economico, hanno subìto dei cambiamenti nel corso degli ultimi due secoli.

In particolare con lo svilupparsi del pensiero sociologico, si evidenziò il ruolo delle risorse umane come ricchezza di capacità espresse da persone e non come mera “forza-lavoro”. Inoltre il pensiero ecologico fece emergere il ruolo degli ecosistemi e della natura come ricchezza di capacità vitali per il mantenimento e lo sviluppo di qualsiasi essere vivente, umano e non, e di qualsiasi attività.

Questa trascuratezza è nata dal fatto che fino agli ultimi decenni il capitale naturale (foreste, suolo fertile, pesce, aria pulita, ecc.) non era scarso; in più l’economia valuta il capitale monetario ma le funzioni ecologiche non hanno pressi di mercato ed il loro costo è difficile da valutare.

La sostenibilità economica implica la piena valutazione delle tre forme di capitale, ed all’interno di questa nuova concezione le politiche pubbliche dovrebbero proporre di internalizzare i costi (anche futuri) per fornire un nuovo indirizzo qualitativo e quantitativo agli obiettivi e all’andamento delle attività economiche, al conseguimento del profitto aziendale e all’innovazione. Secondo quest’ottica, i governi, avvalendosi dell’evoluzione del pensiero economico, dovrebbero fornire orientamenti e quadri di riferimento basati su finalità e obiettivi generali in grado di prevenire il degrado ambientale. Tassazione e sussidi dovrebbero essere utilizzati per favorire l’assunzione di responsabilità e di impegno ambientale da parte dei cittadini, siano essi fornitori produttori o consumatori. Inoltre la sostenibilità economica assume anche la strutturazione di un mercato di tipo concorrenziale che possa svilupparsi senza dipendere dalla crescita del materiale.

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2.3

La politica sostenibile in Europa e in Italia

La tematica ambientale entra a pieno titolo nella politica comunitaria solo con l’“Atto Unico” del 1986 e il Trattato di Maastricht del 1992. Negli anni precedenti l’Atto Unico, la politica ambientale era legittimata da alcuni articoli del trattato istitutivo della Comunità europea riguardanti il riavvicinamento delle legislazioni e la ripartizione di competenze tra istituzioni e Stati membri.

Con l’Atto Unico la salvaguardia ambientale viene indicata come uno degli scopi della Comunità Europea (CE). L’adozione di una politica ambientale sistematica da parte della CE deve essere vista nel più ampio contesto del perseguimento di obiettivi ambientali, sociali ed economici in maniera coordinata e reciprocamente compatibile.

Nel Trattato di Maastricht la politica ambientale europea viene espressa nell’articolo 130R, dove lo sviluppo sostenibile viene consacrato come obiettivo prioritario dell’Unione europea, mirando al benessere delle generazioni future in Europa e in tutto il mondo, in termini di prosperità economica, giustizia sociale e sicurezza, elevate norme ambientali e gestione razionale delle risorse naturali di base.

Un approccio più concreto e pragmatico dell’Unione Europea verso alcuni problemi ambientali globali è emerso soprattutto nei confronti del Protocollo di Kyoto (1997), dove l’Europa ha mostrato di essere particolarmente sensibile al tema del cambiamento climatico e ha richiesto l’adozione di “politiche di non rimpianto”, ovvero l’adozione di tutte le politiche necessarie alla tutela ambientale, enfatizzando un approccio molto prudente.

Al Summit di Johannesburg, l’Unione Europea ha nuovamente confermato la propria adesione alla causa dello sviluppo sostenibile e, tra i principali obiettivi da raggiungere entro il 2015, si è prefissa di abbassare la soglia di povertà, ritenuta tra le principali cause di un mancato sviluppo globale. Durante il Summit, l’Unione Europea ha inoltre posto come problema prioritario quello di concretizzare i programmi globali attraverso adeguati meccanismi di monitoraggio.

All’interno dell’Unione Europea, le politiche di tutela ambientale sono realizzate attraverso un’azione programmatica che coinvolge tutti gli Stati membri. Il principale strumento della politica ambientale dell’Unione Europea è il “Programma di Azione”. Finora sono stati elaborati sei Programmi d’Azione che progressivamente hanno permesso di inserire le tematiche ambientali nella politica globale europea. In particolare con il V Programma d’Azione per l’ambiente (1992-1999) si è sottolineata l’esigenza di integrare gli obiettivi ambientali nelle altre politiche comunitarie. Il programma ribadisce che la tutela, la salvaguardia e la valorizzazione ambientale devono essere perseguiti attraverso un approccio preventivo dell’ambiente, incentrato su interventi ex ante piuttosto che su azioni di risanamento ex post, attraverso la conciliazione delle prospettive di sviluppo con le istanze dell’ambiente ed attraverso un equilibrio tra miglioramento complessivo della qualità di vita e capacità di carico degli ecosistemi.

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Nel mese di gennaio del 2001 è stato varato il “VI Programma d’azione per l’ambiente”. Il nuovo programma integra i temi ambientali nella strategia politica di sviluppo sostenibile adottata dall’Unione Europea per il decennio 2001-2010. Sebbene continui a perseguire alcuni degli obiettivi del V Programma, il VI Programma d’azione per l’ambiente 2010, intitolato “Our Future, Our Choice” (Il nostro futuro, la nostra scelta) va oltre, adottando un approccio più strategico. Nel Programma si fa, infatti, appello ad un maggiore coinvolgimento di tutte le compagini sociali in cerca di soluzioni innovative e sostenibili per i problemi ambientali.

L’adozione del VI Programma da parte dell’Unione Europea, da un lato, ha sancito definitivamente l’impegno a far sì che tutte le politiche settoriali siano improntate ai principi della sostenibilità, dall’altro, ha fatto emergere l’esigenza di sottoporre il processo di pianificazione a procedure di valutazione.

In ambito europeo, la tutela ambientale e quella della salute dei cittadini sono affrontate anche nel Libro bianco sulla responsabilità per danni all'ambiente adottato dalla Commissione Europea nel 2000. Il testo delinea la struttura di un futuro sistema comunitario di responsabilità per danni all'ambiente volto a realizzare il principio “chi inquina paga” (uno dei principali obiettivi di politica comunitaria per l'ambiente) e descrive le componenti fondamentali che lo dovrebbero rendere efficace e praticabile.

La posizione italiana rispetto alle politiche comunitarie è contenuta nella Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile approvata il 2 agosto 2002. La strategia, approvata dal Cipe (Comitato Interministeriale di Programmazione Economica), individua, per il prossimo decennio, i principali obiettivi ed azioni per quattro aree prioritarie:

• clima;

• natura e biodiversità;

• qualità dell' ambiente e della vita negli ambienti urbani; • uso sostenibile e gestione delle risorse naturali e dei rifiuti.

Per ognuna delle quattro aree prioritarie, la strategia adottata individua obiettivi e azioni, derivanti sia dagli impegni internazionali che l'Italia ha sottoscritto, sia dagli impegni nazionali che si è data, corredati da una serie di indicatori di performance in grado di misurarne il raggiungimento. Gli strumenti d'azione individuati prevedono l'integrazione del fattore ambientale in tutte le politiche di settore, a partire:

• dalla valutazione ambientale di piani e programmi;

• dall'integrazione del fattore ambientale nei mercati, con la riforma fiscale ecologica nell'ambito della riforma fiscale generale, la considerazione delle esternalità ambientali e la revisione sistematica dei sussidi esistenti;

• dal rafforzamento dei meccanismi di consapevolezza e partecipazione dei cittadini;

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• dall'integrazione dei meccanismi di contabilità ambientale nella contabilità nazionale.

Per l’attuazione di una siffatta strategia occorre una rivisitazione degli strumenti della politica ambientale in direzione:

• del miglioramento della legislazione di protezione ambientale e della sua applicazione, attraverso la predisposizione di Testi Unici Ambientali che superino le incertezze del quadro normativo nazionale;

• dell’integrazione dell’ambiente nelle politiche di settore e nei mercati, favorendo prodotti e servizi di qualità ambientale superiore;

• dell’attuazione della riforma fiscale ecologica attraverso l’attuazione del principio “chi inquina paga”;

• della mitigazione delle esternalità ambientali favorendo la graduale internalizzazione dei costi esterni da parte delle aziende, e della revisione delle politiche dei sussidi;

• della introduzione della contabilità ambientale, ovvero un’analisi degli aspetti di sostenibilità ambientale dello sviluppo che integri la logica economica, e che non si limiti al settore pubblico, ma che coinvolga allo stesso modo quello privato attraverso l’innovazione e la certificazione dei processi;

• della maggiore efficacia dei processi di informazione e partecipazione del pubblico;

• della crescita del ruolo decisionale dei cittadini e dello sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica;

• della formazione e dell’informazione come elementi strategici per la promozione di comportamenti critici e propositivi nei processi decisionali.

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2.4

I sistemi di valutazione sulla sostenibilità degli edifici

Nel corso degli ultimi dieci anni è stata condotta una attività molto intensa di ricerca nel campo della sostenibilità, cercando di applicare i principi delle architetture ecologiche ai nuovi edifici e agli interventi si ristrutturazione, migliorando la qualità ambientale degli edifici ed abbassando l’impatto degli edifici stessi sull’ecosistema.

Uno dei primi metodi oggettivi messo a punto negli anni ‘60 che ha lo scopo di valutare i prodotti ed i processi per la progettazione e costruzione di un edificio è il Life Cicle Assessment (LCA). L’approccio del Life Cycle Thinking (cui appartiene lo strumento dell’Analisi del Ciclo di Vita) si pone l’obiettivo di quantificare i carichi ambientali lungo l’intero ciclo di vita di un prodotto, dalla acquisizione delle materie prime fino al loro smaltimento una volta terminata la vita della costruzione. Questa tecnica esamina le prestazioni delle materie analizzando dal momento della estrazione sotto forma di materie prime, attraverso tutti i processi di trasformazione e trasporto, fino al loro ritorno alla terra sotto forma di rifiuto finale.

In seguito sono stati sviluppati degli strumenti di valutazione delle prestazioni ambientali degli edifici; i sistemi di certificazione energetico ambientali che ne sono derivati si sono sviluppati in diversi contesti sia di quadro normativo che di tradizione edilizia e stili di vita, pertanto sono differenti tra loro, anche se di base tutti nascono per la valutazione degli edifici durante tutto il loro ciclo di vita, dalla progettazione, alla utilizzazione fino alla cessione e conseguente demolizione.

Alcuni di questi sistemi messi a punto consentono di ottenere un’indicazione precisa della performance dell’edificio, definendo in modo più oggettivo in cosa consiste la qualità ambientale di una costruzione.

L’interesse che è nato attorno a questo tipo di certificazioni deriva dal fatto che numerose istituzioni governative considerano questi sistemi come uno dei metodi più efficaci per spingere il mercato immobiliare verso una maggiore sostenibilità e verso elevati standard qualitativi.

Ad esclusione di alcune realtà specifiche (come Bolzano), i sistemi di certificazione sono tutti a carattere volontario e conferiscono una certificazione di qualità che premia, anche in termini di mercato, gli edifici che rispondono a certi requisiti.

Fa eccezione alla volontarietà – almeno in Europa – la valutazione delle prestazioni energetiche dell’edificio che è sottoposta a standard previsti dalla legge. In Italia la certificazione dell’edificio non è richiesta e non è considerata

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obbligatoria da nessuna legislazione, ma è solamente uno strumento volontario che può aggiungere un valore aggiunto all’edificio.

2.4.1 Valutazioni e certificazioni

I sistemi riguardanti la sostenibilità sono appunto dei sistemi a carattere volontario che permettono di assegnare un voto ad un edificio che rispecchia il grado di sostenibilità a cui esso appartiene.

In effetti i sistemi possono essere suddivisi in due diversi tipi di approccio. I sistemi di certificazione ambientale sono metodi messi a punto da associazioni ed istituti in genere e sono i tecnici appartenenti a tali enti che appunto certificano un progetto assegnando un marchio corrispondente al proprio sistema di certificazione.

Per certificazione infatti si intende un’attestazione di conformità, eseguita da parte terzi, di un oggetto (in questo caso un edificio) rispetto ad un sistema di riferimento stabilito. Pertanto, una volta realizzato l’edificio, esso viene valutato da un gruppo di tecnici facenti parte di una certa associazione, e loro stessi stabiliscono se l’edificio soddisfa i criteri stabiliti dal sistema di certificazione in questione; se la valutazione è positiva l’istituto consegna l’attestazione del marchio all’edificio con il relativo punteggio ottenuto.

A fianco di questa metodologia di approccio esistono anche dei sistemi di valutazione in cui non viene rilasciata una certificazione ma viene sostanzialmente effettuata una auto valutazione del progetto da parte del progettista rispetto sempre a dei criteri stabiliti da linee guida di riferimento. Le figure del committente e del certificatore entrano in gioco esclusivamente nella prima tipologia di approccio; infatti il committente, per ottenere una certificazione valutata da un istituto accreditato per il proprio edificio, necessariamente dovrà investire economicamente in modo maggiore per ottenere migliori prestazioni per l’edificio ed avere quindi la certezza di ottenere una valutazione positiva dal certificatore. Il certificatore d’altra parte sarà tenuto a valutare l’edificio esclusivamente se il committente richiede la sua prestazione.

Invece, il ruolo del progettista in entrambi i criteri resta identico. Sia per i sistemi di certificazione che per i sistemi di valutazione, il progettista si pone l’obiettivo di raggiungere certe prestazioni, a seconda dei livelli prestazionali di riferimento dati da un particolare sistema; in ogni caso il progettista cercherà di ottenere il miglior risultato nel campo della sostenibilità sia che egli stesso pratichi un’auto dichiarazione e sia nel caso che un ente esterno certifichi l’edificio su cui il progettista ha operato.

Quasi tutti i sistemi sono basati principalmente sul criterio della certificazione, ovvero esistono quindi degli istituti che certificano e rilasciano un’attestazione ed in generale possono esistere più associazioni che possono operare nello stesso paese.

(24)

In Italia, oltre alla presenza di istituti di certificazione come ITACA, GBC Italia, ecc. esiste anche un metodo di auto valutazione fornito dalla Regione Toscana attraverso le proprie linee guida di riferimento. Vedremo più avanti i diversi sistemi di certificazione e di valutazione presi in esame.

Un’ulteriore differenziazione tra gli strumenti di certificazione sta nella tipologia dei criteri che viene presa come riferimento.

Il primo criterio è la soglia minima standard, in cui l’ente certificatore stabilisce i requisiti minimi necessari per accedere alla certificazione ambientale, ovvero è richiesto che il prodotto da certificare risponda a un determinato standard di riferimento tramite il soddisfacimento di definiti livelli di qualità ambientale.

Il secondo criterio è a punteggio, ovvero sono stabiliti una serie di fattori a cui viene assegnato un punteggio per la redazione della certificazione di compatibilità ambientale.

I temi della certificazione ambientale

Come già anticipato precedentemente, esistono diversi tipi di certificazione ambientale e tali strumenti si diversificano prendendo spunti di riflessione dai paesi in cui sono state sviluppate. Considerando comunque la realizzazione dell’edificio od un intervento su di esso come un insieme di operazioni è possibile descrivere delle fasi in cui si può soddisfare certi livelli di sostenibilità che sono comuni ai diversi strumenti di certificazione esistente. Si riportano di seguito una serie di tematiche.

Progettazione ecologicamente orientata. Per le nuove costruzioni è

essenziale la presa di coscienza dei problemi ambientali già nella fase progettuale, mentre per gli interventi di ristrutturazione, nonostante il progetto sia una componente importante, risulta più difficile da gestire.

Scelta delle materie prime. E’ necessario conoscere la provenienza e

le eventuali certificazioni delle materie prime, in modo tale che si possano scartare materiali con rilevante impatto ambientale. Anche la provenienza dei prodotti è un fattore indispensabile per tenere di conto della distanza da cui devono essere trasportati, i mezzi impiegati e quindi il peso delle relative emissioni in atmosfera.

Impatto ambientale del cantiere. Anche i processi di realizzazione

implicano costi ambientali più o meno elevati, a seconda della organizzazione del cantiere. Diventa fondamentale il controllo della questione in fase progettuale.

Consumi energetici per la vita utile dell’edificio. Uno dei fattori più

importanti della sostenibilità dell’edificio è relativo ai consumi energetici visti nella prospettiva strategica del tempo di utilizzo dell’edificio stesso. Un edificio efficiente dovrebbe ridurre al minimo le dispersioni termiche, ottimizzare l’uso efficiente degli impianti sfruttando al meglio le risorse

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naturali e le fonti rinnovabili grazie ad una corretta progettazione. Tale tema risulta comunque obbligatorio, nelle sue prestazioni minime, laddove sia obbligatoria la certificazione energetica dalla normativa nazionale e regionale.

Gestione dell’edificio. E’ prevista una serie di azioni e di documenti che

dovrebbero consentire una corretta manutenzione dell’edificio e di tutte le sue parti.

Smantellamento dell’edificio. L’edificio deve essere progettato in

modo tale che una volta necessaria la demolizione totale o parziale, da questo processo non scaturiscano sostanze dannose per l’uomo e per l’ambiente.

Smaltimento dei materiali. I materiali di cui è composto l’edificio, una

volta che è stato demolito, dovrebbero ritornare nel ciclo dell’ambiente non come rifiuti ma come materie prime seconde in modo tale da poter essere riutilizzati in altri processi produttivi, oppure essere smaltiti senza arrecare danno all’ambiente.

Possiamo quindi riassumere che l’obiettivo fondamentale delle certificazioni energetiche è quello di fornire un percorso di “realizzazione certificabile”, che attesti la sostenibilità ambientale dell’edificio, dalla prima fase progettuale fino allo smaltimento degli scarti di demolizione, passando attraverso una vita utile che non imponga elevati carichi ambientali.

2.4.2 La norma UNI

In Italia, uno strumento parallelo alle diverse certificazioni ambientali presenti è fornito dall’Ente Italiano di Unificazione con la norma UNI 11277:2008, Sostenibilità in edilizia. Esigenze e requisiti di ecocompatibilità dei progetti di edifici residenziali e assimilabili, uffici e assimilabili, di nuova edificazione e ristrutturazione.

Bisogna tenere di conto che le disposizioni presenti nell’ambito di una normativa tecnica non hanno in sé carattere giuridico e non sono, quindi, per loro natura obbligatorie; hanno esclusivamente carattere raccomandativi con lo scopo principale di guidare e controllare le varie fasi del processo edilizio. Esse diventano cogenti quando sono inserite in documenti ufficiali che regolano i rapporti tra gli operatori del processo edilizio.

Le norme UNI 11277 si affiancano alle numerose norme UNI relative al sistema edilizio; in modo particolare, si avvicinano molto alle UNI 8289:1981 Edilizia. Esigenze dell’utenza finale. Infatti tale norma definisce sette fondamentali

(26)

classi di esigenze, che forniscono dei requisiti per rispondere alle esigenze generali dei fruitori degli edifici e che il progettista dovrebbe cercare di metterle in pratica durante la fase di progettazione. Le classi di esigenza sono SICUREZZA, BENESSERE, FRUIBILITA’, ASPETTO, GESTIONE, INTEGRABILITA’, SALVAGUARDIA DELL’AMBIENTE. Tali esigenze sono così definite:

• Sicurezza Insieme delle condizioni relative all’incolumità degli utenti, nonché alla difesa e alla prevenzione di danni dipendenti da fattori accidentali, nell’esercizio del sistema tecnico.

• Benessere Insieme delle condizioni relative a stati del sistema edilizio adeguati alla vita, alla salute e allo svolgimento delle attività degli utenti. • Fruibilità Insieme delle condizioni relative all’attitudine del sistema

edilizio a essere adeguatamente usato dagli utenti nello svolgimento delle attività.

• Aspetto Insieme delle condizioni relative alla fruizione percettiva del sistema edilizio da parte degli utenti.

• Gestione Insieme delle condizioni relative all’economia di esercizio del sistema edilizio.

• Integrabilità Insieme delle condizioni relative all’attitudine delle unità e degli elementi del sistema edilizio a connettersi funzionalmente tra loro. • Salvaguardia dell’ambiente Insieme delle condizioni relative al

mantenimento e al miglioramento degli stati dei sovrasistemi di cui il sistema edilizio fa parte.

Tali norme definiscono il concetto di esigenza, inteso come un bisogno fondamentale di un individuo legato all’adempimento di una determinata attività; il requisito rappresenta invece la qualità specifica richiesta per conseguire uno scopo, ovvero ciò che si richiede per il normale svolgimento di una attività. A questo punto per soddisfare l’esigenza occorre avere delle prestazioni, che rappresenta il comportamento che si verifica nello svolgimento di una determinata funzione in rapporto alla qualità della funzionalità.

Nella prima norma è evidente che la salvaguardia dell’ambiente rappresenta una singola esigenza e tiene conto solo di alcuni requisiti e l’esigenza benessere, che ha come requisiti principalmente gli aspetti di benessere degli utenti nella fruizione dell’edificio, sono aspetti importanti nell’ottica degli strumenti di certificazione ambientale ma sono un’area molto ridotta di studio. La nuova norma invece definisce le esigenze di compatibilità ed i relativi requisiti in relazione alle fasi del processo edilizio, con riferimento all’intero ciclo di vita dell’edificio, ai fini del processo di valutazione ambientale (produzione dei materiali, componenti ed elementi fuori opera ed in opera, funzionale), andando ad analizzare molti aspetti presi in considerazione dagli strumenti di certificazione.

I metodi di valutazione delle prestazioni ambientali degli edifici rispondono alla necessità di passare da parametri di valutazione specifici ad aspetti più

Figura

Tabella SS – Sostenibilità del Sito
Tabella MR – Materiali e Risorse
Tabella QI – Qualità ambientale Interna
Tabella 1 – QUALITA’ AMBIENTALE ESTERNA  AREE DI  VALUTAZIONE  CATEGORIE DI REQUISITI  REQUISITI  SOTTOREQUISITI  1.1.1 – comfort  termico degli spazi  esterni
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