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Capitolo II Adeguamento sismico di edifici esistenti in cemento armato

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Capitolo II

Adeguamento sismico di edifici esistenti in cemento armato

2.1 Introduzione

Alla luce delle conoscenze attuali e dei codici normativi moderni, è possibile affermare che la gran parte del patrimonio edilizio e delle strutture esistenti risulta al di sotto degli standard richiesti. Questo accade specialmente nelle regioni a maggior rischio sismico, anche quelle in cui la normativa antisismica è recente ed aggiornata alle conoscenze tecniche più moderne. In queste regioni le maggiori perdite in termini di vite umane ed economiche derivano dai danni subiti dalle vecchie strutture.

A causa dell’elevata vulnerabilità del patrimonio edilizio esistente nei confronti del sisma, la definizione di tecniche e strategie per il loro adeguamento rappresenta una tematica di notevole interesse per la comunità tecnico-scientifica.

Lo stato di conoscenze attuali dell’ingegneria sismica raggiunge livelli soddisfacenti, nel senso che le nuove strutture costruite nelle regioni ad elevato rischio sismico possiedono un margine di sicurezza tale da garantire, per queste costruzioni, prestazioni accettabili quando soggette ad un terremoto di intensità pari a quello di progetto.

Questi enormi progressi non sono stati però sufficienti a ridurre le perdite, in termini economici e sociali, a livelli accettabili. Basta pensare ai ripetuti eventi sismici di significativa intensità che hanno recentemente colpito il territorio italiano (1968 Valle del Belice, 1976 Friuli, 1980 Irpinia e Napoli, 1997 Umbria e Marche, 2002 Molise e ora 2009 Abruzzo) causando numerose vittime e danni ingenti al patrimonio edilizio, produttivo ed infrastrutturale del nostro paese.

In questo contesto è evidente che l’attenzione dovrebbe concentrarsi maggiormente sull’esistente che non sulle nuove costruzioni, in modo da condurre il rischio di perdite a livelli accettabili.

Nella normativa tecnica italiana è stato introdotto un metodo esplicito per affrontare il tema della sicurezza degli edifici esistenti nei confronti dell’azione sismica solo con le

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normative di recente pubblicazione, a partire dall’Ordinanza 3274 e recepita al D.M. 14/01/2008 in cui sono stati ulteriormente definiti i concetti di intervento di

adeguamento e di intervento di miglioramento, già introdotti con il D.M.LL.PP.

16/01/96.

Con il primo termine si intende l’esecuzione di un complesso di opere sufficienti per rendere l’edificio atto a resistere alle azioni sismiche di normativa; con il secondo l’esecuzione di una o più opere riguardanti i singoli elementi strutturali o parti dell’edificio, per conseguire un maggior grado di sicurezza, pur senza necessariamente raggiungere i livelli richiesti dalla normativa antisismica vigente e senza, peraltro, modificare in maniera sostanziale il comportamento globale della struttura.

Dunque, nel primo caso occorre condurre un’effettiva valutazione del livello di sicurezza raggiunto, mentre, nel secondo, una tale valutazione può essere omessa. In questo senso “gli interventi di miglioramento sismico possono essere considerati come un’approssimazione di un intervento di adeguamento, il quale risulta, certamente, più efficace ed il cui approccio metodologico tiene in esplicita considerazione tutte le variabili coinvolte nel problema della sicurezza sismica delle costruzioni esistenti (livelli dell’azione sismica, valutazione della sicurezza dell’edificio adeguato e non adeguato…). Una stessa tecnica di intervento può essere considerata un miglioramento od un adeguamento a seconda delle modalità con cui è valutata la sicurezza strutturale.”[2.1].

Le nuove NTC, D.M. 14/01/2008 e l’Eurocodice 8, introducono anche il concetto di intervento locale o riparazione. In tal caso il progetto e la valutazione della sicurezza potranno essere riferiti alle sole parti o elementi interessati e non è fatto obbligo di collaudo strutturale.

In maniera più generale, il fib Bulletin n°24 [2.2], definisce i seguenti termini:

Riabilitazione: ricostruzione o rifacimento di parti danneggiate dell’edificio,

tese ad ottenere lo steso livello funzionale che l’edificio aveva prima del danno.

Ristrutturazione: ricostruzione o rifacimento di qualsiasi parte di un edificio

esistente, dovuta ad un cambio di destinazione d’uso o di occupazione. In genere il termine viene utilizzato per indicare modifiche di ordine estetico o architettonico, piuttosto che strutturale.

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Riparazione: ricostruzione o rifacimento di qualsiasi parte di un edificio

esistente, mirate ad ottenere lo stesso livello di resistenza e/o duttilità che l’edificio, o un suo elemento, aveva prima del danno.

Consolidamento: azione tesa ad incrementare la resistenza o la stabilità della

struttura o dei suoi componenti.

Adeguamento: concetto che include consolidamento, riparazione e ristrutturazione; è un’azione tesa a modificare la funzionalità o la forma della struttura o dei suoi componenti e a migliorarne le prestazioni future. Si riferisce in particolar modo al rinforzo della struttura contro le azioni indotte dal sisma in modo da minimizzare i danni.

Dato l’elevatissimo numero di strutture la cui costruzione è antecedente rispetto alle attuali normative sismiche, è irrealistico pensare di poter intraprendere una campagna di adeguamento “indiscriminato”. Si presenta allora la necessità di sviluppare, oltre alle strategie e tecniche di adeguamento vere e proprie, anche delle tecniche di valutazione della vulnerabilità sismica degli edifici, in modo da distinguere quegli edifici che maggiormente necessitano di interventi di adeguamento o, se la situazione è critica o non economicamente conveniente, di essere demoliti, da quelli che nonostante siano stati costruiti prima delle attuali normative, assicurano comunque la salvaguardia della vita in caso di evento sismico. In questo contesto si vengono definiti i termini:

Verifica (Assessment): processo di raccolta e valutazione delle informazioni

riguardanti la geometria, le condizioni attuali della struttura o dei suoi componenti, il suo stato di conservazione e informazioni di carattere generale, attraverso le quali può essere verificata la capacità della struttura a soddisfare specifiche richieste di prestazione.

Valutazione (Evaluation): processo simile alla verifica ma senza la parte di

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2.2 Considerazioni generali

Secondo le più recenti normative americane in termini di adeguamento sismico, la FEMA 547 [2.3], capitolo 2, è possibile individuare otto categorie principali in cui possono essere raggruppate le carenze di edifici esistenti, in relazione al loro comportamento sismico:

Resistenza globale: una carenza di resistenza è usuale negli edifici esistenti

ed è dovuta ad una totale mancanza di progettazione sismica o ad una progettazione secondo le vecchie norme e quindi per azioni sismiche molto inferiori a quelle indicate dalle attuali norme. Tuttavia solo raramente questa rappresenta l’unica mancanza ed occorre condurre analisi più approfondite per identificare problemi che non possono essere risolti solo con un aumento della resistenza. In relazione agli edifici esistenti in c.a., si fa notare (FEMA 547, capitolo 12 [2.3]) che, sebbene il problema maggiore in questo tipo di strutture sia legato ad una carenza di duttilità, anche basse resistenze possono contribuire a creare problemi e quindi a produrre scarsi risultati.

Rigidezza globale: sebbene resistenza e rigidezza siano spesso determinate

dai soliti elementi o dalle stesse tecniche di adeguamento sismico, sono tipicamente analizzate separatamente. Valgono le stesse

considerazioni fatte per il punto precedente.

Conformazione: questa categoria riguarda le irregolarità di conformazione

che penalizzano in maniera sostanziale il comportamento della struttura. Al contrario di quanto accade nella progettazione delle nuove strutture, negli edifici esistenti tali irregolarità venivano prese in considerazione solo raramente e di conseguenza, molto spesso, richiedono interventi mirati alla riduzione di tali irregolarità.

Trasferimento delle forze: la risposta dinamica delle strutture dà luogo ad un

insieme di forze inerziali che devono essere equilibrate da un sistema di forze tridimensionale attraverso l’intero sistema strutturale. La presenza di elementi deboli e fragili lungo il percorso di carico può interrompere il flusso delle forze ed originare crisi dell’intero sistema strutturale.

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Particolari costruttivi: l’identificazione di eventuali problemi di dettaglio è

necessaria per la valutazione della tecnica di adeguamento simico più adatta. Se gli elementi che necessitano di intervento sono pochi ed isolati, allora è spesso conveniente agire localmente su di essi lasciando invariato il sistema strutturale adibito alla resistenza alle azioni orizzontali. Viceversa, se la carenza strutturale è estesa ad un gran numero di elementi può essere opportuno intervenire a livello globale, adando a modificare il sistema resistente alle azioni orizzontali.

Diaframmi: il principale scopo dei diaframmi orizzontali, nel comportamento sismico, è quello di ripartire le azioni orizzontali fra i vari elementi resistenti .

Fondazioni: mentre è relativamente comune la necessità di aggiungere o

aumentare le fondazioni esistenti, nel caso di aggiunta di nuovi elementi della sovrastruttura, come shear walls o controventi, la riabilitazione di carenze della fondazione esistente è meno comune. Ci sono due motivi principali per questo: i lavori sulle fondazioni esistenti sono molto costosi e sono stati registrati relativamente pochi danni, in termini di vite umane e danni materiali alle cose, da problemi di fondazione.

Altre carenze: problemi che non rientrano nelle categorie sovrastanti.

Problemi geologici, interazioni con edifici adiacenti e altri problemi che sfuggono ad una precisa categorizzazione, ma che andranno considerati di volta in volta come casi specifici.

La filosofia di progettazione introtta dalle moderne normative per costruzioni convenzionali in c.a.(detta “gerarchia delle modalità di collasso e delle resistenze”), consiste nell’eliminare o ridurre al massimo le concentrazioni di deformazioni e danno in zone locali. La ragione è che, se il danno è concentrato in parti localizzate della struttura, la richiesta sismica di deformazione può facilmente e prematuramente eccedere la capacità, portando a improvvisi collassi ditipo “fragile”. La Figura 2.1 mostra tre differenti modalità di plasticizzazione per i telai. Chiaramente il caso (a) è quello meno desiderabile, perché tutte le plasticizzazioni sono localizzate in un solo piano detto “debole”; la situazione che si prospetta è da evitare in quanto la richiesta in termini di rotazione delle sezioni dei pilastri eccede la relativa capacità; in ogni caso,

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anche se i pilastri sono dotati di tutti gli accorgimenti costruttivi di dettaglio, una tale situazione si traduce sicuramente in scarse prestazioni dell’insieme, a causa delle elevate deformazioni e degli effetti del secondo ordine che possono verificarsi durante i moti sismici. Un tale comportamento tende a verificarsi quando la resistenza dei pilastri è inferiore a quella delle travi (trave forte-colonna debole). Il caso (b) rappresenta invece la situazione più auspicabile, in quanto le plasticizzazioni sono ben distribuite su tutta l’altezza dell’edificio e tutte le cerniere plastiche dissipano l’energia sismica in modo pressoché uniforme. Per ottenere un tal risultato è richiesto un rapporto di sovraresistenza delle colonne rispetto alle travi difficilmente riscontrabile nel caso degli edifici esistenti (trave debole-colonna forte). È da notare che a parità di spostamento del punto di sommità ∆, la rotazione richiesta alle sezioni delle colonne e quindi anche alle sezioni delle travi è molto minore rispetto al caso precedente, e con essa anche la richiesta di duttilità locale di travi e colonne. Il meccanismo illustrato nella figura (c) tende a predominare nel caso generalmente più consueto, e comunque accettabile, di pilastri poco più resistenti rispetto alle travi.

Figura 2. 1: meccanismi di collasso idealizzati per strutture a telaio [2.4]

Un’altra situazione relativamente comune nei vecchi edifici è quella illustrata in Figura 2.2, dove tamponature in c.a. o in muratura riducono l’effettiva lunghezza libera d’inflessione dei pilastri. Conseguentemente si ha la formazione di elementi più rigidi, maggiormente suscettibili di crisi per taglio che, talvolta, possono addirittura anticipare la plasticizzazione a flessione dando luogo ad un meccanismo di collasso di tipo fragile.

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Figura 2. 2: crisi per taglio localizzata nelle colonne [2.2]

Figura 2. 3: meccanismi di piano debole [2.2]

Altri esempi di crisi locali si possono avere in edifici con pareti in c.a. non adeguatamente progettati. Due possibili situazioni sono rappresentate in Figura 2. 3. Nel caso (a), un setto murario non si estende per tutta l’altezza dell’edificio, ma è interrotto ad un piano inferiore o intermedio. Se questo è molto rigido rispetto al telaio, si può originare un meccanismo di piano debole, appena sopra l’interruzione del muro, con il risultato di danneggiamento concentrato proprio sul telaio portante i carichi verticali. Il caso (b) mostra invece una situazione in cui il setto è locato ovunque tranne al piano terra. Il momento, sviluppato nel muro a causa dell’azione sismica, è trasferito al telaio sottostante, dove i pilastri possono presumibilmente non essere dotati della necessaria resistenza.

Il collasso di una struttura soggetta ad un terremoto di forte intensità avviene quando viene raggiunta e superata la capacità di deformazione, generalmente degli elementi portanti i carichi verticali, oppure quando le deformazioni sono tali da rendere significativi gli effetti del secondo ordine e causare l’instabilità della struttura.

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Il raggiungimento della capacità di deformazione può essere dovuto a fattori che coinvolgono la struttura nel suo complesso o localmente i singoli elementi. Dallo studio dei collassi dovuti a precedenti eventi sismici, i fattori che maggiormente influenzano la risposta sismica di un edificio, e quindi ne determinano una maggiore vulnerabilità risultano essere:

Irregolarità in altezza: una delle maggiori condizioni di pericolosità per un

edificio si ha in corrispondenza di una brusca riduzione di rigidezza e resistenza lungo l’altezza dell’edificio stesso. Le deformazioni indotte dal sisma tendono a concentrarsi in corrispondenza di questo piano debole/soffice, dando luogo ad un collasso di tipo fragile se le colonne non sono sufficientemente duttili (e si genera comunque un meccanismo di tipo parziale in quanto viene coinvolta nella dissipazione dell’energia solo una limitata parte della struttura) (fig. 2.4)

Figura 2. 4: Imperial County Services Building danneggiato durante il terremoto di Imperial Valley 1979 [2.2]

Irregolarità in pianta: l’eccentricità tra il centro di massa e quello di rigidezza

della struttura genera effetti torsionali durante l’evento sismico che risultano in maggiore richiesta di spostamento negli elementi lontani dal centro delle

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rigidezze. Questo è un problema tipico degli edifici in cui il vano scale risulta eccentrico e non compensato da altri elementi altrettanto rigidi sul “lato flessibile” (vedi fig. 2.5)

Figura 2. 5: collasso dei telai dovuto alla presenza fortemente eccentrica del vano dell’ascensore e delle scale, terremoto del 1999, Atene [2.2]

Diaframmi orizzontali inadeguati: la presenza di diaframmi orizzontali

sufficientemente rigidi e resistenti è necessaria per garantire la distribuzione delle forze inerziali tra gli elementi di controvento. Le strutture che presentano diaframmi che coprono luci elevate e collegano elementi verticali molto lontani possono risultare eccessivamente sollecitati a flessione o taglio, ed esibire comportamenti inelastici non considerati in fase di progetto e che possono condurre a comportamenti strutturali non previsti (vedi fig. 2.6).

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Figura 2. 6: (sinistra) frattura del solaio nel punto di connessione con una parete strutturale in c.a.; (destra) solai prefabbricati, Northridge, 1994 [2.2]

Interazione con gli elementi non strutturali: Elementi non strutturali quali

tramezzature e tamponamenti possono impartire una significativa rigidezza al telaio strutturale non prevista in fase di progetto, e quindi condurre a comportamenti dinamici non favoreli.

Fondazioni inadeguate: il collasso può essere dovuto a vari motivi (liquefazione

del terreno, rottura della faglia, cedimenti differenziali etc.) .Il costo di riparazione delle fondazioni è estremamente alto se la rottura avviene in fondzione. A parte casi particolari però (rotazione rigida dell’intera struttura per liquefazione del terreno), generalmente i collassi dovuti a rotture in fondazione non mettono in pericolo le vite umane.

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Altri problemi, molto spesso trascurati nella pratica progettuale, sono quelli associati alla categoria “trasferimento delle forze”. La risposta dinamica delle strutture viene rappresentata dalle forze inerziali che devono essere equilibrate da un percorso di carico tridimensionale che si sviluppa attraverso l’intera struttura fino ad arrivare alle fondazioni. La Figura 2.8, illustra un parziale percorso di carico in una struttura idealizzata. La freccia che va da A a B, indica la forza inerziale generata dalle masse dei quattro piani. Il solaio al piano superiore deve portare il carico ai muri strutturali, disposti nei punti C e D. Per poter espletare correttamente questa funzione, ha bisogno di adeguati collettori ed ammorsamenti e di un corretto dimensionamento a flessione e taglio. Il setto in E porta il carico, per taglio e flessione, al livello 2 sottostante, dove risulta interrotto. I pilastri che lo sorreggono, in F e G, devono sopportare lo sforzo assiale associato ai carichi verticali ed il momento ribaltante associato all’azione sismica. Il solaio a tale livello deve allora essere in grado di trasferire le forze introdotte dal setto E, attraverso il percorso di carico H. Successivamente, il muro I trasferisce il carico, per taglio e flessione, al livello di fondazione Gr, ed a sua volta deve essere dimensionato per l’azione di tensione e compressione agente in J e K, così come per lo sforzo di taglio in L. Una crisi fragile di uno qualsiasi degli elementi lungo il percorso di carico può dar luogo ad un comportamento globale poco efficiente.Un corretto intervento su un edificio esistente non può prescindere da una corretta valutazione del fenomeno suddetto.

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Da notare anche che, a meno di non avere carenze sostanziali e specifiche nelle travi, l’intervento può generalmente limitarsi agli elementi verticali, come pilastri o setti murari strutturali, includendo i nodi fra questi e le travi. Questo aspetto è sicuramente importante, visto che intervenire sulle travi risulta in genere molto più complesso per la connessione monolitica fra queste e la soletta. Inoltre, l’esperienza maturata dall’analisi di terremoti passati ha mostrato che il danno nelle travi è generalmente meno frequente ed in particolare molto meno importante per la stabilità globale della struttura. Nelle travi degli edifici esistenti, al di là dell’effettiva capacità resistente dei singoli elementi, le maggiori carenze sono riscontrabili nella mancanza di continuità e ancoraggio delle barre inferiori agli appoggi. Infine occorre considerare che nel comportamento sismico uno dei problemi principali consiste nell’eccessiva resistenza flessionale delle travi in rapporto a quella dei pilastri; una tale situazione, piuttosto comune nel caso degli edifici esistenti, contraddice in pieno la logica della gerarchia delle resistenze, sulla quale sono proprio basate le attuali norme antisismiche per i nuovi edifici. Quindi, nel pianificare un intervento di adeguamento sismico, l’ingegnere deve tenere in conto anche tutta una serie di aspetti “latenti”, rispetto alle usuali verifiche in termini di deformazione e/o forza del sistema previsti dalle normative, ma comunque non meno importanti. Ad esempio, occorre accertarsi che un intervento non cambi le modalità di crisi da duttile a fragile o che il mutato schema statico e la diversa distribuzione di resistenze e rigidezze non diano luogo a fenomeni di crisi locali. Ciò potrebbe verificarsi, ad esempio, se è stata incrementata la resistenza flessionale di un elemento senza particolari attenzioni o, magari, se è stata rinforzata una trave a tal punto da spostare la plasticizzazione sul pilastro adiacente.

2.3 Strategie di intervento

Lo scopo di un intervento di ageduamento sismico è quello di assicurare che la capacità della struttura adeguata sia superiore alla domanda imposta dal sisma (mutata anch’essa rispetto alla struttura originale a causa dell’intervento di adeguamento). Raggiungere questo obiettivo è però spesso un percorso di notevole difficoltà.

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Nella pianificazione del progetto di adeguamento è spesso utile valutare per prima cosa le strategie e i concetti a carattere generale che possono portare a soddisfare gli obiettivi prestazionali stabiliti, quindi selezionare i sistemi che meglio si adattano alle strategie scelte e alla struttura in esame ed infine definire i dettagli costruttivi del sistema scelto. Due possono essere le strategie, cioè gli approcci base che possono essere seguiti per ottenere un certo livello di prestazione antisismica:

3.1 Riduzione della domanda di prestazione:

3.1.1 Incremento della rigidezza e della resistenza; 3.1.2 Isolamento sismico;

3.1.3 Dissipazione passiva; 3.1.4 Riduzione della massa;

3.2 Aumento della capacità di prestazione in termini di deformazione.

2.3.1 Riduzione della domanda di prestazione

In generale il rischio sismico gravante su una certa area di territorio è il risultato di tre fattori combinati tra loro:

a) la pericolosità sismica, ovvero la probabilità che in un certo luogo ed in un preciso intervallo di tempo possa avvenire un terremoto di caratteristiche ben definite;

b) la vulnerabilità, ossia predisposizione delle strutture a subire un danneggiamento più o meno elevato a seguito di un evento sismico, delle attività a subire danni o interruzioni e delle persone a correre rischi di essere ferite più o meno gravemente;

c) l’esposizione, legata alla dislocazione sul territorio di beni di valore, di aree densamente popolate e di attività produttive che possono essere influenzate da un evento sismico.

La pericolosità sismica del territorio è una componente non modificabile del rischio sismico, così come la modifica dell’esposizione è una operazione di difficile attuazione poiché comporterebbe un trasferimento di attività, persone e beni di difficilissima od

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impossibile attuazione se non in rarissimi casi. Per cui la possibilità di mitigare il rischio sismico trova il suo strumento più diretto e di immediato impatto nella riduzione della vulnerabilità.

La maggior parte degli edifici esistenti sono stati progettati con normative ormai obsolete, spesso senza alcun riguardo ad alcun tipo di azione orizzontale ed assolutamente privi di qualsiasi dettaglio o accorgimento antisismico. Questo porta spesso alla formazione di rotture fragili negli elementi ancor prima dello sviluppo di cerniere plastiche o, talvolta, in un secondo momento rispetto allo sviluppo di plasticizzazioni per flessione, ma comunque sempre per piccole deformazioni, portando l’elemento ad una crisi prematura . Una strategia tipica, per questo tipo di strutture può consistere nel limitare la domanda sismica, in termini di forza e deformazione, sui componenti fragili, aggiungendo rigidezza riguardo gli spostamenti orizzontali o riducendo l’input sismico. Come noto, un incremento di rigidezza si traduce in una riduzione del periodo proprio della struttura e questo, a sua volta, implica la riduzione della richiesta sismica in termini di spostamento, ma non di accelerazione (Figura 2. 9).

Figura 2. 9: strategia d’intervento che prevede la riduzione della domanda di prestazione attraverso l’incremento della rigidezza

2.3.1.1 Incremento della rigidezza e della resistenza

Esistono vari metodi per ottenere un aumento di rigidezza, fra cui l’inserimento di pareti strutturali, controventi in acciaio o l’aggiunta di nuovi telai. Questo metodo risulta particolarmente efficiente quando la struttura esistente ha molti elementi che vanno in crisi per contenute deformazioni totali del sistema, come ad esempio pilastri con

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armatura trasversale insufficient che possono avere crisi per taglio per piccoli livelli di deformazione. In questo caso, un intervento che preveda l’incamiciatura dei pilastri può risultare piuttosto costoso in termini economici e limitante per l’aspetto funzionale dell’edificio. Può essere più conveniente pensare ad un intervento che preveda l’inserimento di elementi irrigidenti, come controventi o pareti in c.a., solo sul perimetro dell’edificio, limitando al massimo ogni intrusione nello spazio interno. La soluzione si presta bene anche al caso in cui sia necessario eliminare il martellamento fra edifici esistenti o, l’installazione di particolari componenti sensibili allo spostamento di interpiano, richieda un intervento teso alla limitazione dello stesso.

Un altro vantaggio di aggiungere un nuovo sistema irrigidente consiste nella possibilità di ridurre o eliminare, attraverso un attento bilanciamento delle caratteristiche del nuovo sistema, le irregolarità in pianta ed in altezza che possono caratterizzare le vecchie strutture.

Un problema tipico consiste nel riuscire ad individuare un buon posizionamento, all’interno dell’edificio, dei nuovi componenti, spesso di dimensioni tutt’altro che trascurabili, senza comprometterne l’aspetto funzionale e la qualità architettonica. Purtroppo, accade spesso che la soluzione che dà luogo una risposta ottimale da un punto di vista anti-sismico, sia proprio quella maggiormente lesiva nei confronti delle caratteristiche intrinseche dell’edificio. In tal senso è necessaria un’ottima comunicazione fra il proprietario dell’immobile e l’ingegnere, in modo che la soluzione finale riesca a coniugare tutte le varie esigenze in gioco.

Un altro aspetto da evidenziare consiste nell’incremento di peso proprio conseguente all’installazione dei nuovi elementi strutturali, in minore quantità nel caso dei controventi in acciaio, spesso elevato nel caso della creazione di setti murari in c.a.. Questo comporta sicuramente una riflessione negativa sull’entità dell’azione sismica, in quanto proporzionale alla massa, ma, in particolare, si possono riscontrare problemi nel sistema di fondazione, originariamente non dimensionato per sopportare un tale incremento di carico.

Appare evidente che occorre sottoporre ad attenti controlli i vari diaframmi, la cui rigidezza nel piano è un elemento indispensabile per assicurare una corretta ripartizione delle forze, e valutare anche la qualità delle connessioni con il nuovo sistema strutturale. Attente verifiche vanno comunque estese a tutti gli elementi strutturali che possono

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essere sottoposti alla formazione di meccanismi locali di collasso, dovuti ad un cambiamento del loro stato tensionale, conseguente al mutato schema statico. E’ questo il caso, ad esempio, di pilastri esistenti utilizzati come elementi perimetrali di nuovi setti murari o controventi.

Particolari precauzioni vanno adottate per assicurare un corretto trasferimento delle forze inerziali in fondazione attraverso i nuovi componenti. Infatti la quasi totalità dell’azione sismica viene convogliata sul nuovo sistema irrigidente e quindi sulle fondazioni dei telai perimetrali che possono risultare eccessivamente sollecitati e quindi inadatti a sopportare la nuova configurazione strutturale. Parlando di edifici esistenti, molto spesso progettati senza alcun riguardo ad alcun tipo di azione orizzontale, è immediato concludere che quasi sempre saranno necessari interventi in fondazione. L’entità di questi dipende dal caso specifico; comunque, l’onerosità degli interventi associati a questo tipo di lavoro (si pensi alla frequente necessità di consolidamento con pali o micropali), può portare spesso a preferire altre strategie d’intervento o addirittura pensare alla demolizione e ricostruzione dell’edificio.

2.3.1.2 Isolamento sismico

L’isolamento sismico realizza la strategia di riduzione della domanda in maniera globale, abbattendo drasticamente l’energia trasmessa dal suolo all’intera struttura. Questo intervento consiste essenzialmente nel disaccoppiare il moto del terreno da quello della struttura, introducendo una sconnessione lungo l’altezza della struttura stessa, (generalmente alla base, nel caso degli edifici) che risulta quindi suddivisa in due parti: la sottostruttura, rigidamente connesa al terreno, e la sovrastruttura. La continuità strutturale, e con essa la trasmissione dei carichi verticali al terreno, è garantita attraverso l’introduzione, fra sovrastruttura e sottostruttura, di particolari apparecchi di appoggio, detti isolatori, caratterizzati da un’elevata deformabilità e/o da una bassa resistenza al moto in direzione orizzontale e, normalmente, da una notevole rigidezza in direzione verticale.

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Figura 2. 10 principio di funzionamento dell’isolamento sismico. L’edificio isolato, sotto l’azione del sisma, trasla come un corpo rigido sugli isolatori, nei quali sono concentrate tutte le

deformazioni laterali [2.5]

La sottostruttura, generalmente molto rigida, subisce all’incirca la stessa accelerazione del terreno, mentre la sovrastruttura fruisce dei benefici derivanti dall’aumento di deformabilità conseguente all’introduzione degli isolatori. Gli spettri di risposta in termini di accelerazioni della maggior parte dei terremoti, infatti, presentano una forte amplificazione nell’intervallo 0.2-0.8 sec, dove cade il periodo proprio di vibrazione di molte delle usuali strutture fisse alla base. L’aumento di deformabilità conseguente all’introduzione degli isolatori porta il periodo proprio del sistema strutturale in una zona dello spettro a più bassa accelerazione. Di conseguenza, le accelerazioni prodotte dal sisma sulla struttura isolata risultano drasticamente minori rispetto a quelle prodotte nella configurazione a base fissa (vedi fig. 2.11) a tal punto che la struttura può essere agevolmente progettata per resistere a terremoti violenti senza dover subire danni alle parti strutturali. Naturalmente l’aumento del periodo comporta anche un incremento degli spostamenti (vedi fig 2.11) che però si concentrano nel sistema di isolamento, dove viene assorbita e dissipata gran parte dell’energia immessa dal terremoto.

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Figura 2. 11 esempio di effetto dell’isolamento sismico su forze e spostamenti

La sovrastruttura si comporta quasi come un corpo rigido, subendo spostamenti relativi di interpiano molto contenuti. Di conseguenza si riducono drasticamente, o si eliminano totalmente, anche i danni alle parti non strutturali. Per evitare eccessivi spostamenti del sistema di isolamento, che risulterebbero condizionanti nella progettazione degli impianti a terra o dei giunti di separazione con strutture adiacenti, il sistema di isolamento nel suo insieme può essere dotato di un’elevata capacità dissipativa.

L’isolamento sismico può realizzarsi secondo diverse strategie, che possono ricondursi essenzialmente a due:

• Incremento del periodo, senza o con dissipazione di energia;

• Limitazione della forza, senza o con dissipazione di energia.

Nella strategia dell’incremento del periodo si utilizzano dispotivi a comportamento quasi-elastico per abbattere le accelerazioni sulla struttura. In un’interpretazione energetica del comportamento del sistema strutturale, la riduzione degli effetti sulla struttura è conseguita principalmente attraverso l’assorbimento nei dispositivi di gran parte dell’energia sismica in imput, sotto forma di energia di deformazione, in buona parte dissipata per isteresi dai dispositivi stessi al completamento di ogni ciclo di oscillazione. La dissipazione di energia del sistema di isolamento riduce sia gli spostamenti alla base, che, entro certi limiti, le forze trasmesse alla sovrastruttura. Nella strategie della limitazione della forza si utilizzano dispositivi a comportamento rigido- o elastico- perfettamente plastico, o comunqua fortemente non lineare, con un

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ramo pressoché orizzontale per grandi spostamenti (incrudimento quasi nullo). La riduzione degli effetti sulla struttura avviene attraverso la limitazione, da parte dei dispositivi, della forza trasmessa alla sovrastruttura. L’imposizione di un limite massimo alla forza trasmessa può essere vista anhe come un’applicazione del capacity design a livello di sistema strutturale, nella quale viene stabilita una gerarchia tra la resistenza globale della struttnura e la “resistenza” del sistema di isolamento. La dissipazione d’energia del sistema di isolamento è sfruttata essenzialmente per contenere gli spostamenti alla base. Ciò si traduce anche in una riduzione della forza trasmessa nel caso d’incrudimento non trascurabile. Le variazioni brusche di rigidezza tipiche di alcuni legami fortemente non lineari possono comportare maggiori valori delle accelerazioni nella parte alta della sovrastruttura.

I benefici derivanti dall’adozione dell’isolamento sismico sono molteplici. La sensibile riduzione delle accelerazioni sulla struttura, rispetto alla configurazione a base fissa, determina infatti:

• l’abbattimento delle forze di inerzia, e quindi delle sollecitazioni, prodotte dal sisma sulla struttura, tale da evitare il danneggiamento degli elementi strutturalim anche sotto terremoti violenti;

• una drastica riduzione degli spostamenti di interpiano, tale da eliminare il danno agli elementi non strutturali (tamponature, tramezzi, etc.) e garantire la piena funzionalità dell’edificio, anche a seguito di un terremoto violento;

• un’elevata protezione del contenuto non strutturale;

• una minore percezione delle scosse sismiche da parte degli occupanti.

Quanto detto si traduce in una drastica riduzione o nel totale azzeramento dei costi di riparazione dell’edificio a seguito di un evento sismico di elevata intensità. Rispetto ad una normale struttura antisismica, i costi iniziali possono essere leggermente superiori ma possono anche risultare inferiori, essendo funzione di numerosi parametri, quali:

• le dimensioni e, soprattutto, il numero di piani;

• la configurazione dell’edificio, in relazione alla facilità di sistemare il piano di isolamento;

• la maglia strutturale, in relazione al numero di dispositivi necessari per realizzare il sistema di isolamento;

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• la presenza di edifici in adiacenza, in relazione alla realizzazione di giunti di separazione e alle relative problematiche architettoniche ed impiantistiche;

• il tipo di dispositivi del sistema di isolamento.

In particolare il numero di piani può risultare sfavorevole se troppo piccolo o troppo grande. Nel primo caso, perché l’incidenza del costo dei dispositivi e delle maggiori lavorazioni sulla struttura nel piano di isolamento si ripartisce su un numero limitato di piani. Nel secondo caso perché il periodo della struttura, considerata a base fissa, può risultare elevato e tale da limitare i vantaggi dell’isolamento in termini di riduzione delle forze sismiche.

Gli indubbi vantaggi di tipo socio-economico dell’isolamento sismico si apprezzano ancora di più negli edifici che, per la funzione ivi svolta, devono rimanere operativi dopo un terremoto violento, ad esempio gli ospedali o i centri operativi per la gestione delle emergenze (centri di protezione civile, caserme dell’Esercito e dei Vigili del Fuoco, etc.), oppure nelle strutture il cui contenuto ha un valore di gran lunga superiore a quello della struttura stessa (scuole, musei, banche etc.) o in quelle ad alto rischio ambientale (centrali nucleari o chimiche, etc.).

2.3.1.3 Dissipazione passiva

Gli attuali codici normativi consentono, nella pratica progettuale, di utilizzare delle azioni sismiche di progetto ridotte, rispetto a quelle calcolate in ipotesi di risposta elastica della struttura. Tale possibilità è basata sull’assunzione che una costruzione adeguatamente dettagliata può sviluppare una serie di risorse post-elastiche in grado di garantire un’adeguata dissipazione di energia, che le consentano di resistere al terremoto di progetto senza danni catastrofici. In Italia, con l’Ordinanza 3274 e successive rivisitazioni, fino all’attuale D.M. 14/01/2008, è stato introdotto a tale scopo il fattore di struttura q, il quale assume diversi valori in relazione alla tipologia strutturale dell’edificio in esame. Tuttavia, seppure il comportamento inelastico nelle travi, nei controventi o negli altri elementi strutturali consente di dissipare una discreta

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quantità dell’energia introdotta dal sisma, esso corrisponde ad un danneggiamento strutturale che, generalmente, tende ad aumentare con il susseguirsi dei cicli inelastici. Tale fenomeno può essere ridotto o eliminato se l’energia introdotta dal sisma viene dissipata in appositi dispositivi (dampers), disposti in parallelo con il sistema resistente ai carichi verticali (Figura 2. 12, Figura 2. 13). Da questo

punto di vista, questa strategia è particolarmente interessante per due motivi principali:

• risulta notevolmente ridotto il livello di danneggiamento del sistema strutturale principale, portante i carichi verticali. Questo consente di ridurre i costi degli interventi di riparazione post-sismici;

• i dissipatori eventualmente danneggiati a seguito di un terremoto possono essere facilmente sostituiti, senza compromettere in alcun modo l’efficienza dei telai portanti i carichi verticali.

Figura 2. 12: Principio di funzionamento della dissipazione energetica. I dispositivi sottoposti a spostamenti relativi orizzontali durante il sisma, dissipano gran parte dell’energia trasmessa dal

terremoto, impedendo il danneggiamento della struttura [2.5].

Dato che il danno sismico del sistema strutturale o non strutturale è principalmente dovuto ad un eccesso di spostamento di interpiano, è effettivamente possibile utilizzare i dissipatori per ridurre la risposta dell’edificio in termini di spostamento. Al crescere del livello di smorzamento, tale riduzione si traduce in forze inerziali più basse, minori richieste di deformazione per i singoli elementi costituenti la struttura e non strutturali. Quest’ultimo aspetto non è trascurabile, visto gli ingenti costi di riparazione che

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possono interessare alcuni degli elementi non strutturali, conseguentemente ad un evento sismico di entità da bassa a moderata.

Figura 2. 13: comportamento elasto-viscoso equivalente del sistema telaio+controvento Dissipativi [2.6]

Per applicazioni nell’ambito degli edifici, i sistemi dissipativi sono ovviamente meno efficaci di quelli d’isolamento, perché lasciano entrare inalterata l’energia sismica nella struttura e perché, per attivarsi e funzionare, hanno la necessità che quest’ultima si deformi (non possono, quindi, ridurre gli spostamenti relativi di interpiano nella stessa misura con cui riescono a farlo i sistemi d’isolamento).

Questa tecnica, però, è particolarmente utile nel caso in cui l’isolamento sismico non sia applicabile o sia sconsigliato. Negli edifici esistenti è spesso infatti economicamente non conveniente realizzare un sistema di isolamento che implicherebbe un intervento in fondazione, e l’adeguamento mediante sistemi dissipativi si rivela un’ottima alternativa.

2.3.1.4 Riduzione della massa

In certi casi, la riduzione della massa può essere un metodo di adeguamento efficace e poco costoso. Infatti diminuisce il periodo proprio di oscillazione della struttura, così come le forze di inerzia e la domanda in spostamento. Ciò è possibile attraverso tre soluzioni:

• la sostituzione di componenti strutturali con altri ugualmente resistenti ma più leggeri;

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• l’eliminazione o sostituzione di componenti non strutturali ed impianti;

• il cambio della destinazione d’uso, con conseguente riduzione dell’aliquota di sovraccarichi accidentali che contribuiscono alla massa sismica globale (secondo le NTC 2008)

L’estrema applicazione di questa tecnica può eventualmente condurre all’eliminazione di uno o più piani dell’edificio esistente. Sebbene la riduzione della massa può essere una tecnica efficace ed in alcuni casi attraente, generalmente ha un’importanza marginale e solo raramente rappresenta una soluzione applicabile senza far ricorso anche ad altre strategie.

2.3.2 Aumento della capacità di prestazione in termini di deformazione

Nel caso in cui le tecniche sopra esposte non si adattino al caso specifico, o per motivi strutturali o perché scarsamente compatibili con le funzioni dell’edificio, un’alternativa strategica può essere quella di incrementare la capacità deformativa della struttura, piuttosto che limitare la richiesta sismica.

La capacità deformativa di un elemento strutturale può essere incrementata spostandone la modalità di crisi, da fragile a duttile. Per esempio, un pilastro può essere incamiciato in c.a. o con piatti in acciaio, o fasciato con fogli in FRP (Fibre Reinforced Plastic) per aumentare la resistenza a taglio, o può essere separato da un muro adiacente per aumentarne la lunghezza di inflessione. I vari approcci e tecniche possibili sono esposti al paragrafo 5.

La Figura 2. 14 rappresenta questa strategia; nel caso specifico, l’incremento della capacità deformativa è ottenuto senza apprezzabili modifiche in termini di rigidezza e resistenza e, conseguentemente, non è cambiata la domanda sismica.

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Figura 2. 14: strategia d’intervento che prevede l’incremento della capacità di deformazione

2.4 Approcci normativi attuali

La progettazione di un intervento su un edificio esistente, teso a conseguire un adeguato livello di sicurezza verso le azioni sismiche, presenta molti più problemi di quella relativa agli edifici di nuova costruzione, come testimoniato da numerosi lavori, tra cui quello di Nardini, Salvatore et al (2007) a cui il presente paragrafo fa costante riferimento. Tali problemi sono principalmente da rapportare alla presenza di fattori di vulnerabilità sismica legati alla morfologia strutturale, al tipo di materiale impiegato e agli elementi strutturali utilizzati, che sono il riflesso della filosofia concettuale e della pratica costruttiva del tempo. Sebbene è frequente il caso di strutture preesistenti che non possano essere adeguate in modo completo ai livelli di azione sismica considerati dalle attuali normative, la disponibilità di materiali sempre più avanzati permette comunque, al progettista, di trovare delle soluzioni quantomeno accettabili.

La progettazione sismica prestazionale, di recente introduzione nelle normative grazie agli sforzi della comunità tecnico-scientifica, ha l’obiettivo di fornire “prestazioni strutturali” prevedibili per gli edifici sottoposti a determinati eventi sismici. Essa è

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basata sulla definizione di livelli di prestazione strutturale multipli, intesi in genere come livello di danneggiamento delle membrature e/o degli elementi secondari, che possono essere raggiunti, o non superati, quando la struttura è soggetta a vari (multipli) livelli dell’azione sismica, identificati in genere con parametri quali l’accelerazione di picco al suolo. Il metodo di progettazione in esame prevede la definizione di un determinato livello atteso di danneggiamento, valutato con analisi strutturali più o meno sofisticate.

Le normative attuali, in vigore sia in Europa che negli Stati Uniti, definiscono in modo quantitativo sia i livelli di prestazione attesa che i livelli di azione sismica da considerare, mediante l’utilizzo di analisi lineari e non lineari.

I metodi di analisi e le procedure di verifica definite, sono però valide per le nuove costruzioni, non affette da incertezze sui dettagli strutturali o la qualità dei materiali utilizzati. Per tale motivo, l’esecuzione delle analisi e delle procedure di verifica sugli edifici esistenti, risulta affetto da un certo grado di incertezza dipendente dalla conoscenza che si ha dei materiali e dei dettagli costruttivi. La normativa italiana, come quella europea ed americana, propone una metodologia basata sulla determinazione del livello di conoscenza della struttura, ossia tanto maggiori sono le informazioni disponibili sui materiali costituenti e sulla struttura, tanto più affidabili possono essere i risultati delle analisi strutturali effettuati su modelli idonei.

Le norme moderne hanno tentato di fornire una definizione dei livelli di prestazione che è possibile attendersi da un edificio, ponendo un livello fissato di danno e valutando i danni sia agli elementi strutturali che non strutturali.

L’EC 8 individua tre livelli prestazionali attesi:

1. stato limite di danno lieve (SDL): i danni alla struttura sono di modesta entità

senza significative escursioni in campo plastico; la resistenza e rigidezza laterali degli elementi portanti non sono compromesse e non sono necessarie riparazioni; gli elementi non strutturali presentano fessurazioni diffuse suscettibili di riparazioni di modesto impegno economico; le deformazioni residue sono trascurabili;

2. stato limite di danno severo (SDS): la struttura presenta danni importanti, con

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strutturali sono danneggiati ma senza espulsioni di tramezzi e tamponature; data la presenza di deformazioni residue la riparazione dell’edificio risulta in genere economicamente non conveniente;

3. stato limite di collasso (SCO): la struttura è fortemente danneggiata con ridotte

caratteristiche di resistenza e rigidezza residue, appena in grado di sostener ei carichi verticali; la maggior parte degli elementi non strutturali sono distrutti; l’edificio presenta fuori piombo significativi e non sarebbe in grado di subire senza collasso ulteriori, anche modeste, accelerazioni alsuolo.

Il D.M. 14/01/2008, relativamente agli S.L.E. individua i seguenti livelli prestazionale attesi:

1. Stato Limite di Operatività (SLO): a seguito del terremoto la costruzione nel suo

complesso, includendo gli elementi strutturali, quelli non strutturali, le apparecchiature rilevanti alla sua funzione, non deve subire danni ed interruzioni d'uso significativi;

2. Stato Limite di Danno (SLD): a seguito del terremoto la costruzione nel suo

complesso, includendo gli elementi strutturali, quelli non strutturali, le apparecchiature rilevanti alla sua funzione, subisce danni tali da non mettere a rischio gli utenti e da non compromettere significativamente la capacità di resistenza e di rigidezza nei confronti delle azioni verticali ed orizzontali, mantenendosi immediatamente utilizzabile pur nell’interruzione d’uso di parte delle apparecchiature;

relativamente agli S.L.U.:

1. Stato Limite di salvaguardia della Vita (SLV): a seguito del terremoto la

costruzione subisce rotture e crolli dei componenti non strutturali ed impiantistici e significativi danni dei componenti strutturali cui si associa una perdita significativa di rigidezza nei confronti delle azioni orizzontali; la costruzione conserva invece una parte della resistenza e rigidezza per azioni verticali e un margine di sicurezza nei confronti del collasso per azioni sismiche orizzontali;

2. Stato Limite di prevenzione del Collasso (SLC): a seguito del terremoto la

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impiantistici e danni molto gravi dei componenti strutturali; la costruzione conserva ancora un margine di sicurezza per azioni verticali ed un esiguo margine di sicurezza nei confronti del collasso per azioni orizzontali.

La stessa norma, prescrive che la valutazione della sicurezza e la progettazione degli interventi sugli edifici esistenti possono essere eseguiti con riferimento ai soli S.L.U.; si aggiunge inoltre che le verifiche agli S.L.U. possono essere eseguite rispetto alla condizione di salvaguardia della vita umana (SLV) o, in alternativa, alla condizione di collasso (SLC).

La conoscenza approfondita delle caratteristiche strutturali di un edificio, ossia delle proprietà meccaniche dei materiali, della condizione dei vari elementi strutturali e dei dettagli costruttivi, è indispensabile per eseguire un’analisi del livello di sicurezza posseduto da un edificio nei confronti delle azioni sismiche. Per tale motivo, un accurato esame dei progetti originari, delle relazioni di calcolo, dei certificati di prova dei materiali eseguiti prima e durante la costruzione e dei possibili interventi di modifica subiti fornirebbero informazioni fondamentali. L’aggiunta dei rilievi strutturali e geometrici in-situ e della valutazione delle reali proprietà meccaniche dei materiali, fornisce il “livello di conoscenza” della struttura indagata.

L’EC 8, la OPCM 3431 e il DM 14/01/2008 prevedono tre livelli di conoscenza (LC):

• LC1, conoscenza limitata;

• LC2, conoscenza adeguata;

• LC3, conoscenza accurata.

A seconda del livello di conoscenza che si vuole raggiungere, variano la quantità di elementi da indagare e il numero di campioni di materiale da provare.

La norma americana FEMA 356 considera, invece, due soli livelli di conoscenza:

• conoscenza minima;

• conoscenza esauriente

la cui definizione avviene in modo simile a quanto proposto sia nell’EC 8 che nella norma italiana.

Per le resistenze di calcolo dei materiali, l’EC 8 ed il D.M. 14/01/2008 utilizzano un coefficiente di confidenza, detto fattore di confidenza FC, che riassume l’attendibilità e

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l’estensione delle indagini eseguite in termini di “conoscenza del costruito” (tab. 2.1). La norma FEMA definisce un fattore di conoscenza, k, il cui valore è 0.75 per il livello di conoscenza limitato, e 1.0 per il livello di conoscenza approfondito.

Fattore di confidenza Ord. 3431 EC8 LC1 1.35 1.2 LC2 1.2 1.0 LC3 1.0 0.8 calcestruzzo fcd=fc/(γc FC) armatura fsd=fs/(γs FC) muratura fmd=fm/(γm FC)

Tabella 2. 1: fattore di confidenza secondo le NTC e l’EC8

Il livello di conoscenza è un parametro che influenza anche la metodologia di analisi, infatti, una conoscenza approssimativa delle proprietà meccaniche dei materiali consente la definizione di modelli di calcolo semplificati ed a comportamento lineare, mentre una conoscenza approfondita della costruzione, sia in termini di dettagli strutturali che meccanici, consente la realizzazione di modelli di calcolo sofisticati, in grado di cogliere anche la risposta non-lineare dei materiali sottoposti ad azioni sismiche.

Tutte le norme precedentemente elencate (FEMA 547, EC 8, D.M. 14/01/2008) consentono quattro diversi metodi di analisi:

• analisi statica lineare;

• analisi dinamica modale;

• analisi statica non-lineare;

• analisi dinamica non-lineare.

La scelta dipende dalla capacità di una certa metodologia di predire adeguatamente la risposta di una determinata struttura all’azione sismica e dalla conoscenza che si ha della costruzione; infatti, la possibilità di poter definire un modello di calcolo non-lineare in grado di fornire risultati affidabili e rappresentativi della costruzione in esame passa necessariamente dalla conoscenza completa delle proprietà meccaniche dei materiali.

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I metodi di analisi elastica (statica equivalente e dinamica modale) sono approcci originariamente pensati per la progettazione di nuovi edifici in zona sismica, in cui viene utilizzato un valore dell’azione sismica opportunamente ridotto di un fattore q che dipende dal comportamento della struttura a livello complessivo, nell’ipotesi che siano comunque attuate tutta una serie di prescrizioni di dettaglio costruttivo tese a garantire un comportamento globale di tipo duttile.

Relativamente alle strutture esistenti in c.a., il D.M. 14/01/2008 prevede due modalità di analisi lineare: l’analisi statica lineare con spettro elastico e l’analisi statica lineare con fattore q.

Il primo metodo è applicato utilizzando lo spettro elastico e non quello di progetto, eseguendo verifiche di deformabilità sugli elementi a comportamento duttile e verifiche di resistenza sugli elementi a comportamento fragile, considerati nella condizione di collasso, ovvero in cui tutti gli elementi duttili ad essi collegati hanno raggiunto la loro massima deformazione. In tal modo, la verifica si svincola dal dover considerare il coefficiente di struttura, spostando il problema dall’esecuzione di verifiche di resistenza per tutti gli elementi strutturali ad una verifica della capacità strutturale deformativa che si traduce nella possibilità di sviluppare un meccanismo dissipativo dell’energia. Infatti, a parte il caso in cui una costruzione possieda la resistenza necessaria ad assorbire il sisma in campo elastico, i metodi di analisi lineare non sono in grado di restituire adeguatamente la richiesta sismica di ogni singolo elemento strutturale. Questo perché con tale metodo non è assolutamente possibile stimare la risposta strutturale in campo inelastico.

Con il secondo metodo è possibile utilizzare lo spettro di progetto che si ottiene riducendo le ordinate dello spettro elastico di un coefficiente detto fattore di struttura q, il cui valore è scelto nel campo fra 1.5 e 3 sulla base della regolarità nonché dei tassi di lavoro dei materiali sotto le azioni statiche. Le verifiche sono quelle classiche in termini di resistenza. Il problema principale è che la normativa non fornisce ulteriori indicazioni per la quantificazione di q, a differenza del caso degli edifici di nuova costruzione, dove sono assegnati determinati valori in funzione: del livello di duttilità attesa, della tipologia strutturale e della regolarità dell’edificio, ma sempre nell’ipotesi che siano comunque attuate tutta una serie di prescrizioni di dettaglio costruttivo tese a garantire un comportamento duttile globale. Nel caso degli edifici esistenti risulta infatti piuttosto

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complicato definire in modo affidabile il fattore di struttura q che li caratterizza. Questo per le difficoltà di poter considerare implicitamente l’assorbimento in campo non-lineare, essendo tale fattore dipendente fortemente dalle proprietà post-elastiche dei materiali, dalla localizzazione delle deformazioni plastiche nonché dalla configurazione morfologica della costruzione.

2.5 Stato dell’arte dei sistemi di adeguamento sismico

In letteratura, le tecniche di adeguamento sismico sono classificate in modi diversi, a seconda dell’aspetto privilegiato: si distinguono in locali o globali, in relazione all’entità dell’intervento; in selettive o multiple, in relazione all’influenza su uno o più aspetti del comportamento strutturale (ad esempio resistenza, rigidezza o duttilità); in tecniche che riducono la domanda sismica o tecniche che aumentano le prestazioni della struttura. Nel seguito, avendo inteso quest’ultima classificazione come una distinzione legata soprattutto agli aspetti strategici che

stanno a monte della singola tecnica e di cui si è già discusso al Paragrafo 3, si è preferito adottare, in accordo con quanto espresso in Fib Bulletin 24 [2.2], una classificazione delle tecniche in locali o globali.

Tale classificazione risulta particolarmente agevole perché l’analisi sismica preliminare condotta sull’edificio è in grado di fornire informazioni sulla caratterizzazione e dislocazione dei punti di crisi all’interno della maglia strutturale. Dunque, se l’analisi ha identificato carenze di capacità deformativa in pochi ed isolati elementi, potrebbe essere utile far ricorso ad una tecnica di intervento locale; viceversa, se sono state messe in luce una quantità maggiore di carenze in varie parti dell’edificio, probabilmente risulta più conveniente adottare una tecnica di intervento globale.

La maggior parte delle tecniche presentate modifica allo stesso tempo, intenzionalmente o meno, più di una proprietà dei parametri caratterizzanti la risposta dell’elemento (resistenza, rigidezza, duttilità, capacità di dissipazione dell’energia). In tal caso, è stata utilizzata la dicitura di tecniche multiple per distinguerle da quelle selettive, che, invece, modificano non più di un parametro significativo alla volta.

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2.5.1 Tecniche di intervento locali con effetti multipli

2.5.1.1 Tecniche di riparazione di elementi danneggiati in c.a.

Nel caso di intervento su un elemento danneggiato, se il danno viene valutato di entità limitata, è possibile scegliere una tecnica di riparazione, piuttosto che rafforzamento. Se i danni sono di maggiore entità, caratterizzati ad esempio da parti del nucleo in calcestruzzo racchiuso dalle staffe distrutte, e/o da barre dell’armatura longitudinale fratturate o instabilizzate, non è possibile recuperare completamente le sue originali caratteristiche di resistenza e capacità deformativa con un intervento di semplice riparazione; in tal caso, viene generalmente preferita una tecnica di incamiciamento dell’elemento.

Comunemente le tecniche di riparazione consistono in una o più delle seguenti misure (fig.2.15):

• iniezione nelle fessure di malta o resina epossidica;

• ricostruzione delle parti mancanti di calcestruzzo;

• riposizionamento dell’armatura.

Figura 2. 15: applicazione di resina epossidica per la riparazione di elementi fessurata [2.2]

Si fa notare che, in ambito scientifico, tali tecniche non nutrono ovunque lo stesso rispetto. Alcuni dubbi sono stati mossi sulla loro effettiva efficacia e controllabilità. In particolare, nel caso di iniezioni con resina epossidica, è molto difficile accertarsi del grado di penetrazione della resina, nella complessa configurazione fessurativa, conseguente ai carichi ciclici indotti dal sisma. Incerto risulta anche il livello di rigidezza raggiunto e lo spostamento per cui iniziano ad essere efficaci le parti riparate.

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2.5.1.2 Incamiciatura in c.a.

A seguito di un ottimo rapporto benefici-costi, questa tecnica è stata, negli ultimi venti o trenta anni, di gran lunga la più utilizzata per il miglioramento sismico di edifici in cemento armato. Tale successo è legato ad una serie di fattori diversi:

• la familiarità degli ingeneri, dei costruttori e degli operai con il campo di applicazione del cemento armato;

• l’adattabilità anche al caso di elementi seriamente danneggiati a seguito di eventi sismici. In tale circostanza, l’efficacia di questa soluzione consiste nel fatto che la ricostruzione delle parti distrutte in calcestruzzo è fatta con la stessa operazione del getto dell’incamiciatura e che non è necessaria la ricostituzione delle barre d’armatura fratturate o instabilizzate, poiché l’armatura è già presente nella camicia in cemento armato;

• la versatilità tipica del cemento armato e la sua caratteristica di riuscire ad adottare qualsiasi forma desiderata, e quindi la capacità di inglobare qualsiasi tipo di elemento e di creare un’adeguata continuità fra i diversi elementi;

• la possibilità di intervenire contemporaneamente su più parametri. L’incamiciatura è infatti ancora l’unico modo per incrementare allo stesso tempo la rigidezza, la resistenza flessionale, la resistenza a taglio, la capacità deformativa, l’ancoraggio e la continuità dell’armatura nelle zone critiche. I primi due effetti sono legati all’aumento della sezione trasversale e dell’armatura longitudinale, mentre gli ultimi tre sono principalmente dovuti all’incremento di armatura trasversale, che agisce direttamente contro il taglio, aumenta il confinamento e riduce il fenomeno di instabilizzazione dell’armatura longitudinale;

• è un sistema comune ed effettivamente efficace per trasformare un sistema strutturale, caratterizzato da trave forte e pilastro debole, con scarse prestazioni da un punto di vista sismico, in uno piùin linea con il principio della gerarchia delle resistenze, che prevede pilastro forte e trave debole;

• con questa tecnica, a differenza di altre tecniche di intervento locali, è possibile estendere l’armatura oltre l’elemento ed attraverso i nodi. Migliora dunque la

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risposta in termini di continuità strutturale e di prestazione degli elementi proprio nelle zone più critiche da un punto di vista sismico.

Parallelamente presenta anche una serie di svantaggi piuttosto pesanti in rapporto ad altre tecniche di intervento locali:

• per ottenere le prestazioni desiderate, generalmente, si deve far ricorso a sezioni trasversali piuttosto grandi. Ciò può rappresentare un serio problema di compatibilità con le funzioni dell’edificio o nel caso di muri e pilastri in costruzioni dove l’area di calpestio è minima.

• Aumento della massa e conseguentemente dell’azione sismica.

• è peggiore di ogni altra tecnica in termini di invasività e durata dei lavori, produzione di polveri e detriti (specialmente se si utilizza la tecnica dello

shotcrete, si veda il paragrafo 5.3.1), rumore, sicurezza e salute degli operai.

Costruttivamente questa tecnica viene realizzata con uno strato di spessore variabile, a seconda del caso, di cemento armato generalmente gettato in opera oppure realizzato tramite shotcrete (si veda il paragrafo 5.3.1), attorno all’elemento oggetto dell’intervento. Il nuovo strato è armato con armatura longitudinale e trasversale in modo del tutto simile ai nuovi elementi in cemento armato.

Chiaramente, per un effettivo incremento della resistenza flessionale, l’armatura deve essere prolungata oltre i piani, sia sopra che sotto, attraverso fori appositamente creati nella soletta (Figura 2.16). Per evitare di forare le travi su tutti i lati della sezione trasversale di contatto fra queste ed i pilastri, le armature sono concentrate negli angoli della nuova sezione, spesso in accoppiamento. Invece, l’ancoraggio alla fondazione della nuova armatura longitudinale, sempre al fine di ottenere anche un incremento della resistenza flessionale, può essere realizzato incrementando la larghezza dell’elemento di fondazione in modo tale da inglobare l’incamiciatura; in tal caso sarà già possibile dimensionare la nuova sezione della fondazione, in modo tale da resistere all’inevitabile aumento di domanda di prestazione. Un altro sistema consiste nel fissare, attraverso collanti particolari, dei ferri in fori verticali appositamente creati nella fondazione e collegarvi per sovrapposizione quelli dell’armatura verticale dell’incamiciatura, al di fuori della zona di plasticizzazione dei pilastri.

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Figura 2. 16: collegamento dell’armatura attraverso il solaio

Figura 2. 17: esempi di interventi di rinforzo locale di alcuni pilastri attraverso la tecnica dell’incamiciatura in c.a.

Tipicamente, lo spessore della camicia in cemento armato deve essere di almeno 7.5-10 cm, al fine di creare un adeguato ricoprimento dei ferri longitudinali e delle staffe. Per tali spessori risulta conveniente far ricorso alla tecnica dello “shotcrete” mentre, nel caso di dimensioni maggiori, è necessario gettare in opera con casseformi.

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Per migliorare sia la resistenza a taglio che il confinamento e provvedere un adeguato sistema di contenimento in grado di ridurre eventuali problemi legati all’instabilità a carico di punta dell’armatura longitudinale, è posizionato lungo tutto il perimetro, ed a passi variabili da caso a caso, un sistema di staffe in acciaio, (Figura 2.17).

La staffatura deve estendersi per tutto lo sviluppo dell’incamiciatura ed anche nei nodi fra trave e pilastro, in appositi fori creati nelle travi. Sono disponibili tutta una serie di metodi per effettuare una corretta staffatura, che permettono di risolvere problemi costruttivi che possono essere connessi con il caso specifico. Ad esempio, per evitare di forare il nucleo del preesistente pilastro, la staffa può essere accompagnata con una o più staffe ottagonali, per impedire fenomeni di instabilizzazione di barre longitudinali non esattamente disposte sugli angoli.

Un sistema alternativo consiste nell’irruvidire la superficie del vecchio elemento ed inserire degli ammorsamenti ad un iterasse di circa mezzo metro. Gli ammorsamenti sono fissati in fori creati nell’elemento esistente con resine epossidiche o malte ed annegati nel nuovo elemento per quasi tutto il suo spessore. Poiché in ogni caso tale lunghezza non risulta sufficiente a garantire un perfetto ancoraggio, le barre costituenti gli ammorsamenti sono generalmente piegate a 90°. Tuttavia, alcune indagini sperimentali hanno dimostrato che la presenza dei suddetti ammorsamenti nella zona di plasticizzazione dei pilastri è spesso causa di crisi anticipata dello strato di calcestruzzo attorno ad essi.

Se l’intento dell’intervento è limitato ad incrementare la resistenza a taglio e la capacità di deformazione, senza alcun incremento della resistenza a flessione, la tecnica dell’incamiciatura risulta costruttivamente più facile perché non è richiesta la continuità fra i vari piani attraverso la soletta.

Di seguito sono riportate una serie di raccomandazioni per il dimensionamento e la verifica di elementi incamiciati in c.a., con armatura longitudinale completamente ancorata alle estremità, tratte dal Fib Bulletin 24 [2.2].

• l’elemento incamiciato può essere considerato come monolitico. Una superficie irruvidita fra vecchio e nuovo è considerata sufficiente a garantirne la moloticità. Per semplicità è possibile considerare la resistenza del calcestruzzo come quella dell’elemento nuovo, con la precisazione di evitare grandi differenze fra le due. Il carico assiale può essere considerato agente sull’intera sezione composta;

Figura

Figura 2. 9: strategia d’intervento che prevede la riduzione della domanda di prestazione  attraverso l’incremento della rigidezza
Figura 2. 11 esempio di effetto dell’isolamento sismico su forze e spostamenti
Figura 2. 13: comportamento elasto-viscoso equivalente del sistema telaio+controvento Dissipativi  [2.6]
Figura 2. 14: strategia d’intervento che prevede l’incremento della capacità di deformazione
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