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QUADRO CONOSCITIVO DEL DPP. Allegato A

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Academic year: 2021

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Progetto di un asilo nido e una scuola per l’infanzia, via Le Rene - Ospedaletto - Pisa.

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Allegato A

QUADRO CONOSCITIVO DEL DPP.

A.1 - SCALA DI INDAGINE.

Tra le difficoltà che emergono quando si devono eseguire delle indagini a carattere ambientale per poter effettuare le relative operazioni di verifica, c’è sicuramente la definizione del livello di approfondimento necessario per poter comprendere il più in dettaglio possibile i fenomeni fisici.

In primo luogo è necessario ricordare che deve essere definito l’obiettivo che si vuole perseguire e ad esso rapportare la raccolta e la elaborazione dei dati.

Non ha senso, ad esempio, avvalersi di un’indagine pluviometrica effettuata per realizzare un’opera idraulica (argine, briglia, ecc.) per la definizione di quella che potrebbe essere la disponibilità della risorsa acqua ai fini del contenimento del consumo della risorsa stessa. In tal caso avrà maggior senso considerare i valori medi mensili di un numero di anni significativo.

Ogni criterio, inoltre, ha la sua scala di indagine, in quanto da un lato esso deve essere rapportato, come detto, all’esigenza e dall’altro le fonti di informazione sono distribuite sul territorio in funzione dell’esigenza primaria per la quale sono state raccolte. In un’area provinciale, ad esempio, le stazioni pluviometriche sono nell’ordine di alcune decine, mentre le stazioni anemometriche sono al massimo due o tre; questo in quanto l’informazione “pioggia” è utilizzata per svariate esigenze (fognarie, irrigue, per il dimensionamento di opere idrauliche, ecc.) mentre l’informazione “vento” è stata utilizzata sino a pochi anni fa unicamente per motivi aeronautici o di carattere meteorologico.

Ne risulta evidentemente che la disponibilità di dati influenza in ogni caso la significatività del risultato. Il progettista deve quindi definire l’area di indagine ed il relativo livello di approfondimento in funzione dell’opera che intende realizzare.

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A.2 - VERIFICA DELLA DISPONIBILITÀ DI FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI, DI RISORSE RINNOVABILI O A BASSO CONSUMO ENERGETICO.

Per soddisfare questo specifico aspetto deve essere verificata la possibilità di sfruttare fonti energetiche rinnovabili presenti in prossimità dell’area di intervento, al fine di produrre energia elettrica e termica in modo autonomo a copertura parziale o totale del fabbisogno energetico dell’organismo edilizio progettato (si vedano, ad esempio le fonti informative delle aziende di gestione dei servizi a rete, i dati a disposizione delle Camere di Commercio, ecc.).

In relazione alle specifiche scelte progettuali effettuate vanno valutate le potenziali possibilità di:

- sfruttamento dell’energia solare (termico/fotovoltaico) in relazione al clima ed alla disposizione del sito;

- sfruttamento dell’energia eolica in relazione alla disponibilità annuale di vento;

- sfruttamento di eventuali corsi d’acqua come forza elettromotrice;

- sfruttamento di biomasse (prodotte da processi agricoli o scarti di lavorazione del legno esistenti a livello locale) e biogas (nell’ambito di processi produttivi agricoli);

- possibilità di collegamento a reti di teleriscaldamento urbano esistenti;

- possibilità di installazione di nuovi sistemi di microcogenerazione e teleriscaldamento.

A questo proposito risulterebbe utile un bilancio delle emissioni evitate di CO2,

attraverso l’uso delle energie rinnovabili individuate ed utilizzate.

L’ambito di questa analisi dovrebbe quindi consentire la verifica delle possibilità di sfruttamento di fonti energetiche rinnovabili. In altre parole, l’indagine dovrebbe fungere da stimolo per una verifica della vocazione del luogo all’uso di queste risorse alternative.

L’analisi può ridursi ad una ricognizione di dati desumibili dall’analisi del clima igrotermico (radiazione solare, numero medio di ore di soleggiamento giornaliero, ecc.), per valutare la possibilità di un eventuale sfruttamento dell’energia solare ed eolica. La presenza di corsi d’acqua sul sito potrebbe inoltre

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suggerire il loro utilizzo come forza elettromotrice mentre le possibilità di sfruttamento di biomasse e di biogas o l’eventuale installazione di sistemi di microcogenerazione e teleriscaldamento dipendono rispettivamente dalla presenza o meno di attività agricole o di lavorazione del legno a livello locale e dalla presenza/assenza di reti di teleriscaldamento urbane esistenti.

Come si può intuire, questi dati appartengono più propriamente all’ambito di analisi dei fattori ambientali e sono agevolmente ricavabili dalle conoscenze acquisite sull’uso del territorio agricolo ed urbanizzato.

Questa verifica è rivolta evidentemente ad accertare se, in un intorno significativo, esistono delle risorse (siano esse energetiche, di materie prime o di Materie Prime Secondarie – MPS - derivanti cioè da processi di lavorazione) o materiali di rifiuto, che possono essere utilizzati, efficacemente e con profitto nell’opera che si intende realizzare.

A.3 - GLI AGENTI FISICI CARATTERISTICI DEL SITO.

Come accennato la parte maggiormente impegnativa dell’analisi del sito consiste nella raccolta delle informazioni e dei parametri ambientali che risultano, talvolta, di difficile reperibilità.

E’ in tale contesto che sono state sviluppate le indicazioni riportate di seguito, sempre con l’intento di fornire un utile strumento di verifica all’analisi del sito. L’insieme delle considerazioni dovrebbero stimolare la ricerca, da parte del progettista, nell’individuazione di possibili soluzioni a problemi ambientali, mediante proposte ponderate, eseguite sulla base di elementi sufficientemente certi. Si ribadisce pertanto che l’elenco che segue non ha carattere vincolante, mente è da considerarsi inderogabile una opportuna analisi dei diversi fattori che deve essere eseguita nel modo più approfondito possibile e finalizzata alla realtà edilizia da progettarsi.

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A.4 - CLIMA IGROTERMICO E PRECIPITAZIONI.

In primo luogo devono essere reperiti i dati relativi alla localizzazione geografica dell’area di intervento (latitudine, longitudine e altezza media sul livello del mare).

In secondo luogo vanno reperiti i dati climatici (si vedano ad esempio la norma UNI 10349, i dati del Servizio meteorologico dell’ARPAT, le cartografie tecniche e tematiche regionali, ecc.) che possono essere così riassunti:

• andamento della temperatura dell’aria: massime, minime, medie, escursioni termiche;

• fenomeni di inversione termica;

• andamento della pressione parziale del vapore nell’aria; • andamento della velocità e direzione del vento;

• piovosità media annuale e media mensile;

• andamento della irradiazione solare diretta e diffusa sul piano orizzontale; • andamento della irradiazione solare per diversi orientamenti di una superficie; • caratterizzazione delle ostruzioni alla radiazione solare (esterne o interne all’area/comparto oggetto di intervento).

I dati climatici disponibili presso i servizi metereologici possono essere riferiti: • ad un particolare periodo temporale di rilevo dei dati;

• ad un “anno tipo”, definito su base deterministica attraverso medie matematiche di dati rilevati durante un periodo di osservazione adeguatamente lungo;

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• ad un “anno tipo probabile”, definito a partire da dati rilevati durante un periodo di osservazione adeguatamente lungo e rielaborati con criteri probabilistici.

Gli elementi reperiti vanno adattati alla zona oggetto di analisi per tenere conto di elementi che possono influenzare la formazione di un microclima caratteristico conseguente a:

• topografia: altezza relativa, pendenza del terreno e suo orientamento, ostruzioni alla radiazione solare ed al vento, nei diversi orientamenti; • relazione con l’acqua;

• relazione con la vegetazione;

• tipo di forma urbana, densità edilizia, altezza degli edifici, tipo di tessuto (orientamento edifici nel lotto e rispetto alla viabilità, rapporto reciproco tra edifici), previsioni urbanistiche.

Alcuni dati climatici possono risultare utili anche per l’analisi della disponibilità di luce naturale. L’analisi del clima igrotermico è forse quella che influenza maggiormente le scelte progettuali a scala edilizia e, come vedremo più avanti, con i dati ricavati da essa si possono fare valutazioni in merito alla luce naturale ed allo sfruttamento di fonti energetiche rinnovabili. I momenti che

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definiscono la metodologia di analisi del sito in relazione agli aspetti termoigrometrici e alla definizione del microclima locale possono essere i seguenti:

• raccolta dei dati climatici disponibili;

• adattamento dei dati climatici disponibili in relazione alla localizzazione geografica;

• analisi degli elementi significativi ambientali preesistenti che possono indurre delle modifiche al microclima;

• adattamento dei dati climatici disponibili in relazione agli elementi ambientali analizzati;

Dati climatici riassuntivi di progetto:

Una volta reperiti i dati climatici si dovrà cercare di adattarli alla zona oggetto di intervento, tenendo conto della diversa localizzazione geografica dell’area rispetto alla stazione climatica fonte dei dati e della presenza di elementi dell’ambiente che potenzialmente possono influenzare la formazione di un microclima caratteristico.

Tali elementi possono essere suddivisi in macroaspetti di cui si riporta di seguito una breve descrizione.

Gli aspetti legati alla topografia che possono influenzare in maniera più diretta il microclima sono:

- coordinate geografiche (ad es. latitudine e longitudine, Gauss-Boaga); - altezza sul livello medio mare;

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- pendenza del terreno e il suo orientamento;

- altezza relativa (con riferimento all’immediato intorno significativo); - ostruzioni esterne nei diversi orientamenti.

Gli elementi legati alla topografia dell’area di intervento possono avere importanti azioni di interferenza nel clima. Ad esempio nelle zone di fondovalle si accumula aria fredda, più densa e normalmente più umida.Al contrario, nelle zone pianeggianti o sopraelevate l’esposizione al vento e alla radiazione solare risulta maggiore.

Le zone poste ad una quota più bassa risultano generalmente più fredde e umide nei periodi senza vento, a causa dell’accumulo di aria fredda e inquinata che aumenta i fenomeni di nebbia e foschia. La presenza di nebbia non permette l’accesso alla radiazione solare e impedisce all’aria a contatto con il terreno di riscaldarsi e quindi di salire innescando moti convettivi che formano delle brezze.

La pendenza e l’orientamento modificano la possibilità di soleggiamento del terreno e la relazione con i venti dominanti.

Le grandi masse d’acqua (laghi e mare) hanno la caratteristica di fungere da regolatori termici: la forte inerzia termica dell’acqua permette infatti di stabilizzare le temperature dell’aria. Tale effetto è molto marcato in prossimità del mare e tale influenza si mantiene se pur diminuendo, anche ad una certa distanza dalla costa.

L’inerzia termica è uno dei fattori che influenzano la formazione di brezze locali legate alle variazioni di temperatura che si verificano nel ciclo giornaliero (diurno e notturno).

Queste brezze sono potenzialmente molto efficaci per il raffrescamento passivo durante la stagione calda.

La presenza d’acqua è altresì un fattore che produce un aumento di umidità a ridosso della costa. Non va dimenticato inoltre che, se pure con un’intensità molto minore, anche quantitativi più esigui di acqua possono avere delle influenze sul microclima.

La relazione con la vegetazione e le proprietà termofisiche del terreno: le proprietà termofisiche del terreno (notevolmente differenti a seconda che si consideri un terreno nudo, un terreno ricoperto di vegetazione, un terreno

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roccioso, una superficie artificiale come l’asfalto, ecc.) producono variazioni microclimatiche considerevoli nell’ambiente in cui sono presenti; tali proprietà provocano effetti sugli scambi termici tra terreno e atmosfera, ovvero sulla temperatura dell’aria, su quella radiante e sull’evaporazione

– traspirazione, sull’umidità dell’aria, sulla quantità di radiazione solare diretta ricevuta dal suolo o dalle altre superfici, sulla dinamica dei venti e sulla qualità dell’aria.

Diagramma della direzione e velocità dei venti. (fonte LeMMA)

Più in particolare:

• la presenza della vegetazione può rappresentare una ostruzione esterna che scherma la radiazione solare e limita gli scambi radiativi verso la volta celeste; • la presenza di aree a prato limita la quantità di radiazione riflessa e funge da regolazione delle temperature;

• l’effetto schermante, unito al fenomeno di evaporazione – traspirazione della vegetazione favorisce il raffrescamento passivo nella stagione calda, la

vegetazione ha inoltre l’effetto di fungere da barriera del vento e di modificarne la direzione.

Nel caso di grandi masse arboree si ha inoltre la formazione di brezze notturne e mattutine simili a quelle delle zone costiere. La presenza di alberi a foglia caduca permette un contenimento della radiazione nella stagione calda e la possibilità di ottenere dei guadagni solari nella stagione fredda.

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sono:

- tipo di forma urbana; - densità;

- altezza relativa; - tipo di tessuto urbano.

L’effetto climatico della forma urbana dipende in gran parte da come questa modifica il soleggiamento, ma risultano rilevanti anche gli effetti sul vento, sull’umidità e sulla capacità di accumulare calore.

I nuclei urbani di grandi dimensioni producono normalmente condizioni climatiche locali più estreme di quelle che si registrano in una zona non urbanizzata. Si può quindi affermare che una maggiore densità urbana produce un clima più secco, con temperature più alte e oscillanti, con meno vento e con un tasso di inquinamento più elevato che contribuisce a creare l’effetto serra.

Il tipo di forma urbana influisce pesantemente sulla distribuzione del vento all’interno del tessuto urbano.

CLIMA IN RIFERIMENTO ALLA ZONA DI OSPEDALETTO.

Generalità.

Per descrivere il clima che caratterizza la zona di Ospedaletto, possiamo far riferimento ai dati registrati nel periodo 1951-1995 dalla stazione termo - pluviometrica di Pisa San Giusto, posta a quota 11 metri s. l. m., ritenuta rappresentativa della zona in esame.

Combinando i dati termici con quelli udometrici, si possono costruire alcuni diagrammi che riassumono le caratteristiche termo - pluviometriche della stazione considerata e nello stesso tempo forniscono alcune informazioni sul regime idrico dei suoli.

Gli elaborati che abbiamo ritenuto opportuno compilare per definire le condizioni climatiche dell’area sono i seguenti:

1) valori medi mensili e annuali delle precipitazioni e delle temperature;

2) diagramma di Bagnouls e Gaussen, tra i più diffusi nelle elaborazioni forestali, nel quale le piovosità sono raffrontate con le temperature a scala doppia di quella delle precipitazioni (sono considerati aridi i periodi in cui la curva delle

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precipitazioni si trova sotto di quella delle temperature P/T=2).

3) diagramma del bilancio idrico secondo Thornthwaite per A.W.C (capacità d’acqua disponibile) di 100 mm (periodo 1951-1995), tratto da Regime idrico dei suoli e tipi climatici della Toscana (Regione Toscana, Dip. Agricoltura e Foreste), poiché di non difficile realizzazione rispetto ad altri metodi che tengono conto dell'evapotraspirazione potenziale.

Precipitazioni.

La Tabella n°1 riporta i valori medi delle precipitazioni mensili (espresse in mm di pioggia), registrati nel periodo 1951-1995 dalla stazione di Pisa San Giusto.

La media delle precipitazioni annuali è di 911,8 mm.

La distribuzione mensile delle piogge è di tipo mediterraneo, presentando il massimo autunnale nel mese di ottobre (134,2 mm) e l'altrettanto tipico minimo estivo in luglio (22,4 mm). La piovosità registrata nei mesi autunnali (O-N-D), con 346,5 mm, costituisce il 38% del totale annuo. Le precipitazioni iniziano a decrescere dal mese di maggio verso il minimo estivo. Nel trimestre giugno - luglio - agosto, le precipitazioni medie ammontano a 119,9 mm e non si raggiungono mediamente i 150 millimetri di pioggia, valore sotto il quale secondo De Philippis, l'estate è da considerarsi siccitosa; nell'area in esame accadono frequentemente (71%delle annate considerate) condizioni d’aridità capaci di provocare fenomeni di sofferenza nella vegetazione forestale. Le precipitazioni estive avvengono spesso sotto forma di temporali o più raramente di grandinate, con forti venti e numerose scariche elettriche.

Temperature dell'aria.

La Tab. n°2 riporta le temperature medie registrate dalla stazione di Pisa San Giusto nel periodo 1951-1995 (45 osservazioni).

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Dall'analisi dei dati, la temperatura media annua diurna è di 14,4°C; il mese più caldo è luglio con una temperatura media diurna di 23°C, mentre il più freddo è gennaio con una temperatura media diurna di 6,7°C.

Per tre quattro mesi l’anno, da dicembre a marzo, la temperatura media diurna si mantiene inferiore ai 10°C, mentre nel resto dell’anno è sempre superiore ai 10°C. Le temperature medie estive sono piuttosto alte superando i 20°C.

Confrontando la temperatura media diurna delle coppie di mesi, considerati simmetricamente rispetto a luglio (giugno - agosto; maggio - settembre, ecc.), si può costatare che tutti i mesi della seconda metà dell'anno sono più caldi dei corrispondenti della prima metà.

Questo tipico andamento del regime termico si deve all'influenza del mare, che "prolunga" l'estate verso l'autunno, compensando mediante la cessione estiva di calore a masse d'aria transitanti verso l'interno, la minor quantità di radiazione solare che giunge al suolo in autunno. Altro indice di tale influenza mediterranea è la limitata escursione termica annua (differenza tra la media diurna del mese più caldo e di quello più freddo) che con 16,3°C, è inferiore ai 20°C, considerati come soglia di passaggio tra climi marittimi e continentali.

Per quanto concerne i venti, l'area in esame è interessata prevalentemente da venti del III e del IV quadrante; proprio i venti del III quadrante, soprattutto il libeccio, seppure non frequente, è quello che crea i maggiori problemi a causa della forte intensità e per l'aerosol marino inquinato che trasporta in caso di mareggiata.

Diagrammi climatici.

Combinando i dati termici con quelli udometrici, si possono costruire il diagramma termopluviometrico di Bagnouls e Gaussen dove la curva delle precipitazioni ha scala doppia rispetto a quella delle temperature (2 mm. = 1 °C) e il diagramma di Thornthwaite per la determinazione del bilancio idrico.

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Entrambi i diagrammi evidenziano che mediamente, da metà Giugno a metà Agosto per Bagnouls e Gaussen e da metà maggio a metà settembre secondo Thornthwaite, esiste per queste stazioni un periodo arido (curva delle precipitazioni sotto di quella delle temperature nel diagramma di Bagnouls e Gaussen, curva AE, evapotraspirazione reale sotto la curva PE evapotraspirazione potenziale nel diagramma di Thornthwaite) con sezione di controllo del suolo, considerando una capacità d’acqua disponibile nel suolo (A.W.C.) di 100 mm, completamente secca per circa 54 giorni cumulativi.

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A.5 – SISTEMI E LIVELLI DI PRESSIONE SULLE RISORSE DISPONIBILI.

A. SISTEMA ACQUA

A.1. Unità territoriale significativa.

Per l’individuazione delle condizioni alle trasformazioni relative al sistema acqua l’unità territoriale significativa risulta essere il bacino di scolo delle acque.

Nella tavola è riportata la ripartizione del territorio comunale in bacini di scolo.

In realtà si deve rilevare che tale unità territoriale risulta significativa prevalentemente in relazione alle politiche di smaltimento delle acque reflue, in quanto, per gli aspetti relativi all’approvvigionamento idrico, l’articolazione della rete acquedottistica non rispecchia ovviamente l’articolazione territoriale in bacini di scolo.

Per quanto riguarda i consumi idrici, dunque, le condizioni alle trasformazioni sono individuate senza tenere conto dei bacini di scolo, ma valutando la distribuzione territoriale dei consumi a livello di UTOE e stabilendo in base a questa delle priorità di intervento.

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A.2. Condizioni di fragilità.

Le condizioni di fragilità relative alle risorse idriche, individuate nell’ambito del Piano Strutturale del Comune, possono essere così sintetizzate:

− elevata dipendenza idrica (circa 80%) da fonti di approvvigionamento ubicate in altri comuni per l’approvvigionamento idropotabile;

− elevate perdite della rete acquedottistica (circa 45%);

− elevato deficit depurativo (superiore al 60%), determinato sia dall’inefficienza della rete fognaria comunale che dall’assenza di un impianto di depurazione nella zona sud di Pisa;

− elevati livelli di inquinamento di origine agro-civile per le acque superficiali.

Le trasformazioni previste dal regolamento urbanistico dovranno pertanto contribuire a dare risposta a tali condizioni di fragilità.

Partendo dai problemi relativi ai consumi idrici, e conseguentemente dalla necessità di conseguire politiche di risparmio idrico, le UTOE individuate nell’ambito del Piano Strutturale sono classificate sulla base dei livelli di consumo idrico.

La classificazione delle UTOE viene fatta in base alla densità territoriale dei consumi idropotabili, calcolata come rapporto tra i mc/anno di acqua erogata dall’acquedotto e la superficie di quella porzione di territorio. Le UTOE caratterizzate dai valori più elevati di questo parametro corrispondono alle UTOE in cui i consumi idrici sono più concentrati nello spazio.

Esse vengono quindi raggruppate in classi di priorità di intervento in base al seguente criterio:

o densità consumi: 0 - 100 l/anno/mq. priorità nulla; o densità consumi: 100 - 300 l/anno/mq. priorità bassa; o densità consumi: 300 - 500 l/anno/mq. priorità media; o densità consumi: > 500 l/anno/mq. priorità alta; A.3. Condizioni per le trasformazioni.

Sulla base degli elementi di fragilità individuati nel precedente paragrafo, nonchè degli indirizzi del Piano Strutturale, si individuano nel seguito le condizioni da porre alle trasformazioni individuate dal Regolamento Urbanistico.

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Risparmio idrico: per le trasformazioni soggette a Piano Attuativo, laddove si

prevede un incremento dell’attuale carico urbanistico o laddove le trasformazioni interessino livelli di consumo idrico dell’ordine di 10.000 mc/anno, le trasformazioni sono subordinate alla verifica dell’efficienza della rete acquedottistica, con riduzione delle perdite al 20%, e all’adozione di misure finalizzate alla razionalizzazione dei consumi idrici (come da normativa del Piano Strutturale); deve essere attribuita priorità di realizzazione agli interventi di trasformazione che interessano UTOE classificate ad alta e media priorità di intervento.

Risparmio idrico-grandi utenze: per le trasformazioni relative a utenze che

comportano consumi idrici superiori a 10.000 mc/anno, sia che siano soggette a piano attuativo sia che vengano realizzate per concessione diretta, le trasformazioni sono subordinate all’adozione di misure finalizzate alla razionalizzazione dei consumi idrici. Questo implica che nel Piano Attuativo o nel progetto presentato per la richiesta di concessione, almeno per determinate categorie costruttive (grandi condomini, centri direzionali, caserme, alberghi, etc.), venga anche presentata una stima dei consumi idrici per i diversi usi.

Rete fognaria e depurazione: in questo caso le prescrizioni sono articolate per

bacini di scolo.

La UTOE 33 (Ospedaletto) è inclusa nella Bonifica scolo meccanico di Coltano. I livelli di consumo idrico, e conseguentemente i volumi degli scarichi idrici, sono poco significativi. La zona risulta sprovvista di rete fognaria e impianto di depurazione e non sono disponibili dati sulla qualità delle acque superficiali. Il livello di pressione antropica degli insediamenti risulta comunque non rilevante:

o consumi 15,9 l/anno/mq

o priorità NULLA

B. SISTEMA ARIA

B.1. Unità territoriale significativa.

Per l’individuazione delle condizioni alle trasformazioni relative al sistema aria, considerando la dinamica dei fenomeni di trasporto degli inquinanti in

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atmosfera, non risulta possibile individuare in ambito comunale confini territoriali significativi. Per tale sistema ambientale si farà pertanto sempre riferimento all’intero territorio comunale.

Propriamente sul territorio del Comune di Pisa la rete di monitoraggio consta ad oggi di n° 4 stazioni in quanto nel corso degli anni la rete ha subito un parziale ridimensionamento. In Loc. Oratoio, dal mese di giugno 2002, si trova istallata una nuova stazione al fine di monitorare le eventuali ricadute dell'impianto di incenerimento dei rifiuti RSU-Speciali di Ospedaletto (infatti essa è dotata tra l’altro di un analizzatore di acido cloridrico); quest’ultina stazione è di proprietà della Società Geofor S.p.A., ma comunque viene gestita da ARPAT ed è inserita a tutti gli effetti nella rete urbana.

La rete cittadina prevede anche il rilevamento di parametri meteorologici mediante sensori ubicati nelle due stazioni di Passi e Oratoio.

Tra le stazioni ad oggi esistenti, due si trovano ubicate nel centro urbano (FAZIO e BORGHETTO), la stazione di PASSI si trova invece in periferia Nord, quasi al confine con il territorio comunale di San Giuliano Terme, mentre la stazione di ORATOIO è installata nella frazione omonima, a 3 km. ca dal centro urbano, in direzione Est verso il Comune di Cascina.

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B.2. Condizioni di fragilità.

Al fine dunque di individuare le aree caratterizzate da livelli critici di pressione sul sistema aria, per le quali risulta necessario, nell’ambito delle trasformazioni previste dal Regolamento Urbanistico, conseguire un alleggerimento (o comunque evitare un appesantimento) di tali livelli di pressione, si localizzano le aree del territorio comunale caratterizzate da maggiore concentrazione di sorgenti di inquinamento atmosferico (flussi di traffico, presenza di attività produttive, elevati consumi di metano) e si utilizzano i dati disponibili sui livelli di qualità dell’aria (in particolare quelli derivanti dall’indagine condotta dall’ARPAT con l’impiego di licheni) e le informazioni sulle direzioni prevalenti dei venti.

Gli elementi del sistema da tenere in considerazione sono:

− la rete infrastrutturale interessata dai maggiori problemi di emissioni inquinanti e/o acustiche da traffico veicolare, determinati sia dagli intensi volumi di traffico che dall’inadeguatezza delle caratteristiche stradali rispetto ai volumi di traffico transitanti (e conseguentemente dalla frequente formazione di code e rallentamenti);

− le principali sorgenti di inquinamento di origine industriale;

− le UTOE caratterizzate dalle maggiori emissioni inquinanti da consumi di gas metano, individuate utilizzando come parametro di classificazione la densità territoriale di emissioni di CO2, cioè i kg/anno di CO2 emessa per unità di

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superficie territoriale dell’UTOE. Si considerano aree critiche quelle caratterizzate da densità di emissioni di CO2>10: UTOE 33 1,0 kg/anno/mq.

− le direzioni prevalenti dei venti.

SITUAZIONE RISPETTO AI VALORE LIMITE.

Sono riportate le valutazioni riguardanti i valori degli indicatori elaborati e in relazione ai rispettivi Valori Limite definiti dalla legislazione che disciplina la qualità dell’aria.

Le valutazioni sono effettuate per singolo inquinante e sono diversificate in relazione alla tipologia di rete di rilevamento.

Monossido di Carbonio.

Tutte le stazioni della rete che hanno in dotazione l’analizzatore del monossido di carbonio sono pienamente confrontabili tra loro in quanto stazioni classificate come “Urbana-Traffico” e nessuna di queste ha registrato superamenti di 10 mg/m3 come massimo valore della media mobile di ottoore. I valori della massima concentrazione rilevata sono compresi nell,intervallo 1.7-2.6 mg/m3 a significare che i livelli di questo inquinante primario sono assai modesti in tutte le zone della rete e di fatto non costituiscono criticità significative anche per i punti caratterizzati da un’alta incidenza del traffico autoveicolare.

Biossido di Azoto.

La stazione di medesimo tipo di Pisa-Fazio rientra di stretta misura nel limite. Quanto osservato deve essere tenuto nella giusta considerazione poiché non sembrano esistere margini sufficientemente ampi per il rispetto di quello che sarà il limite di legge a meno di un anno dall’entrata in vigore.

Relativamente al rispetto del limite orario, pari a 200 mg/m3, per il complesso delle stazioni non emergono criticità alcune; la variabilità osservata tra i valori massimi orari in relazione a fenomeni “di punta” è compresa nell’intervallo 102-155 mg/m3 e pertanto non sembra costituire un elemento di preoccupazione.

Biossido di Zolfo.

La rete presenta ad oggi due punti di rilevamento per questo inquinante che contamina blandamente solo zone di ricaduta degli inquinanti di origine industriale essendo state quasi completamente eliminate le sorgenti di natura

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diversa per effetto di interventi sui combustibili da trazione e riscaldamento. I limiti vigenti dall’anno 2005 sembrano infatti essere divenuti anacronistici e pertanto esageratamente ampi a fronte dei livelli attualmente registrabili, sia come valore medio orario, che giornaliero. Come nel caso del parametro di cui sopra (Monossido di Carbonio) per la rete provinciale non sono stati osservati eventi di superamento dei limiti di legge, sebbene entrambe le stazioni di misura siano collocate nelle vicinanze di siti industriali.

Materiale Particolato PM10.

In relazione alla Rete Regionale per l’inquinante “PM10”, sono molteplici le stazioni appartenenti alla rete provinciale di Pisa che ne fanno parte, ovvero le stazioni di Pisa-Borghetto, Pisa-Oratoio, Cascina-Navacchio, S.Croce-Coop e Pomarance-Montecerboli.

Le stazioni di Pisa-Borghetto e Pisa-Oratoio meritano attenzioni particolari in quanto uno dei due parametri, già nel corso del 2008, non è stato rispettato (numero dei superamenti di 50 mg/m3, come valore medio giornaliero che, anche se di lieve misura, eccede le 35 volte consentite).

Benzene.

Entrambe le stazioni di Pisa-Borghetto e S.Croce-Cerri mostrano un sostanziale rispetto del valore limite che sarà vigente dall’inizio del prossimo anno con il valore della prima più elevato, oltre il doppio di Cerri, in quanto trattasi di postazione esposta al traffico urbano.

Per l’inquinante in oggetto difficilmente si possono ipotizzare ulteriori riduzioni presso la stazione appartenente al Comprensorio del Cuoio (sottoinsieme 3) in quanto il valore di 1 mg/m3 deve verosimilmente potersi ritenere un valore di “fondo” per una zona dove insistono varie tipologie produttive, come può essere la zona di Cerri molto prossima ad insediamenti che trattano reflui industriali.

Ozono.

In relazione alla Rete Regionale per l’inquinante “OZONO” è stata inserita solo una stazione di rilevamento della Q.A. appartenente alla rete provinciale di Pisa, la stazione di Pisa-Passi.

Il valore bersaglio che sarà vigente dall’anno 2013 e finalizzato alla tutela della salute umana risulta ad oggi soddisfatto, ma i margini attuali potrebbero rivelarsi

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troppo esigui per garantirci il rispetto del limite bersaglio anche per anni a venire che ci separano dal 2013. L’indice AOT40 già da adesso è troppo elevato, mentre i due “valori soglia”, previsti su base oraria, sono stati costantemente rispettati.

Idrogeno Solforato.

Questo inquinante, pur in assenza di riferimenti normativi, riveste grande importanza per la rete provinciale di Pisa anche se con motivazioni ampiamente diverse tra le due zone in cui viene effettuata la rilevazione da svariati anni (Comprensorio del Cuoio e Pomarance-Montecerboli).

Se per il Comprensorio del Cuoio l’Idrogeno Solforato ha derivazione esclusivamente antropica, nel Comune di Pomarance lo stesso inquinante ha origine naturale con la prerogativa però che i livelli sono nettamente incrementati dall’intensivo sfruttamento dei fluidi geotermici per opera dell’uomo.

Il monitoraggio di questo composto disegna due situazioni ben distinte l’una dall’altra con l’elemento comune che in nessun caso la concentrazione di 150 mg/m3, indicata dall’ O.M.S. come il valore massimo giornaliero che deve essere necessariamente rispettato per escludere ripercussioni sanitarie sugli esposti, risulta superata presso le singole stazioni appartenenti alle due zone.

Nel valutare complessivamente lo stato della Qualità dell’Aria del Comune di Pisa e della provincia, emergente dal complesso delle stazioni fisse e dai monitoraggi condotti con il Laboratorio Mobile, l’elemento saliente è rappresentato dal consistente numero di episodi di superamento del limite giornaliero assegnato alle PM10 rilevato in alcuni siti di misura.

In via generale tutti gli altri parametri presi in considerazione non mostrano elementi di criticità paragonabili con le PM10; alcuni parametri poi, come l’ossido di carbonio e il biossido di zolfo, ormai da anni non richiedono commenti ulteriori in quanto assestati su livelli di concentrazione pressoché costanti nel tempo e abbondantemente rientranti entro i limiti vigenti.

Emissioni di origine industriale e interventi sui grandi impianti industriali (P/R). Tra le sorgenti puntuali presenti nel Comune di Pisa che secondo

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soprattutto alla produzione di ossidi di zolfo, ossidi di azoto e polveri fini si segnalano: - l’Inceneritore di Rifiuti Solidi Urbani e Rifiuti Ospedalieri Trattati (località Ospedaletto), - la Saint Gobain (località Porta a Mare) e la Kimble Italiana (viale delle Cascine) operanti nella produzione del vetro, - la Colata Continua Pisana operante nella fusione di metalli e nella produzione di cavi di rame ad elevata purezza (località Ospedaletto), evidenziando che: - l’inceneritore RSU/ROT, dopo aver subito radicali modifiche agli apparati di combustione e depurazione dei fumi, è rientrato in funzione nel 2002 e campagne di monitoraggio 2005 e 2006 eseguite da ARPAT hanno rilevato il rispetto dei severi limiti emissivi assegnati, in particolare per i microinquinanti organici (diossine e furani), - la ditta Saint Gobain nel 2003 ha installato un potente elettrofiltro con l’obiettivo di ottenere una drastica riduzione della emissione di polveri (oltre alla riduzione di altri inquinanti) e la campagna di monitoraggio 2006 eseguita da ARPAT ha rilevato livelli emissivi ampiamente inferiori ai limiti assegnati, importanti interventi sulla razionalizzazione degli impianti e sulla ottimizzazione delle emissioni hanno interessato la Teseco, azienda specializzata in bonifiche di aree inquinate e trattamento di rifiuti speciali (località Ospedaletto). In generale il settore industriale sembra contribuire in modo rilevante alle emissioni prodotte sul territorio pisano anche con l’inquinamento generato in aree industriali caratterizzate da molti punti emissivi a più ridotto flusso di massa.

B.3. Condizioni per le trasformazioni.

Per le aree caratterizzate da livelli critici di pressione sul sistema aria, individuate nel precedente paragrafo, è necessario porre nel Regolamento Urbanistico la condizione di non aumentare ulterior-mente il carico di sorgenti di inquinamento, a meno che non si tratti di zone a vocazione industriale correttamente ubicate dal punto di vista della dispersione degli inquinanti, nel qual caso è sufficiente individuare idonee misure di mitigazione degli effetti ambientali.

A tal fine, le condizioni alle trasformazioni devono essere così articolate: − nelle aree caratterizzate da livelli critici di pressione sul sistema aria non sono ammesse trasformazioni che possono comportare un incremento dei livelli di

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emissioni inquinanti e acustiche; in particolare non è ammesso il trasferimento di funzioni che possono comportare un incremento dei flussi di traffico, un incremento dei consumi di metano o comunque un incremento di emissioni inquinanti. Dovrà essere al contrario previsto, laddove possibile, il trasferimento di tali funzioni in aree del territorio comunale caratterizzate da livelli inferiori di pressione. Qualora non sia possibile evitare la realizzazione di trasformazioni che comportano un incremento di pressione sul sistema aria in aree già critiche, sarà comunque necessario adottare tutti i provvedimenti tecnici e gestionali necessari a contenere i livelli di inquinamento atmosferico e acustico (dispositivi di abbattimento delle emissioni, interventi di isolamento acustico degli edifici, etc....).

− le trasformazioni previste in aree non critiche devono comunque contribuire all’alleggerimento delle pressioni sul sistema aria nelle aree critiche; tali trasformazioni non devono comunque portare al raggiungimento di condizioni di criticità in aree precedentemente non critiche, e devono in ogni caso prevedere l’adozione di tutte le misure tecniche e gestionali necessarie per contenere le pressioni sul sistema aria.

A.6 - FATTORI DI RISCHIO IDROGEOLOGICO.

Nella realizzazione di un complesso edilizio non si può prescindere dall’effettuare una verifica legata alla sicurezza idrogeologica dell’area.

Tali valutazioni di norma andrebbero effettuate a livello di strumento urbanistico, il quale dovrebbe essere sempre accompagnato da una adeguata analisi geologica del territorio.

Non sempre però sono disponibili informazioni che consentono una approfondita valutazione a livello di singolo edificio per cui si è ritenuto di riportare di seguito alcune considerazioni unicamente con lo scopo di mettere sull’avviso il professionista di quali poterebbero essere i rischi da valutare.

E’ necessario innanzitutto tenere in considerazione che la sicurezza del territorio è legata a due grandi macro aree di interesse: l’area della sicurezza idraulica e l’area della sicurezza geologica.

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ritenuto di evidenziare che per l’area d’interesse idraulico devono essere presi in considerazione :

- la possibilità che corsi d’acqua adiacenti (con una probabilità o tempo di ritorno adeguato, di solito 100 anni) escano dal loro alveo naturale per interessare le realtà urbanizzate. Tale rischio viene spesso sottovalutato, come dimostrano i danni conseguenti alle esondazioni che frequentemente interessano il nostro paese;

- la vicinanza con la falda freatica che, oltre a costituire un elemento di aumento della accelerazione sismica, talvolta interessa i locali posti nei seminterrati. In tal caso è necessario acquisire la massima altezza storica della falda o valutarne, in assenza del dato, l’entità.

Nell’area di interesse geologico devono considerarsi invece:

- la possibilità che il sito sia interessato da fenomeni di caduta massi;

- la possibilità che il sito sia interessato da fenomeni franosi di ampia portata, di solito riportati negli strumenti urbanistici o negli studi di settore;

- la possibilità che i terreni di posa della fondazioni abbiano scarsa capacità portante;

- la possibilità che si verifichino fenomeni di liquefazione delle sabbie in presenza di determinate condizioni di presenza d’acqua;

- il grado di sismicità della zona che, ai sensi della normativa, deve essere introdotto nel dimensionamento della strutture.

Da non dimenticare infine che esistono fenomeni a carattere geologico tali da non risultare sempre evidenti per i non addetti ai lavori. Si suggerisce, pertanto, la consultazione di uno specialista, meglio se conoscitore dei luoghi, con una sufficiente esperienza in campo geologico.

C. SISTEMA SUOLO.

C.1. Unità territoriale significativa.

La pericolosità idraulica e geomorfologica di una determinata porzione di territorio va individuata, in primo luogo, in funzione delle classi di pericolosità definite dall’Autorità di Bacino del Fiume Arno. Il territorio del Comune di Pisa si colloca, per la maggior parte della sua estensione, nella piana alluvionale

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dell’Arno e per una piccola porzione in quella del fiume Serchio. Il P.A.I. (Piano di Bacino, stralcio “Assetto idrogeologico”), tuttavia, ha concentrato la propria attenzione sui fenomeni di pericolosità geomorfologica legati alla suscettibilità geomorfologica di versanti, intesa come propensione al dissesto franoso di un’area, risultante dalla presenza di fattori predisponenti legati essenzialmente alle condizioni geologiche, geotecniche e di copertura del suolo.

Nel caso del Comune di Pisa, date le peculiarità del territorio, la pericolosità è legata soprattutto ad aspetti, quali, i fenomeni di subsidenza, la presenza delle argille compressibili a bassa profondità, le dinamiche erosive del litorale. Tali aspetti sono normati nel P.S., e sono oggetto di studi di approfondimento da parte del Comune. L’attuale situazione geologica e stratigrafica degli strati superficiali di terreno della pianura di Pisa è principalmente il risultato della attività di trasporto ed esondazione dell’Arno nonché delle variazioni del suo corso fluviale e di quello dell’Auser (oggi Serchio) ed agli effetti della presenza di vaste aree paludose in rapporto alle variazioni del livello marino e dei variabili equilibri della dinamica costiera.

Carta geologica.

Si tratta quindi sostanzialmente di sedimenti fluvio-palustri localizzati nella parte orientale del Comune di Pisa, separati dal mare aperto da depositi eolico

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transizionali dei lidi e dune litoranee più ad ovest. Escludendo la fascia litoranea sabbiosa per la quale non sussistono problemi di cedimenti e cedimenti differenziali, la rimanente parte del territorio pisano è costituita da una successione di sedimenti prevalentemente limo-argillosi con intercalazioni sabbioso-limose di età recente che si sono formati in un ambiente sia fluviale che di palude e laguna costiera.

I problemi di instabilità di un territorio di pianura, quale quello pisano, sono quindi legati principalmente alle scadenti caratteristiche geotecniche dei terreni eventualmente interessati dalla costruzione di manufatti.

Carta litotecnica.

Da questo punto di vista le aree a pericolosità più alta sono quelle in cui, a causa della elevata compressibilità dei terreni, possono verificarsi fenomeni di

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consolidazione di entità non trascurabile con conseguenti cedimenti anche differenziali.

Un altro aspetto che incide notevolmente sulla pericolosità geomorfologica del territorio comunale è la presenza di Argille compressibili. In alcune zone le argille sono affioranti o il loro tetto si trova a profondità molto prossima al piano di campagna tanto da interferire con i carichi trasmessi dalle strutture di fondazione. Per quanto riguarda le aree urbane le argille plastiche si trovano a profondità comprese tra 0 e 2 m in una fascia che va da una piccola zona a est di Barbaricina in prossimità della via Aurelia alla zona dell’Ospedale di Santa Chiara, della Torre Pendente fino a piazza Santa Caterina.

In prossimità del limite comunale più orientale, in una piccola area a est della zona industriale di Ospedaletto, il tetto delle argille compressibili è stato localizzato alla profondità di 1,5 m.

C.2. Condizioni di fragilità. Pericolosità geomorfologia.

Per pericolosità geomorfologica si intende la probabilità di accadimento di un evento calamitoso legato a fenomeni di instabilità geomorfologica in un determinato intervallo di tempo. Il Rischio, ai sensi del Piano di Bacino, stralcio “Assetto idrogeologico” (P.A.I.), è definito come il valore atteso delle perdite umane, dei feriti, dei danni alla proprietà e delle perturbazioni alle attività economiche dovuti ad un particolare fenomeno naturale. Ai fini applicativi è possibile approssimare il valore del Rischio (R) attraverso la formula (R = P·V·E), nota come equazione del rischio, che lega il rischio R alla pericolosità (P), alla vulnerabilità (V) e al valore economico dei beni esposti (E). La normativa di riferimento in materia di pericolosità geomorfologica è in primo luogo il P.A.I.. Le attuali norme contenute nel P.T.C. della Provincia di Pisa riguardanti gli aspetti di pericolosità geomorfologica ed idraulica rimandano alle disposizioni del P.A.I..

La pericolosità idraulica e geomorfologica di una determinata porzione di territorio va pertanto individuata, in primo luogo, in funzione delle classi di pericolosità definite dall’Autorità di Bacino del Fiume Arno. Il territorio del

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Comune di Pisa si colloca, per la maggior parte della sua estensione, nella piana alluvionale dell’Arno e per una piccola porzione in quella del fiume Serchio.

Nel caso del Comune di Pisa, date le peculiarità del territorio, la pericolosità è legata soprattutto ad altri aspetti, quali, i fenomeni di subsidenza, la presenza delle argille compressibili a bassa profondità, le dinamiche erosive del litorale.

Regime termico e idrico dei suoli.

Il regime idrico di un suolo è definito in termini di livello di falda ed in termini di presenza o assenza stagionale di acqua trattenuta ad una tensione inferiore a 1.500 kPa, e quindi alla quantità di acqua disponibile per le piante, nei vari periodi dell’anno, all’interno della sua sezione di controllo.

Per una più precisa determinazione del regime idrico dei suoli ed una corretta valutazione della durata dei periodi secchi o umidi a cui va incontro la sezione di controllo del suolo, si è ricorsi alla realizzazione dei diagrammi elaborati dal Newhall Simulation Model (Cornell University - 1991) per le stazioni considerate; il metodo utilizzato si basa sui seguenti dati:

- piovosità media mensile - temperatura media mensile - evapotraspirazione media mensile - A.W.C.

Per la stazione studiata (Pisa S. Giusto) è stato preso in considerazione un valore di A.W.C. pari a 100 mm in funzione di alcuni parametri del suolo, come la profondità, la tessitura, il tenore in sostanza organica e il contenuto in scheletro rilevati durante l’indagine pedologica.

La definizione del regime di umidità e del regime di temperatura è utilizzata per la classificazione dei suoli in quanto facente parte del nome del sottordine (umidità) e della famiglia (temperatura) di suoli nella Soil Taxonomy.

Dall’elaborazione dei dati, il regime di temperatura dei suoli del complesso indagato risulta di tipo Termico (temperatura media annuale del suolo compresa fra 15 e 22°C, differenza fra la temperatura media estiva e media invernale > 6°C), mentre il regime di umidità risulta di tipo Udico.

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una buona distribuzione annuale delle precipitazioni; le piogge estive sono sufficienti a che l’ammontare delle riserve nel suolo più il quantitativo delle precipitazioni sia approssimativamente uguale, o superiore, all’evapotraspirazione; oppure hanno un apporto meteorico invernale capace di ricaricare le riserve ed estati fresche ed umide come nelle aree costiere.

Carta idrogeologica.

Pericolosità idraulica.

La pericolosità idraulica ai sensi del PAI si definisce come la probabilità di osservare nel periodo t almeno un evento causa di calamità naturale in un determinato luogo. Il rischio idraulico scaturisce dalla possibilità di danno a persone, beni o infrastrutture connesso a tale evento calamitoso. Un’ulteriore definizione, tratta dal PAI, è quella di “sicurezza idraulica” come condizione associata alla pericolosità idraulica per fenomeni di insufficienza del reticolo di drenaggio e generalmente legata alla non inondabilità per eventi di assegnata frequenza; agli effetti del PAI, si intendono in sicurezza idraulica le aree non inondate per eventi con tempo di ritorno fino a 200 anni.

Le classi di pericolosità, all’interno del PAI dell’Autorità di Bacino del fiume Arno, sono distinte in 4 classi a pericolosità crescente, individuate in funzione del tempo di ritorno Tr [anni], del tipo di area (di accumulo o di trasferimento) e del

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battente idrico sul piano di campagna h [m]. • P.I.1: Aree a pericolosità moderata • P.I.2: Aree a pericolosità media • P.I.3: Aree a pericolosità elevata • P.I.4: Aree a pericolosità molto elevata

Le aree a pericolosità idraulica perimetrate all’interno del PAI, derivano da analisi svolte a due livelli: di dettaglio (scala 1:10.000), e sinottico (scala 1: 25.000).

Per quanto riguarda il livello sinottico, alla scala 1:25.000, sostanzialmente ricavato mediante criteri geomorfologici e storico analitici.

La pericolosità è così graduata:

• pericolosità idraulica molto elevata (P.I.4), così come definita nel Piano Straordinario approvato con delibera del Comitato Istituzionale n. 137/1999;

• pericolosità idraulica elevata (P.I.3), corrispondente alla classe B.I. così come definita nel Piano Straordinario di cui sopra;

• pericolosità idraulica media (P.I.2) relativa alle aree inondate durante l’evento del 1966 come da “Carta guida delle aree inondate” di cui al Piano di bacino, stralcio relativo alla riduzione del “Rischio Idraulico”; • pericolosità idraulica moderata (P.I.1): rappresentata dall’inviluppo

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Per quanto riguarda il livello di dettaglio alla scala 1:10.000, ottenuto con analisi numerica, esso riguarda la parte di bacino afferente all’asta principale dell’Arno ed ai principali affluenti, mentre la parte restante è stata studiata in scala 1:25.000.

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Sono state distinte quelle aree ove le condizioni di allagamento sono prevalentemente attribuibili ai fenomeni di trasferimento dei volumi esondati dette, appunto, aree di trasferimento, da quelle soggette a condizioni di allagamento che permangono sul territorio per tempi lunghi rispetto alla durata

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dell’evento alluvionale, dette aree di invaso statico o di accumulo.

Per queste ultime sono state ulteriormente distinte le aree con battenti idrici di allagamento inferiori a 30 cm da quelle con battenti idrici superiori.

Nella cartografia la pericolosità è così graduata:

• pericolosità idraulica molto elevata (P.I.4) comprendente aree inondabili da eventi con tempo di ritorno TR ≤ 30 anni e con battente h ≥ 30 cm;

• pericolosità idraulica elevata (P.I.3) comprendente aree inondabili da eventi con tempo di ritorno TR ≤ 30 anni con battente h < 30 cm e aree inondabili da un evento con tempo di ritorno 30 < TR ≤ 100 anni e con battente h ≥ 30 cm;

• pericolosità idraulica media (P.I.2) comprendente aree inondabili da eventi con tempo di ritorno 30 <TR ≤100 anni e con battente h < 30 cm e aree inondabili da eventi con tempo di ritorno 100 <TR ≤ 200 anni ; • pericolosità idraulica moderata (P.I.1) comprendente aree inondabili da

eventi con tempo di ritorno 200 <TR ≤ 500 anni.

Il territorio del Comune di Pisa si colloca, per la maggior parte della sua estensione, nella porzione terminale del bacino idrografico del Fiume Arno (Valdarno Inferiore), mentre una piccola parte del territorio, posta al margine settentrionale del Comune compresa fra il Fiume Morto Vecchio a Nord, il Fiume Morto a Sud e la linea di costa a Ovest, fa parte del bacino idrografico del Fiume Serchio.

■ La pianura nel territorio comunale si presenta con andamento quasi orizzontale, con pochissima inclinazione verso il mare. Dal punto di vista altimetrico le quote variano da valori inferiori a -1 m s.l.m. fino a valori di circa 8-9 m s.l.m. Le zone morfologicamente più elevate sono le dune costiere attuali (con quote fino a 4-5 m s.l.m.), le dune quaternarie di Castagnolo-Coltano (con quote fino a 8 - 9 m s.l.m.) e la fascia di conoide dell’Arno che si protrae a ventaglio fino all’altezza di Barbaricina, a valle della città di Pisa, con quote, nelle zone più elevate, fino a circa 8 m s.l.m. Le zone morfologicamente più depresse sono quelle che circondano l’allineamento Castagnolo-Coltano ai relativi margini settentrionali e meridionali, aree attualmente interessate dalle bonifiche di Coltano

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e della Vettola.

Dal punto di vista idraulico il territorio del comune di Pisa è interessato principalmente da due distinti sistemi idraulici: sistema Idraulico dell’Arno e sistema Idraulico delle Bonifiche, all’interno del quale si distinguono quelle a scolo naturale da quelle a scolo meccanico.

Le acque che interessano il territorio e che provocano situazioni di crisi in varie parti di esso, sono essenzialmente di due tipi:

• quelle portate dai fiumi (principalmente l’Arno) e dai fossi e canali che percorrono l’intero territorio;

• quelle che provengono dalle precipitazioni meteoriche ricadenti direttamente sul territorio.

Il deflusso generale delle acque in uscita dalla città di Pisa è “strozzato” da due infrastrutture importanti: la Ferrovia e l’aeroporto. Questo implica che si verifichino frequenti allagamenti nelle porzioni morfologicamente più depresse della città, nei quartieri meridionali e occidentali. La Ferrovia agisce infatti come barriera al normale scorrimento delle acque, creando un “effetto diga” e la sua presenza impone dei limiti anche a un potenziale adeguamento alle aumentate portate in uscita dalla città dei fossi di scolo attuali. Si stima che gli allagamenti a Pisa e pianura si presentano già quando si superano soglie giornaliere di precipitazione meteorica di circa 100-150 mm di pioggia.

Le zone più frequentemente allagate, a Sud dell’Arno, sono: “Via Corridoni”, immediatamente a Nord della Stazione e a Nord dell’Arno, la zona di “Via Bonanno”, “Via Risorgimento”, “Campaldino”, “Porta Nuova” immediatamente a Est del tratto Pisa - S. Rossore. Altre zone nella immediata periferia di Pisa (come Porta a Lucca, Cisanello) spesso si allagano perché risentono della insufficienza della attuale rete idraulica (mancanza di adeguati dimensionamenti dei canali, carenza di fossi di scolo).

Aree allagabili.

Questo indicatore si riferisce alle aree che sono state interessate dai fenomeni alluvionali ed a fenomeni di ristagno.

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ricorrenti nonché quelle interessate dagli eventi alluvionali degli anni 1991, 1992, 1993.

Ad oggi, sulla base degli studi condotti per l’elaborazione del Piano Strutturale comunale, le aree allagabili sono state suddivise in:

• aree soggette a frequenti esondazioni; • aree soggette ad episodi di tracimazione; • aree soggette a ristagni.

Carta aree allagabili.

Vulnerabilità idrogeologica.

La vulnerabilità viene definita, in generale, come il grado di perdita prodotto su un certo elemento o gruppo di elementi esposti a rischio risultante dal verificarsi di un fenomeno naturale di una data intensità. È espressa in una scala da 0 (nessuna perdita) a 1 (perdita totale).

La vulnerabilità è uno degli elementi che serve per valutare il rischio secondo la formula descritta nel capitolo relativo alla pericolosità geomorfologica. Da un punto di vista storico l’analisi del rischio ambientale nasce principalmente per la valutazione dei pericoli naturali (la fonte di pericolo è l’evento naturale) rispetto ai quali studiare le forme d’assicurazione e salvaguardia delle vite umane e

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dei beni esposti, al fine di concorre a garantire la tutela della vita umana. Nel settore del rischio per le risorse naturali invece, il contesto risulta sostanzialmente differente. Il bene esposto, rispetto al quale considerare il pericolo per la successiva valutazione del rischio, non è più direttamente la vita umana, né l’insieme dei manufatti costruiti dall’uomo, ma è lo specifico comparto ambientale rispetto al quale si sta valutando la condizione di pericolo, nonostante che, anche in questo caso, l’obiettivo ultimo sia evidentemente la tutela della vita e della salute umana. L’approccio risulta quindi capovolto, nel senso che le attività antropiche, nelle loro diverse manifestazioni, costituiscono il pericolo mentre l’ambiente, è il bene esposto da tutelare.

La vulnerabilità esprime quindi il raccordo che lega l’intensità del fenomeno alle sue possibili conseguenze. Formalmente la vulnerabilità può essere espressa in termini di probabilità condizionata, ovvero dalla probabilità che l’elemento a rischio subisca un certo danno dato il verificarsi di un evento di data intensità.

La Carta della vulnerabilità idrogeologica del territorio comunale.

La Carta della vulnerabilità idrogeologica del territorio comunale è stata elaborata nel rispetto dei criteri indicati dal P.T.C. . Per il territorio comunale le classi di vulnerabilità del P.T.C. sono le seguenti:

Classe 1: vulnerabilità irrilevante: Si tratta di aree in cui affiorano terreni argillosi con grado di permeabilità molto basso. Corrisponde ad una vasta zona a Sud della città in cui il tetto del primo acquifero in sabbie (prima risorsa vulnerabile) si trova a quote maggiori di -5 m s.l.m. e quindi risulta protetto da uno spessore di sedimenti argillosi (superiore a 5m).

Classe 2: vulnerabilità bassa: include le aree di affioramento di terreni prevalentemente argillosi, dove il tetto del primo acquifero in sabbie (prima risorsa vulnerabile) si trova a quote minori di - 5 m s.l.m, protetto quindi da uno strato di argille sebbene di spessore più contenuto; tali sedimenti argillosi lateralmente possono trovarsi in contatto con sedimenti sabbiosi ad elevata permeabilità, che costituiscono le potenziali zone di ricarica dell’acquifero.

Classe 3: vulnerabilità media, sottoclasse 3a: aree in cui affiorano terreni caratterizzati da un basso grado di permeabilità ed in cui generalmente la falda

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freatica intesa come prima risorsa vulnerabile è assente. Nelle aree di affioramento di questi terreni prevalentemente limosi a bassa permeabilità la prima risorsa vulnerabile corrisponde all’acquifero confinato in sabbie.

Classe 3: vulnerabilità media, sottoclasse 3b: comprende le aree di colmata prossime al fiume Arno in cui affiorano sedimenti prevalentemente limo-sabbiosi caratterizzati da un grado di permeabilità medio ed in cui è possibile riscontrare presenza di falde idriche (non necessariamente da considerare come prima risorsa vulnerabile).

Classe 4: vulnerabilità elevata, sottoclasse 4a: aree prive di protezione sufficiente ad impedire all’inquinante di raggiungere la risorsa; si tratta di aree caratterizzate da terreni ad elevata permeabilità in cui la falda freatica è presente e prossima al piano campagna. Include le dune costiere, i depositi sabbiosi ed i paleoalvei più superficiali.

Classe 4: vulnerabilità elevata, sottoclasse 4b: comprende tutte le aree in cui la risorsa è esposta, e cioè le acque superficiali, le aree di pertinenza fluviale e le aree golenali. Nella valutazione idrogeologica del territorio comunale si è considerata la complessa stratigrafia della pianura pisana ed in particolare l’alternanza di complessi, a diversa granulometria ed estensione, con significative eteropie laterali e verticali. L’alternanza di terreni a diversa granulometria, spesso di forma lenticolare, che configurano un sistema acquifero multistrato sono tipici delle pianure costiere e sono il risultato di due fenomenologie contrapposte: subsidenza con tendenza all’ingressione marina e alluvionamento da parte dei fiumi e torrenti che favoriscono l’accrescimento della pianura. La discontinuità dei corpi acquiferi, sia in senso verticale che orizzontale, è legata ai movimenti di sprofondamento tettonico, alle variazioni climatiche ed idrologiche che hanno regolato i paleoregimi dei corsi d’acqua e che hanno soprattutto controllato le oscillazioni del livello del mare durante le glaciazioni Quaternarie.

Nella pianura pisana, la domanda idrica è soddisfatta essenzialmente da prelievi effettuati su tre livelli di acquiferi: acquifero freatico superficiale, primo acquifero confinato in sabbia e sottostante primo acquifero confinato in ghiaia. Per informazioni sullo stato qualitativo degli acquiferi, si veda la sezione “Acque” del presente rapporto.

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Da un punto di vista normativo le competenze in materia di gestione della risorsa idrica sono attualmente attribuite alle Province che possono autorizzare prelievi o attingimenti previo parere dell’Autorità di Bacino. L’apertura di pozzi ad uso domestico, nel Comune di Pisa, non è soggetta ad autorizzazioni preventive.

Acquifero freatico: l’acquifero freatico è presente in ampie zone del territorio comunale ed è situato nelle lenti sabbiose dei depositi alluvionali di esondazione o in quelli dei meandri abbandonati e dei paleo alvei. Generalmente questo acquifero non è stato quasi mai preso in considerazione perché l’acqua non è utilizzabile a scopi idropotabili a causa della sua scarsa quantità e della sua bassa qualità. Un’analisi dei dati a disposizione, in letteratura e di quelli reperiti dalle autodenunce dei proprietari dei pozzi, raccolte dall’amministrazione provinciale, ha messo in evidenza, però, che esiste un enorme quantità di pozzi (il loro numero si aggira intorno a qualche migliaio), che sfruttano la falda superficiale freatica a scopi principalmente irrigui.

Primo acquifero confinato in sabbia: l’acquifero artesiano in sabbia, risulta sfruttato attraverso l’emun gimento da almeno una trentina di pozzi ubicati sul territorio comunale. Alcuni dati di letteratura (Rossi e Spandre, 1995) mettono in evidenza che l’andamento della superficie piezometrica è caratterizzato da un ampia depressione allungata nella zona a Sud di Pisa, che tende ad estendersi verso NE in direzione dei Monti Pisani dove ha sede uno dei principali contributi alla ricarica della falda.

Primo acquifero confinato in ghiaia: per le sue caratteristiche litologico-tessiturali, e quindi di permeabilità è sede della falda più importante, sia per quantità che per qualità di acqua immagazzinata; esso costituisce perciò l’unico orizzonte che i pochi pozzi del territorio comunale sfruttano per un approvvigionamento a scopi idropotabili.

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Progetto di un asilo nido e una scuola per l’infanzia, via Le Rene - Ospedaletto - Pisa.

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Progetto di un asilo nido e una scuola per l’infanzia, via Le Rene - Ospedaletto - Pisa.

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A.7 - USO DEI SUOLI.

A livello regionale, l’aggiornamento della cartografia del 2001 ha reso manifesto un aumento, dal 1999 al 2001, delle aree artificiali (da 84.423 a 87.305 ettari ovvero dal 3,63% al 3,80% del territorio regionale).

L’Area pisana è caratterizzata da una presenza di aree di elevato pregio ambientale, quali le superfici boscate, per un 40% del territorio. La porzione extraurbana di territorio comunale (16.230 ettari) rappresenta circa l’87% dell’intera superficie, ed è occupata per la maggior parte (11.470 ettari, ovvero il 70%) dal Parco di S. Rossore, Migliarino, Massaciuccoli. Il Comune di Pisa presenta, in particolare, una percentuale di aree di elevato pregio ambientale del 40%, e circa il 45% del territorio è classificato come agricolo. Per quanto riguarda invece l’ indice di impermeabilizzazione, dal PS esso risulta pari a 0,13; per cui il 13% circa della superficie territoriale risulta impermeabilizzato.

È in corso di avviamento, presso l’Amministrazione comunale, il progetto per l’aggiornamento della carta di uso del suolo.

Riferimenti

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