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4. Materiali e metodi

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Academic year: 2021

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4. Materiali e metodi

4.1 Casistica.

Lo studio descritto in questa tesi ha previsto uno screening di 607 pazienti seguiti dal 1994 al 2015, presso il Centro delle Malattie Neuromuscolari del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentali dell’Università di Pisa.

4.2 Percorso diagnostico.

L’iter diagnostico che di routine viene seguito presso l’Ambulatorio comprende:

- Studio anamnestico, con particolare attenzione all’anamnesi patologica familiare per malattie neurologiche, neuromuscolari e psichiatriche: qualora l’anamnesi risulti positiva per familiarità è opportuno redigere un accurato albero genealogico.

- Esame obiettivo volto a riconoscere segni di interessamento di I e/o II motoneurone, in accordo con le definizioni diagnostiche cliniche della Federazione Mondiale di Neurologia di El Escorial (55), delineate per la prima volta nel 1994 e riviste nel 1998. Si distinguono criteri di inclusione e di esclusione;

I criteri di inclusione sono:

a- Segni di degenerazione del II motoneurone (clinici, neurofisiologici, neuropatologici) in uno o più distretti corporei (bulbare, cervicale, toracica, lombosacrale)

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b- Segni di degenerazione del I motoneurone evidenziata da dati clinici in uno o più distretti corporei;

c- Progressiva evoluzione dei segni di degenerazione all’interno di un distretto e/o da un distretto all’altro.

I criteri di esclusione sono:

a- Evidenza neurofisiologica o neuropatologica di altri processi che possano spiegare i segni clinici di degenerazione del I e del II motoneurone;

b- Evidenza alle tecniche di neuroimaging di altre malattie che possano spiegare i segni clinici e/o neurofisiologici osservati.

Sulla base di questi parametri si possono individuare quattro categorie diagnostiche:

1) SLA clinicamente definita:

-segni clinici o evidenze elettrofisiologiche di I e II motoneurone in tre regioni corporee;

2) SLA clinicamente definita con supporto di laboratorio:

-segni clinici di I e/o II motoneurone in una regione e il paziente è portatore di una mutazione patogenetica nel gene SOD1;

3) SLA clinicamente probabile:

-segni clinici o evidenze elettrofisiologiche di I e II motoneurone con alcuni segni di I motoneurone rostrali ai segni di II motoneurone;

4) SLA clinicamente possibile:

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oppure

-segni di I motoneurone in almeno due regioni

oppure

-segni di I e II motoneurone in due regioni senza segni di I motoneurone rostrali ai segni di II motoneurone.

I criteri diagnostici clinici comprendono:

-segni di degenerazione del I motoneurone: clono, segno di Babinsky, assenza riflessi cutanei addominali, ipertono spastico, perdita di destrezza;

-segni di degenerazione del II motoneurone: atrofia, debolezza, fascicolazioni.

- Elettromiografia (EMG) e studio della velocità di conduzione nervosa sensitiva e motoria, indagine fondamentale perché permette di individuare il coinvolgimento del II motoneurone nelle regioni clinicamente affette, ma anche in quelle non sintomatiche, la reinnervazione collaterale delle fibre muscolari scheletriche denervate da parte dei motoneuroni superstiti e, infine, può escludere la presenza di altri processi patologici che potrebbero simulare la SLA.

L’EMG mette in luce la presenza di quadri di denervazione acuta, espressa da potenziali di fascicolazione (FPs), potenziali di fibrillazione (fibs) e onde lente positive (sw) e di denervazione cronica, rappresentata da potenziali di unità motoria (PUMs) di durata e ampiezza aumentate e polifasici.

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Segni di denervazione acuta e cronica sono entrambi richiesti, in almeno due delle quattro regioni anatomiche esplorate: distretto cranico ( almeno un muscolo alterato tra linguali, facciali, masticatori), distretto cervicale (almeno due muscoli innervati da due radici di nervi cranici diversi), distretto toracico (muscoli paraspinali a livello/sotto T6 o muscoli addominali), distretto lombo- sacrale ( almeno due muscoli innervati da due nervi periferici differenti).

- Potenziali evocati motori per documentare l’interessamento di I motoneurone.

- Studio dei parametri del metabolismo muscolare, in particolare: dosaggio dell’acido lattico e ammonio basale, curva da sforzo ischemico, curva da sforzo incrementale con cicloergometro o miometro; quest’ ultimo prevede anche il dosaggio di FRAPP ( attività ferro riducente del plasma), AOPP (prodotti di ossidazione avanzata delle proteine) e tioli.

- Dosaggio marcatori periferici di stress ossidativo (AOPP, FRAP, Tioli);

- Esami biochimici con il dosaggio dei parametri di funzionalità muscolare: CPK, LDH, aldolasi.

Ai fini della diagnosi differenziale sono indicati:

- Esami neuroradiologici (RM encefalo e midollo spinale, con e senza mdc), per escludere la presenza di patologie infiammatorie, compressive, infiltrative che possono simulare un quadro di SLA. Tali tecniche, in alcuni casi, possono evidenziare una compromissione della corteccia motoria e/o il coinvolgimento della via piramidale (iperintensità di segnale in T2).

- Esami sierologici per lo screening di forme autoimmuni, infettive e paraneoplastiche, in particolare: Ab anti- gangliosidi, Ab anti-decarbossilasi dell’acido glutammico, Ab anti Yo,

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Hu, Ri, Ab anti- muscolo liscio, Ab anti- recettore per l’acetilcolina, sierologia per Borrelia burgdorferi.

- Esami ematici per escludere paraproteinemie, in particolare: dosaggio delle IgG, IgM, IgA totali e delle catene kappa e lambda, immunofissazione su siero

- Rachicentesi con dosaggio di proteine, quoziente albumino-citologico, ricerca sintesi intratecale di Ig, dosaggio proteine di degenerazione (Tau, Fosfo Tau, Amiloide).

4.3 Analisi molecolare.

Di norma, a tutti i pazienti, previa consulenza genetica e consenso informato scritto, viene eseguito un prelievo ematico per effettuare l’analisi molecolare dei principali geni causativi di SLA, in particolare: TDP43, SOD1, FUS.

L’analisi molecolare dei geni si basa sulla tecnologia del DNA ricombinante. Nata nei primi anni ’70, quest’ ultima ha fornito mezzi potenti per analizzare geni e proteine, e per modificare, in modo preciso e predeterminato, il patrimonio genetico di un organismo. Questa tecnologia, frutto della ricerca su DNA, RNA e virus, si basa principalmente sulla disponibilità di enzimi che possono tagliare, unire e replicare il DNA e trascrivere l’RNA in DNA (trascrizione inversa).

Di importanza fondamentale per l’analisi del DNA sono gli enzimi di restrizione che riescono a riconoscere sequenze di basi specifiche nel DNA a doppia elica e a tagliare entrambi i filamenti in punti precisi. Il loro utilizzo è indispensabile per analizzare la struttura dei

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cromosomi, in quanto riescono a isolare “frammenti di restrizione”, cioè geni o parti di DNA di interesse che possono quindi essere analizzati.

Il passo successivo, in un ipotetico schema di operazioni da effettuare per analizzare il DNA, consiste nell’ottenere un numero di copie elevato del frammento di interesse, che viene quindi clonato, fornendo materiale illimitato per studi sperimentali.

Per rivelare la presenza di specifiche sequenze di DNA in miscele complesse, inizialmente sono state usate le tecniche definite “blotting”, che permettono di separare e caratterizzare una sequenza di basi specifica di DNA o RNA mediante ibridazione con un filamento marcato complementare; è possibile identificare anche una proteina particolare colorandola con un anticorpo specifico.

Nel 1977 sono stati messi a punto i due approcci base di sequenziamento di campioni di DNA, che permettono la determinazione di una sequenza nucleotidica non nota base per base: - Il metodo dei didedossi di Sanger

- Il metodo di Maxam-Gilbert (o metodo di taglio chimico)

Pur essendo entrambi validi, il metodo Sanger è il solo utilizzato, sia per la sua semplicità, sia perché è possibile automatizzarlo. Questo metodo prevede di ottenere un insieme di frammenti di DNA generati attraverso una interruzione controllata del processo di replicazione. Si realizza la stessa procedura, contemporaneamente, in quattro miscele di reazione distinte (A, G, T e C). In ciascuna di esse viene inserito il campione di DNA da analizzare, l’enzima DNA polimerasi, un primer ovvero un oligonucleotide marcato radioattivamente, disegnato per appaiarsi con la regione che si trova all'inizio (anzi poco prima) del frammento che vogliamo sequenziare e i quattro desossiribonucleotidi trifosfato (dATP, dTTP, dCTP, dGTP), anch’essi marcati. Viene poi inserito in ciascuna provetta anche

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un piccolo quantitativo di un analogo 2´-3´-didesossi (ddNTP), diverso per ciascuna provetta. I dideossinucleotidi, a causa della loro conformazione, impediscono la formazione di legami fosfodiesterici e di conseguenza il legame con un altro nucleotide. La concentrazione del ddNTP in ciascuna miscela è abbastanza bassa in modo che la terminazione della catena permetta la formazione di frammenti sufficientemente lunghi per poter essere studiati. La DNA polimerasi inserirà talvolta il nucleotide giusto e altre volte il ddNTP analogo, in maniera casuale, ottenendo una serie di frammenti di DNA di lunghezza diversa, interrotti in ciascuna delle quattro provette in corrispondenza di una base diversaa, a seconda del didesossinucleotide inserito. Le quattro miscele di frammenti ottenuti, vengono sottoposte a elettroforesi su gel di poliacrilamide-urea, che permette di dividere i vari frammenti in differenti “corsie” e la sequenza delle basi del DNA complementare a quella cercata viene individuata dall’autoradiogramma delle quattro linee. Questo tipo di sequenziamento è “manuale” in quanto la lettura dell’autoradiogramma è affidata a un tecnico. Il metodo di Sanger è adatto per essere automatizzato, passando a una rivelazione per fluorescenza. È infatti possibile marcare il primer con un composto fluorescente diversamente colorato per ciascuna delle quattro miscele di reazione di terminazione: ciascun primer quindi emette fluorescenza a lunghezza d’onda diversa ed è facilmente individuabile; la sequenza dei rispettivi colori rivela direttamente alla sequenza delle basi. In alternativa, è possibile marcare i ddNTP, ciascuno con una differente etichetta fluorescente. Quando viene usato questo metodo, tutte e quattro le miscele del caso precedente possono coesistere in un’unica miscela e quindi è sufficiente una sola corsia su cui effettuare l’elettroforesi, evitando il rischio di variabilità elettroforetica fra una corsia e l’altra. La marcatura più usata attualmente è quella basata sui terminatori di catena chiamati “big-dyes derminator”, che consistono di didesossinucleotidi marcati con molecole con sistema di trasferimento di energia da un

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donatore a un accettore. Sono stati inoltre sviluppati modelli di sequenziatori automatici che sono in grado di eseguire corse elettroforetiche multiple su apparecchi multicapillari.

La clonazione in vivo, applicazione della tecnologia del DNA ricombinante, è stata la prima a essere sviluppata e consiste nel costruire nuovi genomi, introdurli in cellule ospiti e farli replicare. Il frammento di DNA di interesse viene infatti legato covalentemente a un DNA vettore, che ha la capacità di replicarsi in modo autonomo in un ospite adatto.

I vettori sono molecole di DNA che hanno origine da virus, batteri e cellule di lievito (YAC). Essi accolgono varie misure di frammenti di DNA estraneo: per esempio il fago λ accoglie frammenti che hanno misura in un range 10 kb-15 kb, mentre gli YAC sono adatti per frammenti in un range di 100 kb-1 Mb. La replicazione del vettore è veloce e, una volta terminata, è possibile, con opportuna procedura enzimatica, riavere il frammento iniziale replicato anche miliardi di volte in poco tempo.

Esiste anche un altro tipo di clonazione, in vitro, detta “Polymerase Chain Reaction” o PCR. Essa può amplificare ogni sequenza di DNA di qualsiasi origine (virus, batterio, pianta o uomo), centinaia di milioni di volte in alcune ore, invece che in alcuni giorni come accadeva con la tecnologia ricombinante. La PCR è estremamente preziosa in quanto facilmente automatizzabile e capace di amplificare piccole quantità di campione.

4.4 Percorso ambulatoriale e follow-up.

Una volta effettuata la diagnosi i pazienti vengono quindi seguiti con visite ambulatoriali specialistiche neurologiche, con appuntamenti solitamente a scadenza trimestrale. Ad ogni visita vengono effettuati:

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- esame obiettivo neurologico nell’ambito del quale il paziente viene valutato seguendo alcune scale parametriche, in particolare la MRC e la scala ALS- FRS.

La scala MRC (Medical Research Council) è un metodo semplice e veloce, che permette di valutare la forza di ciascun muscolo del paziente, tramite l’esecuzione movimenti contro resistenza in tutti i distretti corporei. In base al risultato vengono individuati sei livelli di forza:

5- normale contrazione del muscolo contro resistenza

4- forza muscolare ridotta, ma movimento attivo contro gravità e contro resistenza opposta dall’esaminatore

3- forza muscolare notevolmente ridotta, tale da impedire la contrazione contro resistenza, mentre è possibile il movimento attivo contro gravità

2- movimento attivo possibile solo in assenza di gravità

1- fascicolazione o tracce di contrazione muscolare

0- nessuna contrazione muscolare

La scala ALS- FRS (Amyotrophic Lateral Sclerosis - Functional Rating Scale), permette, tramite la valutazione di alcuni parametri, come la capacità di deambulare, di salire le scale, o il grado di conservazione della funzionalità respiratoria, di stimare la funzionalità globale del paziente e quindi il suo grado di autosufficienza.

A seconda del quesito clinico, al fine di evitare le principali complicanze della malattia e a garantire una progressione di malattia quanto più lenta possibile, i pazienti vengono indirizzati al follow- up che comprende: visite pneumologiche periodiche, finalizzate a valutare la funzionalità respiratoria, (con esame emogasanalitico e prove di funzionalità respiratoria);

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visite otorinolaringoiatriche, per monitorare la validità della funzionalità deglutitoria; visite nutrizionistiche e fisioterapiche.

4.5 Studio di prevalenza.

Nei pazienti che sono risultati positivi alla mutazione del gene SOD1 sono stati effettuati:  studio di prevalenza delle singole mutazioni del gene SOD-1;

 analisi delle caratteristiche di segregazione della mutazione;

 analisi della variabilità fenotipica, per ogni mutazione, sia intrafamiliare, che interfamiliare e tra casi sporadici, con relativa determinazione della prevalenza di singole variabili cliniche selezionate e qui elencate:

epoca d’esordio;

età del paziente al momento dell’esordio;

 età al momento della diagnosi;  forma clinica di malattia all’esordio;

 Identificazione della mutazione SOD1 causativa;  familiarità;

 demenza associata alla malattia;  mesi di malattia;

 mesi intercorsi tra esordio e tracheotomia;  Epoca dell’eventuale decesso.

La determinazione della prevalenza, intesa come misura di proporzione di "eventi" presenti in una popolazione in un dato momento, dove per "evento" si intende un qualsiasi carattere

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ricercato, rappresenta una misura di tipo statico numericamente espresso, in base alla formula qui adottata con un valore compreso fra 0 e 1.

- Infine, oltre ad aver eseguito le analisi molecolari del DNA, sui geni SOD1, FUS, TDP43, al fine di rendere più completo lo studio di alcuni pazienti selezionati, la metodica è stata applicata anche nello studio del gene c9orf72.

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