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CAPITOLO 4 DISCUSSIONE

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 4

DISCUSSIONE

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In questo studio è stata analizzata la variabilità genetica del cirripede

Amphibalanus amphitrite e dell’ascidia Styela plicata mediante l’analisi del gene

mitocondriale della Citocromo Ossidasi I (COI). Per entrambe le specie, caratterizzate da una diversa durata della fase larvale, sono stati analizzati 15 campioni provenienti da 14 porti. Inoltre, al fine di analizzare la variabilità su piccola scala, sono stati campionati due siti al’interno del porto di La Spezia.

4.1 Amphibalanus amphitrite

4.1.1 Verifica della corretta attribuzione degli individui

analizzati alla specie A. amphitrite

I marcatori molecolari, sia nucleari (ISSR, AFLP) che mitocondriali (COI, 16S, 18S), si sono rivelati validi strumenti per l’identificazione delle specie (Fritz et al., 2004; Pèrez-Losada et al., 2004; Maltagliati et al., 2005; Zardus & Hadfield, 2005; de León et al., 2006; Gompert et al., 2006; Panarari-Antunes et al., 2008; McFadden et al., 2011). Il gene mitocondriale codificante per la COI, in particolare, viene ampiamente utilizzato soprattutto per il barcoding di vertebrati (Hebert et al., 2003a, 2003b, 2004; Ratnasingham & Hebert, 2007; Dawson et al., 2010) ed invertebrati (Ward et al., 2005; Simonato et al., 2007; Tsang et al., 2007; Casu et al., 2009; Marin et al., 2010). È stato osservato infatti che i geni contenuti nei mitocondri risultano ottimi per l’identificazione genetica in quanto presenti in ogni cellula, inoltre il DNA mitocondriale che li contiene evolve relativamente in fretta, creando differenze tra specie. Il classico barcode genetico, ad esempio, consiste nel sequenziamento di una regione della COI di circa 650 bp (Hebert et al., 2003b, 2004).

Nel presente lavoro si è utilizzato il barcoding della COI per verificare la corretta assegnazione degli individui da noi campionati alla specie

Amphibalanus amphitrite. Non essendo presenti in GenBank sequenze della COI di A. amphitrite, le nostre sequenze sono state comparate, tramite la

procedura BLAST (www.blast.ncbi.nlm.nih.gov/Blast.cgi; Zhang et al., 2000), con sequenze di Balanus glandula, una specie congenerica con cui le nostre sequenze hanno una corrispondenza media del 94%. Ciò risulta anche per gli aplotipi H50 e H51, che nel network degli aplotipi (Fig. 3.2) differiscono dagli altri aplotipi per un sostanziale numero di mutazioni.

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Gli alberi filogenetici mostrano un nodo ben definito che raggruppa tutti gli aplotipi di A. amphitrite in un unico clade monofiletico distanziato dall’outgroup scelto che è rappresentato in Figura 3.3a da due individui di

Balanus glandula ed in Figura 3.3b da due individui di Semibalanus balanoides.

Si può quindi concludere che gli individui analizzati in questo studio appartengono alla specie A. amphitrite.

4.1.2 Diversità genetica all’interno delle popolazioni

I risultati ottenuti dal sequenziamento del gene COI hanno mostrato valori di diversità aplotipica elevati, che variano da un massimo di h = 1 ad un minimo di h = 0.778 tali risultati in questo caso sono dovuti alla presenza di un gran numero di aplotipi a bassa frequenza, mentre per quanto riguarda i valori di diversità nucleotidica essi sono compresi fra un massimo di π = 0.01239 ed un minimo di π = 0.00341. A. amphitrite quindi è caratterizzato da elevati valori della diversità genetica, è presente inoltre una distribuzione relativamente omogenea, in termini di numero degli aplotipi, di diversità aplotipica e di diversità nucleotidica in tutte le popolazioni analizzate. I valori osservati possono dipendere dalla presenza di una popolazione stabile con una storia evolutiva relativamente lunga, cioè una specie insediatasi da lungo tempo nelle zone campionate che ha avuto il tempo di differenziarsi geneticamente, e distribuita a livello pan globale. In alternativa gli elevati livelli di connettività, favoriti dall’ampia dispersione larvale e dal trasporto mediato dalle imbarcazioni fra popolazioni originariamente differenziate, potrebbero aver generato l’elevata diversità genetica. Pattern genetici simili sono stati rilevati da Grant e Bowen (1998) in alcune specie di teleostei ed elasmobranchi. I teleostei Englasius

japonicus, Pomatomus saltatrix, Emblemaria caldwelli e Brevoortia patronus

sono esempi di specie con lunga storia evolutiva che, a causa della configurazione aperta dell’ambiente costiero in cui vivono (Englasius japonicus e Brevoortia patronus) o delle loro capacità di dispersione (Pomatomus saltatrix e Emblemaria caldwelli) (Grant & Bowen, 1998), non hanno subito gli effetti di un prolungato isolamento geografico.

Confrontando i valori di diversità aplotipica e quelli di diversità nucleotidica da noi ottenuti con quelli rilevati in altre specie di cirripedi, si osserva come essi siano simili ai valori ottenuti da Shemesh et al. (2009) per

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Euraphia depressa (0.727 <h< 1 e 0.003 <π< 0.008), Chthamalus stellatus

(0.667 <h< 0.978 e 0.005 <π< 0.012) e Chthamalus montagui (0.890 <h< 0.972 e 0.004 <π<0.007) e da Zardus e Hadfiled (2005) per Chthamalus proteus (0.974 <h< 1e 0.011 <π< 0.030).

4.1.3 Diversità genetica tra popolazioni

Per quanto riguarda la variabilità genetica su piccola scala, si è visto che i due campioni prelevati all’interno del porto di La Spezia non differiscono significativamente fra loro. Ciò si evince dal valore non significativo dell’indice di fissazione FST (Tab. 3.2) ed è inoltre supportato dal test di assegnazione, che attribuisce gli individui di questi campioni quasi interamente al cluster più diffuso, al quale appartengono la maggior pare degli individui analizzati in tutti i siti di campionamento (Fig. 3.4). La presenza di un molo (Molo Italia) che separa i due siti di campionamento di La Spezia e la distanza presente fra di essi (0.63 miglia marine) non costituiscono una barriera sufficiente a limitare il flusso genico fra i due siti di campionamento e a generare divergenza genetica.

Il lavoro svolto ha evidenziato una scarsa strutturazione genetica della specie, in linea con quanto atteso per A. amphitrite che, pur essendo sessile, ha una lunga durata della fase larvale planctonica e può essere soggetto a trasporto passivo come organismo del fouling o come elemento delle acque di zavorra (Zullo et al., 1972; Calcagno et al., 1998; Zardus & Hadfiled, 2005). Il test di assegnazione basato sulla statistica Bayesiana ha evidenziato che la maggior parte dei campioni sono compresi nel cluster maggiormente diffuso. Lo stesso risultato è stato messo in evidenza anche dall’analisi dell’indice di fissazione (FST) in cui non si riscontrano valori significativi. Il network mette in risalto la presenza di un elevato numero di aplotipi (51), inoltre il fatto che gli individui provenienti da uno stesso porto non siano rappresentati da un unico aplotipo, ma da diversi aplotipi, sia condivisi che privati, conferma l’assenza di strutturazione genetica fra i porti analizzati. L’analisi della varianza molecolare (AMOVA) evidenzia che tutta la diversità genetica risiede nella componente entro porti (Tab. 3.4), in studi pregressi su altre specie di cirripedi sono stati riscontrati valori di varianza molecolare elevati anche se inferiori a quelli da noi ottenuti. Lo studio che riporta i maggiori valori di varianza molecolare all’interno delle località è quello di Zardus e Hadfiled (2005) in cui è stata studiata la

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variabilità genetica di Chthamalus proteus, tramite l’utilizzo della COI, nelle popolazioni native, campionate in sei siti dei Caraibi e dell’Atlantico occidentale, ed in quelle introdotte. In questo studio sono stati trovati valori di varianza molecolare all’interno delle località che variano dal 98.2% al 99.1%. Dufresne et al. (2002), studiando Semibalanus balanoides con alloenzimi e microsatelliti, hanno trovato una componente della varianza entro località rispettivamente del 95.1% e del 98.8%. Tsang et al. (2007) confrontando due specie di cirripedi,

Tetraclita japonica e T. formosana, con l’ausilio di due marcatori mitocondriali, COI e Regione di Controllo, hanno ottenuto valori del 97.5% e del 93.4%

rispettivamente. Sasson et al. (2012) hanno indagato la struttura di popolazione di Chthamalus stellatus nel Mediterraneo e nell’Atlantico orientale, tramite il sequenziamento della Regione di Controllo, ed hanno ottenuto valori di varianza che vanno dal 85.9% al 89.5%, valori leggermente più bassi di quelli ottenuti per la stessa specie in un altro lavoro dove, tramite l’utilizzo degli ISSR, è stato trovato un valore di varianza all’interno delle località del 95% (Pannacciulli et al., 2009). In questo stesso studio veniva analizzata anche la diversità genetica di Tesseropora atlantica, sempre tramite marcatori ISSR, la cui componente della varianza intra-località risultava più bassa (72%).

La variabilità che si riscontra entro località è generalmente determinata dalla variabilità intrinseca alla specie e dalle sue caratteristiche ecologiche (Pannacciulli et al., 2009). A. amphitrite può essere trasportato sotto le chiglie delle imbarcazioni, favorendo fortemente la sua dispersione; ciò farebbe sì che in un medesimo ambiente, quale quello portuale, di dimensioni limitate, giungano individui provenienti da aree diverse. Questo fenomeno tende ad annullare l’effetto della ritenzione larvale tipico degli ambienti portuali, in cui, per la loro conformazione, si vengono a creare aree confinate che limitano la dispersione della specie.

Il network degli aplotipi e l’albero filogenetico (costruito utilizzando

Semibalanus balanoides come outgroup), mostrano la presenza di due

aplogruppi: un primo aplogruppo che raccoglie la quasi totalità degli aplotipi ed un secondo che comprende unicamente due aplotipi (H50 e H51), rappresentati ciascuno da un solo individuo (rispettivamente uno presente nel campione di Civitavecchia e l’altro in quello di Ravenna). Questi due aplogruppi potrebbero essere stati generati da un’antica strutturazione di origine ignota; certo è che,

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attualmente, in questa specie non si riscontra strutturazione genetica. Si può quindi ipotizzare che il trasporto passivo mediato dai natanti agisca sia localmente che su scala più ampia, favorendo il flusso genico fra località ed impedendo la strutturazione genetica della specie. Risultati simili sono stati riscontrati in Chthamalus stellatus, in cui l’elevato potenziale di dispersione larvale ha impedito la strutturazione genetica della specie che in Atlantico è caratterizzata da un’unica popolazione (Pannacciulli et al., 1997, 2009; Shemesh et al., 2009).

Il test di Mantel per saggiare la relazione fra la distanza genetica e la distanza geografica tra i campioni considerati non ha rilevato la presenza di isolamento da distanza. Questo risultato corrobora quanto rilevato preliminarmente da Montani-Fargna (2007) sulla stessa specie mediante l’uso dei marcatori ISSR. Nello studio di Montani-Fargna il valore di probabilità del test di Mantel è risultato prossimo alla significatività (P=0.068), suggerendo che un disegno di campionamento più ampio avrebbe potuto evidenziare isolamento da distanza. Il presente studio adotta la stessa scala spaziale considerata nello studio di Montani-Fargna (circa 8000 km di costa), ma comprende un maggior numero di campioni; il valore di probabilità (P=0.5227) ricavato dal test di Mantel anche in questo caso risulta essere non significativo, rafforzando così l’ipotesi di assenza di isolamento da distanza. I differenti valori di probabilità ottenuti nei due studi potrebbero essere imputati ai diversi marcatori molecolari impiegati. Secondo Palumbi (2003), nelle specie ad alto potenziale dispersivo l’isolamento da distanza dovrebbe essere verificato adottando una scala spaziale molto maggiore rispetto al potenziale di dispersione della specie: stimata da questo Autore in 2-5 volte la distanza media di dispersione. Nel caso di A. amphitrite, la cui fase planctonica dura circa 20 giorni (Raimondi, 1992), la distanza coperta dalla larva è stimata in circa 23-128 km (Pfeiffer-Herbert et al., 2007), rendendo la scala spaziale utilizzata nel presente studio (oltre gli 8000 km) idonea a saggiare la presenza di isolamento da distanza. Va considerato però che il trasporto mediato da natanti o tramite rafting contribuisce all’alterazione del modello naturale di isolamento da distanza, permettendo lo scambio di materiale genetico fra porti distanti diverse migliaia di chilometri ed il superamento da parte delle larve di barriere naturali ed artificiali (correnti, moli, ecc.).

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4.2 Styela plicata

4.2.1 Verifica della corretta attribuzione degli individui

analizzati alla specie S. plicata

Tramite la procedura BLAST (Zhang et al., 2000) è stato possibile confermare la corretta appartenenza di tutti i 149 campioni analizzati alla specie

Styela plicata con un valore di probabilità pari al 99%. Fra questi sono compresi

gli individui recanti l’aplotipo H9, che differiscono per 16 mutazioni dagli altri aplotipi. L’appartenenza di tutti gli individui analizzati alla specie S. plicata è confermata dalla struttura dell’albero filogenetico, che mostra un nodo significativo che separa il clade monofiletico contenente tutti gli aplotipi di S.

plicata dall’outgroup scelto rappresentato da due individui di Styela clava (Fig.

3.8).

4.2.2 Diversità genetica all’interno delle popolazioni

Il sequenziamento del gene della COI ha fornito valori di diversità aplotipica compresi tra h = 0.200 e h = 0.933, e di diversità nucleotidica compresi tra π = 0.00033 e π = 0.01149. Fanno eccezione i valori di h e π del porto di Livorno che sono pari a zero, in quanto gli organismi campionati in questo porto presentano tutti lo stesso aplotipo. S. plicata quindi, contrariamente a quanto osservato in A. amphitrite, è caratterizzata da una distribuzione non omogenea, in termini di numero degli aplotipi, di diversità aplotipica e di diversità nucleotidica in tutte le popolazioni analizzate.

Confrontando i valori di diversità aplotipica e quelli di diversità nucleotidica ottenuti da noi con quelli rilevati per la stessa specie e con lo stesso marcatore mitocondriale da de Barros et al. (2009) (0.400 <h< 0.806 e 0.00153 <π< 0.00498) e da Pineda et al. (2011) (0.1 <h< 0.484 e 0.00016 <π< 0.00388) in Mediterraneo, si osserva come i valori ottenuti da questi Autori siano simili a quelli del presente studio. Per quanto riguarda invece gli individui provenienti da altre regioni geografiche, analizzati da Pineda et al. (2011), sono stati riscontrati valori più elevati di diversità nucleotidica. Una spiegazione di questa incongruenza può essere legata al fatto che in Mediterraneo potrebbero essersi verificati periodici colli di bottiglia.

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Per quanto riguarda gli altri studi effettuati su specie di ascidiacei, Pérez-Portela et al. (2012) hanno rilevato in Perophora japonica valori di diversità aplotipica compresi tra h = 0.278 e h = 0.663 e di diversità nucleotidica compresi tra π = 0.00272 e π = 0.01124. López-Legentil et al. (2006) in

Botryllus schlosseri hanno rilevato valori di diversità aplotipica compresi tra h =

0.1533 e h = 0.700 e di diversità nucleotidica compresi tra π = 0.0076 e π = 0.079. Sempre in B. schlosseri, Lejeusne et al. (2011) hanno rilevato valori di diversità aplotipica compresi tra h = 0.118 e h = 0.876 e di diversità nucleotidica compresi tra π = 0.002 e π = 0.094, e ancora Lejeusne et al. (2011) in

Botrylloides violaceus hanno rilevato valori di diversità aplotipica compresi tra h

= 0.343 e h = 0.596 e di diversità nucleotidica compresi tra π = 0.003 e π = 0.009. Si può notare come i valori di diversità aplotipica e nucleotidica siano simili a quelli ottenuti nel presente studio per S. plicata, fatta eccezione per i valori di diversità nucleotidica riportati da López-Legentil et al. (2006) che sono più elevati dei nostri forse a causa di una elevata connettività fra i campioni di

Botryllus schlosseri analizzati nello studio. Questi dati, uniti alla ridotta diversità

genetica presente nel bacino Mediterraneo [9 aplotipi ritrovati nel nostro studio rispetto ai 22 dello studio di Pineda et al. (2011)], come anche affermato da Lejeusne et al. (2011) per B. schlosseri, possono essere interpretati come una mancanza di aplotipi intermedi che suggerisce che i popolamenti mediterranei di S. plicata siano stati fondati da un esiguo numero di individui con aplotipi ben differenziati. Dopo la colonizzazione iniziale in alcuni porti potrebbe esserci stata una rapida crescita della popolazione che avrebbe favorito l’accumulo di mutazioni come rilevato da Grant e Bowen, (1998) in alcune specie di teleostei ed elasmobranchi. Come afferma Holland (2000), in generale le specie invasive hanno una bassa variabilità genetica, specialmente se l'introduzione avviene con un evento unico e coinvolge pochi fondatori, ma non si possono escludere eventi multipli di colonizzazione.

Nell’ambito di questo studio, in S. plicata si notano valori lievemente più alti della diversità genetica, in termini di numero di aplotipi, di diversità aplotipica e di diversità nucleotidica, nelle popolazioni meridionali rispetto a quelle settentrionali. L’incremento della variabilità genetica in relazione alla diminuzione della latitudine potrebbe essere legato alle caratteristiche relative allo sviluppo e alla riproduzione della specie che dipendono dalla temperatura e

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dalla salinità, esse infatti influiscono sulla durata dello sviluppo larvale e sulla metamorfosi della larva dopo l’insediamento (Thiyagarajan & Qian, 2003; O’Connor et al., 2007; David et al., 2010). In uno studio sulla crescita e i cicli riproduttivi di alcune ascidie, tra cui anche S. plicata, Yamaguchi (1975) ha osservato che questi animali tollerano ampie variazioni di temperatura e salinità anche durante la fase riproduttiva. Questo Autore ha inoltre rilevato che la fecondazione delle uova può avvenire in presenza di temperature fino a 28°C, ma lo sviluppo embrionale necessita di temperature comprese fra i 18 ed i 26°C. Un aumento della temperatura, inoltre, accorcia la durata della fase larvale; infatti, a temperature di 14, 18 e 26°C la fase larvale dura rispettivamente 25.4, 15.6 e 8.0 ore, riducendo quindi il potenziale per la dispersione alle temperature più elevate (Thiyagarajan & Qian, 2003; O’Connor et al., 2007; David et al., 2010). Le temperature elevate favoriscono quindi uno sviluppo larvale più rapido, permettendo così il susseguirsi di un maggior numero di generazioni rispetto a quelle generate dalle popolazioni delle zone a temperature più basse. Queste considerazioni possono essere messe in relazione al fenomeno del riscaldamento globale; infatti, un incremento nella temperatura delle acque, potrebbe ridurre il potenziale per la dispersione di S.

plicata e permettere un ulteriore aumento del numero di generazioni favorendo

una maggiore differenziazione genetica.

Le ascidie campionate nei porti più caldi potrebbero esibire una maggiore variabilità genetica a seguito delle condizioni favorevoli alla sopravvivenza caratteristiche di questi porti che favorirebbero l’affermarsi di un maggior numero di aplotipi. Per contro, le ascidie campionate nei porti più freddi sarebbero meno differenziate geneticamente a causa delle condizioni ambientali avverse che promuoverebbero solo aplotipi specifici per la sopravvivenza a quelle condizioni. Inoltre, l’aumento del numero di generazioni potrebbe essere responsabile della maggiore differenziazione genetica dovuta ad un rapido accumulo di mutazioni che porterebbe ad un aumento nel numero di aplotipi registrati nei porti più caldi. Anche la durata della fase larvale più breve, caratteristica delle zone più calde, ridurrebbe il potenziale di dispersione larvale così favorendo la strutturazione genetica (David et al., 2010). L’aumento della durata della fase larvale con nuoto attivo causa un elevato dispendio di energie influenzando negativamente la crescita post-metamorfosi ma non la

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sopravvivenza delle larve (Marshall et al., 2003; Thiyagarajan & Qian, 2003). Dato il mancato aumento della mortalità si può pensare che l’aumento della durata della fase larvale non vada ad influire sulla diversità genetica all’interno dei porti più freddi.

La salinità, invece, esercita un effetto minimo sulla durata della metamorfosi, ma ha effetti notevoli sull’embrione e sullo sviluppo del sifone. A valori di salinità compresi fra i 22 e 26 PSU (Practical Salinity Units) le uova fecondate non si sviluppano, mentre per valori di salinità maggiori (30-34 PSU), al diminuire della temperatura, si ha un aumento della durata dello sviluppo embrionale (Thiyagarajan & Qian, 2003). La salinità minima del Mar Mediterraneo è di 36 PSU (Millot et al., 2006), ciò favorirebbe un prolungato sviluppo embrionale che ridurrebbe il numero di generazioni influenzando negativamente la differenziazione genetica. Va però tenuto conto del fatto che, a causa dei fenomeni di evaporazione o all’apporto di acque dolci, la salinità delle zone portuali potrebbe variare molto rispetto ai valori registrati in mare aperto e quindi influenzare in modo diverso lo sviluppo embrionale.

4.2.3 Diversità genetica tra popolazioni

Analizzando la variabilità genetica su piccola scala, si è rilevato che i due campioni prelevati all’interno del porto di La Spezia non differiscono significativamente fra loro. Si può infatti osservare che il valore dell’indice di fissazione FST per questa coppia di campioni non è significativamente diverso da zero (Tab. 3.7) e che gli individui di questi due campioni sono rappresentati da due soli aplotipi (H3 e H8) che differiscono per due mutazioni (Tab. 3.8 e Fig. 3.7). Il test di assegnazione attribuisce gli individui di questi campioni ai due cluster maggiormente diffusi (Fig. 3.9). Ciò suggerisce che, nonostante il potenziale per la dispersione di S. plicata sia basso [inferiore a 1 km (David et al., 2010)], è sufficiente ad impedire divergenza genetica all’interno del porto. Questo può dipendere da molteplici fattori quali: i) la presenza di correnti interne al porto che permettono alle larve di spostarsi da una parte all’altra del porto nel breve tempo che la larva trascorre in acqua, ii) il trasporto passivo sotto le chiglie di imbarcazioni locali che si spostano nell’ambito portuale, iii) l’elevata presenza della specie all’interno del porto che favorirebbe il flusso genico fra gli individui presenti nei due siti di campionamento. Inoltre, la scarsa

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variabilità genetica riscontrata in entrambi i campioni di La Spezia, in cui sono stati rilevati due soli aplotipi, potrebbe essere dovuta ad una recente colonizzazione del porto da parte di pochi individui fondatori, oppure ad uno o molteplici colli di bottiglia demografici. Risultati simili sono stati ottenuti su

Styela rustica da Demarchi et al. (2008), che affermano di non aver trovato

differenziazione genetica fra le 5 popolazioni di S. rustica indagate (fra le quali si ha una distanza minima di circa 2.8 Km). L’omogeneità genetica riscontrata può dipendere secondo gli autori da una colonizzazione recente avvenuta dopo le ultime glaciazioni oppure dalla presenza di un elevato flusso genico fra le popolazioni. Solitamente però la larva di questa specie disperde in media per 12 ore nel plancton, suggerendo un limitato potenziale per la dispersione.

Come atteso dallo scarso potenziale di dispersione di Styela plicata, questa specie presenta strutturazione genetica nei mari italiani. Il test di assegnazione ha evidenziato come i porti di Montecarlo, Trieste e Portoferraio appartengano ciascuno ad un diverso cluster genetico che li caratterizza e che risulta poco diffuso fra gli altri campioni. Le caratteristiche particolari di questi tre campioni sono state messe in evidenza anche dall’analisi dell’indice di fissazione FST, che mostra valori significativi fra tutti i porti campionati e quelli di Montecarlo e Trieste; anche Portoferraio differisce significativamente da 13 dei 15 porti analizzati. Il network degli aplotipi, in accordo con le due analisi precedenti, mette in risalto il fatto che il campione di Montecarlo sia caratterizzato da un aplotipo che dista per 16 mutazioni dall’aplogruppo principale del network e che quello di Trieste sia rappresentato da un aplotipo raro. Il campione di Portoferraio, invece, è rappresentato da un aplotipo privato presente in un solo individuo e da un aplotipo raro rilevato in sette individui, mentre i rimanenti due individui sono rappresentati uno dall’aplotipo H3 ed uno dall’aplotipo H9. La divergenza di questi campioni dagli altri analizzati potrebbe essere dovuta alle condizioni ambientali presenti nei tre porti che avrebbero favorito l’affermarsi di un determinato aplotipo rispetto ad altri in relazione a peculiari condizioni ambientali. Per esempio, il porto di Trieste è caratterizzato da temperature invernali relativamente basse dovute ai bassi fondali tipici del Nord Adriatico ed ai venti freddi di Bora; inoltre questo porto è caratterizzato da un elevato riscaldamento delle acque durante la stagione estiva (Poulain et al., 2010). Queste caratteristiche ambientali, che differiscono da quelle degli altri

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porti, potrebbero giocare un ruolo importante nel produrre la divergenza genetica osservata favorendo, ad opera della selezione naturale, la sopravvivenza di alcuni aplotipi rispetto ad altri. Il presente lavoro apre nuove strade di indagine che richiedono la raccolta di dati chimico-fisici che permettano di testare le ipotesi espresse.

Un’ipotesi alternativa per la differenziazione genetica dei campioni di Montecarlo, Trieste e Portoferraio potrebbe essere legata al fatto che le tre popolazioni si sarebbero originate da diversi eventi d’introduzione di S. plicata avvenuti in momenti differenti a partire da individui con aplotipi diversi ad opera del trasporto passivo. L’ipotesi di un’introduzione dovuta ad eventi multipli è stata avanzata anche da Lejeusne et al. (2011) per Botryllus schlosseri.

I campioni di Livorno e Viareggio, pur appartenendo al cluster maggiormente rappresentato, si differenziano dagli altri perché sono gli unici campioni assegnati ad un unico cluster, a causa della grande omogeneità genetica degli individui presenti in questi campioni. L’analisi dell’indice di fissazione FST mostra valori significativi tra Livorno e 12 dei 15 porti analizzati e tra Viareggio e tutti i porti considerati. Il network degli aplotipi evidenzia che il campione di Livorno è rappresentato da un unico aplotipo (quello maggiormente condiviso) mentre quello di Viareggio è rappresentato in piccola parte (un individuo) dallo stesso aplotipo del campione di Livorno, mentre i restanti individui presentano un aplotipo che dista dal primo per un’unica mutazione. Per questi porti si può ipotizzare un possibile effetto del fondatore (che determina lo sviluppo di una nuova popolazione a partire da pochi individui) che è normalmente caratterizzato da una bassa diversità aplotipica oppure, data la vicinanza geografica dei due porti, una similarità dovuta a particolari condizioni ambientali. Non è da escludere inoltre che il traffico marittimo locale possa essere responsabile del pattern genetico osservato, il trasporto passivo infatti potrebbe aver permesso il passaggio di larve ed individui adulti da uno dei due siti di campionamento all’altro.

Il network degli aplotipi mette in evidenza il basso numero di aplotipi presenti (9 su 149 sequenze analizzate) ed il fatto che gli individui appartenenti ad un porto in molti casi sono rappresentati quasi esclusivamente da un unico aplotipo. Si può inoltre notare la presenza di due aplogruppi divergenti, il primo comprendente gli aplotipi da H1 ad H8 mentre il secondo rappresentato

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esclusivamente dall’aplotipo H9. Questi due aplogruppi potrebbero derivare da un evento passato di divergenza. La presenza dei due aplogruppi non viene però supportata dall’albero filogenetico che non fornisce supporto statistico per il nodo che separa l’aplotipo H9 dagli altri.

Dall’analisi della varianza molecolare (AMOVA) si osserva che la variabilità genetica è quasi equamente ripartita nei livelli all’interno dei porti (52.2%) e fra porti (47.8%). La componente di varianza registrata all’interno dei porti si potrebbe attribuire al flusso genico prodotto dal trasporto passivo favorito dalle imbarcazioni, che fa sì che in un solo porto si possano trovare individui provenienti da aree diverse anche molto lontane. Mentre le componenti di varianza registrate all’interno dei porti e fra porti si potrebbero attribuire alla variabilità intrinseca alla specie. La componente di varianza relativa al confronto fra porti all’interno di una regione risulta significativa e potrebbe stare ad indicare una strutturazione delle popolazioni in più raggruppamenti. Per esempio, nel Mar Ligure, come già evidenziato dal test di assegnazione Bayesiana, si potrebbe ipotizzare una divergenza del campione di Montecarlo dagli altri porti di questo bacino; ciò però non è supportato dalla struttura dell’albero filogenetico. Valori simili a quelli ottenuti nel nostro studio per la varianza all’interno dei porti e fra i porti, sono stati riscontrati in Styela plicata da Pineda et al. (2011) (rispettivamente 58.4% e 41.6%), in Botryllus schlosseri (56.9% e 43.1%) da Lòpez-Legentil et al. (2006), sempre in Botryllus schlosseri (41.5% e 58.5%) ed in Botrylloides violaceus (47.5% e 52.5%) da Lejeusne et al. (2011), in Pycnoclavella communis (65.5% e 34.4%) da Pérez-Portela e Turon (2008), ed in Aplidium falklandicum (59.5% e 40.5%) da Demarchi et al. (2010).

Il test di Mantel in S. plicata non ha rilevato la presenza di isolamento da distanza. Secondo David et al. (2010), data la breve durata della fase larvale di questa specie, il potenziale di dispersione risulta essere al massimo di 1 km. Essendo i nostri campioni distanti almeno 19.7 miglia marine (pari a 36.4 Km) (escludendo i due campioni del porto di La Spezia), è possibile affermare che la scala spaziale impiegata nel presente studio è idonea a mettere in evidenza, se presente, l’isolamento da distanza. La diversità genetica fra i campioni non riflette la distanza geografica, infatti, i valori di FST sono risultati in alcuni casi non significativi fra campioni distanti (Ravenna/Genova) e significativi fra

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campioni vicini (Genova/Montecarlo o Genova/Viareggio), come già osservato da Pineda et al. (2011). Ciò potrebbe essere spiegato considerando che il trasporto mediato da natanti contribuisce all’alterazione del modello naturale di isolamento da distanza, permettendo lo scambio di materiale genetico fra porti distanti anche centinaia di miglia nautiche ed inoltre consente il superamento di barriere naturali ed artificiali (correnti, moli, ecc.) che solitamente limitano la dispersione larvale. Il fatto che in S. plicata sia assente l’isolamento da distanza, nonostante il limitato potenziale dispersivo, suggerisce che l’espansione dal suo areale di origine sia avvenuta senz’altro ad opera del trasporto mediato dalle navi. Ciò viene avvalorato dal fatto che S. plicata è altamente resistente alle vernici antifouling (Raftos & Hutchinson, 1997), caratteristica che favorirebbe il suo insediamento sulle chiglie delle navi ed il conseguente trasporto passivo.

4.2.4 Confronto con studi pregressi

I risultati ottenuti in questo studio per Styela plicata sono stati confrontati con quelli pubblicati da de Barros et al. (2009) e da Pineda et al. (2011). A tal fine il test di assegnazione basato sulla statistica Bayesiana ed il network degli aplotipi sono stati eseguiti sul totale delle sequenze analizzate nei tre studi. Dai risultati del network degli aplotipi (Fig. 3.12) si nota come l’aplogruppo 2, che nello studio di Pineda et al. (2011) non comprendeva individui del Mar Mediterraneo, sia rappresentato anche in questo bacino. Ampliando il campionamento degli studi precedenti con i 15 campioni portuali analizzati nel presente lavoro, è stato possibile chiarire la situazione presente nel Mar Mediterraneo, rendendo inoltre la situazione a livello globale maggiormente omogenea, in quanto gli individui del nostro campione appartenenti all’aplotipo H9 vanno ad unirsi a quelli dell’aplotipo H16, il più condiviso dell’aplogruppo 2 (Fig. 3.12).

Dal test di assegnazione basato sulla statistica Bayesiana (Fig. 3.13), si evince come alcuni dei nostri campioni, che facevano parte di cluster poco comuni in Mediterraneo, vengano ora a fare parte di cluster condivisi da campioni provenienti da località extra-mediterranee analizzate negli studi pregressi. Il cluster di Montecarlo, ad esempio, include campioni provenienti dall’Oceano Atlantico, dall’Oceano Pacifico e dall’Oceano Indiano. Il campione

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di Portoferraio entra a far parte di un cluster condiviso da campioni del Mar Mediterraneo e dell’Oceano Indiano, mentre il campione di Trieste si associa ad un cluster diffuso nei campioni prelevati in tutti i bacini analizzati (Mar Mediterraneo, Oceano Atlantico, Oceano Indiano ed Oceano Pacifico) (Fig. 3.13). Infine, i campioni di Viareggio e Livorno, che mostravano alcune peculiarità rispetto agli altri, in quanto meno variabili geneticamente, continuano ad appartenere al cluster caratteristico dei campioni del Mar Mediterraneo (Fig. 3.13). Ciò mette in evidenza come gli aplotipi da noi ritrovati in Mediterraneo siano ampiamente diffusi negli altri bacini e come la strutturazione genetica su ampia scala sia comunque limitata. Questo è in accordo con i risultati ottenuti da Pineda et al. (2011) che indicano che attualmente il pool genico di S. plicata è ben distribuito tra i bacini e che la maggior parte della variabilità genetica presente è situata all’interno delle popolazioni (58.4%). Inoltre, i 9 aplotipi da noi individuati coincidono con quelli trovati nei precedenti studi (con l’eccezione dell’aplotipo H5 che è privato di Portoferraio) e vanno a distribuirsi insieme agli altri in tutti i bacini analizzati da de Barros et al. (2009) e Pineda et al. (2011).

Carlton & Ruckelshaus (1997), Lambert & Lambert (1998), Carlton (2009) e de Barros et al. (2009) ipotizzano che l’areale di origine di S. plicata sia il Pacifico nord occidentale; da qui la specie avrebbe poi colonizzato le altre regioni tropicali e temperate tramite trasporto passivo sotto le chiglie delle imbarcazioni e nelle acque di zavorra (Thiyagarajan & Qian., 2003; Carlton, 2009; de Barros et al., 2009; David et al., 2010).

I risultati di Pineda et al. (2011), in accordo con i nostri, hanno sottolineato come ad oggi il pool genetico di S. plicata sia uniformemente distribuito tra i bacini. Inoltre questa diffusa omogeneità indica che tutte le popolazioni inizialmente avevano un pool simile di alleli (David et al., 2010). Ciò, come constatato da Pineda et al. (2011), non fornisce un chiaro segnale sull’areale di origine di S. plicata attualmente attribuito al Pacifico nord occidentale. Una situazione analoga è stata riscontrata in Ciona intestinalis (Zhan et al., 2010) che si ritiene abbia avuto un’espansione antica, mentre in specie di introduzione più recente, come Botryllus schlosseri (López-Legentil et al., 2006; Lejeusne et al., 2011), Microcosmus squamiger (Rius et al., 2008) e

Styela clava (Goldstien et al., 2011), è ancora possibile ricostruire la storia della

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4.3 Influenza del traffico marittimo sui pattern di diversità

genetica delle due specie

Le zone di origine delle due specie oggetto studio non sono conosciute con sicurezza, sebbene si ritenga che A. amphitrite sia originario dell’Oceano Indiano e del Pacifico sud-occidentale (Foster, 1978) mentre S. plicata potrebbe provenire dall’Oceano Pacifico occidentale (Carlton & Ruckelshaus, 1997; Lambert & Lambert, 1998; de Barros et al., 2009). Essendo le due specie elementi tipici del fouling, si pensa che tramite trasporto passivo sotto le chiglie delle imbarcazioni si siano successivamente diffuse ad altre regioni del globo fino a popolare tutta la zona tropicale e temperata (Thiyagarajan & Qian, 2003; de Barros et al., 2009; David et al., 2010). La dispersione su larga scala è riconducibile alla navigazione transoceanica, mentre quella su piccola scala può essere attribuita al traffico marittimo locale e alla nautica da diporto. L’ipotesi di dispersione tramite trasporto passivo risulta verosimile in particolar modo per S.

plicata che, data la breve durata della fase larvale ed il ridotto potenziale per la

dispersione, non avrebbe altrimenti potuto espandersi a livello pan globale. Grazie alle mappe forniteci dalla Capitaneria di Porto di La Spezia, realizzate con il software MAREΣ (Mediterranean AIS Regional Exchange System; http://www.elmansrl.it/en/case-studies/8-mares), relative al traffico marittimo in Mediterraneo nel 2010 (anno in cui è stata raccolta la maggior parte dei campioni), è stato possibile mettere in relazione i nostri risultati con il potenziale trasporto passivo, specialmente durante la stagione riproduttiva. Nelle aree temperate A. amphitrite ha una stagione riproduttiva caratterizzata da un picco estivo, mentre nelle zone tropicali continua per tutto l’anno (Daniel, 1958; Pilai, 1958); in Mediterraneo, invece, S. plicata è sessualmente attiva da Febbraio ad Aprile (Cestone, 2006). Il traffico marittimo risulta essere mediamente alto nel periodo primaverile e và intensificandosi durante quello estivo (Fig. 2.29) a causa dell’aumentato trasporto passeggeri (traghetti, navi da crociera, nautica da diporto, ecc.). Ciò favorirebbe un ancor più efficace trasporto passivo delle larve di A. amphitrite e S. plicata che vengono rilasciate nel plancton proprio in quel periodo.

La situazione scarsamente strutturata dal punto di vista genetico di A.

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si ricavano solo tre cluster genetici (Fig. 3.4), suggerisce che questa specie venga trasportata in modo efficace in tutto il Mar Mediterraneo, sia dalle imbarcazioni da diporto che possono diffonderlo su piccola scala che dalle grandi imbarcazioni (merci, passeggeri, ecc.) che garantiscono la dispersione su ampia scala.

Per quanto riguarda S. plicata, il test di assegnazione relativo ai nostri dati ha invece rilevato cinque cluster di cui due ampiamente diffusi in Italia, un terzo che rappresenta la quasi totalità degli individui di Portoferraio ed è diffuso nei campioni del Mar Tirreno, del Mar Ionio e del sud del Mar Adriatico, un cluster quasi totalmente appartenente al campione di Montecarlo, ed un quinto cluster principalmente rappresentato da individui del campione di Trieste (Fig. 3.9). Confrontando questi risultati con le mappe forniteci dalla Capitaneria di Porto di La Spezia e con il test di assegnazione eseguito aggiungendo ai nostri dati quelli relativi agli studi di de Barros et al. (2009) e Pineda et al. (2011), si può osservare come il cluster che prima caratterizzava unicamente il porto di Montecarlo venga ad includere campioni provenienti da tutti e tre gli oceani, dato compatibile con quanto evidenziato dalle mappe che mostrano rotte che da Montecarlo si dirigono direttamente verso lo Stretto di Gibilterra ed altre che si dirigono verso il sud dell’Italia e quindi verso il Canale di Suez. Il cluster che caratterizza il campione di Trieste invece include campioni provenienti dal sud della Spagna, dall’Oceano Atlantico e dall’Oceano Indiano. Ciò concorda con le mappe che mostrano rotte che dal Mar Adriatico si dirigono verso il sud della Spagna e verso Gibilterra ed altre che si dirigono verso il Mediterraneo Orientale e quindi verso il Canale di Suez, così mettendo in comunicazione Trieste con i porti di Cina, India ed Estremo Oriente (http://www.porto.trieste.it/).

Un ulteriore aspetto da prendere in considerazione è che alcuni porti agiscono per lo più da esportatori di larve. Questo è ad esempio il caso del porto di La Spezia al quale giungono navi portacontainer, carboniere e gasiere (http://it.wikipedia.org/wiki/Porto_della_Spezia) che scaricano la merce e fanno rifornimento d’acqua in porto per creare la zavorra e ristabilire l’assetto della nave. Non sorprende quindi che il cluster che include anche i due siti di La Spezia sia quello maggiormente diffuso in Mediterraneo e sia presente in tutti i campioni analizzati. Ad oggi la legislazione marittima (Capitaneria di Porto di La Spezia, Comandante Giuseppe Aulicino, com. pers.) non prevede l’obbligo da

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parte delle navi di dichiarare dove vengono riempite/svuotate d’acqua le zavorre, rendendo difficoltoso risalire a potenziali immissioni di larve in ambiente portuale.

4.4 Confronto fra la struttura genetica di Amphibalanus

amphitrite e quella di Styela plicata

In questo studio è stata messa a confronto, in ambiente portuale, la variabilità genetica del cirripede Amphibalanus amphitrite e quella dell’ascidia

Styela plicata. Analizzando lo stesso numero di località ed un numero simile di

individui la differenza che risulta più evidente fra le due specie è la variabilità nel numero di aplotipi osservati: 51 in A. amphitrite e 9 in S. plicata. Il maggior numero di aplotipi osservati in A. amphitrite e la loro distribuzione (molti aplotipi sono privati e quelli condivisi sono comuni a molti campioni) suggerirebbe una maggiore variabilità genetica di questa specie rispetto a S. plicata. Questa osservazione è supportata anche dai risultati di Pineda et al. (2011), che riscontrano solo 22 aplotipi, su un totale di 368 sequenze di COI analizzate, in campioni provenienti da tutti i bacini in cui S. plicata è presente.

La componente più grande della varianza molecolare in A. amphitrite è quindi relativa al livello gerarchico più basso (entro porti), come già osservato in altri studi sui cirripedi (Dufresne et al., 2002; Zardus & Hadfiled, 2005; Tsang et al., 2007; Pannacciulli et al., 2009; Sasson et al., 2012). In S. plicata ed in altri ascidiacei, invece, la variabilità è quasi equamente ripartita nei due livelli gerarchici più bassi (entro porti e fra porti) (Lòpez-Legentil et al., 2006; Pérez-Portela & Turon, 2008; Lejeusne et al., 2011; Pineda et al., 2011).

Si può ipotizzare che la maggiore variabilità genetica rilevata dalle analisi effettuate in A. amphitrite potrebbe dipendere dalla diversità intrinseca alla specie. Il flusso genico dovuto, oltre che al trasporto marittimo, all’elevata dispersione larvale, favorirebbe la connessione fra popolazioni intermedie e distanti rendendo più ricca la variabilità genetica locale. Ciò, a causa del limitato potere dispersivo, non risulta invece possibile in S. plicata.

Un’ulteriore ipotesi riguarda fattori storici: le due specie potrebbero aver colonizzato il Mediterraneo in tempi diversi. Si potrebbe ad esempio supporre che S. plicata sia migrata nel Mediterraneo più recentemente e non abbia quindi avuto il tempo necessario a differenziarsi geneticamente quanto A. amphitrite.

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Considerando la variabilità genetica su media scala, cioè quella fra porti entro regioni, si notano situazioni differenti. In A. amphitrite non si osserva la presenza di strutturazione genetica, come suggeriscono l’assenza di valori significativi di FST e la percentuale della varianza fra porti entro regioni pari a 0. In S. plicata, invece, si rilevano segnali di strutturazione genetica, come suggerito dalla presenza di valori significativi di FST per alcune coppie di campioni e la percentuale della varianza fra porti entro regioni pari al 51.9%. Queste differenze nella variabilità genetica potrebbero essere attribuite a eventuali colli di bottiglia locali. Si potrebbe inoltre suggerire che la più elevata variabilità genetica riscontrata in A. amphitrite potrebbe aver mascherato eventuali differenze fra porti che sono invece facilmente riscontrabili in S.

plicata che risulta più geneticamente omogenea.

L’effetto omogeneizzante dovuto al trasporto passivo su larga scala, risulta molto efficace in entrambe le specie. Fra le specie introdotte che non presentano isolamento da distanza grazie all’alterazione della strutturazione naturale da parte dell’uomo si possono annoverare Botryllus schlosseri (López-Legentil et al., 2006) e Botrylloides violaceus (Lejeusne et al., 2011).

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