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3. Red Dust Road e Fiere: una vita tra prosa e poesia

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Academic year: 2021

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3. Red Dust Road e Fiere: una vita tra prosa e poesia

3.1. Red Dust Road

L’opera esce nel 2010 per Picador e incontra il giudizio favorevole di critica e pubblico: l’acclamata scrittrice Bernardine Evaristo per The

Independent la descrive come “a fantastic, probing and heart-warming read”1

mentre Aminatta Forna per The Guardian definisce il memoir “stirring and joyful”2. Nel 2014 è stato inserito tra i venti libri che in occasione della World Book Night (23 aprile) vengono distribuiti in comunità dove “reading is not commonplace”3, scelta che sottolinea la capacità del libro e dell’autrice di entrare in contatto con chi lo legga, una qualità necessaria per stimolare chi non è solito leggere: “Red Dust Road is a beautifully-written page-turner, unpretentious and full of humour”4 affermano gli organizzatori dell’evento.

3.1.1.

La scelta del memoir

Il memoir (dal francese mémoire, memoria) è una forma letteraria che rientra nel genere autobiografico ma che è diversa dall'autobiografia stessa, costituendo piuttosto un sottoinsieme del genere. La parola autobiografia

1

http://www.independent.co.uk/arts-entertainment/books/reviews/red-dust-road-by-jackie-kay-1990630.html (Ultima consultazione 10/10/2014).

2

http://www.theguardian.com/books/2010/jun/26/red-dust-road-jackie-kay (Ultima consultazione 10/10/2014).

3

http://www.thejournal.co.uk/culture/arts/interview-jackie-kay-4396181 (Ultima consultazione 10/10/2014).

4 http://www.thejournal.co.uk/culture/arts/interview-jackie-kay-4396181 (Ultima consultazione

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2 deriva dal greco αὐτός βίος γράφειν, ossia scrivere la vita da sé, e si caratterizza per l'omonimia tra personaggio principale, narratore e autore.

L'origine del genere autobiografico si colloca nell'antichità, la prima testimonianza è rappresentata infatti da un papiro dell'Antico Egitto; scorrendo la storia del genere, le Confessioni5 di Sant'Agostino, risalenti al Medioevo, si distinguono come modello di autobiografia spirituale, in cui la conversione, che rappresenta il passaggio dal peccato alla salvezza, rappresenta il cambiamento principale nella vita e nell'uomo. Ma il periodo in cui il genere è davvero fiorente è il Settecento, grazie soprattutto all'evoluzione dell'ideologia borghese, si assiste a un cambiamento: con la Rivoluzione industriale si ha l'affermazione della classe borghese, già iniziata nel Seicento in Inghilterra, la cui ideologia si fonda sull'importanza del denaro e del mercato; sono uomini che si sono affermati grazie al duro lavoro e alle proprie capacità, i cosiddetti self made men. La nuova classe borghese, che puntava all'affermazione personale tramite il lavoro, non può che trovare la sua perfetta espressione nella narrazione autobiografica, la quale si concentra sul racconto di un particolare processo di cambiamento, di trasformazione affrontato dall'individuo. Lo scrittore statunitense Gore Vidal nelle sue “memorie” definisce la differenza tra autobiografia e memoir: “A memoir is how one remembers one's own life, while an autobiography is history, requiring research, dates, facts double-checked”6. Infatti nel memoir non si ha un racconto lineare dalla nascita fino all'età adulta, ma una serie di ricordi, memorie appunto. L'assenza di un preciso ordine cronologico può rendere la narrazione meno scorrevole e non immediatamente chiara al lettore, che si ritrova catapultato nel mondo estremamente intimo

5 A. Augustinus (santo), Le confessioni, trad. it. di C. Carena, Einaudi, Torino 1984, (Confessiones). 6

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3 dell'autore, il quale non è tenuto a perdersi nel raccontare con i minimi dettagli il tempo e lo spazio del ricordo, ma si sofferma piuttosto sulle immagini e le sensazioni provate: non c'è tanto l'intenzione di raccontare in modo dettagliato la propria vita, quanto certe esperienze fondamentali che hanno inciso sulla persona.

Il memoir è quindi un genere che implica la condivisione con il lettore di momenti, ricordi, avvenimenti reali assolutamente personali, senza l’intervento della fantasia a trasformare la realtà in finzione e senza un ordine cronologico. Nel caso della scrittrice scozzese, il memoir è stata una scelta quasi automatica, la storia che voleva raccontare, i suoi incontri con i genitori naturali e la nuova consapevolezza circa se stessa e la sua vita erano le classiche situazioni in cui la realtà superava la fantasia, basti pensare all’assurdità del cercare il padre su Google e trovarlo:

the process of finding them was so extraordinary to me and the real life situation so bizarre that it seemed like there was no point in making anything up because the truth was literally as the cliché goes “stranger than fiction” so it was a case of me trying to take the truth and mediating it. […] It seemed to me that memoir was the only form that I could write it, [...] It’s just that the story did feel like it was happening to me so I became a character in my own life7.

Jackie Kay diventa quindi protagonista di una storia, la sua storia, dove la realtà ha dato luogo a una serie di situazioni bizzarre e quasi assurde nelle quali la creatività della scrittrice non ha avuto bisogno di intervenire. Nell’intervista rilasciata in occasione del Cheltenham Literary Festival nel 2012, l’autrice prova a definire ulteriormente il processo che l’ha portata a scegliere questa particolare forma letteraria affermando:

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4 I think that sometimes in your life events are so shocking or dramatic or surprising to you that you step outside of yourself a little bit and try to understand them, and you for a moment become a character in your own life and that probably is the best way that I can think to describe the process by which you arrive at writing a memoir8.

L’autrice ha assunto il ruolo di protagonista e al tempo stesso di osservatore della propria vita, cercando di prendere la distanza da avvenimenti che per lei, come per tutti, sarebbero potuti diventare veri e propri fattori destabilizzanti. In questo modo ha potuto definirli, inquadrarli e neutralizzarli con l’aiuto della scrittura: scegliendo il genere più adatto per stimolare il lettore alla riflessione. Perché lo scopo dello scrivere non è dare risposte, quanto porre le giuste domande.

8

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5

3.1.2. Le epigrafi

Tre sono le citazioni riportate in epigrafe che anticipano l’inizio della narrazione introducendo al lettore alcuni concetti che ricorreranno del testo. La prima è “All biographies like all autobiographies like all narratives tell one story in place of another”9, citazione contenuta nel volume Hélène Cixous:

Rootprints. Memory and Life Writing10, che si concentra sulla vita e il pensiero della nota critica e scrittrice francese che ne è la co-autrice insieme a Mireille Calle-Gruber. Cixous, che più di una volta all’interno dell’opera nega l’appartenenza del libro al genere autobiografico, inserisce la citazione ripresa da Kay come epigrafe al capitolo “Albums and Legends”, dove ripercorre la storia delle origini della famiglia. Tuttavia con questa epigrafe viene messa in dubbio la veridicità dell’autobiografia, come osserva Claire Boyle:

suspicion is heaped on the genre of autobiography: [the] epigraph to the section refutes the possibility that autobiography can be distinguished from other genres by the author’s intention to give a dependably truthful account of him- or herself11.

E infatti Cixous riporta un racconto che non è dettagliato, come scrive Karina Eileraas “In ‘Album and Legends’, Cixous provocatively interweaves concrete

9

J. Kay, Red Dust Road, Picador, London 2010, p. vii.

10 H. Cixous, “Album and Legends” in M. Calle-Gruber e H. Cixous Hélène Cixous, Rootprints: Memory

and Life Writing, trad. di E. Prenowitz, Routeledge, London 1997, p. 178, (Photos de Racine, Editions

des femmes, Paris 1994).

11 C. Boyle, Consuming Autobiographies: Reading and Writing the Self in Post-war France, Modern

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6 details from her youth with glaring gaps, conjectures, and omissions”12. La citazione di Cixous si adatta perfettamente alla narrazione di Jackie Kay, sia perché si è ritrovata a vivere situazioni “stranger than fiction”, a volte più credibili in un romanzo che nella realtà, sia perché nel caso di una persona adottata risulta più evidente che per chiunque altro come il destino abbia influito sulla direzione della sua vita; e proprio il fantasticare sulla vita che avrebbe potuto avere sarà una costante del libro.

La seconda epigrafe è una citazione da Requiem for a Nun13 di William

Faulkner: “The pasti is never dead. It’s not even past”14, che la scozzese semplifica in “The past is never past”15. In Requiem for a Nun viene ripresa la storia di Temple Drake, a otto anni di distanza dagli avvenimenti raccontati in Sanctuary e che l’hanno vista protagonista. La ragazza sbandata del passato è adesso una donna rispettabile, sposata e con due bambini, che progetta in realtà di abbandonare il marito. Nancy, la bambinaia ex tossicomane e ex prostituta diventata suora, per salvare la padrona dalla sua scelta sbagliata decide di uccidere la bambina di sei mesi affidata alle sue cure. Temple, di fronte al gesto della bambinaia capisce che la colpa per l’infanticidio, e per la conseguente impiccagione della bambinaia, è in realtà sua: le scelte sbagliate fatte in passato sono la vera causa della morte della figlia e di Nancy, ma mentre Nancy con il suo gesto riuscirà a salvare la sua padrona e a trovare la pace, Temple dovrà convivere con i suoi errori senza trovare mai perdono. Dal breve resoconto fatto si intuisce la grande importanza, oltre che responsabilità, che in Requiem for a Nun viene attribuita al passato: un

12

K. Eileraas, Between Image and Identity: Transnational Fantasy, Symbolic Violence, and Feminist

Misrecognition, Lexington Books, Plymouth 2007, p. 86.

13

W. Faulkner, Requiem for a Nun, Random House, New York 1951. Trad. it. di F. Pivano, Requiem

per una monaca, Mondadori, Milano 1996.

14 Ibid. I.iii. 15

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7 insieme di situazioni che nonostante siano accadute, non possono essere dimenticate con il tempo. Nel memoir di Kay il riferimento è in particolare ai genitori naturali e al modo in cui concepiscono il rispettivo passato: Jonathan ha voltato pagina, per lui il passato è un discorso chiuso, con il quale il presente non ha e non deve avere nessun rapporto; per Elizabeth invece il passato è una presenza costante. In una vita dove dare un figlio in adozione e sopravvivere al suicidio di un altro sono solo alcuni dei tristi episodi ai quali la donna ha dovuto far fronte, il passato non può essere cancellato. Allo stesso tempo la citazione si può nuovamente collegare alla vicenda dell’adozione, sebbene l’autrice abbia vissuto una vita felice con la sua famiglia adottiva, resta comunque una storia iniziata con un abbandono che non può non aver influito sulla sua crescita.

L’ultima epigrafe è invece ripresa da Things Fall Apart16 di Chinua Achebe: “The last big rains of the year were falling. It was time for treading red earth with which to build walls”17. Nel libro dello scrittore nigeriano costituisce l’apertura del capitolo diciannove dove il protagonista, Okwonko, prepara il ritorno nel suo villaggio dopo sette anni di esilio: è il momento di un nuovo tanto atteso inizio dopo un periodo difficile. Per Kay coincide invece con la nuova consapevolezza circa le sue origini e la sua storia, una nuova realtà che è decisamente diversa da come l’aveva sempre immaginata. E’ impossibile infine non ricollegare la red earth della citazione al titolo del memoir, una Red Dust Road che simboleggia la forza immaginativa della scrittrice, per la quale la strada di polvere rossa ha sempre rappresentato l’Africa nella sua fantasia di bambina.

16

C. Achebe, Things Fall Apart, Heinemann, London 1962, p. 148. Trad. it. di S. Antonioli, E/O, Roma 1976.

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3.1.3. Struttura e Tematiche

La storia in Red Dust Road procede su due piani narrativi che si alternano regolarmente, dove i ricordi e le riflessioni della scrittrice sono collegati o sul piano spaziale o su quello temporale. Il testo è infatti diviso in piccole sezioni, distinte anche tipograficamente, che come titolo portano il nome del luogo che ha fatto da scenario a precise situazioni o l’anno nel quale è accaduto l’evento descritto – dal 1969 al 2009.

Il libro si apre con la descrizione del primo incontro con il padre biologico: Jonathan O, affermato professore universitario esperto in botanica, è in attesa di Jackie Kay nella hall del Nicon Hilton Hotel ad Abuja, in Nigeria. Fin dalla prima pagina è possibile notare la semplicità con cui la scrittrice permette al lettore di accedere alla propria storia, la grande accuratezza dei particolari usati nel descrivere i propri pensieri e gli slanci immaginativi assolutamente coinvolgenti che saranno una costante di tutta la narrazione:

It’s a strange thing, looking at one black man after another wandering if he is your father. It seemed this morning that everyone was. Several handsome men appeared, all of an age with Jonathan, wearing more and more elaborate outfits in all sorts of vivid colours – bright green, bright blue, burnished gold, tangerine orange. It was like sitting watching a fashion show of old black men walk the gangway to the pool bar. Each one made some kind of entrance, it seemed, because each one could have been my father18.

L’uomo è vestito di bianco e stringe una borsa di plastica, particolare che lo accomuna alla madre naturale, Elizabeth, la quale si era sempre presentata con l’immancabile borsa, “Both my birth parents, on first sight,

18

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9 looked like some homeless people look, who carry important papers in their carrier bags”19. Come prima cosa Jonathan domanda se fosse possibile spostarsi nella stanza d’albergo di Jackie.

Mentre i due personaggi raggiungono la camera, la scrittrice espone al lettore i fatti dai quali è partita la sua ricerca: i genitori si erano conosciuti nel 1961 in una sala da ballo ad Aberdeen, dove Jonathan studiava mentre Elizabeth prestava servizio come infermiera. Durante la gravidanza si erano tenuti in contatto, poi Jonathan era tornato in Nigeria, mentre la madre era andata in un centro di assistenza ad Edinburgo per far nascere la bambina, adottata 5 mesi dopo da una coppia di Glasgow. Jackie rintraccia prima la madre ricercando il cognome nell’elenco telefonico, ma passeranno tre anni tra il primo contatto e l’incontro effettivo, avvenuto nel 1991, al quale seguiranno altri. Il nome del padre, Jonathan O, appare invece dopo una breve ricerca tramite Google; basterà una telefonata e qualche email per organizzare l’incontro avvenuto nel 2003.

Arrivati nella stanza, l’uomo chiede di poter pregare. Jackie pensava di essere finalmente sul punto di iniziare una tranquilla conversazione con il padre naturale, ma si ritrova invece a dover ascoltare il suo sermone. L’uomo prende la Bibbia dalla borsa e inizia a pregare. “I feel alarmed. Extreme religion scares the hell out of me”20 è il commento di Jackie nell’assistere alla performance, con canti e danze, nella quale Jonathan si esibisce, benedicendo la donna e citando a memoria passi della Bibbia che invitano alla purificazione e alla rinascita.

19 Ibid. p. 3. 20

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10 I realize with a fresh horror that Jonathan is seeing me as the sin, me as impure, me the bastard, illegitimate. I am sitting here, evidence of his sinful past, but I am the sinner, the live embodiment of his sin21.

A questa sconcertante rivelazione, Jackie cede alle lacrime e allo sconforto, che cresce con il passare del tempo e l’insistenza di Jonathan perché anche lei diventi una born-again, “At every reading you do, you could take the message of our Lord. Think of the people you could convert”22. Dopo due ore di canti, balli e inviti alla conversione, Jonathan e Jackie si dirigono a cena. Nel conversare la donna, già abbastanza scossa per aver intuito il suo ruolo nella vita del padre, scopre che, non volendo accogliere Cristo come lui vorrebbe, non può che rimanere un segreto per il resto della famiglia, infatti l’improvvisa comparsa di una figlia nata fuori dal matrimonio avrebbe avuto ripercussioni negative sulla sua comunità religiosa: “if people were to know

about you they would lose their faith in God”23. L’uomo la vede quindi come

una minaccia: Jackie è l’incarnazione del suo passato peccaminoso, un passato che è stato ormai evidentemente superato e dimenticato dall’uomo che afferma “You are my before; this is my after. You are my sin, now I lead this life”24.

A questo punto la scrittrice interrompe il racconto dell’incontro e comincia ad alternare i ricordi collegati sul piano spaziale a quelli collegati sul piano temporale, estremamente più brevi dei primi. Il lettore viene riportato al 1968, anno in cui Jackie scopre di essere stata adottata. La continua alternanza di ricordi sorprende il lettore, inizialmente confuso dalla

21

Ibid. p. 6.

22

Ibid. p. 5.

23 Ibid. p. 273, corsivo nell’originale. 24

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11 frammentarietà del racconto, che tuttavia è tipica del genere scelto dall’autrice per narrare la propria storia.

Dalla scoperta dell’adozione, il testo torna di nuovo a soffermarsi sul racconto dei ricordi che ruotano intorno a Christchurch e Glasgow, la prima è la città in Nuova Zelanda dove i genitori di Jackie, John e Helen Kay si sono conosciuti e innamorati, mentre Glasgow è la città dove si sono trasferiti un anno dopo il matrimonio. Vista l’impossibilità per la coppia di avere figli, i due decidono di ricorrere all’adozione. Un’opportunità che il loro pensiero politico ha però complicato: le associazioni che si occupavano di adozioni in Scozia negli anni ‘50 erano principalmente religiose e le convinzioni socialiste di una coppia che non andava in chiesa non li rendeva i candidati ideali per diventare genitori. Ma una volta trovata una responsabile che fosse dalla loro parte, è bastata l’osservazione di Helen Kay “By the way, we don’t mind what colour the child is”25 per permette ai due di adottare prima Maxwell e poi Jackie. I ricordi della famiglia Kay tornano successivamente nel memoir nella descrizione delle vacanze fatte per l’intera Scozia. Di particolare interesse è il modo in cui l’autrice, evitando la scrittura in forma di dialogo e senza riportare il discorso indiretto, riporta sulla pagina il ritmo incalzante del fluire dei ricordi. L’enorme accumulo di dettagli che si evince dai ricordi dei tre componenti, ognuno intento a sottolineare un particolare diverso della stessa situazione, permette al lettore di visualizzare gradualmente un’immagine sempre più nitida e chiara:

And we sang our way to Torridon, driving in the green Morris Minor van. We stayed in a youth hostel in Torridon. Do you remember that Alsatian dog that belong to the caretakers; it bit my hand really hard. I don’t remember that! Yes, she’s right, John, I remember. I got you some painkillers. And those owners

25

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12 weren’t very nice about it, said I should teach my child not to stroke strange dogs? I don’t remember that at all. Well, it happened if you both say so, but I would dispute it26.

La conversazione che Jackie ha con Jonathan le fa conoscere un uomo completamente diverso dall’idea che si era fatta di lui: interessato più al valore monetario che simbolico dell’orologio che gli regala, le manca completamente di rispetto imbarazzandola con curiosità riguardanti la sua vita sessuale di lesbica, arrivando addirittura a chiedere “Which one of you is the man? […] How do you have sex?”27. Alle domande sul passato Jonathan risponde in modo vago ed evasivo “he seemed perplexed – scrive Jackie – about the idea of himself in the past, as if he was somebody else then […]. He recites tiny facts, dutifully, to try and please me […] he can barely remember anything about Elizabeth, not even what she looked like”28. Nonostante la ritrosia dell’uomo nel parlare del periodo ad Aberdeen, Jackie scopre con piacere che il suo nome sul certificato di nascita – Joy – era stato lui a sceglierlo, ma resta nuovamente delusa quando alla domanda se avesse mai pensato a lei nel corso degli anni l’uomo risponde: “‘No.’[…] ‘No, of course not, not once. Why would I? It was a long time ago. It was in the past’”29. Nell’assurdità dei suoi discorsi, l’uomo riesce a trovare la pace della quale ha bisogno per riuscire a coniugare la sua religione con le tradizioni della sua gente; durante la cena pronuncia infatti la frase “I have acknowledge you between us and God”30, della quale Jackie capirà il significato solamente in seguito del suo secondo viaggio in Africa, sei anni più tardi. Attraverso quella 26 Ibid. p. 119. 27 Ibid. pp. 104-105. 28 Ibid. pp. 96-97. 29 Ibid. p. 98. 30 Ibid. p. 108.

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13 frase Jonathan ha alleggerito la sua coscienza dalla responsabilità del passato: riconoscendo Jackie come sua figlia ha rispettato il principio Igbo secondo il quale non c’è legame più forte di quello di sangue, ma questo genere di riconoscimento tra i due e Dio, sebbene lasci Jonathan in pace con la sua religione, non comporta alcun cambiamento per Jackie, per la quale continuare a restare un segreto è diventato un peso che non le permette di conoscere i figli di Jonathan, con i quali condivide un legame di sangue.

Le sue origini e la cultura africana sono oggetto di una maggiore attenzione nel suo secondo soggiorno africano, che vive come un’emozionante avventura alla scoperta delle proprie origini, della cultura che avrebbe potuto essere la sua, di quella strada non imboccata che nella sua fantasia è una red dust road. Questo secondo viaggio in Africa viene raccontato attraverso la forma di diario, dove ricostruisce puntualmente gli avvenimenti e i discorsi dei giorni trascorsi in Nigeria. Mentre nel 2003 era partita da sola, in attesa di tenere lezioni o intervenire in qualche conferenza e trascorrendo il suo tempo principalmente chiusa in albergo per paura di essere derubata; in questo secondo viaggio Jackie chiede a Kachi31, uno studente dell’Università di Newcastle dove lei insegna, di accompagnarla. La richiesta nasce dal ruolo fondamentale che lo studente ha avuto nel rintracciare il suo villaggio d’origine, Ngazha: sfruttando Google e le informazioni raccolte dai parenti in Nigeria, Kachi è infatti riuscito a risalire al Professor O, con il quale un cugino stava portando avanti uno studio, fornendo così alla scrittrice l’informazione che cercava. Jackie questa volta non alloggia in un hotel ma è ospite di amici, tra i quali la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie, che la supportano e la consigliano nella sua

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Kachi, lo studente che accompagna la scrittrice nel secondo viaggio in Nigeria e che la porta a conoscere i propri familiari, altri non è che Kachi Ozumba, l’autore del romanzo The Shadow of a

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14 ricerca personale. Raggiunge la zona di Ukpor dopo un lungo e pericoloso viaggio in macchina durato tredici ore e visita Nghaza, il villaggio delle sue origini, fantasticando su quella vita che non ha vissuto. Ogni cosa che fa e che osserva le appare surreale: sbircia nella casa che scopre essere di uno dei fratelli e parla con una cugina che non ha idea di chi sia in realtà, “It made me feel a bit like a private eye in what could have been my own life, spying on my other self”32. Le sensazioni che prova nel visitare la terra delle sue origini sono inaspettate: si sente attratta dai nomi che legge sui segnali stradali e pensa “I want to learn how to say them all”33, è affascinata dal fiume Niger, dalla lingua Igbo che inspiegabilmente riesce a capire, e ragiona già sul prossimo ritorno in quel luogo dal quale si sente affascinata, “It occurs to me that I’m thinking about when I’ll be back before I’ve even left and that Nigeria has started to steal a little piece of my heart”34. Ma la cosa che più di tutte la impressiona del villaggio originario è il trovarsi a percorrere quella stessa red

dust road che fin da bambina ha immaginato nell’Africa della sua fantasia:

I’ve never come across a red-dust road exactly like the one in my imagination until I come to my own village. I ask Pious to stop so that I can walk out and walk on it. I take off my shoes so the red earth can touch my bare soles. It’s as if my footprints were already on the road before I even got there my waiting footprints. The earth is so copper and beautiful and the green of the long elephant grasses so lushly green they make me want to weep. I feel such a strong sense of affinity with the colours and the landscape, a strong sense of recognition. There’s a feeling of liberation, and exhilaration, that at last, at last, at last I’m here. It feels a million miles away from Glasgow, from my lovely Fintry Hills, but, surprisingly, it also feels like home35. 32 Ibid. p. 223. 33 Ibid. p. 205. 34 Ibid. pp. 206-207. 35 Ibid. p. 213.

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15 Spiegando così il riferimento contenuto nel titolo, che sottolinea come l’immaginazione, rappresentata da quella strada di polvere rossa, costituisca una costante della sua vita e al tempo stesso uno dei principali componenti del memoir.

Ma le sensazioni positive che il luogo le trasmette si scontrano con lo sconforto provocatole dal rifiuto del padre di incontrarla. Jackie scopre che il professore non ha volutamente risposto alla mail nella quale gli anticipava il suo nuovo viaggio in Nigeria chiedendogli un altro incontro. Parlando al telefono con Kachi l’uomo afferma di non avere tempo e chiude la conversazione dicendo “Tell her I wish her well and that she should go ahead”36. Affranta, Jackie inizialmente rispetta il volere dell’uomo di continuare a tenerla segreta, ma i consigli e le informazioni che raccoglie nel corso del viaggio la convincono a rivedere la sua posizione. Ancora prima della telefonata con Jonathan, Jackie aveva cominciato a chiedersi che diritto avessero Jonathan ed Elizabeth di tenerla nascosta alle rispettive famiglie, e che diritto avesse lei di contattarle direttamente. E’ stata la semplice osservazione di un’estetista Yoruba a mettere Jackie di fronte alla realtà: quello che si cercava di nascondere non era un segreto, ma una persona adulta di quarantasette anni,

‘My father’s from Nigeria’, I said.

‘Oh, welcome, welcome,’ Tope said, reaching for the pumice to grind my swollen feet. ‘So you are visiting him?’ […]

‘No, he wasn’t interested in seeing me again, because he’d kept me secret,’ […] ‘Oh, but you’re…’ Tope said laughing searching for the right word.

‘I’m what?’ I haven’t quite caught the word.

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16 ‘You’re grown. You’re big. You can’t be a secret,’ she said and laughed merrily again. [...] How do you keep a grown woman secret? Why does a grown woman collude with being kept secret?37.

Grazie alla graduale scoperta dei principi sui quali si basa la cultura Igbo la donna prende sempre più coscienza del suo ruolo, ben diverso da quello al quale Jonathan ha deciso di relegarla: non c’è alcun motivo per l’uomo di tenerla nascosta se non per le sue convinzioni personali, come confermano anche gli infervorati familiari di Kachi, indignati per il comportamento del loro “fratello”: “‘What if a man didn’t acknowledge his child?’, ‘It is not possible. It is his blood. It is not possible for an Igbo man not to acknowledge his blood’”38. Forte di questa certezza e incoraggiata dagli amici, Jackie decide di seguire il consiglio del padre - “tell her to go ahead” – e guarda avanti, senza dover più rendere conto a nessuno si mette in contatto con il maggiore dei quattro figli di Jonathan, Sidney. Riesce ad incontrarlo poco prima di tornare in Inghilterra, ma nonostante il poco tempo passato insieme il fratello appena conosciuto le dimostra tutto il calore e la razionalità che il padre ha ripetutamente confermato di non possedere; Sidney comunica subito la notizia della sua esistenza a uno degli altri fratelli e intrattiene con Jackie una piacevole conversazione sulle rispettive vite, rivolgendo alla sorella sconosciuta parole piene di buon senso: “‘You can’t do anything about yesterday but you can affect today and tomorrow’. […] I don’t want to lose you already now that I’ve just found you”39.

Nel memoir ricorrono spesso riferimenti alla vita che Jackie avrebbe potuto avere e sulla quale ha da sempre fantasticato; si era immaginata

37

J. Kay, Red Dust Road, p. 176.

38 Ibid. p. 222. 39

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17 infinite volte la versione africana di sé percorrere la red dust road, ma adesso che quei luoghi e quei volti avevano delle fisionomie proprie e reali, scopre che quella strada non imboccata è tanto entusiasmante quanto terrificante:

I drift off trying to imagine this other life, the one that I’d have had, had I been placed on the red dust road less travelled by, the one where I’d have been going to Nghaza every Christmas since I was born. It’s alarming, the other life. It thrills and scares in equal measure because I would have never wanted to be without my mum and dad, John and Helen, and can’t imagine my life without them. It pains me to imagine that40.

Fantasticare sui genitori naturali è qualcosa che ha sempre fatto fin da quando era piccola, ma è l’idea di una vita senza Helen e John Kay che la spaventa. Perché l’unica famiglia che Jackie ha sempre considerato tale è quella formata da John e Helen e dal fratello Max, ed è lo stesso motivo per cui si era sempre rifiutata di voler rintracciare i genitori naturali:

And when somebody asked me if I would ever trace my original parents I always said no, that I had good parents. And the questions always annoyed me because they assumed that you weren’t whole or complete, and that you never could be unless you found out the missing pieces of your jigsaw. Often people would even use that expression, don’t you want to find out the missing pieces of your jigsaw? No, I’d say, not at all41.

Ma la situazione cambia una volta incinta di Matthew, un po’ per la necessità di trovare risposta alle domande dei dottori circa eventuali malattie ereditarie presenti nella famiglia, un po’ perché con la gravidanza cresce la

40 Ibid. p. 274. 41

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18 necessità di trovare risposte a domande personali fino ad allora ignorate42, e quelle alle quali la sua fantasia aveva già risposto cominciano a volerne una reale:

I wonder what it was like for my mother when she was pregnant with me. I wonder what she looks like.

I wonder what her name is and what her voice sounds like. I wonder what height she is, what kind of person she is. Is she still alive? It’s the first time I’ve ever really thought real questions about her43.

L’incontro con la madre avviene nel 1991 ed è assolutamente diverso da quello che avrà con il padre: mentre Jonathan rifiuta il proprio passato la madre ne risulta segnata, come emerge dai diversi incontri avvenuti tra le due. Jackie scopre che Elizabeth Fraser ha lasciato le Highlands e il loro clima oppressivo, ha avuto tre figli da un uomo di colore dal quale adesso è separata e vive nel sud-est dell’Inghilterra, a Milton Keynes. La donna ha abbracciato la fede dei mormoni e fa continuamente riferimento alla chiesa, che costituisce ormai una presenza importante nella sua vita. Jackie capisce che la madre è una donna insicura e fragile per il suo continuo annullare e rimandare il primo incontro, e quando finalmente avviene si presenta accompagnata da una ragazza della sua chiesa come supporto morale. Elizabeth riconosce da subito Jackie e la abbraccia emozionandosi, si mostrano a vicenda le foto delle rispettive famiglie, si interessano l’una alla vita dell’altra, ma l’evasività nel rispondere alle domande sul passato fa

42

Durante l’intervista per l’emittente radiofonica australiana ABC la scrittrice stessa cita studi secondo i quali la percentuale di donne adottate che rintracciano i genitori è maggiore di quella degli uomini, e il dato aumenta sensibilmente proprio durante la gravidanza nella fascia tra i venti e i trenta anni, esattamente quella alla quale anche lei apparteneva.

http://www.abc.net.au/local/stories/2013/06/05/3775185.htm (Ultima consultazione 20/10/2014)

43

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19 capire a Jackie che la donna non ha voglia di raccontare, ancora meno di ricordare. L’autrice parla di una fredda intimità che caratterizza l’incontro e che le impedisce di porre quelle stesse domande che l’hanno spinta a rintracciarla, in segno di rispetto, “My birth mother was a sad and troubled figure; she’d had a hard life, been in and out of psychiatric hospital, had numerous breakdowns, and survived a son’s suicide”44.

Durante il loro secondo incontro la donna spiega a Jackie alcuni principi della sua religione, tra i quali il pensiero mormone circa l’adozione:

She told me that Mormons believe that adopted people ask to be adopted whilst still in the womb and that she believed the perfect parents had been found for me because she’d prayed for them. I tried to picture the embryonic me, knocking on the wall of her uterus, shouting, Oi, you, can you get me adopted? It was so preposterous it almost made me laugh. But she had said it quite seriously; and on the other hand I had always felt fated to be with my mum and dad. What was the difference between my sense of fate and her Mormon God? Elizabeth obviously needed to believe in the Mormon theory of adoption45.

Non ci sarebbe stato nessuno da incolpare, ma piuttosto la responsabilità dell’adozione sarebbe ricaduta direttamente sul bambino; la teoria mormone dell’adozione ha senza dubbio confortato la donna, come osserva anche Jackie: “for her it wasn’t so much a belief by now as a simple statement of fact”46.

Nel corso dei successivi incontri il clima si distende sempre più, forse anche a causa dell’Alzheimer che affligge la donna, rendendola più aperta e meno preoccupata dei suoi segreti nascosti, probabilmente perché il modo 44 Ibid. pp. 67-68. 45 Ibid. pp. 69-70. 46 Ibid. p. 70.

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20 migliore per riuscire a convivere con un passato che non si vuole ricordare è semplicemente dimenticarlo. Sebbene Elizabeth abbia sempre continuato a rappresentare un enigma per Jackie, si è sinceramente interessata alla sua vita, ha ascoltato le sue poesie alla radio, si è impegnata a modo suo, pur continuando a nasconderla alle altre figlie e all’ex marito per paura della loro reazione; non si è mai negata alla figlia e quando l’Alzhaimer è arrivato a minacciare la sua memoria, tra i post-it che compaiono per la casa a ricordarle perfino le cose più semplici, c’è anche un Don’t forget Jackie.

Le fantasie sulla propria storia e quella dei genitori prima della sua nascita si animano anche attraverso i viaggi che la scrittrice compie sia nelle Highlands, luogo d’origine di Elizabeth, e sia a Aberdeen, dove si sono conosciuti Jonathan e Elizabeth. Attraversando quella città, il cui nome significa tra i fiumi Dee e Don, Jackie si immagina i genitori giovani e follemente innamorati: “Nobody wants to have been created out of hate, or boredom, or foolishness or ignorance. I prefer to believe that I’ve been made out of love. I like to imagine my black father madly in love with my white mother”47. Tuttavia la realtà che Jackie scopre dalle informazioni raccolte e dalla discordanza delle versioni dei genitori, restii a parlare del passato, è una realtà dal sapore amaro, che la risveglia dalla finzione nella quale si era da sempre cullata: “It is time to let them fend for themselves. It is time to let them go. They need to grow up, those young parents. They need to grow up because they are already old, and so I am”48.

I genitori naturali non rispecchiano minimamente le loro versioni create dalla mente di Jackie, che da bambina era convinta sua madre fosse Shirley Basset e suo padre un uomo alto, di animo nobile, magari re di un

47 Ibid. p. 133. 48

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21 villaggio africano e con le sembianze di Cassius Clay o Nelson Mandela. Alle fantasie di Jackie partecipa anche la madre, affascinata dal fatto che i suoi figli una storia non l’avessero, “Perhaps for my mum there was something exotic and special about her two children who arrived with their stories in their Moses baskets”49. Helen Kay alimenta l’immaginazione della figlia nel creare una versione idealizzata di una mamma costretta a rinunciare a lei, ma che sicuramente il giorno del suo compleanno pensava alla sua bambina ogni anno più grande; perché per Helen Kay non poteva esistere una madre che non potesse provare rimpianto o dolore per aver dato la figlia in adozione, proiettando su questa figura una sensibilità che di fatto era la sua.

The mistery of her own children was a compelling, for my mum, as DNA, as genetically inherited traits or features. […] ‘You can choose your friends but you can’t choose your family.’ She’d usually say this with reference to some friend or another having difficulty with some member of her family. But the thing that used to strike me about that cliché was that in my mum’s case it wasn’t true: she had chosen her family.50

Esattamente come la figlia, Helen è affascinata dalla forza dell’immaginazione che sfrutta per rendere la vicenda dell’adozione dei suoi figli una storia segnata non dal rifiuto, ma da una scelta fatta per amore. La storia che Helen Kay crea con le informazioni sui genitori naturali aiutano la figlia a convivere con l’esperienza dell’adozione:

‘Betrothed’ she told me, ‘your father met your mother in the Highlands of Scotland and they fell in love. He was from Nigeria – look, here it is in the atlas – and she was from the Highlands – look, here’s where she was from, Nairn. They

49 p. 45. 50

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22 were madly in love and they made you, but he was betrothed and had to return to Nigeria to marry a woman he maybe had never even met. They do that there, you know. Hard, Jackie, must have been hard’51

Jackie cresce con le storie che la madre le ha raccontato sui suoi genitori naturali e sulla scelta che sono stati costretti a fare, giustificandoli per il loro agire, e offrendo a Jackie un nuovo punto di vista:

I will always be thankful to my mum for giving me that way of seeing, for stopping me from seeing myself as somebody who was rejected. Instead I saw myself as somebody who had been chosen52.

Il ruolo fondamentale dei genitori adottivi è costantemente sottolineato, in particolare nel racconto di episodi legati al razzismo dei quali Jackie è stata involontaria protagonista fin da bambina, evidenziando come la sua famiglia sia sempre stata presente nei momenti di difficoltà:

When I just started school, age six, there were three boys who used to wait at the main school gate for me. When they got me they’d wrestle me to the ground, and I’d worry that my new maroon school blazer was going to get dirty, and shove into my mouth a mixture of mud and sticks that they’d wrapped in a sweetie wrapper. ‘That’s what you should eat, mud, because you’re from a mud hut,’ they’d say and laugh. This went on for weeks. I used to dread the school bell ringing, until one day I told my mum, and she went to the headmaster, Mr Thomson, and the headmaster brought all three boys into his office53.

La scrittrice riporta altri episodi di razzismo nei quali è stata oggetto e commentandoli ammette con fermezza come siano diverse le frasi razziste 51 p. 42. 52 p. 44. 53 Ibid. p. 184.

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23 pronunciate dai bambini rispetto a quelle “more sinister and scary”54 degli adulti. Racconta di circostanze, spesso di violenza e paura, nelle quali si è ritrovata coinvolta, come quando all’università cominciarono a comparire manifesti del British Movement dove si leggeva: “The women’s collective are an ugly bunch of degenerate bastards. Would you be seen with that Irish Catholic wog called Jackie Kay?”55 con dei rasoi attaccati ai bordi e sul retro, per renderne più difficoltosa la rimozione. Jackie ricorda come in quel periodo di paura e vulnerabilità, anche il suono del campanello di casa la preoccupasse, “I suddenly felt very visible, vulnerable, the opposite of invincible. I missed home. I wanted my mum”56. Proprio la madre, che era sempre stata pronta a difenderla, confortarla e incoraggiarla, si era presentata puntuale alla sua porta in quella situazione così delicata, trasformando la paura di aprire la porta in lacrime di gratitudine per essere lì a sostenerla. Nelle difficili situazioni che descrive la scrittrice riporta puntualmente i commenti e le reazioni dei suoi familiari, che hanno sempre preso le sue difese contro il pregiudizio e il razzismo ancora fortemente radicato nel periodo in cui Jackie cresceva.

Dopo aver raccontato la ricerca dei genitori, gli incontri avuti con loro e come li aveva immaginati fin da piccola, Jackie offre una descrizione verosimile di Jonathan e Elizabeth colti nella loro routine quotidiana. L’immaginazione lascia il posto alla realtà: ogni cosa è definita e basata sulla verità che Jackie ha vissuto in prima persona, sulle informazioni che è riuscita a raccogliere durante gli incontri e attraverso le sue ricerche negli archivi dell’Università di Aberdeen. Jonathan starà attraversando le strade di Enugu per andare ad un meeting di silvicoltura, verrà probabilmente fermato da 54 Ibid. p. 188. 55 Ibid. p. 180. 56 Ibid. p. 182.

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24 qualche passante che gli chiederà di benedirlo e pregare per lui, senza problemi il professore accontenterà l’uomo, per poi continuare per la sua strada, pensando forse a come Dio abbia voluto che fosse un buon giorno. Elizabeth sarà invece nella sua casa di Milton Keynes, in attesa di essere accompagnata in chiesa, dove seguirà i canti in una lingua che l’Alzheimer le ha ormai fatto dimenticare, sempre stringendo la sua inseparabile borsa piena di segreti.

All’immagine di Jonathan e Elizabeth nelle loro occupazioni quotidiane segue la descrizione della visita che Jackie fa ai genitori a Glasgow dopo il secondo viaggio in Nigeria, raccontando del suo soggiorno e dell’incontro con il fratello Sidney:

‘Oh lovely,’ my mum says. ‘Isn’t it amazing how rich life is? How our family’s expanding? Just incredible!’

My dad looks a little uncomfortable with this statement, as if he’d very much prefer his family to stay exactly as it is, but he nods, generously, and says nothing.

My mum says, ‘Maybe one year you’ll be spending Christmas in Nigeria!’ My dad looks a little dismayed.

‘Oh no, I’d never do that,’ I say. ‘ I love you and Dad coming for Christmas.’57

Alla fine delle sue ricerche Jackie, in visita a casa dei genitori, ripensa a come sarebbe stata la sua vita se non fosse stata data in adozione, ma tutti gli interrogativi sulle sue vite alternative lasciano il posto a una nuova certezza:

I can’t imagine my life any other way than the way I’ve lived it. In my parents’ house back from Nigeria I feel flooded with love for them; it is like the light across the land, the moon light on the night fields. […] I am greatfull to have grown up in

57

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25 the house with John and Helen Kay to have had them, great humanitarians that they are, as my mum and my dad58.

Il libro si conclude con la scrittrice che passeggia nel verde del Quarry Bank Mill, esattamente come aveva fatto in occasione del suo primo viaggio in Nigeria, alla ricerca di un albero dal tronco cavo nel quale gettare una moneta ed esprimere il desiderio che l’incontro con il padre andasse bene, che avesse una buona impressione di lei. Adesso, dopo aver conosciuto un fratello, spera invece di riuscire a conoscere anche gli altri fratelli e sorelle. L’autrice, circondata dai colori autunnali, decide poi di piantare i semi dell'albero regalatole durante il suo ultimo viaggio in Nigeria. Non è un albero qualunque, bensì proprio la Moringa oleifera, l’albero che il padre ha studiato attentamente e attraverso il quale è riuscita a rintracciarlo.

I picture my healthy, tall moringa in ten years’ time. Will I still be living here then? I imagine a magical moringa, years and years away from now; its roots have happily absorbed and transported water and minerals from the dark, moist soil and the rest of the splendid tree.

Il significato di questa immagine finale è ovviamente simbolico: alla fine del racconto su come la scrittrice sia riuscita a ritrovare tutti i pezzetti del puzzle che la compone, l’albero rappresenta il suo albero genealogico, che affonda le radici lungo due continenti, un albero fatto da diversi nuclei familiari, un albero di cui Jackie ha intenzione di prendersi cura.

Red Dust Road racconta la vita di Jackie Kay alle prese con la

ricostruzione della sua storia, che è la storia di un’adozione, è una storia di vite immaginate e realtà deludenti. E’ il viaggio di una donna che nel

58

(26)

26 soddisfare la necessità di rintracciare le proprie origini, si trova davanti una realtà inaspettata.

Red dust road is about trying to grapple with reality after the imagination has been so much better, […] my imagined version of my birth parents was probably more enjoyful than meeting them for real59.

3.2. Fiere (da modificare)

Definito come la lyric counterpart60 di Red Dust Road per la comunanza di situazioni descritte, Fiere esce l’anno successivo ed è una raccolta di quarantaquattro poesie attraverso le quali la scrittrice compie un’indagine profonda sull’amicizia, ricollegandola ad altre tematiche quali il tempo, la morte e l’amore. Bill Greenwell per The Independent scrive: “Fiere has a naked honesty, an unvarnished voice, and a strong one too. This is very much Kay's best collection”61.

3.2.1. Il titolo e le epigrafi

“Fiere” è un antico termine scozzese che sta per “amico”, “compagno”, e che si ritrova nella canzone della tradizione scozzese “Auld lang syne”, generalmente attribuita a Robert Burns. Fin dal titolo è quindi possibile

59

https://www.youtube.com/watch?v=iyVYuAHlw68 (Ultima consultazione 14/10/2014).

60

http://www.panmacmillan.com/book/jackiekay/fiere (Ultima consultazione 5/10/2014).

61

(27)

27 individuare l’importanza della lingua scozzese che insieme a quella Igbo, entrambe utilizzate in molti dei componimenti facenti parte della raccolta, rimandano ai luoghi d’origine della scrittrice.

Un ulteriore riferimento alla poesia di Burns si ha nella prima delle due citazioni riportate in epigrafe: “And there’s a hand, my trusty fiere / And gie’s a hand o’ thine”62. Esattamente come il termine che dà il titolo alla raccolta, l’intero componimento di Burns vede l’amicizia come tema centrale: un sentimento e un rapporto che nonostante il tempo non viene dimenticato ma celebrato.

“Auld lang syne” è tra le canzoni più note nel mondo anglosassone: cantata in occasione del Capodanno per salutare l’anno appena passato, viene in realtà eseguita in qualunque occasione riguardante una separazione, dai funerali alla fine della scuola. La canzone inizia con una domanda retorica, se sia giusto dimenticarsi dei tempi passati, e viene interpretata come un invito a ricordare i rapporti di lunga data nonostante il passare del tempo. L’origine del testo è avvolta dal mistero: fu pubblicato per la prima volta nel 1799 e attribuito a Robert Burns all’interno di A Select Collection of Original

Scottish Airs for the Voice, ma ci sono molti dubbi sull’effettiva paternità del

poeta scozzese. In una lettera al curatore dell’opera George Thomson - nella quale è riportata anche “Auld Lang Syne” - scrive: “[…] the following song, the old Song of the Olden times, & which has never been in print, nor even in manuscript, until I took it down from an old man’s singing; is enough to recommend any air”63. Non sarebbe quindi interamente frutto del suo talento, ma piuttosto l’autore della sua trascrizione.

62

J. Kay, Fiere, Picador, London 2011, p. vii.

63

R. Burns, The Letters of Robert Burns, 2nd ed. ed. by G. Ross Roy, 2 vols., Clarendon Press, Oxford 1985, II, pp. 381-382, citato da G. Ross Roy, “Robert Burns: Poet of the People” in Alba Literaria: a

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28 La seconda citazione in epigrafe è attribuita a Chinua Achebe ma si tratta in realtà di un proverbio della cultura Igbo: “Wherever someone stands, something else will stand beside it”64, che l’autore nigeriano in persona spiega nel corso di in un’intervista con Bill Moyers in occasione del programma “A World of Ideas with Bill Moyers”. Alla domanda su come interpretasse il proverbio Igbo, Achebe risponde:

It means that there is no one way to anything. The people who made that proverb, the Ibo people, are very insistent on this; that there is no absolute anything, even good things. They are against excess. Their world is a world of dualities. It is good to be brave, they say, but also remember that the coward survives the brave man. And so this is what it’s saying. […]If there is one God, fine, there will be others, as well. […] If there is one point of view, fine. There will be a second point of view65.

Il proverbio Igbo predilige quindi alla visione assoluta dell’eccesso quella dualistica dell’equilibrio. La filosofia Igbo, nel caso della raccolta poetica può essere interpretata come una consapevolezza che il corso della vita di ognuno si intreccia a quello di altri, con i quali instaurare con rapporti più o meno duraturi, più o meno forti.

Le due epigrafi appartengono alle diverse culture che confluiscono nella scrittrice attraverso la sua storia: la Scozia e la Nigeria, che continuano ad presenti in tutta la raccolta con le rispettive lingue, la comprensione delle quali è facilitata da un glossario. Proprio alla componente linguistica viene

64

Ibidem. Il proverbio in realtà riporterebbe “something” invece di “someone”: “Wherever something stands, something else will stand beside it”.

65

Trascrizione dell’intervista televisiva rilasciata da Chinua Achebe in occasione del programma “A

World of Ideas with Bill Moyers” e disponibile sul sito

http://teacherweb.com/CA/StaggHighSchool/Bott/IntervwTranscript.pdf (Ultima consultazione 20/10/2014).

(29)

29 riconosciuto in Fiere un significato di massima importanza: la semplicità con cui l’autrice riesce a fondere le due lingue con l’inglese esemplifica la sua capacità di tradursi da una cultura all’altra. La versatilità della scrittrice non si limita al solo strumento linguistico ma si ritrova nell’alternanza di emozioni, che si alternano nel corso della raccolta in modo sorprendentemente coinvolgente ma senza mai minacciare l’equilibrio della raccolta.

Come si evince già dalla prima epigrafe e dal titolo, l’amicizia è un rapporto profondamente indagato nella raccolta, che tuttavia, seguendo l’insegnamento del proverbio nigeriano, non è da considerarsi come l’unico tipo di legame che si ritrova nella vita della scrittrice, la quale riesce ad esemplificare in questa raccolta un po’ tutta l’esistenza dell’uomo. Quello che è il punto focale di Fiere infatti non è indagare semplicemente l’importanza dell’amicizia, quanto offrire al lettore il complesso ma al tempo stesso affascinante assortimento di rapporti che si ritrovano nella vita di ognuno, e delle emozioni che da questi nascono anche nell’apparente piatta quotidianità, in un alternarsi di situazioni che sfondano il piano della temporalità sfuggendo ai limiti di passato e presente, e giocando con il futuro, con l’aiuto di quell’immaginazione che per Jackie Kay ha sempre rivestito un ruolo di primo piano.

3.2.2. Le tematiche

Le quarantaquattro poesie raccolte in Fiere si soffermano su temi diversi e sono ispirate da esperienze personali dell’autrice ma anche da opere d’arte, come si legge nelle note alla fine del libro.

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30 La raccolta si apre con la poesia che le dà il titolo “Fiere”, e nella quale l’autrice descrive l’evolversi del rapporto d’amicizia tra l’io narrante e la sua

fiere: dopo una prima strofa in cui vengono ricordati dei momenti felici

passati insieme da ragazze, la seconda descrive il passare del tempo con l’immagine dei loro capelli argentei, ma nonostante siano invecchiate e abbiano intrapreso strade diverse, la loro amicizia resta comunque una certezza, come risulta dalla strofa conclusiva:

O’er a lifetime, my fiere, my bonnie lassie, I’d defend you – you, me; […]

We who loved sincerely; we who loved sae fiercely, the snow ne’er looked sae barrie,

nor the winter trees sae pretty.

C’mon, c’mon my dearie – tak my hand, my fiere!66

Il termine ferie compare in altri tre componimenti: “Fiere in the Middle”, “Fiere Love Poem” e “Fiere Good Nicht”. Nel primo dei tre si ha la descrizione del reciproco impegno che l’amicizia comporta: la prontezza nel correre in soccorso dell’altro. Il middle del titolo si riferisce alla metà della vita dell’io narrante che attraversa un momento difficile, dovuto alla fine di un amore importante, descritto come una selva oscura e dalla quale riesce ad uscire grazie al supporto dell’amica:

The dark came down and held me too tight. I didn’t want to be found; or let in the light.

You took the risk and cut through the forest.

66

(31)

31 You tracked one shoe and then another;

until you saw – as if from above, from further – the haphazard symmetry of footsteps…

and you held my hand and led me out.

“Finding is an act of faith, you once said in the woods. / Should you be lost in the middle years… / the true fieres appear: able, sound, equally good.” è l’ultima strofa della poesia, che ancora una volta celebra l’amicizia, e la capacità dei veri amici di essere presenti al momento del bisogno. “Fiere Love Poem” descrive invece la consapevolezza di un amore destinato a durare: la parola fiere compare solamente nel titolo e è sostituito nel componimento da “darlin”, probabilmente a sottolineare come il partner in un rapporto sentimentale sia al tempo stesso un “fiere”, un compagno e amico. A chiudere la raccolta è “Fiere Good Nicht”, ispirato, come informa la nota, al testo di “Irene, Good Night” del musicista afro-americano Gussie Lord Davis67. Nella poesia si ha la descrizione della fine del giorno, con il ritorno a casa dopo un ultimo goccio di whiskey e il riposo, che può essere interpretata come metafora della morte:

When you’ve had your last one for the road, a Linkwood, a Talisker, a Macallan.

And you’ve finished your short story,

and played one more time Nacht und Träume, with Roland Hayes singing sweetly;

and pictured yourself on the road, the one that stretches to infinity, and said goodnight to your dead,

67

Primo compositore ad aver successo alla Tin Pan Alley, l’industria musicale newyorkese che tra la fine del 19esimo e l’inizio del 20esimo secolo dominava il mercato della musica popolare nordamericana.

(32)

32 and fathomed the links in the long day –

then it’s time to say Goodnight fiere68.

La poesia è a tutti gli effetti descrive un addio e un augurio che la poetessa fa di fare un buon viaggio verso la luce. Dopo aver considerato tutti gli avvenimenti della lunga giornata, come fosse un resoconto della vita, l’amico/a può finalmente coricarsi, poggiare la testa sul cuscino e raggiungere la luce – “and you’ll sleep as soond as a peerie, / and turn, turn slowly towards the licht: / goodnight fiere, fiere, Good Nicht69”.

Prima di raggiungere la fine della giornata, e della vita, ci sono altri momenti-componimenti che meritano di essere presi in considerazione, a cominciare da quelli riguardanti situazioni e persone della vita della scrittrice che il lettore di Red Dust Road non fatica a riconoscere, inseriti in situazioni diverse: un compleanno, il momento di un ricordo o il lavoro nella serra, ma che sono accompagnati da un corredo di emozioni tale da riuscire a donare anche alla quotidianità più banale un’intima importanza.

In “Moon over Mexico” la scrittrice scopre di non poter prendere l’aereo per raggiungere il figlio Matthew, che studia a Guadalajara, in Messico, a causa delle condizioni atmosferiche. “Write a poem, mum” è la richiesta che Matthew fa alla madre non appena lo chiama per comunicargli la brutta notizia. La scrittrice sfoga così la propria delusione e lo sconforto con lo scrivere, trovando una minima consolazione nell’immaginare che quella stessa luna che osserva dalla sua finestra adesso splenda anche in Messico, ad unirli nonostante la distanza e il destino imprevedibile. La richiesta fattale dal figlio ha una sua motivazione ben precisa, infatti, come

68 J. Kay, Fiere, p. 57, vv. 1-10. 69

(33)

33 ammette Kay stessa nell’intervista con Richard Fidler al Sidney Writers Festival del 2013, esattamente come faceva all’inizio della sua carriera, la scrittrice continua a concepire spesso le poesie come fossero un regalo: “I still do that, I still write poems about friendship, or for people when they’ve gone through something”70, e anche nella raccolta si ritrovano poesie scritte per eventi particolari. “21st Birthday poem for Matthew” come suggerisce il titolo, è scritta per il compleanno del figlio e ne descrive la crescita utilizzando l’immagine dell’acqua. Le tre strofe che la compongono si riferiscono al passato, con l’immagine delle acque nelle quali si muoveva nel grembo della madre; al presente a alle acque dove ormai ventunenne sta iniziando a muoversi da solo per raggiungere quella superficie che rappresenta la realizzazione personale auguratale dalla madre “and the water parts its magic hands / as you, my bold adventurer son, / take the whole wide world in your own life”71. “85th Birthday Poem for Dad” è dedicata al compleanno del padre, sebbene nella poesia non venga detto esplicitamente, il padre è probabilmente morto e la scrittrice brinda a lui nel giorno del suo compleanno. La scrittrice ricorda varie immagini legate al padre, ai divertenti motivi di litigio con la madre, il modo in cui ballava e brinda a lui levando il bicchiere al cielo “But he is not here, and so I raise / my nearly-drained glass to the empty sky”. Come “The Marriage of Nick and Edward” è un augurio agli amici che si sono appena sposati “Here are your years streatching ahead, and the rose-gold love of the newly wed”72, “Kamso, Kedu” è stata scritta per celebrare la nascita di Kamso, il figlio di Kachi, lo studente - adesso scrittore - che l’ha accompagnata in Nigeria. kedu, come stai? “Kamso, Kedu” è una delle poesie in cui vengono inseriti termini della cultura Igbo o che si rifanno 70 NOTA 71 p. 34, vv 20-22. 72 p. 40, vv. 13-14.

(34)

34 a situazioni vissute nei suoi viaggi in Africa e che il lettore di Red Dust Road non fatica a ricordare. In questi componimenti la scrittrice spazia dalla descrizione delle pratiche di una cultura diversa, come in “Igbo Bath”, dove la donna resta inizialmente sorpresa al modo diverso di fare il bagno in Nigeria, ma che riesce infine ad apprezzare, ricordando al lettore come anche nel memoir fosse rimasta affascinata da tutto ciò che riguardava la Nigeria. In “Ukpor Market” viene descritto il momento, già noto dal memoir, in cui la donna, in compagnia di Kachi, visita il mercato di Ukpor. In questa occasione più di una persona le si rivolge dicendole oyinbo:

They are shouting. ‘Oyibo!’ At first I’m delighted because I think they are saying Igbo! I think thery are recognizing me as a fellow Igbo. Then Kachi says, ‘No, they are saying Oyibo; it’s a pidgin word for white person.’

‘Oh, I see,’ I say, deflated. ‘White person?’73.

Il compiacimento per essere riconosciuta come una del gruppo viene smontato dalla spiegazione di Kachi, e nel memoir viene descritta la delusione della scrittrice; nella poesia invece si ha l’esaltazione iniziale seguita dal chiarimento di Kachi. Non viene definita la reazione della scrittrice ma la poesia si interrompe dopo aver sottolineato il peso delle parole di Kachi con la loro resa in corsivo.

Oyinbo! They say to me, Oyinbo. I nod excitedly. Yes my father is an Igbo. Oyinbo, they say, admiringly, touching my skin. Onye Ocha. Kachi tells me what they mean:

73

(35)

35 Oyinbo is a pidgin word

for white woman, he says, smiling74.

La pluralità delle sensazioni comunicate in questa serie di poesie spazia fino alla benefica sensazione di accoglienza che sente quella terra le stia riservando in “By Lake Oguta”, dove scrive “The country holds its brown hands, / the lake allows me to draw some water. // Later tonight, I will eat till I am full, / some fish, some yam and some cassava”75. In “Egusi soup” si fa invece riferimento alla conversazione sulla zuppa Egusi avuta con il padre a cena, durante il loro primo incontro. Nella poesia viene descritta una piacevole conversazione sulla cucina nigeriana e la risata del padre: “laughing his laugh that is a little like mine”76, che la donna descrive già nel memoir dove si legge: “He laughs his laugh which is a bit like my laugh”77. La realtà di quella risata e del ricordo che è rimasto impresso nella scrittrice si trasforma però nella poesia in finzione: “Then, he put down his bowl and his spoon / as if were from a fable or a fairytale, a bear or a wood-cutter, a wolf in a frock / and vanished like a cow jumping over the moon / or the dish running away with the spoon”78, lasciando al lettore il dubbio che forse tutta la conversazione sia frutto della fantasia. L’immaginazione e il territorio africano ritornano in “Longitude”, dove la scrittrice si immagina il suo alter ego africano camminare in quella red dust road che ha percorso anche lei in Nigeria, e condurre quella vita che avrebbe avuto se avesse imboccato l’altra

74 p. 8, vv 8-16. 75 Ibid. p. 31, vv 19-22. 76 p. 9, v 25.

77 J. Kay, Red Dust Road, p. 103 78

(36)

36 strada, “walking the road not taken, / slowly, enjoying the elephant grasses, / holding my hand: two young lassies, the breeze on our light-dark faces”79.

Particolare attenzione merita “Burying my African Father”, dove il titolo riprende esattamente le parole riportate anche nel memoir. In occasione del suo secondo viaggio in Nigeria Jackie cerca di contattare il padre per organizzare un secondo incontro dopo quello avvenuto sei anni prima, ma Jonathan prima non risponde alla mail e poi, contattato telefonicamente da Kachi quando Jackie era già in Nigeria, le fa sapere di non aver tempo, di aver ricevuto la mail ma che sarebbe dovuta andare avanti. A differenza dell’opera in prosa, dove nonostante la scrittrice abbia deciso di mettersi in contatto con uno dei fratelli, andando di fatto contro il volere del padre di non volerla nel proprio presente, soprattutto visto l’agnosticismo di lei, si riesce comunque a percepire l’incertezza dei sentimenti verso quel padre che non ha voluto rivederla, “I’m not sure about burying Jonathan. […] It seems like another lifetime away, burying my African father”80; nella poesia l’incertezza è completamente sparita e viene espressa con una forza e una decisione indiscutibile la certezza della donna nel dire addio a quell’uomo che non avrebbe voluto più sapere nulla di lei, per il quale lei di fatto non esisteva se non come incarnazione del suo passato “peccaminoso”:

Now that I have finally arrived, without you,

to the home of the ancestors, I can bid you farewell, Adieu.

For I must, with my own black pen – instead of a spade – ashes to ashes and dust to dust,

79 Ibid. p. 2, vv 15-18. 80

(37)

37 and years before you are actually dead,

bury you right here in my head81.

La tradizione Igbo ritorna inaspettatamente in “Between the Dee and the Don”, che fin dal titolo richiama la città scozzese di Aberdeen, il cui nome significa proprio tra i fiumi Dee e Don. Tuttavia è un detto Igbo quello che anticipa l’inizio della poesia: The middle ground is the best place to be, che richiama la filosofia espressa in apertura con l’epigrafe contro gli eccessi. Il componimento è la rappresentazione della scrittrice stessa, che in quattro strofe intervallate regolarmente dal distico “I was conceived between the Dee and the Don. / I was born in the city of crag and stone.”, riesce con continui accostamenti ossimorici a comunicare al tempo stesso tanto la sua incompiutezza quanto le sue certezze su cosa sia o non sia “I am not a daughter to one father. / I am not a sister to one brother. / I am light and I am dark. / I am a father and a mother.” La città è la confluenza di due fiumi, allo stesso modo nella scrittrice confluiscono due continenti, due culture diverse ma anche due famiglie. L’immagine di Aberdeen come punto di congiunzione era già stata descritta in Red Dust Road, dove la romantica scrittrice, ad Aberdeen per lavoro, aveva ricreato i suoi giovani genitori innamorati muoversi in quella stessa città “In my imagination, my bith parents were both beautiful. In my mind, I was conceived beetween the Dee and the Don, a confluence of rivers, the mouth of two rivers”82.

Anche in “Bronze Head from Ife” si nota la fusione dell’elemento africano con quello scozzese. La Bronze Head from Ife è una scultura custodita al British Museum ritrovata nel 1938 ad Ife, in Nigeria. Nella poesia la scrittrice si rivolge alla scultura come fosse un amico e lo invita a

81 J. Kay, Fiere, p. 29, vv 18-22. 82

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