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La disciplina dei porti: una prospettiva di sicurezza e tutela ambientale

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Academic year: 2021

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La disciplina dei porti: una prospettiva di sicurezza e tutela ambientale

INTRODUZIONE

Nell’affrontare questo studio sui porti, luoghi dello scambio economico, nodi

infrastrutturali che mettono in connessione merci e persone si è utilizzata una chiave di lettura: il diritto. Disciplina che ha un moto vitale che sempre la lega al fatto creando effetti che si riproducono sull’economia, sulla politica, sull’intera storia dei popoli. È con questa consapevolezza che ci si deve avvicinare alla realtà dei porti. Luoghi di scambio economico, ma anche spazi di sviluppo sociale in grado di produrre valori e saperi condivisi, così importanti e vitali da essere motore trainante dell’economia nazionale e comunitaria.

L’Italia e l’area Mediterranea, insieme di vie marittime per eccellenza sulle cui sponde sono nate le prime civiltà, si identificano come una zona di intenso dibattito e riflessione nello scenario economico e geopolitico contemporaneo, uno spazio in grado di svelare limiti e criticità delle azioni politiche e istituzionali su un territorio frammentario e contraddittorio che contrappone zone in cui sono presenti scali di dimensioni ridotte ad altre dove esistono porti al centro dei traffici marittimi internazionali, zone di sviluppo e progresso come dimostrano i dati sull’interscambio e la logistica e, zone di arretratezza. Questo essere una realtà disomogenea rende la zona una sfida per le politiche europee e globali, ma anche una grande opportunità che anche l’Italia ha colto di recente attraverso lo sviluppo di una strategia marittima nazionale attraverso il Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica che ha delineato le basi per un cambio di rotta deciso verso modelli più efficienti e competitivi di governo del porto, unitamente alla ricerca di forme di semplificazione per rendere più celeri le varie attività all’interno dei porti. Alla luce di queste prime considerazioni, l’analisi che si è cercato di sviluppare nella prima parte di questa ricerca è stata quella, di approfondire e conoscere il ruolo delle Autorità Portuali (ora Autorità di sistema portuale ADSP) cogliendone la struttura organizzativa, le funzioni ed i servizi forniti nei porti.

Si affermerà nel prosieguo della ricerca, il valore fondamentale che la pianificazione portuale ha nel rendere il porto un luogo sempre più strategico e nevralgico per lo sviluppo e l’economia del paese. Nell’opera si cercherà di non perdere mai di vista il binomio imprescindibile tra porto ed economia.

Nella seconda parte, invece, si analizzeranno in modo specifico i temi della sicurezza sul lavoro all’interno dei porti e della tutela dell’ambiente che sono conseguenti e

strettamente connessi agli aspetti della riorganizzazione, della regolamentazione e dei piani regolatori portuali volti a garantire un assetto ordinato ed efficiente nell’ambito dei porti, al fine di garantire lo svolgimento delle operazioni portuali in prospettiva di crescita delle stesse, ma senza trascurare le esigenze di carattere ambientale e di sicurezza.

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2 CENNI STORICI

Le zone portuali hanno sempre avuto un peso fondamentale nello sviluppo delle società, infatti attraverso il mare i differenti popoli mediterranei hanno dato vita ad una comunità che sottolinea in modo chiaro “la funzione degli ambienti portuali all’interno del

contesto territoriale, ovvero come aree che stimolano lo sviluppo urbano e il progresso economico”.1

I porti delle città hanno sempre offerto agli occhi degli studiosi uno specchio della realtà marittima e dei suoi cambiamenti a livello sociale ed economico.

In particolare tali processi di trasformazione sono stati indagati dallo studioso britannico Brian Hoyle2 che ha ricavato dai suoi studi sei fasi storiche più significative: la prima

corrisponde al periodo che va dal Medioevo a XIX secolo. Infatti, fino alla metà del 1800, i grandi scali portuali erano centri di importazione ed esportazione su larga scala di beni e manufatti. I porti erano parte integrante del tessuto cittadino, vicini alle stesse fabbriche di produzione di beni e materiali. Ciò è reso chiaro dal fatto che i porti,

soprattutto quelli naturali, erano inseriti all’interno dei sistemi di difesa ed erano adibiti a scopi militari. Nella seconda fase si registra la crescita industriale e l’espansione delle città portuali, nuove banchine vengono costruite e dotate di nuove strutture meccaniche, le gru e l’area urbana viene riorganizzata. Tutto ciò porta ad un cambiamento decisivo soprattutto con l’avvento dell’industrializzazione. Il periodo tra le due guerre mondiali segna la terza fase: le industrie marittime che si rafforzano estendendo le loro attività commerciali. Nella quarta fase, il progresso tecnologico della navigazione rende necessaria la formazione di nuove aree industriali separate dal contesto urbano: è una fase che segna il declino di molti scali portuali. La quinta fase è invece caratterizzata dalla riqualificazione degli spazi portuali, con la creazione di due aree, quella privata per il lavoro e partenze-arrivi delle navi e l’altra pubblica in relazione con il tessuto urbano. Con questo assetto strutturale si passa poi alla sesta e ultima fase, ovvero quella del nuovo ciclo di riorganizzazione del sistema portuali che è in continua trasformazione per fronteggiare il fenomeno della globalizzazione in modo da costruire nuove reti di

partecipazione che diano nuovo sviluppo alla realtà dei porti.

CAPITOLO I

LE AUTORITA’ DI SISTEMA PORTUALE

1 MICHELE CLAUDIO MASCIOPINTO, “Rivista di studi politici”, “I porti del Mediterraneo: mondi sociali e spazi di

frontiera”

2L’autore è citato nella “Rivista studi politici” nella quale egli illustra attraverso uno schema grafico, lo

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1.1 Breve excursus della loro evoluzione: dagli Enti Portuali alle Autorità di Sistema

portuale.

Dopo il breve riassunto storico sui diversi profili assunti dai porti nel corso del tempo e i differenti usi delle infrastrutture portuali connessi alle evoluzioni economiche e

tecnologiche del trasporto marittimo, si passa ad esaminare le principali trasformazioni che si sono alternate nella gestione portuale antecedente all’attuale modello organizzativo affidato alle Autorità di sistema portuali.

Prima della legge n. 84 del 28 gennaio 1994 che rappresenta la legislazione uniforme per i porti italiani, vi erano gli Enti portuali i quali erano organizzati prevalentemente

secondo i propri statuti il che comportava spesso una disciplina disomogenea e per niente univoca a livello generale.

Mancando una visione d’insieme, tali Enti avevano assunto come finalità quella di svolgere attività di amministrazione e di gestione delle attività in ambito portuale. Si voleva certamente realizzare una maggiore efficienza nel settore portuale incentivando lo sviluppo delle varie attività economiche con l’intento di alleggerire il carico dello Stato coinvolgendo sempre di più gli enti locali nella gestione dei porti.

Traccia di questa necessità la troviamo già nei primi del 900’, in particolare con la Legge n. 50 del 1 febbraio 1903 con cui veniva costituito il Consorzio Autonomo per il porto di Genova; tale istituzione ha fatto sì che la gestione dei porti continuasse ad essere affidata alla competenza esclusiva dello Stato, che l’esercitava per mezzo del Ministero dei Lavori. Inoltre, ha permesso che l’amministrazione dei singoli porti fosse affidata ad enti o Consorzi, come in questo caso.

“Prendeva così avvio una fase di proliferazione di questi enti volti a sostituire lo Stato nella gestione del porto, a seguito di una grave crisi del settore marittimo, che dopo poco, in epoca fascista, avrebbe poi ceduto il passo alla scomparsa di tali

amministrazioni.3

Tracce di questa spinta “decentrista”, la ritroviamo in diversi tentativi di affidare ai singoli enti la gestione dei singoli porti, basti pensare all’istituzione dell’Azienda per l’esercizio dei Magazzini Generali di Trieste (R.D.L. n. 1789 del 3 settembre 1925), l’Ente Autonomo del Porto di Napoli (L. n. 500 del 6 maggio 1940) e veniva fissato l’ordinamento del Provveditorato al Porto di Venezia (R.D.L 503 del 14 marzo 1929). Così i porti che fino a quel momento appartenevano allo Stato, iniziavano a confrontarsi con un nuovo modo di concepire la gestione dei servizi pubblici, infatti agli enti portuali si cominciò ad attribuirgli anche la responsabilità della gestione imprenditoriale in correlazione con le altre funzioni pubbliche di governo del territorio.

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Per quanto concerne l’organizzazione di questi enti portuali, erano dotati di personalità giuridica pubblica, erano tutti disciplinati dai propri statuti interni che ne stabilivano la loro struttura, le funzioni svolte gli obiettivi da perseguire. Grazie a questi strumenti emergeva la loro capacità di realizzare la gestione pubblica del bene porto, cui si

aggiungeva quella di amministrare e gestire in modo manageriale l’infrastruttura portuale di riferimento. Si trattava perciò di enti che svolgevano una molteplicità di funzioni, per così dire miste, assommando funzioni pubbliche a funzioni imprenditoriali.

Un ultimo aspetto sugli enti riguarda la loro natura. Secondo la dottrina che ha di più prevalso in quel tempo, la maggior parte degli enti portuali erano qualificati come enti pubblici economici. Questo per due ragioni, la prima è che generalmente tali enti nascono per superare la rigidità delle strutture amministrative e dall’esigenza di sottrarsi a forme di gestione diretta da parte dello stato; ciò infatti rappresenta l’indole di questi enti portuali che cominciano a svolgere attività imprenditoriale. La seconda ragione, riguarda la stessa composizione degli enti che erano caratterizzati al loro interno da alcuni

elementi, quali lo svolgimento di funzioni economiche di interesse statale, essere istituiti ed avere poteri autoritativi conferiti dallo Stato stesso, il fatto che fossero soggetti pubblici e per il fatto che vi fosse un’organizzazione in forma d’impresa.

Erano enti che svolgevano funzioni economiche, attraverso l’esecuzione di attività imprenditoriali. In particolare realizzavano infrastrutture e curavano la logistica nel settore portuale, specie a seguito dell’esigenza di cura del porto, senza mai dimenticare di perseguire il fine statale che in quel momento imponeva loro la realizzazione di opere pubbliche. Tuttavia, l’idea di unire l’attività economica con quella pubblica per rendere più competitivo l’ambito portuale stentava a prendere a avvio, si sottolineavano gravi mancanze, incapacità da parte degli enti stessi di realizzare una gestione efficiente che potesse prendere in considerazione tutte le priorità che derivano dalle esigenze di adeguamento dei porti alle logiche di sviluppo economico.

A bloccare il tutto si aggiungevano inoltre molti ostacoli procedurali che impedivano anche una gestione economico-finanziaria accurata.

Per questo fu fondamentale cercare di individuare soluzioni che potessero superare l’immobilismo di tali enti, visto considerato che dal punto di vista dell’aumento dei traffici e dell’implemento della produttività del porto, si erano registrati risultati non molto positivi. Inoltre si contavano diversi interventi comunitari, specialmente della Corte di giustizia, in cui si sottolineava il mancato rispetto da parte del nostro ordinamento della disciplina comunitaria che già da diversi anni aveva cominciato a porre le basi per lo sviluppo dei principi della liberalizzazione e privatizzazioni e della concorrenza nel mercato.

Tutte queste difficoltà evidenziate non hanno di certo fatto bene al nostro sistema portuale, anzi hanno sicuramente evidenziato una notevole arretratezza del nostro paese rispetto ad altri stati, soprattutto quelli nord europei e questo ha sicuramento inciso sulla nostra economia, sul settore della logistica e dei trasporti e su quello delle infrastrutture.

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In questo quadro si colloca la nuova legge 84 del 1994 che ha cercato non solo di adeguarsi agli indirizzi e principi comunitari, ma anche di allentare le resistenze interne che ancora erano poco propense ad iniziare un percorso di rinnovamento della propria struttura e nelle funzioni. Ciò era sicuramente frutto di un substrato ormai consolidato da tempo, che impediva qualsiasi tentativo di iniziativa economica privata (che è

costituzionalmente considerata libera) e che contrastava con le regole del libero mercato. Come abbiamo detto fu l’intervento deciso delle istituzioni comunitarie che riuscì a spezzare finalmente l’immobilismo di questi enti portuali sempre più inefficienti. Tali circostanze, mettendo in crisi il concetto stesso di impresa pubblica nel settore portuale, hanno dall’altra parte reso possibile l’avvio di quel processo per cui lo Stato da soggetto protagonista della vita economica diventa soggetto con funzioni di

regolamentazione e di controllo, in perfetta sintonia con quelle prospettive europee di liberalizzazione.

Ne abbiamo traccia nell’intervento da parte della Corte di Giustizia nella sentenza “Siderurgica Gabrielli contro merci convenzionali Porto di Genova”4 che ha scardinato il

sistema portuale precedentemente vigente, ponendo l’accento sull’incompatibilità del nostro sistema portuale italiano con i principi comunitari in tema di libero mercato. In virtù di questa fondamentale decisione della Corte, ci si è posto “il problema di disciplinare con nuove norme la materia portuale, al fine di adeguare gli ordinamenti preesistenti ai principi fondanti, come la concorrenza o la libera circolazioni di merci o persone, espressi nella citata sentenza”5. Per questo lo Stato ha “cessato di essere gestore per assumere il ruolo di regolatore dei servizi e delle operazioni portuali, divenendo altresì garante dei principi cardine comunitari di concorrenza e

trasparenza”6. Da questo momento infatti il porto “non era più uno spazio immune dalle regole del mercato, ma un luogo in cui la pluralità di imprese sono in competizione tra loro”7

L’intervento comunitario ha così reso evidente la totale arretratezza del modello gestionale e di governance che caratterizzava i primi enti portuali; ciò aveva inevitabilmente bloccato ogni forma di sviluppo e di competitività dei porti, evidenziando sempre di più la nostra distanza verso modelli di gestione più

all’avanguardia, competitivi e maggiormente in linea con le esigenze che la gestione dei traffici e che il sistema portuale poneva.

Perciò lo Stato non poteva più rimanere spettatore di fronte ad un’evoluzione che aveva riguardato quasi tutta l’Europa, era il momento di dare una svolta al proprio sistema portuale.

4 Cfr. sent. 10 dicembre 1991

5 G. PARENTI, “Correttivo Porti: il percorso e le riflessioni”, in “Corriere marittimo”, 2017. 6 Ibidem

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Si è arrivati così alla nuova legge 84/1994 che “ha riordinato la legislazione portuale, come si legge dal titolo della legge stessa, sopprimendo il regime monopolistico di cui beneficiavano le compagnie portuali, a ciò si accompagnava l’obbligo di trasformazione delle compagnie portuali in società o cooperative ed è stata affermata la separazione tra funzioni di programmazione e controllo affidate ad un soggetto pubblico, le Autorità portuali e le funzioni di gestione del traffico e dei terminali affidate alle società o

cooperative; le imprese che svolgono attività portuali devono essere autorizzate da parte dell’Autorità portuale”8. perciò l’elemento da cui partire per un significativo cambio di rotta nel segno della commistione tre pubblico e privato, è data dalla separazione tra le attività programmatorie, di indirizzo e di coordinamento in capo alle Autorità portuali e le funzioni imprenditoriali e gestionali in capo alle singole imprese.

Si tratta di una legge volta “a forgiare un nuovo modello di porto capace di apparire moderno e coerente con la normativa comunitaria, abbandonando quella connotazione meramente pubblicistica per divenire oltre che nodo di scambio tra vari sistemi di trasporto destinato all’esercizio di attività economico-imprenditoriali operanti sul mercato”.9

Venendo poi alla nuova figura di soggetto pubblico, l’Autorità portuale; questa ha sostituito solo sulla carta le funzioni degli enti portuali, in quanto ha continuato a svolgere attività imprenditoriali con riferimento al bene porto; nonostante questa traccia rimasta del passato, si è assistito comunque ad un nuovo modo di gestire i beni

demaniali, affidando alle imprese private la possibilità di operare secondo i principi del libero mercato e della concorrenza, come richiesto a livello comunitario.

Questi principi sono certamente ravvisabili leggendoli in combinato disposto con l’art. 6 della legge del 94, che rende possibile per le imprese agire secondo le regole del mercato per quel che riguarda i servizi portuali e le attività portuali. L’art. 6 lettera “c” prevede espressamente un’eccezione a tale possibilità, questa riguarda i servizi di interesse generale, infatti l’art. 6 afferma che: “è consentita l’erogazione diretta da parte delle Autorità portuali solo nel caso in cui tali servizi fossero precedentemente resi dagli enti portuali, invitando negli altri casi alla costituzione di società cui affidare tali servizi, dando ormai per acquisita anche la privatizzazione di questi coerentemente con il più ampio processo di privatizzazione dei porti”.

Ciò mette in luce un nuovo modo di operare del porto, emerge l’idea di

“un’infrastruttura pubblica nella quale sia garantito il massimo possibile accesso agli utenti”10.

Sintomo di questa nuova esigenza è rappresentato senz’altro dall’art. 16 della legge di riforma che al suo comma terzo statuisce che i servizi e attività portuali “espletate per conto proprio o dei terzi è soggetto ad autorizzazione dell’Autorità portuale, se istituita,

8 Cfr. “Riforma della legislazione in materia portuale”, schede di lettura, in “Documenti.camera.it”, 2012. 9 Ibidem

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o dell’Autorità marittima”, si apre così la concorrenza tra le varie imprese, ampliando così il mercato. Tuttavia, il numero delle autorizzazioni concesse è determinato

dall’Autorità portuale, tenuta ad “assicurare comunque il massimo della concorrenza nel settore” (art. 16, comma 7, legge 84/94).

In aggiunta a ciò è giusto riprendere la dottrina che ha attribuito “al porto la funzione di identificare le dimensioni geografiche dell’offerta e della domanda dei servizi portuali e quindi, tenuto conto delle caratteristiche di questi oltre che della contiguità degli scali marittimi italiani, di ragionare in termini di mercato geograficamente rilevante e di concorrenza tra gruppi di porti.11

È così che spetta sempre di più alle Autorità portuali il compito di regolare l’accesso mercato, garantendo sì a tutti gli operatori di accedervi e di operarvi liberamente, ma comunque cercando di garantire un accesso regolato per evitare che il sistema si affolli di imprese spesso non qualificate o inefficienti. Per questo è fondamentale bilanciare

l’esigenza di garantire l’ingresso al mercato e quella di riservarla solo a soggetti qualificati attraverso l’impiego di procedure e requisiti trasparenti.

Alla luce di queste considerazioni sull’importante opera normativa di riordino del sistema portuale da parte della l. n. 84/94, viene in rilievo il ruolo innovativo rispetto al passato. Tale legge negli anni ha subito numerosi assestamenti, anche importanti, ed è stata la disciplina di riferimento fino al 2016 anno in cui ne è stata operata una integrale rivalutazione che ha condotto all’approvazione del d.lgs. n. 169/2016, a sua volta ulteriormente precisata con il d.lgs. n. 232/2017

Secondo quanto affermano gli autori Carbone e Munari12: “l’impianto della legge n,

84/94 da tempo necessitava di un ripensamento profondo per due aspetti: dal punto di vista giuridico, a seguito del mutamento verificatosi alla fine dello scorso secolo nel diritto dell’economia, nella regolazione delle attività economiche e nell’applicazione sempre più stringente delle norme dell’Unione al sistema portuale e dei trasporti; dal punto di vista economico, a seguito dei profondi cambiamenti intervenuti nel settore della logistica e dei trasporti, rispetto ai quali la visione “porto-mercato” della l, n. 84/94 non risultava più attuale”. In realtà, per alcuni anni, si attese una

regolamentazione comunitaria di settore che fu oggetto di lavoro per la Comunità europea, non ottenendo però risultati significativi, anzi, facendo svanire definitivamente il progetto ambizioso di armonizzare i porti europei.

Intorno alla metà del primo decennio scorso, preso atto del venir meno di un progetto europeo destinato a una modifica significativa della l. n. 84/94, il nostro legislatore ne iniziò una revisione e un aggiornamento. “Per due legislature vennero quindi depositati e discussi diversi disegni di legge di iniziativa parlamentare e governativa, alcuni dei quali addirittura rivolti ad uniformare la disciplina dei porti e degli interporti, in una

11CARBONE E MUNARI,” La disciplina dei porti tra diritto comunitario e diritto interno”, Milano per

Giuffrè, 2006, pag. 18 e ss.

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logica fortemente rivolta alla filiera logistica senza distinzione tra nodi logistici marittimi e terrestri. Questi disegni di legge non furono però mai approvati, ma il relativo dibattito facilitò il lavoro di riforma13 cui il nostro legislatore arrivò per via delegata nell’agosto 2016, con il citato d.lgs. n. 169”.

I principali elementi di rilievo di tale riforma ai fini della governance portuale si

identificano in primo luogo nella riduzione del numero degli “enti di gestione del porto”, e la loro trasformazione non solo di denominazione, in Autorità di sistema portuale (ADSP). “In secondo luogo, il coordinamento verticale delle AdSP da parte del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. In terzo luogo, l’esclusione dei rappresentanti delle imprese e dei lavoratori dall’organo di gestione delle AdSP. In quarto luogo, il tentativo di attribuire al Presidente dell’AdSP un ruolo di guida delle altre amministrazioni che a vario titolo esercitano competenze in ambito portuale, in un’ottica rivolta a semplificare e rendere più efficienti i processi decisionali e di regolazione sia dei porti che dei sistemi portuali”14.

Oltre a queste importanti innovazioni normative, il d.lgs. 169 del 2016 precisa altri aspetti innovativi rispetto alla l. n. 84/94. Tra questi viene riconfermata e rafforzata la natura di ente pubblico non economico delle AdSP che sostituiscono le Autorità Portuali e all’art. 6.5 vengono definite come “enti pubblici non economici di rilevanza nazionale a ordinamento speciale e sono dotati di autonomia amministrativa. organizzativa, regolamentare, di bilancio e finanziaria” ed esercitano competenze in materia di amministrazione di tutto il demanio dei porti italiani e l’intero insieme di beni e

infrastrutture che li compongono: e cioè, in particolare, la programmazione e lo sviluppo del porto, la regolazione delle principali attività imprenditoriali ivi svolte, nonché il coordinamento delle competenze delle AdSP con quelle delle altre amministrazioni che rilevano a proposito delle attività portuali. Le AdSP italiane svolgono esclusivamente attività finalizzate alla cura diretta di interessi pubblici, in via sostitutiva o integrativa rispetto alle funzioni statali.

Oltre alla vigilanza e al controllo il Ministero svolge un ruolo di coordinamento su tutte le AdSP ai fini di garantire la coerenza della politica portuale nazionale. A tal fine, l’art. 11- ter, nella novella del 2016 introduce la Conferenza nazionale di coordinamento delle AdSP, la quale deve “coordinare e armonizzare, a livello nazionale, le scelte strategiche che attengono i grandi investimenti infrastrutturali, le scelte di pianificazione

urbanistica in ambito portuale, le strategie di istituzione delle politiche concessorie del demanio marittimo, nonché le strategie di marketing e promozione sui mercati

internazionali del sistema portuale nazionale

Tale disposizione risulta fondamentale e risulta uno dei punti qualificanti della riforma del 2016 poiché si pone in una logica di continuazione sia con i contenuti del Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica, sia con gli stessi fini del

documento di pianificazione strategica adottato dal Governo in contestualità alla riforma

13 CARBONE E MUNARI, “I porti italiani e l’Europa”, Milano per Franco Angeli Editore, 2019, pag. 105 14 Ibidem.

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di cui al d.lgs. 169/2016, “nel cui contenuto è alquanto evidente l’esigenza di una pianificazione e progettazione a livello nazionale delle infrastrutture, in cui dare attuazione all’ambizioso progetto dell’unica rete integrata e internodale”, che

rappresenta, nelle parole dello stesso documento. La “radicale inversione di tendenza” caratterizzante la politica infrastrutturale e portuale nazionale del futuro. E a conferma della presenza di un più accentuato rapporto centro-periferia riguardo le scelte

strategiche portuali, va anche segnalata la previsione di cui all’art. 8.3, lett. i), che dispone la partecipazione del presidente dell’AdSP alle riunioni del CIPE nelle quali si discute delle “decisioni strategiche del sistema portuale di riferimento”15.

È rilevante, in tal senso, il cambio di impostazione di cui alle modifiche apportate nel 2016 circa le gran di scelte di pianificazione infrastrutturale e la riduzione delle

omologhe prerogative attribuite in precedenza alle Autorità portuali e mantenute in capo alle AdSP”.

1.2 STRUTTURA ORGANIZZATIVA DELLE AUTORITA’ DI SISTEMA: organi delle ADSP.

Come già ribadito, “Le autorità di sistema portuali sono in primis enti pubblici non economici di rilevanza nazionale, di ordinamento speciale, dotata di autonomia

amministrativa, organizzative, regolamentare, di bilancio e finanziaria”16. Esse sono poi assoggettate al controllo e alla vigilanza del Ministero delle infrastrutture e trasporti. In più, la gestione contabile e finanziaria di ogni ADSP, in base al comma 8 della riforma, è “disciplinata da apposito regolamento proposto dal Presidente della stessa e viene deliberato dal Comitato di gestione ed infine approvato dal Ministro delle infrastrutture e trasporti d’intesa con quello dell’economia”17.

In virtù del principio di trasparenza dell’operato delle p.a., “le Autorità di sistema assicurano il massimo grado di trasparenza nell’uso delle proprie risorse e sui risultati ottenuti”18. Infine, “il rendiconto della gestione finanziaria dell’ADSP è soggetta al controllo della Corte dei conti”.

Se si considerano le Autorità di sistema portuale da un punto di vista strutturale ci si rende conto che rispetto alle precedenti organizzazioni non ci sono importanti diversità che, invece, emergono nella verifica delle funzioni svolte. Prima di vederle, è bene evidenziare innanzitutto che sede dell’ADSP è il porto centrale, in caso vi siano più porti centrali, spetta al Ministro delle infrastrutture e trasporti indicare quello che si riferisce all’Autorità di sistema.

15 CARBONE E MUNARI, “I porti italiani e l’Europa”, Milano per Franco Angeli Editore, 2019, pag. 119.

16 Cfr. art. 7 comma 5 d.lgs. 169/2016. 17 Cfr. art. 7 comma 8 d.lgs. 169/2016. 18 Cfr. art. 7 d.lgs. 169/2016.

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All’Autorità portuale spetta in via principale il compito di raggiungere l’interesse pubblico consistente nello sviluppo dei traffici e dell’occupazione. Ad esempio l’art. 7 prevede in capo all’ADSP il compito di “promuovere forme di raccordo con i sistemi logistici retroportuali e interportuali”

Nella legge di riforma risulta pertanto evidente l’intenzione del legislatore di introdurre un modello di gestione dei porti in antitesi a quello applicato fino al 1994 che attribuiva agli enti di gestione funzioni di regolazione e vigilanza che, quasi, assegnavano ai medesimi una specie di imparzialità e indipendenza rispetto al mercato portuale. In virtù dell’ articolo 7 della riforma, ai fini dell’espletamento della funzione pubblica in esso prevista, si attribuiscono alle Autorità di sistema portuali tre diverse funzioni: la prima è di indirizzo, coordinamento ,programmazione, promozione, controllo delle operazioni portuali e delle altre attività commerciali e industriali che hanno luogo nei porti; coordinamento delle attività amministrative esercitate dagli enti e dagli organismi pubblici nell’ambito dei porti e nelle aree demaniali marittime comprese nella

circoscrizione territoriale;

Si aggiungono poi, sempre secondo l’art. 7, poteri di regolamentazione e di ordinanza , anche per quanto riguarda la sicurezza rispetto ai rischi di incedenti inerenti a tali attività ed alle condizioni di igiene del lavoro; la seconda è la manutenzione ordinaria e

straordinaria delle parti comuni del porto, compresa quella per il mantenimento dei fondali, previa convenzione con il Ministero dei Lavori pubblici in cui si deve prevedere l’utilizzazione di fondi a tal fine disponibili sullo stato di previsione

dell’amministrazione stessa; la terza sono le attività dirette alla fornitura a titolo oneroso agli utenti portuali di alcuni servizi di interesse generale, non coincidenti, né connessi alle operazioni portuali che vengono individuati con decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

La riflessione sulle funzioni delle Autorità portuali viene utile per comprendere il tipo di attività svolta e la struttura organizzativa delle stesse. Dalla funzione di promozione deriva lo slancio dello scalo e la sua valorizzazione e l’art. 6, comma 6 della l. n. 84/94 ne è la conferma stabilendo che le stesse Autorità “possono costituire o partecipare a società esercenti attività accessorie o strumentali rispetto ai compiti istituzionali affidati alle autorità medesime, anche ai fini della promozione e dello sviluppo

dell’intermodalità, della logistica e delle reti trasportistiche”. Appare tuttavia opportuno precisare che la promozione relativa al traffico commerciale si accompagna anche a problematiche circa la difficoltà di conciliare lo sviluppo con le esigenze di sicurezza, salute e tranquillità dell’intera collettività.

Consideriamo ora la funzione di programmazione che è di fondamentale importanza per la vita del porto stesso e si esplica nel Piano operativo triennale che contiene le strategie di sviluppo delle ADSP e i relativi interventi per realizzare gli obiettivi da raggiungere. Tale Piano operativo presenta un aspetto preparatorio e un altro attuativo, essendo auspicabile che una programmazione limitata nel tempo possa inserirsi in un’ulteriore di più ampio respiro per cui si può affermare che il Piano operativo è un vero e proprio

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strumento di attuazione delle previsioni di pianificazione e prima della loro approvazione, possieda invece natura preparatoria e propulsiva.

Giungendo poi alla funzione di regolazione occorre precisare che alle Autorità di sistema portuali dalla legge di riforma sono stati affidati compiti di “indirizzo, coordinamento, programmazione e controllo delle operazioni portuali”. Tale funzione incide

direttamente e significativamente sugli obiettivi delle stesse Autorità riguardo la programmazione e la pianificazione per cui la regolazione risulta fondamentale nella realizzazione dell’interesse primario delle Autorità, svolgendo un ruolo preminente su ogni attività da esse svolte.

1.3 GLI ORGANI DELLE AUTORITA’ DI SISTEMA PORTUALE

Avendo affrontato le varie funzioni che vengono svolte dalle Autorità portuali pare opportuno analizzarne i vari organi che le compongono per evidenziarne le competenze e i poteri.

L’organizzazione delle Autorità di Sistema portuale è definita dall’art. 8 del d.lgs. 169/2016 che ha sostituito l’art. 7 della l. n. 84/94, che distingue le funzioni istituzionali fra tre organi “designati ad assolvere le funzioni di tali enti nei rapporti con altri

soggetti”.19 Più precisamente si tratta di un organo individuale costituito dal Presidente e due organi collegiali costituiti dal Comitato di gestione (CG) e dal Collegio dei Revisori dei Conti.

Il Presidente dell’Autorità portuale è un organo tecnico, di vertice, che rappresenta l’ente nelle relazioni esterne. Il Ministro d’intesa con la Regione, può a sua volta scegliere un soggetto fra quelli indicati, oppure con atto motivato, può chiedere che entro trenta giorni gli venga comunicata una nuova terna nell’ambito della quale effettuare la nomina. Trascorso inutilmente l’ultimo termine concesso, il Ministero provvede, d’intesa con la Regione, alla nomina. Questa procedura è quella che risulta dalla riforma portuale del 2016 che l’ha resa più snella. In particolare ha sì mantenuto, ma allo stesso tempo semplificato il cosiddetto “meccanismo di sblocco”, cioè quel meccanismo che riguarda la possibilità di nominare una nuova terna di soggetti nel caso non vi fosse un accordo sulla nomina del Presidente tra Regione e Ministro delle Infrastrutture e trasporti , il quale ha determinato non pochi dubbi circa le competenze e ai rapporti fra Stato e Regione, soprattutto a seguito di una decisione della Corte costituzionale20 secondo cui

tale meccanismo è “perfettamente coerente con la volontà del legislatore costituente di assicurare la partecipazione delle Regioni all’esercizio in concreto della funzione amministrativa allocata a livello centrale”.

Il meccanismo dello sblocco, attualmente è stato modificato e consiste attualmente nel ricorso alla Conferenza dei servizi, in caso di mancata intesa nella nomina del Presidente. IL PRESIDENTE

19R.LONGOBARDI,” I porti marittimi”, Torino per Giappichelli, 1997, pag. 220 e ss. 20 Cfr. sent. n. 378 del 2005.

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Il Presidente dell’Autorità portuale, è l’organo di vertice dell’istituzione.

È nominato dal Ministro delle infrastrutture e trasporti, d’intesa con il Presidente o i Presidenti della regione interessata e resta in carica quattro anni e il suo mandato può essere riconfermato una sola volta. In caso di mancata intesa, a decidere è la Conferenza dei servizi secondo la specifica procedura prevista dall’art. 14 quater della legge

241/1990. Egli stesso “è scelto tra cittadini di paesi membri dell’Unione europea aventi comprovata esperienza e qualificazione professionale nei settori dell’economia dei trasporti e portuale”.21

La sua carica può essere soggetta a revoca con decreto del Ministero dei Trasporti, in caso di mancata elaborazione ed approvazione del piano operativo triennale e di

disavanzo del conto consuntivo e non siano approvati i bilanci entro il termine previsto, secondo l’art. 9, comma terzo della lettera a, b e c del d.lgs. 169/2016. Questi tre casi non sono tassativi, perché in virtù di un generale potere di vigilanza che compete al Ministro e che comporta il riconoscimento di poteri impliciti che operano pur in difetto di un’esplicita previsione di legge, quando si ravvisano indizi di una mala gestio, il Ministro può sostituire il presidente attraverso un Commissario il quale resta in carica sei mesi. Questi, secondo l’articolo 9 della riforma 2016, “deve entro sessanta giorni dalla nomina adottare un piano di risanamento, a tal fine può imporre oneri aggiuntivi a carico delle merci sbarcate e imbarcate nel porto”.

Anche il potere di nomina del commissario, come atto contestuale alla revoca del mandato del Presidente, ha subito il vaglio di legittimità della Corte Costituzionale che non ha esitato a censurare l’operato del Ministro che vi aveva provveduto senza una preventiva ed effettiva leale collaborazione con la Regione competente volta alla ricerca dell’intesa sulla nomina del nuovo Presidente.

In base all’articolo 10, “il Presidente oltre a essere titolare del potere di rappresentanza legale dell’Autorità di sistema, ha innanzitutto poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione, tranne quelli che sono riservati agli altri organi delle ADSP”. Per questo a lui è affidata la gestione e l’impiego delle risorse finanziarie, soprattutto ai fini del piano di risanamento; svolge funzioni di indirizzo, di proposta, di coordinamento e controllo, di consulenza e amministrazione attiva, anche se alcune di queste attribuzioni presuppongono a volte l’obbligatoria delibera non vincolante del Comitato di gestione, altre volte l’approvazione.

I poteri che possono essere svolti in autonomia rispetto ad altri organi dell’ente sono quelli relativi alla presidenza e alla nomina del Comitato di gestione e del Segretario generale, cui si aggiunge la possibilità di convocare apposita conferenza dei servizi con la partecipazione dei rappresentanti delle pubbliche amministrazioni o di altri soggetti autorizzati, dei concessionari e dei titolari dei servizi interessati per esaminare e discutere temi di interesse per il porto.

21 Cfr. art. 8 del d.lgs. 169 del 2016.

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L’art. 10 dell’ultima legge di riforma, prevede poi in capo al presidente compiti “di coordinamento delle attività svolte nel porto dalle pubbliche amministrazioni, di

promozione di iniziative di reciproco avvalimento tra organi amministrativi operanti nei porti e nel sistema di riferimento secondo criteri stabiliti con atti di intesa tra i ministri di volta in volta competenti”; in questo ambito il Presidente può “promuovere la stipula di protocolli d’intesa tra le Autorità e le altre amministrazioni operanti nei porti per la velocizzazione delle operazioni portuali e la semplificazione delle procedure”22

Ancora, il Presidente promuove programmi di investimento che necessitano del sostegno statale o europeo; partecipa, secondo l’art. 10 “alle sedute del CIPE aventi ad oggetto decisioni strategiche per il sistema portuale di riferimento”, cui si aggiunge “la promozione e partecipazione alle conferenze dei servizi per lo sviluppo del sistema portuale e sottoscrive gli accordi di programma”.

A queste funzioni se ne aggiungono di ulteriori che riguardano più prettamente la gestione del porto; nello specifico l’art. 10 prosegue stabilendo che il Presidente “è tenuto ad assicurare la navigabilità in ambito portuale ed è tenuto al mantenimento ed approfondimento dei fondali, attraverso il ricorso alle attività di dragaggio; a tal fine può convocare una Conferenza dei servizi cui partecipano le varie amministrazioni e che deve concludersi un termine non superiore a sessanta giorni”.

Infine l’ultima categoria di compiti in capo al Presidente, sono quelli che per essere svolti necessitano del parere favorevole del Comitato di gestione e sono quelle concernenti “l’approvazione del piano regolatore di sistema portuale e del piano operativo triennale, quelle connesse all’adozione degli schemi di delibera circa il bilancio preventivo e le relative variazioni, il conto consuntivo, il trattamento del Segretario generale, le delibere riguardanti le concessioni di cui all’art. 6, comma 11”23, aventi ad oggetto i servizi di interesse economico generale e quelle sulla manutenzione ordinaria e straordinaria delle parti comuni.

Dalla lettura del dettato normativo si evidenzia la necessità dell’approvazione del

Comitato anche per il regolamento di contabilità che deve essere inviato per le definitive determinazioni al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e per l’eventuale

costituzione o partecipazione a società come indicate all’articolo 6, comma 6, della legge quadro.

Da ultimo il Presidente deve richiedere un semplice parere – non vincolante – al Comitato per l’amministrazione delle aree e dei beni del demanio marittimo, per il rilascio delle autorizzazioni per l’esercizio delle operazioni portuali e per l’assentimento di concessioni di aree demaniali che hanno una durata superiore ai quattro anni.

Per ampliare le competenze presidenziali l’art. 10 ha di fatti previsto che gli siano attribuite in via residuale “tutte le competenze non espressamente attribuite ad altri

22 Cfr. art. 10 d.lgs. 169/2016 23 Cfr. art. 10 d.lgs. 169/2016

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organi”. Ne deriva che tutte le funzioni che la legge stessa attribuisce all’Autorità portuale siano riconducibili al novero dei poteri che fanno capo al Presidente.

In virtù di questa riforma con riferimento al Presidente si è messa in pratica la speranza evidenziata già da diversi anni prima del 2016 in cui si contemplava l’obiettivo di potenziare il suo ruolo, sia in termini di coordinamento delle diverse soggettività

coinvolte, sia di vere e proprie competenze decisionali, affinché il suo ruolo fosse ancor più rivolto a garantire un maggior coordinamento delle funzioni dell’ente. Solo così si riusciva garantire al porto di mantenere ed implementare la sua funzione di sviluppo economico e del territorio.

IL COMITATO DI GESTIONE.

Il Comitato è in primis un organo collegiale, qualificato come organo collegiale amministrativo, di “natura rappresentativa non elettiva”24, è disciplinato dalle legge

dopo la figura del Presidente, e la sua composizione , rispecchia il doppio volto della dimensione portuale data dalla compresenza di rappresentanze istituzionali con quelle commerciali.

L’ art. 11 elenca i componenti di tale organo, innovando rispetto alla disciplina della legge 84/1994; partendo dai primi, territorialmente competenti, per poi concludere con quelli economici, in particolare, ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. 169 del 2016, fanno parte del Comitato di gestione alcuni soggetti: “il Presidente dell’ADSP, che lo presiede e prevale in caso di parità dei voti espressi, da un componente designato dalla regione o da ciascuna regione il cui territorio è incluso, anche parzialmente, nel sistema portuale, da un componente designato dal sindaco di ciascuna delle città metropolitane ove presente; da un componente designato dal sindaco di ciascun dei comuni ex sede di Autorità portuale inclusi nell’ADSP, esclusi i comuni capoluogo delle città

metropolitane. Ancora, “da un rappresentante dell’autorità marittima, designato dalle direzioni marittime competenti per territorio, con diritto di voto nelle materie di

competenza, prevedendo la partecipazione di comandanti di porto diversi da quello sede dell’ADSP, nel caso siano affrontate questioni relative a tali porti”.

Un’aggiunta è quella prevista dal comma 1 bis dell’art. 11 che consente la partecipazione al Comitato anche di “un rappresentante per ciascun porto compreso nell’ADSP e ubicato in un comune capoluogo di provincia non già sede di Autorità portuale. Il rappresentante è designato dal sindaco e ha diritto di voto limitatamente alle materie di competenza del porto rappresentato.”

L’ultima legge di riforma ha ristretto notevolmente il numero dei componenti, specialmente quelli che rappresentavano originariamente la parte più economica

dell’organo, formata da sei rappresentanti appartenenti alle categorie di soggetti operanti nel settore portuale, in particolare armatori e industriali.

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In tal senso si è evidenziata l’opportunità di intervenire nel 2016 sulla struttura di questo organo depurandolo di quella componente imprenditoriale che altro non sarebbe che un retaggio del precedente sistema mantenuto per ragioni di transitorietà. Autorevole dottrina25 ha affermato infatti che le istanze “commerciali sono già rappresentate

all’interno della Commissione Consultiva e la duplicazione di questa partecipazione oltre a impedire una responsabilizzazione della componente istituzionale del Comitato portuale, si pone in contrasto rispetto alla funzione di promozione dello sviluppo portuale inteso anche come apertura del mercato portuale a imprese terze che non trovano rappresentanza nell’organo collegiale”.26

Per rendere più efficiente la propria attività, il comitato portuale non punta solamente a tagliare la componente economica, ma mira ad includere anche alcuni esponenti istituzionali dell’organo.

Le funzioni che l’organo in esame svolge, possono essere divise in due categorie: da una parte quelle programmatorie, dall’altra quelle tecnico-gestionali. Rientrano tra le prime l’adozione del piano regolatore di sistema portuale e l’approvazione, entro novanta giorni dal suo insediamento, su proposta del Presidente, del piano operativo triennale, soggetto a revisione annuale, concernente le strategie di sviluppo delle attività portuali e

logistiche; approva il bilancio di previsione, le note di variazione ed il conto consuntivo; predispone, su proposta del Presidente, il regolamento di amministrazione e contabilità dell’ADSP, da approvare con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell’economia e finanze. L’analisi delle funzioni

programmatorie termina con l’approvazione della relazione annuale sull’attività dell’ADSP da inviare al Ministro delle infrastrutture e trasporti.

Passando, invece, all’altra tipologia di funzioni, tra queste rientrano, secondo il comma 4 dell’art. 11, “la formulazione di pareri, delibera su proposta del Presidente circa le autorizzazioni e le concessioni di durata superiore a quattro anni, determinando l’ammontare dei relativi canoni; delibera, su proposta del Presidente, sentito il Segretario generale, la dotazione organica dell’ADSP”. In aggiunta, “delibera il

recepimento degli accordi contrattuali relativi al personale dell’Autorità di sistema e gli strumenti di valutazione dell’efficacia, della trasparenza, del buon andamento della gestione dell’ADSP” e da ultimo “nomina il Segretario generale, su proposta del Presidente e da ultimo”. Infine si dice che il Comitato si “riunisce di norma ogni due mesi e, comunque su convocazione del Presidente e ogni qualvolta lo richieda un terzo dei componenti, per la validità delle sedute è richiesta la presenza della metà più uno dei componenti”27. Si aggiunge poi che a maggioranza dei presenti si adottano le decisioni, tranne nel caso in cui vi sia parità e il voto del Presidente dell’ADSP prevarrà.

25 CARBONE E MUNARI,” La disciplina dei porti tra diritto interno e diritto comunitario”, Milano per

Giuffrè, 2006, pag. 55 e ss.

26M.MARESCA, “La regolazione dei porti tra diritto interno e diritto comunitario”, Torino per

Giappichelli, 2001, pag. 41.

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Il Comitato alla stregua del Presidente, resta in carica quattro anni, i componenti possono essere rinominati una volta soltanto, che decorre dal momento in cui si insediato lo stesso; viene però fatta salva la possibile decadenza degli stessi nel caso in cui venisse nominato un nuovo Presidente. C’è perciò un legame strettamente dipendente tra il Comitato di gestione e il Presidente dell’Autorità di sistema; ognuno è legato dalle sorti dell’altro. La nomina dei componenti collegiali deve essere trasmessa al Presidente “entro trenta giorni dalla richiesta da parte dello stesso, sessanta giorni prima della scadenza del mandato dei componenti”28

IL COLLEGIO DEI REVISORI DEI CONTI.

Il Collegio dei revisori dei Conti, disciplinato dall’art. 13 della legge di riforma sui porti, è l’organo interno di controllo e di natura tecnica a cui spetta il compito di revisionare l’attività dell’ente dal punto di vista economico-finanziario. In particolare il Collegio dei Revisori “deve provvedere alla regolare tenuta dei libri contabili e alla regolare e alla verifica trimestrale della cassa, potendo a tal fine assistere con almeno uno dei suoi membri alle riunioni del Comitato”29, e alla redazione di una relazione sul conto consuntivo, riferendo periodicamente al Ministero sullo stato economico-finanziario dell’ente presso cui svolge l’attività.

Si è dovuto precisare che le sue funzioni e quindi la sua natura lo distinguono da quegli organi collegiali di controllo sulla gestione, presenti nelle strutture societarie in quanto a differenza di questi ultimi la loro attività non è caratterizzata da un ampio contenuto di legittimità e di merito anche di tipo preventivo, ma si limita a una “mera funzione di revisione”30 intesa come verifica della corrispondenza tra il rendiconto e le risultanze della gestione.

È formato da tre membri effettivi e da due supplenti, nominati con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei Trasporti nell’ambito degli iscritti all’albo dei revisori legali o tra persone in possesso di specifica professionalità; il Presidente ed un membro supplente sono poi designati dal Ministero dell’economia e finanze. La durata in carica dei membri è di quattro anni, rinnovabili una sola volta, infine il costo dei compensi dei singoli membri è inserito nel bilancio delle ADSP. Una precisazione riguarda il fatto che ai membri del Collegio è impedita la partecipazione, in qualsiasi forma alle attività attinenti le competenze dell’ADSP o di altri organismi che svolgono compiti, in qualsiasi modo collegati all’attività delle ADSP.

Per quel che riguarda la convocazione dello stesso, il comma 5 dell’art. 13 prevede che esso sia “convocato dal Presidente del Collegio o su richiesta dei componenti, tutte le volte che lo ritiene opportuno e comunque almeno una volta ogni trimestre”. Circa le delibere, queste sono adottate se si raggiunge la maggioranza assoluta dei componenti; è

28 Cfr. art 11 d.lgs. 169/2016. 29 Ibidem

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possibile anche votare in via telematica rispettando alcuni requisiti che consentano in tempo reale l’identificazione del soggetto che si appresta ad esprimere il voto.

Passando, poi, alle singole funzioni, il Collegio svolge innanzitutto tutti i compiti previsti dalla normativa di riferimento, in particolare esso provvede al riscontro degli atti di gestione, accerta la regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili ed effettua con cadenza triennale le verifiche di cassa; redige le relazioni di propria competenza ed in particolare una relazione sul conto consuntivo. Inoltre, dialoga periodicamente con il Ministero delle infrastrutture e trasporti e partecipa anche con almeno un suo

componente alle sedute del Comitato di gestione. Da ultimo il collegio può riferirsi direttamente al Presidente, affinché questi trasmetta informazioni circa la gestione economico-finanziaria della Autorità di sistema o su altre questioni specifiche. Nel caso il Collegio riscontrasse difformità o irregolarità, le potrebbe rendere note al Ministro delle infrastrutture e trasporti

Tuttavia tale mandato non è soggetto a modifiche connesse ad eventi di carattere

straordinario, pertanto si ritiene che il Collegio dei Revisori resti in carica anche durante i periodi di gestione commissariale.31

A seguito della nuova riforma, sono state mantenute le varie Commissioni consultive, che secondo il nuovo articolo 17 devono essere “istituite in ogni porto e devono essere composte da cinque rappresentanti dei lavoratori delle imprese operanti in porto, da un rappresentante dei lavoratori dell’Autorità di sistema…designato dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale e da un rappresentante delle categorie imprenditoriali che operano nel porto (armatori, industriali e

spedizionieri)…”designato dalle rispettive associazioni nazionali di categoria”. Da precisare che tali Commissioni siano da considerare come organi delle ADSP, nonostante non risultino nell’elenco specifico circa i singoli organi. Inoltre, la designazione dei rappresentanti dei lavoratori ed imprenditori deve essere trasmessa al “Ministero delle Infrastrutture e trasporti entro trenta giorni dalla richiesta, l’inutile decorso del termine non pregiudica il funzionamento dell’organo”32

In capo a tale istituzione vi è il Presidente dell’Autorità di sistema portuale o, laddove non costituita, dal Comandante del porto. e ha una composizione mista che rispecchia da un lato sia gli interessi dei lavoratori delle principali imprese che operano in porto che dei dipendenti dell’Autorità di sistema stessa, e dall’altro gli interessi degli imprenditori. La prevalente attività della Commissione Consultiva è data proprio dalla consultazione, di valore tuttavia non vincolante, su questioni relative al rilascio, alla sospensione e alla revoca delle autorizzazioni, all’organizzazione del lavoro in porto, agli organici delle imprese all’avvalimento della manodopera e alla formazione professionale dei lavoratori.

31 Ibidem

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L’art. 16, comma 7, prevede inoltre il coinvolgimento della Commissione per il caso in cui “l’Autorità portuale debba determinare il numero massimo di autorizzazioni che possono essere rilasciate per l’esercizio per l’esercizio dell’attività portuale”.

Dottrina e giurisprudenza prevalente risultano concordi sulla natura obbligatoria ma non vincolante dei pareri emessi dalle Commissioni Consultive, tanto che si è autorevolmente ritenuto che tali organismi andrebbero ricondotti più congruamente “sotto il novero degli organi rappresentativi di categoria, in virtù della loro composizione “corporativa” , piuttosto che sotto quella di organi consultivi”.33

Alle Commissioni Consultive presenti presso ogni Autorità di sistema portuale, la nuova riforma non ha più affiancato la Commissione Consultiva nazionale, scelta da

considerarsi come frutto dell’esigenza di semplificazione e snellimento nell’operato delle Autorità di sistema, evitando eccessivi rallentamenti nei rapporti tra organi delle stesse. Infine la disamina degli organi si conclude con il riferimento a due soggetti, introdotti solamente a seguito dell’ultima riforma del 2016: la Conferenza nazionale di

coordinamento delle ADSP e l’Organismo di partenariato della risorsa mare.

Iniziando dal primo, questo è in primis istituito presso il Ministero delle infrastrutture e trasporti e ha come principale funzione quella di coordinare e uniformare le scelte strategiche che riguardano “i grandi investimenti infrastrutturali, le scelte di strategia urbanistica in ambito portuale, le strategie di attuazione delle politiche concessorie del demanio marittimo, nonché le strategie di marketing e promozione sui mercati

internazionali del sistema portuale nazionale, operando altresì le verifiche dei piani di sviluppo portuale, attraverso specifiche relazioni predisposte dalle singole ADSP”34 Per quel che riguarda la sua composizione, essa è presieduta dal Ministro delle

infrastrutture e trasporti ed è altresì formata da tutti i presidenti delle Autorità di sistema e da due soggetti rappresentanti della Conferenza unificata (organo che permette di realizzare la cooperazione tra l’attività dello stato ed il Sistema delle autonomie). A questi soggetti elencati, se ne può aggiungere un altro nominato dal Ministro delle infrastrutture e trasporti tra esperti del settore dei trasporti e dei porti; questo svolgerà in particolare la funzione di supporto alla Conferenza. Inoltre, alle sedute della stessa possono essere invitati a partecipare i rappresentanti delle associazioni degli imprenditori e sindacali operanti nel settore marittimo portuale comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Per concludere sull’organismo in esame, si può ribadire che la ratio della sua istituzione risiede nell’esigenza di individuare delle scelte strategiche di indirizzo per i porti italiani circa le infrastrutture stesse, la programmazione e l’innovazione tecnologica. Quello che la Conferenza rappresenta lo possiamo riassumere con le parole ribadite nel 2017 dal Ministro delle infrastrutture e trasporti: “la Conferenza è il luogo in cui si concretizza un

33G.TACCOGNA, “Le operazioni portuali nel diritto pubblico dell’economia”, Milano per Giuffrè, 2001,

pag. 673.

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principio cardine della riforma: far lavorare le Autorità portuali come un unico sistema portuale nazionale, in un’ottica di cooperazione e non di competizione, per valorizzare la risorsa mare”.

Strettamente connesso a tale organo, vi è il cosiddetto Organismo di partenariato della risorsa mare che è capeggiato dal presidente della singola Autorità di sistema portuale, dal Comandante del porto ovvero dei porti, già sedi di Autorità portuale, nonché da un rappresentante degli armatori, degli industriali, degli spedizionieri, degli agenti e raccomandatari marittimi (ovvero coloro che prestano assistenza al comandante di nave nei confronti delle Autorità locali o i terzi) e altri elencati dall’art. 14.

Passando poi alle relative funzioni, l’art. 14 prevede il confronto partenariale ascendente e discendente, funzioni consultive, attraverso la formulazione di pareri, “di partenariato economico-sociale circa l’adozione del piano regolatore di sistema portuale, del piano operativo triennale, del progetto di bilancio preventivo e consuntivo”. Infine, nel caso in cui la ADSP non fosse d’accordo o intendesse discostarsi dai pareri dell’organismo, deve motivare tale scelta.

1.4 I SERVIZI PORTUALI

I servizi portuali possono essere qualificati, nonostante i numerosi dibattiti sulla corretta definizione35, come le attività economiche che si svolgono in ambito portuale di cui ne

possono fruire tutti gli utenti interessati a servirsene.

A seguito della legge n. 186/2000, i servizi portuali possono essere distinti in alcune categorie: i servizi a favore delle merci, i servizi portuali, i servizi tecnico nautici e i servizi di interesse generale. Occorre notare a oggi il progressivo aumento delle attività inerenti al trasporto passeggeri compreso il settore crocieristico e, al fianco dell’attività commerciale dei servizi portuali, la sezione cantieristica e industriale che riveste una certa importanza anche se oggetto di scarsa normativa.

1. 5. 1. I SERVIZI PORTUALI A FAVORE DELLE MERCI.

I servizi a favore delle merci vengono normalmente classificati nell’ambito delle

operazioni portuali e quindi individuate all’art. 16 della l. 84/94 nel “carico, lo scarico, il trasbordo, il deposito, il movimento in genere delle merci e di ogni altro materiale, svolti nell’ambito portuale” ricomprendendo quindi, “tutte quelle attività volte a consentire il passaggio del carico della nave ad un altro mezzo e viceversa ossia a congiungere il trasporto marittimo con quello terrestre facendo modo che il porto svolga l’importante funzione di nodo di collegamento nella catena logistica”.36

Il regime delle operazioni portuali è stato interessato da un radicale mutamento, a seguito della l. n. 84/94 per la cui stesura è stato significativo il contributo del diritto

35 Si segnale in questo quadro dibattuto la decisione del T.A.R. Friuli Venezia Giulia del 27 luglio 2002

secondo cui l’attività di stoccaggio delle merci non possono essere considerate operazioni portuali, bensì servizi portuali innominati.

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Comunitario, in particolare la giurisprudenza della Corte di Giustizia e gli atti della Commissione Europea soprattutto in materia di libera concorrenza.

Gli aspetti più importanti di cambiamento a seguito della legge di riforma portuale, per ciò che qui interessa, consistono nel favorire la presenza in porto di una pluralità di imprese portuali operanti in concorrenza, con effetti positivi per il settore in quanto creando competitività si crea efficienza. Si viene così a formare un mercato libero, in quanto è sempre più ridotto lo spazio di azione dell’ente pubblico il cui intervento è presente, ma soltanto per prevenire e correggere le anomalie di un mercato in cui gli operatori lasciati completamente liberi di perseguire i propri interessi economici condurrebbero a situazioni contrarie all’interesse pubblico.

Negli ultimi anni si è constatato che i porti hanno rivestito in maniera sempre più importante il ruolo di infrastruttura logistica determinante nella filiera del trasporto multimodale tanto da esserne il fulcro in cui l’ente preposto esercita controlli e

coordinamento indispensabili visto il grande volume di merci attuale. Inoltre, l’aumento esponenziale delle dimensioni delle imprese e la crescita e l’allargamento degli ambiti di riferimento portano le stesse imprese a concorrere in sfere decisamente più ampie del singolo porto definendo la necessità di regolamentarsi a livello superiore o attuando un coordinamento tra i vari enti preposti. Di questo si è precisamente occupato il legislatore che con la riforma della l. n. 84/94 ha emanato il d.lgs. n. 169/2016 in cui si compie una modifica anche geografica della governance del porto, estendendo il suo ambito spaziale da un singolo porto a un sistema portuale comprensivo di più porti.

Pare opportuno evidenziare che in certi settori dei traffici l’imponente concentrazione delle imprese appartenenti alla filiera logistica può produrre il rischio che la loro presenza all’interno del mercato delle operazioni portuali determini una posizione dominante rispetto alle imprese operanti in un solo segmento della filiera e possa

escluderne o condizionarne l’attività. Per evitare la lesione di interessi delle altre imprese concorrenti, ma anche dei soggetti che movimentano le merci, o dei passeggeri che transitano in un porto o delle stesse navi è importante gestire tale aspetto con la massima cautela per mantenere il giusto equilibrio delle dinamiche che si svolgono nelle realtà portuali.

1. 5. 2. I SERVIZI PORTUALI “STRICTI IURIS”.

Tali servizi sono individuati dall’art. 16, comma 2, che li qualifica come servizi portuali attinenti a “prestazioni specialistiche, complementari e accessorie al ciclo delle

operazioni portuali”.

Tali servizi inizialmente svolgevano attività di importanza minore, assumevano rilievo in funzione dei traffici dei porti e delle imprese portuali che operavano di frequente in condizioni di contiguità rispetto alla fornitura di lavoro portuale temporaneo, che costituisce il terzo segmento a sé stante all’interno delle operazioni portuali. Il Decreto ministeriale 6 febbraio 2001, n .132, stabilisce che l’individuazione di tali servizi sia in

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capo all’Autorità portuale i cui regolamenti ne rinviano a una più dettagliata individuazione.

1. 5. 3. I SERVIZI TECNICO NAUTICI.

L’ulteriore importante categoria di servizi portuali è rappresentata da quelli erogati alla nave, denominati servizi tecnico nautici. Consistono in una serie di operazioni volte a facilitare le manovre delle navi approdate nello scalo, sia nelle fasi arrivo che in quelle di transito, di sosta e di uscita dal porto.

È possibile qualificarli alla stregua di quanto fatto dalla Corte di Giustizia37 con

riferimento a tali servizi; la Corte infatti li ha definiti come “servizi di interesse generale atti a garantire nei porti la sicurezza della navigazione e dell’approdo

Rientrano all’interno di tale categoria il pilotaggio, il rimorchio, l’ormeggio e il battellaggio, precisando che gli ultimi due nella pratica si trovano stabilmente uniti a formare un unico soggetto erogante entrambi i servizi, al fine di garantirne la massima efficienza. Essendo dunque tali prestazioni riguardanti il traffico e la sistemazione delle navi in spazi limitati qual appunto i porti e le zone ad essi limitrofe e altre di difficile percorribilità quali stretti e canali, nei quali la nave può avere complicazioni nel passaggio, esigono professionalità e preparazione adeguata da parte di coloro che li erogano, oltre ad un’estesa conoscenza delle condizioni del territorio in cui operano. Sempre i soggetti erogatori, come contemplato dal legislatore per questi servizi, mettono a disposizione diverse risorse formate a livello professionale e mezzi nautici di cui si può avvalere l’Amministrazione Marittima in caso di bisogno o emergenza. Occorre notare che la normativa di riferimento in ordine all’esplicazione di tali servizi si rinviene tutt’ora all’interno del codice della navigazione e del regolamento per la navigazione marittima che regolano dettagliatamente le modalità di accesso al mercato da parte dei soggetti erogatori, i contenuti delle prestazioni e il loro svolgimento, il contesto di riferimento e le esigenze di sicurezza che questi servizi sono deputati a soddisfare, le modalità di

adozione delle tariffe e inoltre i poteri di controllo e regolazione che l’Autorità Marittima esercita sugli erogatori di servizi tecnico-nautici non avendo la l. n. 84/94 operato

significativi contributi in ordine alla loro disciplina.

La riforma dell’ordinamento portuale, infatti, all’art. 14 , si riferisce ad essi specificando in particolare: “le autorità competenti alla loro regolazione; le condizioni di

obbligatorietà del servizio, da intendersi ovviamente come obbligo non solo di riceverlo, ma anche di prestarlo; le modalità di determinazione dei criteri e meccanismi della tariffa; l’oggetto della regolazione, i.e. tariffe, disciplina e organizzazione; i luoghi nei quali tali servizi debbono essere disponibili e debbono essere resi”38. In tal modo, afferma il Consiglio di Stato, si realizza “una strutturale, congenita, qualificante natura pubblicistica “ di cui sono titolari gli enti erogatori la cui attività è “ab origine

funzionalizzata ad un superiore interesse pubblico a cui presidio è posta un’Autorità

37 Cfr. sent. 18 giugno 1998, “Corsica Ferries c. Ormeggiatori”

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Pubblica ( il Comandante del Porto o, in alcuni casi, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ) dotata nei loro confronti di un potere non solo di regolazione , controllo e vigilanza, ma anche di vero e proprio ordine, nonché della capacità di incidere, pure in senso definitivo, sul(lo) status professionale mediante la spendita del potere

disciplinare”.

L’art. 17 cod. nav. attribuisce all’Autorità Marittima la disciplina dei servizi tecnico nautici in accordo con la l. n. 84/94 che all’art. 14 recita: “spettano all’Autorità Marittima le funzioni di polizia e di sicurezza previste dal codice della navigazione e dalle leggi speciali” e agli art. 62 e 63 del cod. nav. sempre l’Autorità Marittima ha il potere di “regolare e vigilare, secondo le disposizioni del regolamento, l’entrata e l’uscita, il movimento, gli ancoraggi e gli ormeggi delle navi” nonché di intervento in casi di emergenza utilizzando come ausiliari gli erogatori di tali servizi, attuando in tal modo gli obblighi di servizio pubblico con specifiche regolamentazioni a livello locale. “A tal proposito è da sottolineare che non essendo le azioni dell’Autorità orientate da spinte promozionali o commerciali per il porto, si ottengono modelli organizzativi che realmente si basano sulla sicurezza alla quale tende il legislatore. Da aggiungersi che a livello nazionale vengono fissati parametri omogenei che non favoriscono vantaggi competitivi di un porto rispetto ad un altro volti al rispetto della sicurezza”. 39 Occorre rilevare ciò che chiarisce il Consiglio di Stato40 “tutti i più importanti e

qualificanti momenti di esercizio sono, dunque, pervasi da un forte tratto pubblicistico : sono, infatti, sottoposti a regime amministrativo e sottratti alla disciplina privatistica l’accesso alle due professioni, il numero dei relativi esercenti, le modalità di svolgimento del servizio, la forma giuridica con cui lo stesso è svolto, l’ammontare della relativa tariffa il numero e le caratteristiche dei beni strumentali di cui è fatto obbligo di munirsi e servirsi” pertanto, si ravvisa che l’interesse pubblico alla sicurezza è preponderante rispetto agli interessi economici e commerciali, e lo si evince dal criterio di scelta organizzativa. Inoltre, l’Autorità preposta, tramite l’emanazione di regolamenti, ordinanze, atti attuativi, d’intesa con l’AdSP può creare tariffari a livello locale, nel rispetto delle tabelle pur sempre di competenza ministeriale, obbligando tuttavia l’erogatore a effettuare il servizio a tariffe predeterminate e in ciascuna circostanza secondo le caratteristiche del servizio universale, indipendentemente dalla volontà di erogare e dalle esigenze commerciali.

L’universalità che è l’elemento precipuo di tali servizi “determina sostanzialmente le dimensioni ottimali di operatività del prestatore e la giurisprudenza, ma anche il mondo degli economisti concordano nel definirlo monopolio naturale, in quanto è presente in ogni porto un unico soggetto erogatore del servizio”41. A sostegno e a legittimazione giuridica di tale impostazione è l’entrata in vigore del regolamento Ue 352/2017. È da osservare che nella prassi ci si trovi sempre più frequentemente di fronte a un medesimo

39 Carbone e Munari,” I porti italiani e l’Europa”, Milano per Franco Angeli Editore, 2019, pag. 239. 40 Cfr. sent. Cons. Stato n. 1872 del 2017.

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