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Capitolo 2

Meccanismi di collasso fuori piano di

pareti murarie: stato dell’arte

Le diverse tipologie di meccanismi di collasso che si possono instaurare all’interno di un edificio in muratura sono innumerevoli e dipendono sia dalle caratteristiche della struttura sia dall’intensità dell’evento sismico. Proprio in base alle osservazioni effettuate su edifici danneggiati in seguito ad un evento sismico, numerosi studi hanno cercato di offrire un panorama dei vari meccanismi [D’Ayala e Speranza, 2003] (Fig. 2.1).

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È tuttavia difficile definire una casistica completa dei meccanismi di collasso che si possono manifestare. Soprattutto all’interno del patrimonio edilizio italiano, dove sono presenti una notevole varietà di tipologie edilizie, non è possibile prevedere in modo esatto quali meccanismi possono innescarsi effettivamente. L’attivarsi di un meccanismo dipende infatti da fattori spesso di difficile definizione: ad esempio danneggiamenti preesistenti, modifiche successive della struttura originale (accrescimenti, inserimento di cordoli, etc.), efficienza degli elementi di ritenuta quali catene metalliche, capriate impalettate, travi lignee etc. Una classificazione più accurata dei meccanismi di collasso può essere fatta quando una data tipologia edilizia evidenzia una spiccata vulnerabilità nei confronti dei meccanismi di primo modo. Ne sono un esempio le chiese, che presentando caratteristiche geometriche e costruttive ricorrenti, hanno permesso di individuare un quadro abbastanza completo dei meccanismi di primo modo possibili [Podestà, 2001] (Fig. 2.2, 2.3, 2.4).

Figura 2.2 Meccanismi di collasso delle facciate nelle chiese a navata [Podestà, 2001]

Figura 2.3 Meccanismi di collasso dell’abside e delle cappelle nelle chiese [Podestà, 2001]

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Per determinare il moltiplicatore del carico verticale che porta all’attivazione del meccanismo, le pareti murarie sono state schematizzate come assemblaggio di corpi rigidi. Tale ipotesi, unita a quella di infinita resistenza a compressione, assenza di resistenza a trazione della malta, attrito infinito consentono una riduzione dei parametri in gioco i quali possono essere determinati andando a studiare la sola geometria del sistema. L’ipotesi di rigidezza non nega la deformazione dei corpi durante il moto, ma afferma la trascurabilità di tali deformazioni rispetto agli spostamenti totali e che quindi non è necessario prenderla in considerazione per riprodurre in modo sufficientemente fedele i risultati sperimentali. Le motivazione dell’assunzione dell’ipotesi di corpo rigido sono principalmente due: la prima risiede nella relativa semplicità di modellazione, anche se sono presenti non linearità e specifiche difficoltà soprattutto in ambito dinamico, la seconda sta nel fatto che sperimentalmente si sono effettivamente osservati, sia a seguito di eventi sismici, sia su prototipi per test sperimentali, comportamenti praticamente rigidi.

Affinché le porzioni di parete possano effettivamente comportarsi come corpo rigido occorre che essi siano realizzati a “regola d’arte” [Giuffrè, 1993]: “un muro realizzato a

regola d’arte infatti arriva a collasso attraverso la realizzazione di cinematismi che comportano la formazione di cerniere cilindriche, mentre le porzioni comprese tra le fessure offrono un comportamento tipo ‘corpo rigido’. La minore qualità del muro, il suo discostarsi dalla regola d’arte gli toglie tale caratteristica. Le fessurazioni non costituiscono distacchi netti ma sono distribuite su ampie porzioni del muro. Il cinematismo non riesce ad evolvere perché il mutare di orientamento della risultante dei carichi rispetto alla verticale […] denuncia il difetto di ammorsature interne e disgrega il corpo murario”.

Si riportano nel seguito, i risultati dei principali studi in ambito dinamico effettuate su pareti libere in sommità e schematizzate come corpi rigidi. Sono illustrate le più importati teorie riguardanti l’oscillazioni bilatere di corpi rigidi, le ricerche sperimentali e le trattazioni teoriche sul moto di dondolamento (rocking) di pareti con vincoli monolateri e infine sono riportate le conclusioni di indagini sperimentali finalizzate a cercare un collegamento tra frequenza di ribaltamenti, parametri che caratterizzano l’azione sismica e grandezze geometriche che identificano una parete.

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2.1. Modelli a contatto rigido o elastico

Con il modello di corpo rigido si introducono delle semplificazioni nell’approccio al problema in quanto i parametri in gioco si riducono alle sole grandezze geometriche. Tale trattazione presenta però delle complessità non trascurabili, le equazioni del moto presentano delle non linearità dovute alla presenza di funzioni trigonometriche e della funzione segno. Inoltre si presentano delle non linearità molto forti anche a causa delle brusche discontinuità che si verificano in corrispondenza degli urti. I vari modelli proposti in letteratura possono essere distinti sulla base di come viene descritta l’interazione nelle sezioni dove si verificano gli urti [Giannini, 1991]: si possono distinguere infatti modelli a contatto rigido e modelli a contatto elastico.

Le ipotesi principali dei modelli a contatto rigido sono quelle che riguardano il giunto di base, che dovrà risultare (Fig. 2.5):

 indeformabile;

 con resistenza a compressione infinita;  non reagente a trazione;

 dotato di attrito.

Figura 2.5 Modello a contatto rigido

Nel caso dei modelli a contatto elastico si fa l’ipotesi di concentrare la deformabilità in corrispondenza della sezione in cui si verifica l’urto, introducendo un legame costitutivo (Fig. 2.6).

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2.2. Modelli a contatto rigido: il modello di Housner

Il primo e più famoso modello a contatto rigido è quello introdotto da Housner nel 1963. Tale modello, noto anche come pendolo invertito, nacque in seguito allo studio del comportamento di alcuni serbatoi soggetti al terremoto cileno del 1960 che, anche se sottoposti ad un’azione sismica importante, non subirono nessun ribaltamento.

Il pendolo invertito di Housner è un blocco rigido parallelepipedo omogeneo con la base piana, che poggia su un suolo indeformabile, orizzontale e in moto: il blocco oscilla alternativamente intorno ai suoi due spigoli inferiori O e O’ senza possibilità di rimbalzi. Gli scorrimenti sono esclusi in quanto si fa l’ipotesi che il coefficiente di attrito statico fra il blocco e la base sia sufficiente ad impedirli. Il modello, quindi, ha un solo grado di libertà: la rotazione θ (Fig. 2.7).

Figura 2.7 Blocco oscillante attorno a O e O’ [Housner, 1963] Le grandezze significative che descrivono la geometria del blocco sono:

 la semilarghezza b;  la semialtezza h;

 la semidiagonale = √ + ℎ ;

 l’angolo = tan , formato fra la semidiagonale e la verticale passante per il punto O o O’ quando il blocco non è in moto.

Housner pone alla base del suo modello l’ipotesi che gli spostamenti indotti dall’azione sismica siano dovuto prevalentemente a moti rigidi e solo in minima parte alle deformazioni del materiale.

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2.2.1. Oscillazioni libere

Per ricavare l’equazione del moto del blocco soggetto a oscillazioni libere, Housner utilizza l’equazioni fondamentali della dinamica dei corpi rigidi:

= ( ) (2.1)

+ × = ( ) (2.2)

dove:

 U è la risultante della quantità di moto di un qualsiasi punto O, di velocità ;

 K è il momento risultante della quantità di moto, o momento angolare, rispetto a un qualsiasi punto O, di velocità ;

 ( ) è la risultante delle sole forze esterne;

 ( ) è il momento risultante, rispetto allo stesso punto O, delle sole forze esterne. Una volta definite le condizioni iniziali, le equazioni sopra riportate costituiscono un sistema di equazioni necessarie e sufficienti per descrivere compiutamente il moto di un sistema costituito da uno o più corpi rigidi.

Applicando queste equazioni al blocco oscillante sulla base, Housner ottiene:

̈ = − ( ) sin[ − ( ) ] (2.3) dove:

 ̈ rappresenta l’accelerazione angolare del blocco;

 è la rotazione del blocco rispetto ai vertici di base (O e O’);

 = ∙ ∙ è detto parametro di frequenza e rappresenta la frequenza naturale delle oscillazioni libere del blocco sospeso da uno dei suoi spigoli;

 è la massa del blocco;  è l’accelerazione di gravità;

 = rappresenta il momento di inerzia polare del blocco rispetto ai punti attorno ai quali avviene la rotazione (O e O’).

L’equazione del moto (2.3) presenta due spiccate non linearità: la prima è causata dalla presenza di termini trigonometrici mentre la seconda è dovuta alla funzione segno che è necessaria per descrivere il passaggio del punto di rotazione da O ad O’ in corrispondenza degli urti di base. Housner riesce a integrare in forma chiusa l’equazione del moto solo operando un linearizzazione dei termini trigonometrici, ottenendo così la seguente soluzione approssimata:

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= − ( ) ∙ ∙ 1 − 1 −| | ∙ cosh( ∙ ) + ̇ ∙ sinh( ∙ ) (2.4) dove:

= è la rotazione iniziale;

̇ = è la velocità angolare iniziale.

Ipotizzando una velocità angolare iniziale nulla si ottiene:

= − ( ) ∙ ∙ 1 − 1 −| | ∙ cosh( ∙ ) (2.5) Da questa espressione, Housner ricava il tempo che intercorre tra il rilascio della parete dalla configurazione di partenza e il primo urto alla base, ovvero all’annullarsi dell’angolo .

= ∙ cosh (2.6) Il periodo (2.8) risulta quindi una funzione dell’ampiezza e quindi non è più una caratteristica propria del sistema come nell’oscillatore elastico lineare: questa differenza è fondamentale per comprendere le peculiarità del comportamento dinamico degli oggetti dondolanti rispetto agli usuali oscillatori elastici.

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2.2.2. Oscillazioni forzate

Imponendo alla base del blocco un’accelerazione del suolo pari a ̈ (Fig. 2.9), l’equazione (2.3) diventa:

̈ = − ( ) sin( − | |) + ̈ cos( − | |) (2.7)

Figura 2.9 Blocco oscillante sottoposto ad accelerazione del suolo

Dall’analisi dell’equazione (2.7) si osserva che il blocco si mette in moto solo se l’accelerazione esterna supera un valore prefissato, si ricava cioè l’esistenza di un accelerazione di soglia ̈ (detta anche accelerazione di West) che risulta essere dipendente dai soli parametri geometrici del blocco:

̈ = (2.8) dove = rappresenta la snellezza del blocco. In realtà, tale circostanza non ha trovato conferme sperimentali in quanto test su pareti libere hanno messo in evidenza che il moto della parete inizia ben prima del raggiungimento dell’accelerazione di soglia. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che tale comportamento sia attribuibile alla deformabilità comunque finita del materiale che costituisce la parete [Ishiyama, 1984], [Blasi, 1984], [Giuffrè, 1986], altri suppongono che la causa sia da ricercare nella presenza di imperfezioni nella sezione di contatto tra blocco ed il piano di appoggio [Doherty, 2002] [Sorrentino, 2011].

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Dalle sue campagne sperimentali, Housner ottiene un altro importate risultato: il cosiddetto “effetto scala”; si osserva cioè che in blocchi con rapporti geometrici identici (e quindi di uguale snellezza) gli elementi di maggior dimensione sono i più stabili (Fig. 2.10).

(a) (b) (c)

Figura 2.10 Blocchi di uguale snellezza ma con dimensioni maggiori risultano più stabili: il blocco (c) risulta

più stabile del blocco (b) che a sua volta risulta più stabile del blocco (a)

2.2.3. Dissipazione di energia

Housner ipotizza che non ci sia dissipazione di energia quando il blocco si trova sospeso su uno dei due spigoli ( ≠ 0). La perdita di energia è supposta infatti concentrata nel momento dell’urto tra blocco e base d’appoggio ( = 0) (Fig. 2.11).

Figura 2.11 Sequenza oscillatoria tra uno spigolo e l’altro: la dissipazione di energia avviene solo al

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Proprio l’impatto rappresenta una discontinuità nell’equazioni del moto: in corrispondenza dell’impatto il moto di rotazione attorno ad uno spigolo dovrà passare ad un moto di rotazione attorno all’altro spigolo di base. Housner risolve il problema imponendo delle ipotesi sulla velocità posseduta dal blocco subito dopo l’urto. Imponendo la conservazione del momento angolare rispetto ad uno spigolo e attraverso considerazioni di carattere geometrico ed energetico riesce a definire la velocità successiva all’urto.

Partendo dall’energia cinetica posseduta dal blocco prima e dopo l’urto:

= ∙ ∙ ̇ (2.9) = ∙ ∙ ̇ (2.10) dove:

̇ = velocità angolare immediatamente prima dell’urto; ̇ = velocità angolare immediatamente dopo dell’urto; si arriva alla definizione della riduzione di energia cinetica:

= = ̇̇ (2.11) a questo punto imponendo la conservazione del momento angolare rispetto al punto O’ si ottiene:

̇

̇ = 1 − =

,

(2.12) che sostituito nella (2.11) fornisce:

= ,

da cui si ottiene il coefficiente ϵ che in genere in letteratura è chiamato coefficiente di

restituzione:

= √ = ̇̇ = , (2.13) Secondo tale teoria la dissipazione di energia dipende esclusivamente dalla snellezza del blocco e quindi non direttamente dalle dimensioni ma piuttosto dalla sua forma. Risulta anche indipendente dalle caratteristiche del materiale che costituisce il corpo. Il coefficiente di restituzione può variare tra un valore massimo di 1 (in questo caso non si ha dissipazione di energia e quindi la velocità angolare dopo l’urto è uguale a quella immediatamente prima) e un minimo di 0 (perdita di energia cinetica totale, il blocco si arresta subito dopo l’urto).

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Tale trattazione trova riscontro anche nelle prove sperimentali condotte da Sorrentino [Sorrentino, 2008] in cui viene messa in luce una progressiva riduzione dell’ampiezza delle oscillazioni libere al progredire del numero degli urti (Fig. 2.12).

Figura 2.12 Oscillazioni libere di un blocco singolo [Sorrentino, 2008]

2.3. Modelli a contatto elastico: il modello di Doherty

Come è stato osservato nei paragrafi precedenti, un ipotesi che sta alla base dei modelli a contatto rigido è quella dell’esistenza di un accelerazione di soglia che solo se superata permette l’oscillazione del blocco. Sperimentalmente però è stato riscontrato che il moto ha inizio anche per accelerazioni molto più basse. Per cercare di elaborare un modello più vicino alla realtà è stato ipotizzato un tipo di contatto differente, di tipo elastico. Il giunto di base quindi è stato schematizzato come un letto di molle con costante elastica k (Fig. 2.13).

(a) (b)

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Con tale ipotesi si è cercato di superare quella discontinuità dovuta all’urto e ben evidente nella curva forza di richiamo – spostamento in corrispondenza del valore nullo della rotazione in cui la forza di richiamo passa repentinamente da un valore negativo al suo opposto (Fig. 2.14).

Figura 2.14 Funzione forza di richiamo – spostamento al variare della rigidezza k (10, 100, ∞) [Blasi, 1985] Questa modellazione consente di ottenere un sistema capace di riprodurre in maniera più accurata l’effettiva storia temporale sperimentata dai blocchi rigidi durante il moto e una dispersione minore dei risultati da un punto di vista numerico.

Una delle principali indagini sperimentali condotte seguendo questa trattazione è quella svolta da Kevin Doherty nell’ambito della propria tesi di dottorato [Doherty, 2000], [Doherty et al., 2002], [Lam et al., 2003] e [Griffith et al., 2004]. L’obiettivo delle prove era l’analisi dinamica di muri vincolati in sommità, ma liberi lungo i due lati verticali, sollecitati su tavola vibrante fuori del proprio piano (Fig. 2.15 e 2.16).

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Figura 2.16 Configurazione del set di prova e disposizione degli strumenti di misura [Doherty, 2000] Sono state effettuate tre diversi tipi di prove:

 prove statiche in cui, tramite un martinetto idraulico, è stata applicata alla parete una forza orizzontale fuori dal proprio piano con l’obbiettivo di definire l’altezza di formazione della cerniera intermedia e di tracciare le curve sperimentali forza di

richiamo – spostamento orizzontale della cerniera intermedia (Fig. 2.17 e 2.18);

 prove dinamiche in oscillazioni libere: sono state realizzate imponendo al muro uno spostamento non nullo della cerniera intermedia;

 prove dinamiche in oscillazioni forzate: è stata analizzata la risposta delle pareti ad eccitazioni armoniche (con ampiezza via via crescente) e ad eccitazioni transienti (impulsi di spostamento sinusoidali e gaussiani e registrazioni sismiche).

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Figura 2.18 Formazione della cerniera intermedia nelle prove statiche [Doherty, 2000]

Dai risultati sperimentali delle prove statiche è stato possibile osservare che il comportamento, soprattutto per i muri già fessurati in mezzeria a seguito di prove precedenti, tende ad avvicinarsi a quello di corpo rigido, ma solo a partire da un certo valore dello spostamento in mezzeria. Si sono riscontrati infatti spostamenti significativi anche per valori iniziali della forza sollecitante significativamente inferiori di quelli di soglia previsti dal modello rigido. Tale comportamento non lineare della parete ricalca qualitativamente quello previsto dal modello di Priestley [Priestley, 1985] dove la curva

forza di richiamo – spostamento viene costruita prendendo in considerazione diversi livelli

di fessurazione della sezione a cui sono associati i relativi valori di forze e spostamenti (Fig. 2.19).

Figura 2.19 Curve forza di richiamo – spostamento in mezzeria: confronto tra i risultati sperimentali e

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L’equazione del moto proposta da Doherty per descrivere lo spostamento orizzontale della cerniera intermedia della parete vincolata in sommità è stata la seguente:

( ) + ( ) + ( ) = − ̈ ( ) (2.14) tale equazione fa riferimento ad un sistema equivalente ad un grado di libertà dove:

rappresenta la massa modale;

 è l’accelerazione equivalente in mezzeria;

è il coefficiente di smorzamento viscoso proporzionale alla massa; è uguale alla velocità equivalente in mezzeria;

rappresenta la forza di richiamo che dipende dallo spostamento della cerniera orizzontale ( ) mediante una legge di richiamo trilineare (Fig. 2.20);

 ̈ ( ) è l’accelerazione del suolo.

Figura 2.20 Curve forza – spostamento: confronto tra modello rigido, risultati sperimentali e modello

trilineare proposto da Doherty [Doherty et al., 2000]

Il modello trilineare cerca di riprodurre in modo più fedele possibile l’effettiva curva forza

– spostamento rilevata sperimentalmente introducendo tre tratti lineari delimitati dagli

spostamenti , e : si ha un primo tratto di rigidezza costante finita, un secondo tratto orizzontale che corrisponde ad una forza di richiamo costante e un terzo tratto a rigidezza negativa che coincide con la curva del modello rigido.

I valori dei coefficienti e sono stati definiti da Doherty in base al livello di imperfezioni e/o danneggiamento riscontrato sui provini sottoposti a test. I rapporti e sono legati alle proprietà del materiale e allo stato di degrado del giunto di malta nel punto di articolazione. I dati registrati durate le prove sperimentali suggeriscono di adottare valori nominali per i rapporti e in funzione della condizione di danneggiamento del

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giunto di malta: “nuovo”, “moderatamente degradato” e “gravemente degradato” (Tab. 2.1) (Fig. 2.21). L’interpretazione del “moderatamente degradato” e “gravemente degradato” è molto soggettiva. Dalle prove sperimentali, la larghezza effettiva del giunto di malta nel punto di articolazione per pareti classificate come gravemente degradate è stato di circa il 90% della larghezza originale. Pareti moderatamente degradate avevano larghezza effettiva del giunto di malta nel punto di articolazione che era essenzialmente uguale alla loro larghezza originale.

Tabella 2.1 Valori sperimentali dei rapporti di spostamento nel modello trilineare [Doherty, 2002]

Figura 2.21 Curve trilineare forza – spostamento in funzione del grado di danneggiamento (nuovo, moderato

o severo) [Doherty et al., 2000]

Per risolvere l’equazione del moto (2.14), Doherty, sviluppa un algoritmo di integrazione numerica basato su un’integrazione al passo nel dominio del tempo. Come si può osservare dalle figure 2.22 e 2.23 i risultati sperimentali sono in buon accordo con quelli ottenuti mediante l’integrazione numerica: il modello numerico è in grado di cogliere abbastanza bene l’andamento dello spostamento in funzione del tempo sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo.

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Figura 2.22 Storia temporale dello spostamento della cerniera intermedia per input di impulso gaussiano di

frequenza 1 Hz di ampiezza 37 mm: confronto tra risultato sperimentale (MWD) e risultato dell’integrazione numerica [Doherty et al., 2000]

Figura 2.23 Storia temporale dello spostamento della cerniera intermedia per input da accelerogramma di

Pacoima Dam all’80%: confronto tra risultato sperimentale (MWD) e risultato dell’integrazione numerica [Doherty et al., 2000]

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2.4. Il lavoro di Sorrentino

Riportiamo di seguito una descrizione delle analisi svolte da Sorrentino e riportate principalmente nella sua Tesi di Dottorato [Sorrentino, 2003] e in successive pubblicazioni [Sorrentino, 2004 - 2011].

Le analisi di Sorrentino si sono concentrate sullo studio della risposta sia di pareti libere che vincolate in sommità sollecitate da registrazioni accelerometriche naturali (Fig. 2.24). Il ricorso a forzanti naturali deriva dal fatto che il comportamento di pareti sottoposte ad azioni armoniche stazionarie, ampiamente studiate in letteratura, è decisamente distante da quello effettivamente riscontrato nella realtà. Il modello adottato da Sorrentino è quello di Housner a contatto rigido opportunamente tarato attraverso i risultati sperimentali di Doherty.

Figura 2.24 Parete libera e vincolata in sommità: caratteristiche geometriche del sistema e rotazioni che ne

definiscono la configurazione spostata [Sorrentino, 2003]

Sono riportati di seguito i principali risultati ottenuti in [Sorrentino, 2003]:

 a parità di caratteristiche geometriche, la dissipazione di energia è molto più marcata per la parete vincolata in sommità rispetto a quella libera;

 i risultati confermano che l’analisi statica è conservativa rispetto a quella dinamica, in quanto quest’ultima consente di attingere alle riserve proprie del regime vibratorio. Tuttavia nel caso di beni di notevole interesse storico – artistico è importante non adottare metodologie eccessivamente a favore di sicurezza, proprio per poter rispettare il principio di minimo intervento che consente la salvaguardia del bene e delle sue caratteristiche intrinseche. Per questo è opportuno procedere con analisi dinamiche in maniera tale da avere margini di sicurezza ridotti al minimo possibile;

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 per la parete libera si sono riscontrate conferme al cosiddetto “effetto scala” ovvero una stabilità crescente delle pareti al crescere delle dimensioni;

 infine è stato riscontrato che il valore dell’accelerazione di picco non è sufficiente a definire da solo la risposta della parete, in quanto, a parità di PGA, sono state ottenute risposte molto diverse al variare dell’eccitazione. Sono stati indagati pertanto numerosi altri parametri.

L’elaborazione di mappe di ribaltamento ha ampiamente confermato che la risposta può essere assai irregolare e dispersa, anche per limitate variazioni delle caratteristiche del moto del suolo o di parametri del sistema. La durata della fase di dondolamento (D), il

numero di impatti (N), l’energia dissipata sino al collasso ( ) non sono correlati sistematicamente al ribaltamento. Viceversa, è stata riscontrata una buona correlazione fra frequenze di ribaltamento di famiglie di pareti libere e misure basate sulla velocità del segnale: picco di velocità (PGV), massima velocità incrementale (IV) e intensità di Fajfar ( ). Tale correlazione è ancora migliore se si considerano parametri quali l’intensità di

Housner ( ), l’area della velocità equivalente dell’energia d’ingresso ( ) e l’area

dello spettro di pseudo velocità ( ) [Sorrentino, 2007].

Di seguito è riportata una breve descrizione delle prove sperimentali effettuate dal prof. Sorrentino su pareti in muratura sollecitate da registrazioni accelerometriche naturali fuori dal proprio piano applicate attraverso una tavola vibrante [Sorrentino, 2011]. Nel programma sperimentale sono state analizzate due condizioni di vincolo (Fig. 2.25 e 2.26):

a. parete singola (in oscillazione bilaterale);

b. parete accostata a muri trasversali (in oscillazione monolaterale).

Figura 2.25 Condizioni di vincolo delle pareti soggette a sperimentazione dinamica fuori piano: (a) parete

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Figura 2.26 Configurazione di prova: (a) vista del provino testato, del sistema di ancoraggio e della struttura

di contenimento della parete di facciata (b) stato di danneggiamento del provino e disposizione degli accelerometri e dei trasduttori a filo [Sorrentino, 2011]

Dopo aver richiamato i modelli meccanici impiegati nell’analisi numeriche, sono stati estratti da un database di accelerogrammi naturali 6 registrazioni italiane con valori di PGV (velocità di picco del terreno) che variano fra 24,6 e 70,0 cm/s e valori di VSI (intensità dello spettro in velocità) compresi fra 77,1 e 113,1 cm. Per ambedue le pareti, al diminuire del coefficiente di restituzione ϵ, la risposta diviene meno severa e, in generale, più ordinata, specie per la parete con vincolo monolaterale. Il confronto, a parità di parete e segnale, fra oscillazioni bilaterali e monolaterali rivela una maggiore vulnerabilità delle prime rispetto alle seconde, per effetto del vincolo aggiuntivo costituito dai muri trasversali; tuttavia si verificano diversi casi invertiti, allorquando il vincolo costituito dai muri trasversali riporta l’oscillazione della parete in “fase” con il segnale e favorisce il collasso della stessa. In linea generale, quindi, non è possibile affermare che la parete accostata è sempre più sicura di quella singola. Le sperimentazioni mostrano molti altri aspetti importanti nella risposta sismica delle pareti sollecitate fuori dal piano, quali ad esempio la dipendenza dalla polarità del segnale, l’effettiva dissipazione per effetto degli impatti contro le pareti trasversali, l’influenza delle imperfezioni. I modelli dinamici non lineari, in particolare, si rivelano strumenti utili per riprodurre a pieno i fenomeni meccanici alla base del comportamento sismico delle pareti murarie sollecitate fuori dal piano, oltre che per verificare l’attendibilità di procedure di analisi semplificate.

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Nella pubblicazione del 2008 “Seismically induced one - sided rocking response of

unreinforced masonry façades” Sorrentino riporta i risultati delle analisi svolte su pareti in

muratura, del centro storico di Gaeta, sottoposte a oscillazioni monolaterali il cui moto è stato descritto partendo dal modello di Housner e dalle indagini sperimentali di Doherty. Sorrentino propone un’equazione del moto così definita:

̈ = − ( ) sin( − | |) , + ̈ ( )cos( − | |) (2.15) dove: , = , ∆ ∙ + , + (2.16) , = sin[ (1 − ∆ )] (2.17) = 1 = 1 ≤ ∆ 0 > ∆ = 1 ∆ < ≤ ∆ 0 = 1 > ∆ 0 ≤ ∆

I coefficienti ∆ e ∆ descrivono il legame trilineare momento – rotazione. In generale: 0 < ∆ < ∆ < 1 dove il valore unitario comporta instabilità solo per gravità, mentre quello nullo indica una parete senza imperfezioni alla base [Doherty, 2002] (Fig. 2.27).

Figura 2.27 Parametri che descrivono il modello di Housner e diagramma momento – rotazione con o senza

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Seguendo l’equazione del moto (2.15) è stato possibile tenere conto di moti oscillatori che si innescano anche se l’accelerazione di soglia non è raggiunta. L’energia dissipata durante il moto di dondolamento è stata concentrata tutta al momento dell’impatto definendo un opportuno coefficiente di restituzione (o fattore di riduzione delle velocità) descritto dalla seguente relazione [Giannini, 1991]:

= ̇̇ = , (2.18) da cui è stato possibile ricavare la velocità angolare subito dopo l’impatto partendo da quella immediatamente prima:

̇ = ∙ ̇ (2.19) Nel caso di oscillazioni monolaterali (Fig. 2.28), a causa dell’impatto con le murature trasversali, è stato supposto che ci sia una perdita supplementare di energia cinetica e un cambiamento nel segno della velocità [Hogan, 1992] [Winkler, 1995] [Liberatore 2003]:

̇ = − ∙ ∙ ̇ (2.20) dove:

= coefficiente di riduzione del fattore di restituzione: se questo è uguale a zero, allora il movimento si arresta, se questo è uguale all'unità la dissipazione di energia è la stessa come nel modello di Housner.

Figura 2.28 Oscillazioni unilaterali causate da murature trasversali o da vincoli strutturali

Dopo l’accurata scelta degli accellerogrammi naturali da utilizzare, è stata risolta l’equazione del moto attraverso un’integrazione numerica (algoritmo di Kunge - Kutta, Mathwork 2003) arrivando alla risposta di ogni singola parete in termini di rotazione adimensionalizzata rispetto ad (storia temporale)(Fig. 2.29).

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Figura 2.29 Esempio di risposta in termini di rotazioni unilaterali di un corpo rigido sottoposto ad un

determinato accelerogramma

Determinata la storia temporale è stato possibile stabilire se si abbia o meno il ribaltamento della parete:

| |

= 1 ⟹ | |

< 1 ⟹

Come è noto le analisi numeriche sono soggette a notevole dispersione anche per piccole variazioni delle caratteristiche dell’oscillatore o della forzante [Sorrentino, 2006]. Peraltro, è stato possibile osservare fenomeni contrari a quanto suggerito dall’intuizione, come ad esempio una risposta meno severa a fronte di una forzante scalata ad un’ampiezza maggiore. Al fine di mitigare questi effetti, è stato impiegato un tipo di scalatura più elaborato, in grado di fornire una stima più robusta della risposta: per ogni singola parete eccitata da un dato segnale, sono state effettuate numerose analisi dinamiche non lineari, scalando il segnale sia sull’ampiezza sia sui periodi nell’intorno dei valori naturali. In particolare, le analisi sono state effettuate considerando 5 fattori di scala dell’ampiezza e 5 fattori di scala dei tempi, con distribuzione normale avente per media il valore naturale della PGA e della durata del segnale e coefficiente di variazione pari al 3%. Una scalatura delle ampiezze equivale a simulare un oscillatore di snellezza scalata di uguale fattore mentre una scalatura dei tempi equivale a simulare un oscillatore di dimensione ridotta con radice quadrata del fattore [Liberatore, 2001].

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Nelle analisi parametriche sono stati presi in esame:

 14 accellerogrammi: 7 rappresentanti lo scenario di pericolosità di Gaeta e 7 rappresentanti le raccomandazioni suggerite dalla normativa;

 4 valori del coefficiente di imperfezione geometrica ∆ (0, 0.05, 0.10, 0.15);  5 valori del coefficiente di scalatura delle ampiezze;

 5 valori del coefficiente di scalatura della durata (tempi);  31 valori di snellezza (da 15 a 30);

 1 valore unico di spessore delle pareti ( = 0,65 );

 6 coefficienti di riduzione del fattore di restituzione (0, 0.2, 0.4, 0.6, 0.8, 1.0);  2 direzioni consentite di rotazione (orarie e antiorarie);

per un totale di 520800 (14 x 4 x 5 x 5 x 31 x 6 x 2) storie temporali.

La risposta, in termini di ribaltamenti delle facciate, è stata descritta mediante grafici dove sull’asse delle ascisse sono state riportate le snellezze ( ) mentre sulle ordinate sono state riportate le frequenze di ribaltamento ( ) (Fig. 2.30):

= (2.21) dove:

= numero di facciate di ugual snellezza che sono ribaltate; = numero totale di storie temporali (25).

(25)

31

Figura 2.30 Esempi di grafici della frequenza di ribaltamento media Fover (calcolate considerando rotazioni

orarie e antiorarie) in funzione del segnale, livello di imperfezione, fattore di riduzione del coefficiente di restituzione e snellezza della facciata

Dall’analisi dei grafici cosi ottenuti, è stato osservato che la frequenza di ribaltamento:  aumenta, con l'aumento del rapporto e il livello di imperfezione ∆ ;

 diminuisce significativamente con l’aumento della quantità di energia cinetica dissipata durante l'urto contro le strutture verticali (cioè con che tende a zero). È stata riscontrata inoltre, l’esistenza di marcate differenze tra rotazioni in senso orario e rotazioni in senso antiorario sotto lo stesso accelerogramma. Il confronto tra oscillazioni bilatere e monolatere ha mostrato che l’aggiunta del sistema di ritenuta su un solo lato non riduce il tasso di ribaltamento. Tuttavia, se si presume una dissipazione di energia maggiore, le frequenze di ribaltamento possono scendere sensibilmente.

(26)

32

Importanti esempi di indagini basate sul modello proposto da Sorrentino sono riportati nelle seguenti due pubblicazioni: “Oratorio di San Giuseppe dei Minimi a l’Aquila: analisi dinamica dei meccanismi locali di collasso” [Sorrentino e Liberatore, 2011] dove sono analizzati i meccanismi di ribaltamento della facciata e della vela campanaria innescati dal terremoto del 6 Aprile 2009 e “The behaviour of vernacular buildings in the 2012 Emilia earthquakes” [Sorrentino e Liberatore, 2013] dove sono descritti i principali meccanismi di collasso locale di edifici vernacolari emiliani sottoposti ai sismi del 20 e 29 maggio 2012.

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