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CAPITOLO 1 Problematiche ambientali legate agli incendi

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 1

Problematiche ambientali legate agli incendi

1.1 IL FUOCO E LA SUA PROPAGAZIONE

Un fuoco di vegetazione è una combustione che si propaga senza controllo nello spazio e nel tempo consumando materiale vegetale cioè alberi, arbusti, erbe, lettiera e humus. Si tratta di un fenomeno chimico-fisico che separa rapidamente le componenti delle sostanze vegetali, liberando energia sotto forma di calore e restituendo all’ambiente tutta la materia organica e inorganica bloccata nella biomassa vegetale: in questo modo esso svolge molto rapidamente la stessa funzione che viene attuata dagli organismi decompositori in tempi molto più lunghi. La mobilizzazione della materia fissata nella vegetazione è necessaria per perpetuare i cicli biogeochimici naturali; in questo senso il fuoco è un fattore naturale dell’ecosistema.

La combustione comprende varie fasi:

- la pirolisi che altera la parte superficiale del combustibile; - la fase di degradazione termica

- la combustione vera e propria in cui avviene l’ossidazione del materiale.

La combustione e l’infiammabilità dei componenti vegetali dipendono dallo spessore del combustibile (foglie ≥ rami ≥ tronchi) e della composizione chimica: ad esempio, cere, terpeni, grassi producono calore, i sali minerali influenzano la pirolisi dei glucidi,

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conduttività termica in modo che più calore debba essere assorbito dalla superficie perché si raggiunga la temperatura di accensione. Il valore massimo di umidità che un vegetale può contenere per bruciare va dal 12% nelle graminacee fino al 20% nelle conifere. L’energia liberata da un grammo di sostanza vegetale combusta varia a seconda della specie:

Specie Energia prodotta

Quercus ilex 20 Kj/g

Pinus halepensis 22,5 Kj/g

Cistus monspeliensis 19,9 Kj/g

Tab. 1.1 Potere calorifico di diverse specie vegetali (M. De Lillis, 1998)

Si possono distinguere vari tipi di fuoco sia in base al tipo di combustibile che in base alla modalità di propagazione:

- fuoco di superficie: consuma la lettiera e la vegetazione

erbacea senza penetrare nel suolo perché troppo umido: sono i fuochi più comuni e si propagano con facilità perché producono molto calore; possono bruciare anche arbusti, piccoli alberi e la loro chioma.

- fuoco di cima: si propagano da una cima all’altra

indipendentemente dalla superficie e sono tipici soprattutto dei boschi di conifere. Questi fuochi bruciano e si propagano molto rapidamente, producendo una grossa quantità di energia, estendendosi a grandi distanze sotto l’azione del vento; a volte possono essere generati e sostenuti da un fuoco di superficie.

- fuoco di suolo: questo fuoco brucia la materia organica

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avanza rimanendo sotto la superficie. Un fuoco di suolo può facilmente seguire un fuoco di superficie; esso è caratterizzato da un fronte lento per mancanza di ossigeno, che brucia senza fiamma e con poco fumo. Sono fuochi difficili da combattere perché si propagano in profondità mentre la superficie rimane umida, e sono i più devastanti, perché distruggono i sistemi sotterranei di rigenerazione che assicurano la ripresa della vegetazione.

Nel corso di un incendio questi tipi di fuoco possono combinarsi differentemente o apparire simultaneamente. Ciò che appare importante nella dinamica del fuoco è, oltre all’infiammabilità dei singoli individui, l’infiammabilità del popolamento vegetale nel suo insieme. Questo carattere infatti, più che dalle singole componenti, dipende dalla disposizione spaziale di esse (o macrostruttura del combustibile) tanto che appare più opportuno parlare dell’infiammabilità come il carattere della comunità, risultato dell’interazione tra sub-sistemi che, isolati, non posseggono necessariamente questa proprietà (Troumbis e Trabaud, 1989).

1.2 FISIONOMIA DELLA VEGETAZIONE MEDITERRANEA IN RELAZIONE AL FUOCO E ALL’IMPATTO ANTROPICO

Nel Mediterraneo occidentale il leccio e la sughera, in condizioni ecologiche a loro adatte e in assenza di disturbo, formerebbero la cosiddetta foresta mesomediterranea.

Nelle leccete ad alto fusto che rimangono si nota una fisionomia a fustaia alta 15-25m, densa, ombrosa, quasi pura e costituita da alberi tozzi e contorti. Le sugherete si trovano ormai quasi

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esclusivamente come colture da sughero e nella forma di alberature mantenute sopra la macchia.

L’insieme delle sclerofille con dimensioni di grande arbusto policormico o di alberetto fino a 6-15 m, secondo la specie, comprende in Italia:

-cinque specie prevalentemente mesomediterranee: fillirea latifoglia, mirto, corbezzolo e viburno.

-tre specie comuni alle due fasce, ma con ottimo termo-mediterraneo: alaterno, lentisco e fillirea angustifolia.

-due specie esclusivamente termomediterranee: oleastro e carrubo. (tratto da “La macchia mediterranea”, quaderni habitat a cura del Ministero dell'ambiente, 2001)

Le querce ridotte allo stato ceduo e i predetti arbusti costituiscono la macchia mediterranea che comprende cenosi policormiche alte da 2 a 6 m, spesso assai dense e talvolta molto miste, specialmente quando intervengono i ginepri, le eriche e altri cespugli pionieri. Condizioni particolari possono provocare la prevalenza di una specie determinando macchie meso-mediterranee a leccio, a corbezzolo, ecc oppure macchie termo-mediterranee a lentisco, a oleastro o a fillirea angustifolia.

Per affinità di dimensioni e per la frequente consociazione con le sclerofille vengono aggregate alle “specie di macchia” anche l’erica arborea e scoparia, nonché i ginepri mediterranei. Le macchie a erica sono acidofile e legate al ricorrere degli incendi. Le macchie a ginepri si formano su luoghi in cui la concorrenza delle sclerofille è attenuata dall’azione del vento a da altri seri svantaggi stazionali.

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stazione lo consente le macchie secondarie possono evolversi in foresta di leccio oppure in macchia-foresta di olivastro e lentisco, secondo la fascia di vegetazione.

Nelle macchie, la degradazione e gli effetti delle difficoltà stazionali si manifestano con una progressiva riduzione della densità e della statura delle sclerofille: ginepri, eriche, ginestre, cisti, arbusti aromatici, ecc.

I cespuglieti mediterranei di altezza minore di due metri sono chiamati macchie basse; se la loro copertura è molto ridotta ed apre spazi a specie erbacee sono chiamati garighe. Le sclerofille possono rimanere ma ridotte allo stato di cespugli mentre dominano specie non sclerofille quali le eriche, le ginestre, i Cistus e i cespugli aromatici. Dal punto di vista dell’origine, tali cespuglieti possono essere il frutto di pressioni antropiche, quali il pascolo e gli incendi ripetuti.

Le praterie mediterranee (pseudosteppe), quali le praterie a Brachypodium, sono solitamente l’ultimo stadio di degradazione che parte dal forteto di leccio, passando per la macchia e la gariga; esse sono costituite perlopiù da graminacee a vegetazione invernale e sono particolarmente frequenti su suoli calcarei, ripetutamente percorsi da incendio. Sia nelle garighe che nelle praterie, il pascolo intenso è indicato dalla frequenza degli asfodeli e da una caratteristica ombrellifera: la ferula.

Cespuglieti e praterie primarie si trovano invece su scogli o dirupi, oppure in altitudine come sull’Etna oltre il limite della vegetazione arborea o sulle creste del Gennargentu. In tali casi però cambia radicalmente la composizione di specie e si manifesta la fisionomia a cuscinetti spinosi propria della fascia oro-mediterranea.

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Le conifere maggiori costituiscono, anche per i rimboschimenti, il tipo più diffuso di foresta mediterranea. Si tratta tuttavia di foreste secondarie dovute alla coltura, quali il pino e il cipresso, o anche a effetti di pionierismo in stazioni avversi alla concorrenza o in terreni percorsi dal fuoco; in quest’ultimo caso sono ottimi competitori il pino d’Aleppo e il pino marittimo.

1.2.1 La fauna e gli incendi

Oltre 40 specie di uccelli sono seriamente minacciate ogni anno dagli incendi nel periodo più delicato per la loro sopravvivenza, ovvero quello della riproduzione. Si tratta di specie protette dalla Direttiva Europea “Uccelli”, allegato 1 (specie minacciate di sparizione o rare), oppure individuate come SPEC (specie in declino) secondo la classificazione adottata da BirdLife International. Fra questi ricordiamo varie specie di Picchio, la Civetta nana e la Civetta capogrosso, il Gallo cedrone, il Biancone fra le specie nidificanti in foreste ad alto fusto; la Pernice rossa, la Magnanina e il Succiacapre fra le specie nidificanti in habitat di macchia mediterranea; l’Albanella minore, la Gallina prataiola e la Penice Sarda fra le specie nidificante in incolti. (da www.lipu.i)

Gli individui adulti sono in grado di allontanarsi dal fuoco e diversi studi hanno rilevato che la mortalità causata dagli incendi è di solito limitata. Il fuoco può però rappresentare un importante fattore limitante per il successo riproduttivo della stagione in cui l'evento si verifica. In ambiente mediterraneo gli incendi hanno luogo principalmente nel periodo estivo: tale periodo coincide con il periodo post-riproduttivo della gran parte delle specie selvatiche, e

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particolarmente vulnerabili. D'altro canto tale azione limita fortemente la disponibilità di risorse trofiche per tutti gli animali che si alimentano di specie erbacee ed arbustive, ed inoltre modifica significativamente la struttura del sottobosco e della vegetazione in generale, privando la fauna selvatica, oltre che di risorse trofiche, anche di un elemento fondamentale di rifugio. In caso di incendi tanto intensi da distruggere gli alberi, la nidificazione di molte specie può risultare compromessa per molti anni.

In genere gli organismi che vivono nel sottosuolo, come insetti, roditori e mustelidi si salvano facilmente, aiutati dall’effetto isolante del terreno, ma possono soccombere a causa del fumo che penetra nelle gallerie.

1.3 RESILIENZA AL FUOCO NELLA VEGETAZIONE MEDITERRANEA

Si indica con resilienza la misura della capacità di ristabilire le condizioni precedenti il disturbo in una comunità vegetale; essa è funzione della resilienza delle singole specie o popolazioni che compongono la comunità stessa. Esistono modalità differenti di risposta al fuoco in relazione alla diversa forma di crescita e al tipo di riproduzione adottata in seguito all’incendio.

1.3.1 Strategie riproduttive

Kuhnholtz-Lordat (1938) propone il termine di pirofite per quelle specie vegetali la cui moltiplicazione e riproduzione è stimolata dal fuoco e di antrofite per tutte quelle specie che colonizzano le aree

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incendiate e dipendono dagli effetti che il fuoco esercita sul suolo (aumento di nutrienti, riduzione di sostanze allelopatiche,ecc.). Vari tipi di pirofite sono stati distinti:

- Pirofite passive: sono dotate di vari meccanismi di

resistenza al fuoco quali spessa corteccia (Quercus suber), minore suscettibilità al fuoco per la presenza di elevate quantità di minerali nel legno (Tamarix, Atriplex), e la presenza di organi ipogei come bulbi e rizomi (Allium, Urginea, Orchis, Smilax e alcune graminacee come Brachypodium);

- Pirofite attive: rispondono al fuoco mediante la produzione

di polloni radicali (Quercus coccifera, Quercus ilex, Arbutus unedo,

Tetraclinis articulata, alcune specie di Cistus) oppure attraverso

germinazione di semi stimolata dall’incendio. A quest’ultimo gruppo appartengono la maggior parte delle conifere mediterranee (Pinus

sp.pl.).

La resilienza delle diverse specie può anche essere valutata in base alla modalità di ripresa adottata in risposta al fuoco: ripresa vegetativa o germinazione da seme (tab 1.2)

Germinazione dei semi Ripresa vegetativa

Frequenza del fuoco alta bassa

SEMPREVERDI LEGNOSE

Ripresa vegetativa obbligata bassa bassa molto elevata

Ripresa vegetativa facoltativa elevata assente elevata

Ripresa da semi obbligata Molto elevata assente assente

SUFFRUTTICOSE elevata assente assente

ERBACEE PERENNI bassa bassa elevata

ANNUALI bassa elevata assente

Tab 1.2 Frequenza della ripresa vegetativa e della germinazione in differenti forme di crescita caratteristiche della vegetazione mediterranea (da Keeley, modificata 1986)

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Le specie sempreverdi legnose producono diversi semi e in genere affidano la loro propagazione all’attività di gemme radicali ed epicormiche che producono vigorosi polloni dopo il fuoco. Queste diverse risposte riproduttive causano dopo il fuoco variazioni demografiche che sono alla base delle trasformazioni strutturali della comunità. Le specie che si riproducono obbligatoriamente per seme sopravvivono al fuoco allo stato di semi contenuti nel suolo. La germinazione è limitata a un breve periodo subito dopo il fuoco producendo popolazioni caratterizzate da uniformità delle classi di età e da alta mortalità. Al contrario specie che si propagano obbligatoriamente per via vegetativa contribuiscono poco alle variazioni demografiche che si osservano dopo il fuoco e ristabiliscono la loro copertura molto più rapidamente. Le specie erbacee annuali sono in genere abbondanti dopo il fuoco ma in pochi anni perdono importanza fino a scomparire. Gli arbusti suffrutticosi si riproducono largamente per seme. Le erbacee perenni si espandono per via vegetativa, ma quando la copertura delle specie legnose è vicina al 100% e la vegetazione si chiude, tendono a scomparire rimanendo dormienti nel suolo come tuberi o bulbi. Le liane, sia erbacee che legnose, rispondono al fuoco come le erbacee perenni.

La combinazione di specie dotate di strategie riproduttive differenti nella comunità determina risposte divergenti e la prevalenza di una componente o dell’altra in relazione al tempo con il quale il fuoco ricorre.

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Le specie che si propagano per via vegetativa presentano popolazioni con livello quasi costante per lunghi periodi di tempo (fino a 100 anni) e soltanto dopo lunghi intervalli di assenza di fuoco intervengono meccanismi che favoriscono l’espansione della popolazione attraverso l’attecchimento di nuove plantule; al contrario le specie la cui riproduzione per seme dipende dal fuoco vanno incontro a estinzioni localizzate, sia ad intervalli di incendio troppo ravvicinati che troppo lunghi.

Per quanto riguarda il bacino del Mediterraneo possiamo distinguere diverse classi di strategia riproduttiva:

1) Specie sempreverdi a riproduzione da seme obbligatoria questo gruppo è ridotto a poche Cistacee e ai Pinus. In questa regione infatti la storia naturale del paesaggio è legata ai fuochi naturali e alla presenza dell’uomo, che negli ultimi 10000 anni ha determinato un aumento esponenziale della frequenza dei fuochi: sotto questo regime, come prima illustrato, le specie a riproduzione da seme obbligatoria sarebbero state eliminate e la resilienza al fuoco della comunità nel suo insieme sarebbe aumentata, come dimostra il fatto che la gariga a Quercus coccifera è più resiliente al fuoco del chaparral californiano (M. Lillis, 1998).

2) Specie sempreverdi a propagazione vegetativa: si distinguono specie quali Quercus ilex, Quercus coccifera, Phillyerea

media, Pistacia lentiscus, Rhamnus alatternus. Nonostante nuove

plantule da seme abbiano scarsa possibilità di attecchire, queste specie hanno un’abbondante fruttificazione, il che farebbe pensare che una ripresa da plantule, oltre che da polloni, sarebbe possibile ma non ci sono dati in tal senso.

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3) Specie decidue estive, suffrutticose ed erbacee a

riproduzione vegetativa facoltativa: un elevato numero di specie

arbustive suffrutticose non sclerofille è presente dopo il fuoco nella macchia (Cistus monspeliensis, Cistus salvifolius, Cytisus villosus); tutte riprendono vegetativamente, ma possono anche rigenerare da seme in condizioni di forte disturbo (fuochi ad alta frequenza). La rapida crescita e l’abbondante fioritura di questa specie ne favoriscono la resistenza anche a fuochi frequenti.

4) Specie annuali: la macchia mediterranea è particolarmente ricca di specie annuali, la cui presenza non è strettamente legata al fuoco ma al disturbo antropico.

1.3.2 Variazioni nella composizione floristica

La variazione floristica non risulta profondamente alterata dal passaggio del fuoco (Trabaut e Lepart, 1980, Casal 1985, Arianoutso-Faraggitaki 1984): la maggior parte delle specie presenti dopo l’incendio appartengono infatti alla comunità preesistente. Anche il numero delle specie non subisce mutamenti sostanziali. Le variazioni del numero delle specie seguono un modello ampiamente verificato in diversi tipi vegetazionali: subito dopo il fuoco il suolo è completamente nudo, poi le specie compaiono progressivamente; il loro numero è basso durante i primi mesi, ma aumenta progressivamente per raggiungere il massimo tra il primo e il secondo anno. Successivamente la densità floristica diminuisce, per stabilizzarsi sui livelli precedenti l’incendio ( fig 1.1)

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Fig 1.1 Variazione della ricchezza floristica vs. n° mesi dopo il fuoco (in due stazioni di Quercus ilex nel sud della Francia, da Trabaud, 1989)

L’elevato numero di specie generalmente presenti nei primi anni è causato dall’interruzione nella copertura vegetale, dalla scomparsa della lettiera e dall’aumento delle risorse disponibili (luce, nutrienti). La velocità di colonizzazione da parte delle specie erbacee dipende dalle condizioni climatiche prevalenti nel primo e secondo anno dopo il fuoco e dalla disponibilità effettiva nel luogo delle stesse specie. Alcune sono le specie perenni, adattate ad una bassa intensità luminosa al di sotto della macchia, che erano presenti anche nella comunità preesistente; altre sono le specie estranee alla comunità incendiata, come terofite di zone limitrofe, i cui semi trasportati dal vento trovano qui l’opportunità di germinare. Specie annuali possono propagarsi anche da semi presenti nel suolo bruciato, una volta attivati dal calore. Queste terofite, dette

specie opportuniste, scompariranno rapidamente, in relazione

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scompaiono a due anni dall’incendio, in corrispondenza dell’aumento di copertura di Myrtus communis, Pistacia lentiscus,

Erica multiflora, Ampelodesmos mauritanicus e Brachypodium ramosum (M.Lillis, 1998). La rapidità del turn-over è legata alla

strategia riproduttiva delle specie dominanti prima dell’incendio; se prevalgono le legnose e le erbacee perenni con strategia riproduttiva vegetativa, la copertura verrà incrementata rapidamente e le specie annuali verranno eliminate dalla comunità (macchie e leccete chiuse); quando invece la specie caratterizzante la comunità si riproduce solamente per semi attivati dal fuoco (Pinus sp.pl.) sarà necessario un tempo ben più lungo per eliminare le opportuniste (12 anni); esse tenderanno a competere con le plantule di pino, almeno finchè esse non abbiano raggiunto l’altezza di 1,5m.

1.3.3 Un esempio di impatto degli incendi sulla vegetazione: la lecceta

Nell’italia mediterranea il fuoco si sviluppa frequentemente nella fascia della lecceta, dove viene alimentato da piante resinose (Pinus, Juniperus) o aromatiche; durante il periodo arido le piante sono così povere di acqua da poter prendere facilmente fuoco anche verdi. Dopo l’incendio si sviluppa una macchia a Cistus come fase intermedia della ricostituzione del Quercetum ilicis. La dinamica della vegetazione in relazione al fuoco è stata studiata da Pignatti (1968): è stato osservato come dopo il fuoco si abbia un forte aumento delle specie presenti : in tre anni si passa dalle 25 specie in media del Quercetum ilicis a 37 specie e quindi 58 specie dopo 5 anni; il numero delle specie cala rapidamente dopo 8 anni è già nell’ambito normale del Quercetum ilicis. Il rapido aumento è

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causato soprattutto da specie annuali nitrofile, perlopiù infestanti delle colture, i cui semi sono provvisti di meccanismi per la disseminazione a distanza. Tuttavia la ripresa della vegetazione è condizionata dal fatto che l’azione del fuoco non si ripeta troppo spesso. Nella Maremma grossetana le zone che erano state percorse dal fuoco ripetutamente negli ultimi 50 anni sono state occupate dall’Erico-Lavaduletum stoechidis, che non è in grado di rigenerare la lecceta. Gli incendi troppo frequenti o di elevata intensità provocano dunque una modificazione irreversibile nella vegetazione, che viene bloccata in uno stadio molto più primitivo del climax. Corrispondentemente anche il suolo è degradato ad uno pseudogley, che non è in grado di rigenerare la terra bruna di partenza.

1.3.4 Un altro esempio di impatto degli incendi sulla vegetazione: il pino marittimo

Il pino marittimo forma associazioni permanenti in stazioni edaficamente molto povere in cui la pineta si mantiene allo stato di mediocre fustaia pluristratificata con scarsa longevità delle plantule adulte e con rinnovazione continua.Diversamente, la perpetrazione del pino marittimo è legata soprattutto al ricorrere degli incendi, oppure a occasionali invasioni di colture abbandonate o su scarpate stradali, ecc.La rinnovazione dopo gli incendi è possibile solo se il bosco bruciato è di età sufficiente per essere provvisto di seme; essa può derivare dal seme delle piante bruciate o da quello prodotto da piante sopravvissute. Quanto più la rinnovazione è scarsa o lenta (meno di 10000 piantine per ettaro dopo 3-4 anni)

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giungere a una struttura del bosco diversificata e stratificata. A partire dal momento in cui i pini hanno occupato tutti gli spazi disponibili, il processo di rinnovazione si arresta e la pineta può avviarsi ad una evoluzione a fustaia monostratificata, sia pure con piante di età diversa.Quando una pineta contiene molto seme, come in una fustaia ben sviluppata di 25-30 anni, l’incendio può essere seguito da un’ondata di rinnovazione in massa, anche se tutte le piante originarie possono essersi seccate (Cutini e Mercurio,1987). L’insediamento del novellame si protrae per 1-2 anni e deriva dal seme diffuso dai coni surriscaldati o da quello rimasto nei coni delle piante secche. Dopo 1-4 anni si può arrivare a novelleti folti con più di 100.000 piantine per ettaro, che opprimono e fanno quasi scomparire la rinnovazione delle altre specie arbustive.

Quando invece l’incendio colpisce incapace di rinnovarsi per motivi di età o altro, la vegetazione arbustiva preesistente si rigenera o si rinnova, fino a formare una cenosi di composizione simile a quella del sottobosco della pineta precedente, ma più densa. Così, il frequente ripetersi di incendi comporta la perdita di superfici di pineta in favore di altre formazione come gli ericeti.

1.4 EFFETTI DEL FUOCO SUL SUOLO

Numerose ricerche hanno confermato che, dopo un incendio, nei suoli si manifestano reazioni comuni:

• Il pH aumenta, ma tende a ritornare sui valori iniziali con il trascorrere del tempo.

• La quantità di sostanza organica rimane stabile fino a 200 °C, ma diminuisce rapidamente con il superamento di questa

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temperatura. Ciò determina effetti negativi sulle proprietà chimico fisiche e biologiche del suolo.

• Gli effetti degli incendi sulla fertilità dei suoli sono variabili e controversi. In generale si può dire che la cenere derivata dalla combustione della sostanza organica è ricca di nutrienti che migliorano la fertilità dei suoli (azoto, fosforo, potassio, magnesio e sodio). Tuttavia la presenza della cenere stessa sul suolo, influendo negativamente sullo sviluppo radicale delle piante, inibisce l’assorbimento dei nutrienti stessi.

• Dopo un incendio, la pioggia incontra sulla sua traiettoria meno ostacoli; questo si traduce in una rimozione e distruzione degli aggregati del suolo, fino alla formazione di croste superficiali.

• In generale, nelle aree colpite da incendi, si segnala un aumento dell’erosione causata soprattutto dalla perdita della vegetazione. Gli effetti dell’erosione sono tuttavia attenuati dagli alberi e dagli arbusti che sopravvivono al fuoco e dalla colonizzazione rapida del territorio da parte di specie vegetali resistenti. Gli incendi hanno conseguenze sulle caratteristiche idrauliche dei suoli, soprattutto nella loro capacità di essere penetrati dall’acqua, a causa della formazione di sostanze di natura cerosa e, quindi, idrorepellenti. Tali sostanze, nel loro complesso, costituiscono ciò che nel suolo è denominato strato idrofobico. Quando in un suolo si forma uno strato idrofobico la capacità dell’acqua di infiltrarsi nel terreno diminuisce; l’acqua scorre, asportando il suolo, ed attivando il processo di erosione.

Non tutti gli incendi creano uno strato idrorepellente; sono quattro i fattori che, comunemente, concorrono alla sua formazione:

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- Incendi su elevate superfici e con un ampio fronte del fuoco. - Prolungati periodi di calore intenso.

- Tessitura grossolana dei suoli.

Le temperature molto alte sono quelle che producono il gas che penetra nel suolo e forma uno strato idrofobico. Il gas è forzato nel suolo dal calore del fuoco. I suoli che hanno pori più larghi, come ad esempio quelli sabbiosi, sono più suscettibili alla formazione di strati idrorepellenti rispetto ai suoli a tessitura più fine, come ad esempio i suoli argillosi, in quanto facilitano la penetrazione del gas e quindi trasmettono il calore più in profondità. Lo strato idrorepellente si forma generalmente tra 1 e 8 cm al disotto della superficie del suolo: quanto maggiore è la sua continuità e il suo spessore, tanto più grande è la riduzione della capacità di infiltrazione dell’acqua, e dunque il rischio idrogeologico che ne consegue.

(da www.regione.campania.it)

1.5 Il FENOMENO INCENDI IN ITALIA

La regione Mediterranea è particolarmente colpita dagli incendi; ogni anno più di 50 mila incendi bruciano in media 600 mila – 800 mila ettari, un’area grande quanto l’isola di Creta o la Corsica, e pari a 1,3 – 1,7% delle foreste mediterranee. Mentre gli incendi di piccola entità facevano parte delle dinamiche naturali o della gestione delle risorse naturali, quelli di più ampia scala hanno subito un'impennata negli ultimi decenni, principalmente in conseguenza dei rapidi cambiamenti nello sfruttamento dei terreni, dei conflitti socio-economici e degli interessi contrastanti che hanno caratterizzato le

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regioni del Mediterraneo. I paesi membri dell’UE che si affacciano sul Mediterraneo – Spagna, Portogallo, Italia e Grecia – sono stati quelli più colpiti: dagli anni ’60 la media del totale della superficie bruciata in questi paesi si è quadruplicata.

L’analisi dei dati relativi alle cause degli incendi avvenuti nel corso del 2001 in Italia, mostra una percentuale quasi insignificante di incendi dipendenti da cause accidentali e naturali (rispettivamente lo 0,5 e l’1,1%), mentre salgono significativamente i casi legati a cause colpose e cioè imprudenza e violazione di norme (34,8%) e spiccano quelli causati deliberatamente per cagionare un danno (59,8%).

Cause N° incendi %sul totale

Naturali (dipendenti da situazioni naturali)

77 1,1%

Accidentali (non dipendenti da situazioni naturali né da azione diretta umana)

35 0,5% Colpose (dipendenti da imprudenza,

negligenza, violazioni di norme)

2.355 34,8%

Dolose (in cui c’è dolo, una deliberata volontà di cagionare il danno)

4.406 59,8%

Dubbie 256 2,8%

Tabella 1.3. Fonte: Indagine conoscitiva incendi boschivi del Ministero delle politiche agricole e forestali – Corpo Forestale dello Stato – servizio antincendio boschivo Dicembre 2001

Gli incendi dolosi, causati per recare un danno effettivo all’ambiente e alle cose, sono motivati essenzialmente dal tentativo di ottenere nuovi terreni per il pascolo (25,3%), per l’agricoltura, per

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di spegnimento e per questioni di bracconaggio. Questi avvengono nelle aree dove il bosco non ha altra funzione economica se non quella puramente assistenziale e diminuiscono gradatamente nelle zone dove il bosco è inserito in ambiti di pregio: parchi e aree protette che valorizzano il contesto e favoriscono gli introiti dei comuni interessati.

E' fuori di dubbio che il fattore climatico e I'andamento stagionale abbiano una notevole influenza nel creare le condizioni favorevoli allo sviluppo ed alla propagazione degli incendi boschivi, e nel caso di fulmini, anche nel determinarli direttamente, circostanza questa non molto frequente. Di notevole importanza e’ il grado di umidità della vegetazione, in particolare modo di quella erbacea del sottobosco, che varia direttamente con I'andamento stagionale. Gli incendi dei boschi, pur seguendo I'andamento climatico, non si manifestano uniformemente sul territorio: ci sono delle zone dove questo pericolo e’ maggiore che in altre, come I'esperienza ed i fatti, annualmente, confermano. A parità di condizioni climatiche e di coefficiente d'aridità, vi sono altre diverse situazioni che favoriscono lo sviluppo degli incendi nei boschi, quali: I'afflusso turistico, I'abbandono rurale delle campagne, I'attività di particolari pratiche agronomiche e pastorizie, le speculazioni economiche.Così, a seconda dell'ubicazione propria del bosco e del suo rapporto specifico con le situazioni accennate, si hanno dei soprassuoli più esposti al pericolo e al rischio d'incendio, rispetto ad altri, dove i fattori sociali ed umani, sono meno incidenti. In base all'andamento meteorologico e climatologico, dobbiamo registrare due periodi di grave pericolosita’: I'uno estivo, nei mesi di luglio, agosto, settembre, più marcato nelle regioni del centro-sud, Liguria compresa; I'altro invernale, nei mesi di gennaio, febbraio e marzo

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localizzato in particolare nelle zone dell'arco alpino, quali la Liguria, il Piemonte, la Lombardia, il Veneto.

Anno N° incendi Superficie percorsa da fuoco (ha) Superficie boscata Media ha/incendio 1996 9.093 57.988 20.329 6,4 1997 11.612 111.230 62.774 9,6 1998 9.540 155.554 73.018 16,3 1999 6.932 71.117 39.362 10,3 2000 8.595 114.648 58.234 11,3 2001 7.134 76.427 38.186 10,7

Tab 1.4 Dati incendi forniti dal Corpo Forestale dello stato gli incendi

1.6 ZONAZIONE DEL PERICOLO E DEL RISCHIO DI INCENDIO: L’ESEMPIO DELLA REGIONE TOSCANA

La pericolosità è definita in ambito tecnico come probabilità di accadimento di un determinato evento calamitoso nell’ambito di una assegnata finestra temporale.

Le porzioni di territorio ove tali processi possano arrecare danno a persone e a beni sono dette aree vulnerabili. Gli elementi a

rischio comprendono la vita umana, i beni, le attività economiche e

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a) la tipologia (persone, beni, attività, infrastrutture, risorse ambientali);

b) l’entità E o valore degli elementi (numero di persone, valore economico dei beni);

c) la vulnerabilità V degli elementi, cioè l’attitudine a subire danni per effetto di un evento distruttivo. Quest’ultima si esprime mediante un coefficiente compreso tra zero, assenza di danno e uno, perdita totale.

Sia E che V possono variare in funzione del tipo e dell’intensità dell’evento calamitoso oltreché da fattori contingenti legati all’occorrere specifico del processo. Tra questi l’ora del giorno, il periodo dell’anno, o l’occorrere aleatorio di fenomeni concomitanti come, ad esempio, fatti naturali o sociali.

In corrispondenza di ciascun evento si definisce il danno D come prodotto D= E*V del valore del bene per la sua vulnerabilità. Il danno, da un punto di vista dimensionale, è espresso in termini economici: ad esempio in euro.

Ai fini applicativi è possibile approssimate il valore di R, ovvero del valore di danno atteso in un certo periodo a causa di un certo evento calamitoso, attraverso l’equazione che segue, nota come

equazione del rischio: R = H*(E*V)= H*D (definizione UNESCO,

1972), dove H è definisce la pericolosità (hazard), cioè la probabilità di osservare nel periodo preso in considerazione almeno un evento calamitoso. V ed E rappresentano rispettivamente il valore medio della vulnerabilità e il complesso degli elementi a rischio soggetti a danno.

In accordo con quanto previsto dalla L.R. 39/2000 ed ai sensi del Regolamento Forestale, la Regione Toscana ha individuato la

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classificazione delle aree boscate a rischio di sviluppo di incendi. Per quanto riguarda l’individuazione delle aree a rischio, l’indice applicato prende in esame la suscettibilità e la potenzialità intrinseca di un territorio ad essere percorso da incendi: a tale scopo sono stati analizzati i dati statistici del decennio 1993/2002 considerando:

-numero medio annuo degli incendi

-superficie media annua boscata percorsa da ogni evento

-superficie massima boscata percorsa nel periodo di riferimento -frequenza di accadimento (percentuale del numero di anni del periodo in cui si sono verificati incendi boschivi).

Ad ogni parametro sono stati poi assegnati valori compresi fra 0 e 5, che sono stati cumulati in un unico valore numerico che definisce l’indice storico.L’indice stazionale – vegetazionale, che esprime la “pericolosità”, ovvero la potenzialità intrinseca di un territorio ad essere interessato da incendi, ha richiesto l’analisi dei dati dell’Inventario forestale regionale, assegnando a ciascuna categoria di bosco un valore di pericolosità (tra 0 e 5); a questo valore sono stati applicati dei fattori di correzione per i parametri “coltura struttura”, ”esposizione prevalente” e “quota”. Inoltre sono stati utilizzati i dati meteorologici forniti dal servizio agrometeorologico dell’ARSIA, sempre per il periodo 1993 – 2002, considerando:

-piovosità media annua,

-numero medio annuo di giorni di pioggia, -periodi di aridità nel decennio,

-numero di giorni annuo per ogni classe di vento della Scala Beaufort.

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La somma dei due valori, indice storico e indice stazionale - vegetazionale, ha quindi fornito un valore per ogni comune, l’aggregazione di questi valori per fasce ha determinato la classificazione su scala comunale di seguito riportata.

1.7 LEGISLAZIONE IN MATERIA DI INCENDI

1.7.1 Rassegna storica

Prima della attuale legge quadro sugli incendi boschivi, erano state approvate diverse leggi in materia di incendi, ma si trattava

Figura 1.2 Carta del rischio relativo agli incendi boschivi dei Comuni della Regione Toscana

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organici, varati per far fronte alle ricorrenti emergenze estive attraverso stanziamenti specifici, ma senza interventi diretti ad inasprire le sanzioni ed a riordinare le competenze in materia.

Tra le numerose disposizioni ricordiamo:

• il R.D.L. n. 3267 del 1923 “Riordinamento e riforma delle legislazioni in materia di boschi e di terreni montani” (c.d. legge forestale ) che vietava, nei boschi colpiti da incendio, il pascolo prima dello sviluppo delle nuove piante;

• il R.D. n. 773 del 1931 “Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza”, che vietava di dare fuoco alle stoppie nei campi o nei boschi fuori dalle modalità previste dai regolamenti comunali o, in mancanza di questi ultimi, mai prima del 15 agosto e mai a distanza inferiore ai cento metri dalle case, edifici, boschi, piantagioni, siepi, mucchi di biada, paglia, fieno, foraggio, o altro deposito di materiale infiammabile;

• la Legge n. 47 del 1975 “Norme integrative per la difesa dei boschi dagli incendi” (abrogata e sostituita dalla nuova legge-quadro 353/ 2000); la Legge n.431 del 1985 (c.d. legge Galasso, ora sostituita dal Decreto legislativo 490/99 “Testo unico in materia di beni culturali e ambientali”) che proteggeva, attraverso l’apposizione del vincolo “paesaggistico ambientale”, i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco. Analoga protezione è stata prevista nell’attuale normativa dall’art. 146 del D.L.vo n. 490/99.

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• A queste leggi vanno aggiunte alcune norme del codice penale configuranti i reati di incendio e di danneggiamento seguito da incendio (artt. 423 e 424 c.p), che però non sono mai state applicate in maniera compiuta e sistematica.

1.7.2 Normativa nazionale: la Legge quadro sugli incendi boschivi (L. 353/2000)

La legge quadro contiene rilevanti elementi di innovazione, attesi da anni. Importante sottolinearne le finalità: conservazione e difesa dagli incendi del patrimonio boschivo nazionale, che viene dichiarato “bene insostituibile per la qualità della vita”. Le novità principali della legge sono:

- La definizione giuridica di “incendio boschivo” che, pur essendo stata in passato individuata dalla giurisprudenza, non era mai stata fissata in termini precisi e oggettivi. L’incendio boschivo viene definito come “un fuoco con suscettività ad espandersi su aree boscate, cespugliate o arborate, comprese eventuali strutture ed infrastrutture antropizzate poste all’interno delle predette aree, oppure su terreni coltivati o incolti e pascoli limitrofi a dette aree” (art. 2).

- Il riordino ed accorpamento di tutte le leggi sugli incendi. - L’attribuzione di importanti competenze alle regioni per la prevenzione e lotta agli incendi, tra cui i censimenti cartografici e catastali delle aree incendiate negli ultimi cinque anni.

Tra le norme che possono senza dubbio fungere da deterrente e quindi costituire un valido strumento di prevenzione degli incendi boschivi, se correttamente e sistematicamente applicate, ricordiamo:

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- L’inasprimento delle sanzioni penali per il reato di “incendio boschivo”. Non è inutile ricordare che gli “incendiari” sono soggetti che compiono reati e non “piromani” (ossia persone affette da patologie come appunto la piromania).In particolare è stato inserito nel codice penale il nuovo articolo 423 bis “incendio boschivo”, come reato specifico, che prevede un aumento di pena, rispetto al più generale reato di incendio. Sono state infine ripristinate anche le sanzioni dell’art. 424 c.p. “danneggiamento seguito da incendio boschivo” Queste le sanzioni ora in vigore: per incendio boschivo doloso la pena va da 4 a 10 anni (per incendio doloso nelle aree protette). Per incendio colposo, le pene vanno da 1 a 5 anni di reclusione. Le pene sono aumentate se dall’incendio deriva un pericolo per edifici o danno per le aree protette e sono aumentate della metà se dall’incendio deriva un disastro ecologico consistente in “un danno grave, esteso e persistente all’ambiente”.

- Il divieto di nuove costruzioni per dieci anni (comprese infrastrutture e attività produttive) e di modifica della destinazione d’uso per quindici anni, sui terreni percorsi dal fuoco, con l’obbligo di menzionare espressamente il vincolo negli atti di compravendita (stipulati entro i quindici anni dall’incendio) di aree ed immobili situati nelle aree percorse dal fuoco, come individuate dai comuni. Per la violazione di questi obblighi si applicano anche le sanzioni penali previste dall’art. 20 della legge 47/1985 (in materia urbanistico-edilizia), che prevede anche la demolizione ed il ripristino dei luoghi. - Il divieto di pascolo e caccia per i 10 anni successivi all’incendio.

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- Il divieto, per 5 anni, delle attività di rimboschimento e ingegneria ambientale sostenute con risorse finanziarie pubbliche, escluse quelle specificatamente autorizzate. Questo al fine di evitare che si incendino i boschi, al fine di ottenere i finanziamenti per i rimboschimenti.

1.7.3 Compiti delle Regioni e normativa regionale toscana

La legge 353/2000 ha attribuito alle regioni un ruolo rilevante nella lotta agli incendi boschivi: tutte le regioni - a statuto ordinario o speciale - devono recepire i principi fondamentali della legge quadro e modificare la normativa regionale eventualmente in contrasto con la legge quadro, entro un anno dall’entrata in vigore della legge. Tra i compiti più importanti ricordiamo l’approvazione di piani regionali per la programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi (art.3), e l’individuazione delle zone ad alto rischio di incendio in apposite planimetrie. Nella programmazione devono essere previste anche attività di educazione e informazione al fine di prevenzione (art.5), con l’integrazione dei programmi didattici nelle scuole e negli istituti di ogni ordine e grado ai fini della crescita e della promozione di un’effettiva educazione ambientale in attività di protezione ambientale.

L’approvazione dei piani regionali finalizzati alla prevenzione e lotta contro gli incendi boschivi, viene effettuata sulla base di “Linee guida” - delineate dal Governo - che sono state approvate con il recente Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 20.12.2001 (pubblicato su G.U. n. 48 del 26.2.2002). Le regioni devono dunque approvare i piani per la lotta agli incendi boschivi.

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Le “linee guida” forniscono alle regioni le indicazioni generali circa i contenuti essenziali dei piani regionali per la lotta agli incendi - il cui obiettivo è la “riduzione delle superfici boscate percorse dal fuoco”- che ogni regione adeguerà alle singole esigenze e particolarità.

Per quanto riguarda la regione Toscana le Norme di riferimento in materia di incendi sono rappresentate dalla Legge n. 73 del 13/08/1996 “Norme per la difesa dei boschi dagli incendi” e dalla Legge n. 52 del 30/08/1973 “Prevenzione ed estinzione degli incendi boschivi”, nonché dalla nuova Legge Forestale n.39 del 21 marzo 2000. La Regione redige con scadenza triennale il Piano Operativo Antincendi Boschivi (AIB), in attuazione della L.R. 39/2000, , come modificata con L.R. 1/2003, che ha recepito le disposizioni di principio della Legge quadro in materia di incendi boschivi del 21 novembre 2000 n. 353, nonché del “Regolamento forestale della Toscana” approvato con Decreto del Presidente della Giunta Regionale dell’8 agosto 2003 n. 48/R e del Piano Forestale Regionale 2001/2005 approvato con DCR n. 75 del 14.03.2001.

Il piano AIB indica tutti i riferimenti essenziali per consentire l’organizzazione ed il coordinamento dell’attività di previsione, prevenzione e lotta attiva degli incendi boschivi nel rispetto dei contenuti elencati all’articolo 74 della L.R. 39/2000. Gli strumenti di pianificazione previsti dalla L.R. 39/00 sono costituiti dal presente Piano e dai piani operativi annuali provinciali che contengono tutti gli elementi tecnici necessari ad allestire il vero e proprio servizio sul territorio. Il Piano AIB regionale descrive l’organizzazione e le modalità attuative dell’attività AIB in Toscana ed ha validità triennale e comunque fino all’entrata in vigore del successivo piano;

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attualmente è in vigore in Piano AIB 2004-2006 approvato dalla delibera 1351 del 22 dicembre 2003.

I piani operativi provinciali sono approvati ogni anno dalle Province e contengono l’aggiornamento dei dati sottoposti a revisione annuale (es. anagrafici delle strutture, inventario e cartografia delle aree percorse dal fuoco, ecc.). Comunque il Piano AIB regionale può essere aggiornato ed integrato annualmente secondo il disposto del comma 3, art. 74, della L.R. 39/00 per adeguarlo ad eventuale necessità non previste al momento della sua approvazione. La pianificazione AIB riguarda tutta l’attività connessa alla previsione, prevenzione e lotta attiva agli incendi boschivi. Tuttavia in alcuni casi, considerato che gli incendi possono determinare pericolo per la pubblica incolumità, è necessario attivare procedure che si riferiscono alle competenze di protezione civile, alle quali devono provvedere i soggetti istituzionalmente preposti ai sensi della L. 24 febbraio 1992, n. 225, del D.Lgs. 31 marzo 1988 n. 112 e della L.R. di attuazione. Pertanto in questi casi deve essere realizzato un coordinamento tra le varie forze preposte, dove però rimangono ferme le competenze e le responsabilità fissate dalle rispettive normative. Vale a dire che le operazioni di spegnimento dell’incendio boschivo devono essere gestite secondo le procedure degli atti di pianificazione AIB, trovando un momento di sintesi tra le due tipologie di intervento. Per quanto attiene l’individuazione delle aree e dei periodi a rischio si è ritenuto opportuno, al fine di condividere in un unico documento normativo tutte le disposizioni in materia forestale, inserirle nel “Regolamento forestale della Toscana”.

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1.7.4 Stato di applicazione della Legge

Visto che gli strumenti normativi attuali sembrano adeguati a combattere la piaga degli incendi boschivi, la responsabilità del protrarsi del fenomeno va ricercata in ambito amministrativo e organizzativo. Importante in tal senso è l’accurata analisi dal Giudice e Segretario Generale del Gruppo "Ecologia e Territorio" della Suprema Corte di Cassazione Maurizio Santoloci, in proposito del problema delle inadempienze dei Comuni nella redazione delle cartografie delle aree bruciate. Per fare un esempio, nei primi otto mesi dell'anno 2000 sono stati percorsi da fuoco 83.658 ettari di territorio, molto più dei 64.528 dello stesso periodo del 1999. Eppure solo il 18% dei Comuni ha inviato al ministero dell'Ambiente i dati necessari a far scattare i vincoli di inedificabilità già previsti dalla legge 47/1975. I dati sono frutto di una rielaborazione fatta da "Edilizia e Territorio", incrociando i dati del Corpo forestale dello Stato, che rileva ogni anno i Comuni colpiti da incendio e la superficie boscata e non boscata colpita, e quelli del ministero dell'Ambiente, che registra semplicemente le comunicazioni inviate dai Comuni e gli ettari incendiati in esse segnalati. L'obbligo di comunicazione era stato introdotto dalla normativa previgente con lo scopo di prevenire il rischio di speculazioni successive agli incendi; il rischio, cioè, che il fuoco venga appiccato dolosamente in aree boscate per poi costruirci sopra, magari con la compiacenza del Comune o nella situazione di scarsa chiarezza dei vincoli.

La legge 47/1975 sugli incendi boschivi stabiliva da 25 anni l'obbligo da parte delle Regioni di predisporre piani per la difesa e conservazione del patrimonio boschivo dagli incendi, stabilendo che

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costruzioni di qualsiasi tipo". Visto però il ritardo nella predisposizione dei piani, il decreto legge 332/1993 (convertito dalla legge 428/1993) aveva stabilito che il vincolo di inedificabilità scattava in tutte le zone boschive distrutte o danneggiate dal fuoco, anche fuori o nelle more dai piani. Ed aveva aggiunto che il sindaco doveva ogni anno inviare al ministero dell'Ambiente "una planimetria, in adeguata scala, del territorio comunale percorso dal fuoco; in tale territorio non sono consentite destinazioni d'uso diverse da quelle in atto prima dell'incendio per almeno dieci anni". L'obiettivo era dunque scoraggiare la speculazione: inutile bruciare aree urbane o extraurbane tanto su quelle aree scatta un vincolo di inedificabilità assoluta, se boscate, o comunque un divieto decennale di cambio di destinazione d'uso. Ma se i Comuni non rilevavano il territorio colpito e non inviavano i dati al Ministero, si rischiava di rendere inapplicabile il vincolo. Era dunque ovvio che in assenza delle opportune mappature l'applicazione dei vincoli rimaneva del tutto virtuale. E riguardo a quest'ultimo punto gravissima è stata fino ad oggi dunque la omessa realizzazione delle cartografie dei terreni bruciati da parte dei Comuni.

Visto che l’indicazione e l’attestazione che quella specifica area boscata è stata percorsa dal fuoco e dunque vincolata dalla blindatura della inedificabilità deve risultare dalle planimetrie dei comuni sopra citate, praticamente mai realizzate dai Comuni, consegue che, in assenza delle opportune mappature e delimitazioni delle aree percorse dal fuoco, l’applicazione del divieto di costruzione e mutamento di destinazione d’uso rimane del tutto virtuale, così come è impossibile per i notai e gli uffici del registro poter rispettivamente adempiere all’obbligo di annotazione sugli atti

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di compravendita e a quello di controllo sugli stessi. Così lo speculatore edilizio oggi invia un manovale per provocare l’incendio certo che, sulla base di tale diffusa omissione dei comuni, tra pochi anni potrà senza eccessivi problemi ottenere la concessione.

Ma va rilevato che, come già sopra espresso, il vincolo in se stesso rischia di restare una norma di buon galateo solo sulla carta se poi non viene applicato nella realtà delle cose. E uno degli strumenti essenziali per garantire tale pratica applicazione è la ufficializzazione del territorio percorso dal fuoco. Altrimenti il vincolo non può scattare a livello formale e non può essere richiamato in atti e ricorsi. Fino ad oggi appunto, l'obbligo per i sindaci di redigere le cartografie ufficiali di tali territori entro il mese di ottobre di ogni anno è stato praticamente ignorato dalla maggior parte dei comuni (sono dati forniti dallo stesso Ministero dell'Ambiente) e così appare impossibile in sede di rilascio di concessione far valere il vincolo di inedificabilità Su questo specifico e rilevantissimo punto la nuova legge appare salutare giacché, evidentemente recependo le violente contestazioni su tale problema, ed il fallimento del regime previgente, prevede in modo significativo il rinnovo di tale obbligo per le amministrazioni comunali

E la nuova legge retroagisce imponendo la redazione dei dati relativamente all'ultimo quinquennio così sanando un periodo di omissiva inattività dei comuni. Questa attività di verifica in retrospettiva deve determinare un "apposito catasto" di censimento ufficiale che poi dovrà essere " aggiornato annualmente". La legge prevede inoltre che "l'elenco dei predetti soprassuoli deve essere esposto per trenta giorni all'albo pretorio comunale, per eventuali osservazioni. Decorso tale termine, i comuni valutano le

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osservazioni presentate ed approvano, entro i successivi sessanta giorni, gli elenchi definitivi e le relative perimetrazioni."

Infine, degno di rilievo anche per questa tesi, appare il punto che favorisce la sperimentazione di tecniche satellitari per l'individuazione delle aree bruciate ai fini vincolistici (tecniche che già nel settore del rilievo delle discariche e degli scarichi abusivi sotterranei ha dato proficui risultati).

(da www.dirittoambiente.it a cura di M.Santoloci)

1.8 DEFINIZIONE DELL’AREA DI STUDIO: LA PROVINCIA DI LIVORNO

All’interno di una possibile classificazione del territorio della Regione Toscana riportato in figura, estremamente eterogeneo e perciò caratterizzato da clima e tipi vegetazionali completamente diversi, possono essere individuate due zone, relativamente omogenee per caratteristiche ambientali e climatiche che comprendono l’intera area della Provincia di Livorno:

1. Zona costiera; costituita da una fascia che segue un andamento da nord ovest verso sud est, per lo più relativamente stretta ma con digressioni verso l'interno in prossimità di Pisa e Grosseto, spesso interrotta da rilievi collinari che si spingono fino alla linea di costa.

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2. Arcipelago Toscano; zona comprendente tutte le isole dell'Arcipelago ed il promontorio di Monte Argentario.

Queste zone sono completamente incluse nell’areale della fascia mediterranea, che interessa tutta la zona costiera, con digressioni anche verso l'interno, fino ad una quota di circa 300-400 metri. Le temperature medie annue si aggirano sui 14°/18° C, con medie nel mese più freddo superiori a 5° C.

In questa fascia si possono distinguere due categorie fisionomiche vegetali ben distinte: quella delle latifoglie sclerofille e delle conifere mediterranee, spesso associate nella formazione della cosiddetta macchia mediterranea.

Figura

Tab. 1.1 Potere calorifico di diverse specie vegetali (M. De Lillis, 1998)
Fig 1.1 Variazione della ricchezza floristica vs. n° mesi dopo il fuoco (in due  stazioni di Quercus ilex nel sud della Francia, da Trabaud, 1989)
Tabella 1.3. Fonte: Indagine conoscitiva incendi boschivi del Ministero delle politiche  agricole e forestali – Corpo Forestale dello Stato – servizio antincendio boschivo           Dicembre 2001
Figura 1.2 Carta del rischio relativo agli incendi boschivi dei  Comuni della Regione Toscana
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