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Capitolo 2: Storia dello sviluppo della filiera GCFR

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Academic year: 2021

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Capitolo 2: Storia dello sviluppo della filiera GCFR

La possibilità di convertire nuclidi fertili in fissili mediante cattura neutronica fu scoperta fin dalle prime fasi dello sviluppo dei reattori nucleari. Negli anni ’40 e ’50 la disponibilità di uranio naturale era ritenuta insufficiente per rifornire un grande numero di reattori di potenza. Questo ha condotto ad un frenetico sviluppo dei “reattori nucleari a flusso neutronico veloce”, detti semplicemente “reattori veloci”, destinati a produrre, mediante le già discusse reazioni di fertilizzazione (Breeding), isotopi fissili partendo dal materiale fertile: in particolare Pu239 dall’U238 e U233 dal Th232.

Il primo reattore veloce, chiamato “Clementine” fu costruito a Los Alamos (USA) e raggiunse la criticità nel 1946. Contemporaneamente, l’”Experimental Breeder Reactor” (EBR) fu costruito dall’Argonne National Laboratori, concepito fin dall’inizio come un prototipo di un reattore di potenza. L’EBR raggiunse la criticità nel 1951. Fin dall’inizio del programma dei reattori veloci fu chiaro che i reattori fertilizzanti, per soddisfare i requisiti di fertilizzazione ed ottenere una ragionevole potenza, avrebbero dovuto essere sistemi con un’elevata densità di potenza (il reattore Clementine aveva una densità di potenza pari a 1000 KW/l). Per ottenere tale densità di potenza, furono scelti come materiale refrigerante i metalli liquidi. I primi reattori utilizzavano Hg e NaK, ma successivamente il sodio è divenuto il refrigerante di riferimento per quello che è stato definito “Liquid Metal Fast Breeder Reactor” (LMFBR).

La refrigerazione a gas è interessante per i reattori veloci in quanto essa riduce i rischi di transitori di reattività indotti dal coefficiente di vuoto. Un refrigerante gassoso inoltre riduce gli assorbimenti parassiti da parte del refrigerante stesso, ottenendo perciò una migliore economia neutronica ed un rapporto di conversione (Breeding Gain) maggiore. D’altra parte l’elevata densità di potenza richiesta per un reattore fertilizzante rende la refrigerazione a gas particolarmente complicata. Gli anni ’50 hanno visto un grande progresso nell’ambito dei reattori a flusso neutronico termico refrigerati a gas, come lo sviluppo dell’elio come refrigerante e l’elevata temperatura operativa per migliorare il rendimento termodinamico del ciclo. Dal 1962 sono stati proposti numerosi modelli di Gas Cooled Fast Reactor (GCFR). Tutti questi reattori erano basati sui progetti dei precedenti LMFBR a metallo liquido con modifiche limitate a quel che concerne l’impiego di un refrigerante gassoso. La principale differenza nella struttura dell’elemento di combustibile era costituita dalla presenza di piccole “microalette”, perpendicolari al flusso di refrigerante, al fine di indurre moti turbolenti nel flusso e migliorare lo scambio termico. Per raggiungere un’adeguata densità nel refrigerante sono richieste pressioni operative relativamente elevate (comprese tra 7 e 15 MPa). Il vessel impiegato, cosiddetto Prestressed Concrete Reactor Vessel (PCRV), è in cemento precompresso, soluzione mutuata dai precedenti reattori HTR di tipo termico e di collaudata affidabilità in sistemi comprendenti refrigerante gassoso, preferita rispetto alla soluzione in acciaio (tipica dei sistemi ad acqua) principalmente per questioni di costi.

In questo capitolo si intende fornire una descrizione di tutti i programmi relativi ad impianti GCFR proposti negli anni ’60 e ’70 da tutte le maggiori industrie nucleari ed organizzazioni di ricerca. Tale descrizione intende illustrare ciò che era già stato raggiunto nel campo dei reattori veloci a gas molto prima che lo stesso programma della Generation IV iniziasse.

2.1 Germania: il Gas Breeder Memorandum

In Germania i centri di ricerca nucleare di Karlsruhe e Julich, insieme con partner industriali, prepararono un documento sui Gas Breeded Reactor, noto come il “Gas Breeder Memorandum” [2.2]. Tale memorandum definiva 3 concetti di reattore, tutti caratterizzati dall’elio come refrigerante. Il vapore acqueo e la CO2 furono ritenuti inadeguati principalmente per problemi di

natura chimica dovuti alla corrosione ad alte temperature. Nel Memorandum l’attenzione era rivolta su un core “convenzionale” (struttura degli elementi di combustibile estrapolata da quella utilizzata negli LMFBR, PCRV estrapolato dal reattore a gas termico HTR), con combustibile incamiciato in

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vapore integrati nel PCRV. Una limitata ricerca fu condotta sul ciclo diretto e sul combustibile sotto forma di coated particles (non necessariamente da adottare nella medesima soluzione costruttiva): tale progetto è interessante in quanto già enfatizza la necessità di mantenere una elevata pressione residua (2÷3 bar) nel sistema primario dopo un evento di perdita di refrigerante (LOCA) per mantenere refrigerato il core.

2.2 USA: General Atomics

Negli USA la General Atomics annunciò l’intenzione di costruire un Gas Cooled Fast Reactor (GCFR) nel 1962. Il progetto consisteva in un impianto dimostrativo da 300 MWe ed uno

commerciale da 1000 MWe. Nel 1968 fu dato inizio al GCFR Utility Program al fine di progettare,

licenziare e costruire l’impianto dimostrativo da 300 MWe. Nel 1973 fu deciso l’obiettivo di rendere

operativo l’impianto GCFR in dieci anni. I parametri principali del GCFR da 300 MWe sono esposti

nella tab. 2.1, ed un’illustrazione della struttura dell’impianto è data in fig. 2.1: l’impostazione è quella tipica di tutti i progetti GCFR dell’epoca. La cavità più grande alla destra del core contiene un generatore di vapore ed un compressore, mentre nella cavità più piccola alla sinistra del core si trova uno dei sistemi DHR attivi [2.3]. Tale progetto presenta l’elio come refrigerante e combustibile di ossido di uranio (UO2) incamiciato in guaine di acciaio inossidabile. L’intero core è

basato sulla tecnologia LMFBR con modifiche limitate all’adozione del refrigerante gassoso anziché metallico. Le barrette di combustibile sono rese ruvide per incrementare lo scambio termico. Il sistema primario è alloggiato in un PCRV, all’interno del quale sono alloggiati tutti i compressori ed i generatori di vapore. Un ultimo riferimento al progetto GCFR General Atomics si trova nel 1981, con potenza incrementata fino a 350 MWe.

Figura 2.1: Layout del sistema primario dell’impianto dimostrativo GA GCFR [2.3]

Nell’ambito della Generation IV negli USA si sta assistendo adesso ad un rinnovato interesse per gli impianti di tipo GCFR. I progetti attuali comprendono modelli a letti di sfere (Pebble Bed GCFR), ma anche modelli con blocchi prismatici.

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2.3 Europa: Gas Breeder Reactor Association

In Europa alcuni protagonisti della scena nucleare si sono uniti per sviluppare un reattore a flusso veloce refrigerato a gas: la Gas Breeder Reactor Association. Questo gruppo propose un primo progetto (GBR-1) nel 1970, un reattore da 1000 MWe refrigerato ad elio, combustibile a barrette,

temperatura di uscita dal core “convenzionale” (550°C) ed un circuito secondario a vapore. Tale progetto fu seguito da un GBR-2 e GBR-3 (1971), aventi la medesima potenza di 1000 MWe ma

combustibile di tipo “coated particle”, una temperatura di uscita dal core superiore e refrigerazione ad elio (GBR-2) ed a CO2 (GBR-3). La tab. 2.1 illustra i principali parametri di progetto di tali

reattori. Come gli altri progetti dell’epoca, il core, i compressori ed i generatori di vapore erano integrati nel PCRV. Una sezione verticale del PCRV del GBR-4 è mostrata in fig. 2.2.

Tabella 2.1: Dati di progetto relativi alle quattro proposte di GCFR. Notare la scala prototipica della proposta GA a fronte delle maggiori taglie dei GBR [2.1].

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Figura 2.2: Sezione verticale del PCRV del reattore GBR-4 (1200 MWe): 1. Core; 2. Generatore di vapore; 3. Compressore; 4. Circuito di refrigerazione di emergenza; 5. Manipolatore del combustibile; 6. Cavità di controllo; 7.

Impianto di purificazione dell’elio; 8. Schermo neutronico [2.1]

Notare in fig. 2.2 la struttura del manipolatore del combustibile: le perforazioni nel PCRV sono mantenute più piccole possibile, ed una simile soluzione è prevista per tutti i progetti GCFR (compreso quello attuale all’interno della Generation IV). Per potere movimentare gli elementi di combustibile, l’altezza dell’elemento deve essere almeno quanto quella dell’elemento stesso.

Per quanto riguarda i reattori GBR-2 e GBR-3, furono preparati i progetti dettagliati delle coated particles, e furono proposte due diverse soluzioni per gli elementi di combustibile destinati ad accogliere tali microsfere. Gli elementi di combustibile del GBR-2 (refrigerato ad elio) e del GBR-3 (refrigerato a CO2) sono illustrati nella fig. 2.3.

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Figura 2.3: Elementi di combustibile nei reattori GBR-2 e GBR-3 [2.1]

Nel GBR-2 ogni elemento di combustibile è costituito da 7 cilindri di combustibile: ognuno di questi cilindri consiste di 2 anelli concentrici perforati con le microsfere nello spazio anulare. L’elio scorre verso l’interno dei cilindri così da mantenere una tensione di compressione sul tubo interno, composto da matrice ceramica SiC, mentre le altre parti sono di acciaio inossidabile.

Nel GBR-3 l’elemento di combustibile consiste in una “pila di piatti”: il refrigerante scorre attraverso il cilindro centrale, quindi scorre radialmente attraverso il letto di sfere, ed ancora verso l’alto fuori dal core. Le parti calde sono in SiC, mentre quelle fredde sono in acciaio.

L’elemento di combustibile per il progetto GBR-4 è meno ambizioso ed è basato sulla tecnologia LMFBR a barrette di combustibile. Una descrizione ne è data in fig. 2.4, peculiare dei progetti di reattore GCFR di quel tempo: ogni barretta contiene le classiche pasticche MOX, e la superficie alettata aumenta le turbolenze favorendo lo scambio termico convettivo. L’elevata velocità dell’elio è tale da richiedere solidi vincoli per impedire eccessive vibrazioni della barretta stessa: si usano perciò grigliette distanziatrici dal disegno molto complicato affinché siano resistenti ma senza offrire eccessiva resistenza al flusso con conseguenti eccessive perdite di carico.

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Figura 2.4: Descrizione dell’elemento di combustibile del GBR-4 [2.1]

Dei tre progetti di elemento di combustibile, quello relativo al GBR-2 (cilindri coassiali) si è rivelato interessante anche per i recenti progetti di reattori GCFR. L’obiettivo del combustibile sotto forma di microsfere era di incrementare la temperatura di uscita dal core dell’elio al fine di migliorare il rendimento termodinamico del ciclo secondario a vapore. Ma nei reattori GBR-2 e GBR-3 le microsfere erano presenti solo nella zona centrale del core, laddove nel blanket si avevano classiche barrette. Questa soluzione fu scelta in quanto all’epoca del progetto le possibilità di riprocessamento delle microsfere non erano state del tutto verificate. L’abbondante presenza di materiale ceramico nei due progetti di reattore condusse comunque a numerose difficoltà di carattere costruttivo, da cui la nascita del progetto GBR-4, molto più convenzionale. In questo progetto la temperatura di uscita dal core è diminuita, rendendo così possibile un uso molto più esteso dell’acciaio inossidabile invece dei materiali ceramici. La potenza termica risulta essere cresciuta da 1000 MWe fino a 1200 MWe.

2.4 URSS: refrigerante organico dissociato

Un programma su un reattore di tipo GCFR fu concepito anche nell’Unione Sovietica. Questo si basava su un tipo di refrigerante organico: N2O4. Nel core l’ N2O4 si dissocia secondo due reazioni

chimiche endotermiche [3.4]: 2 2 2 4 2O 2NO N 2O N ⇔ ⇔ +

La temperatura d’esercizio era comparabile a quelle degli altri progetti GCFR dello stesso periodo, ma con una pressione del refrigerante superiore (fino a 25 MPa). Il maggiore vantaggio del

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refrigerante organico consiste nel fatto che è possibile condensare il fluido di lavoro nello scambiatore di vapore (organico-acqua), riducendo grandemente così la potenza di pompaggio necessaria. Inoltre gli effetti combinati dell’evaporazione e della reazione endotermica di dissociazione assorbono molto calore dal core, così che la portata di refrigerante può essere mantenuta relativamente bassa.

Il fluido organico è però altamente corrosivo: tale problema fu risolto, verso la fine degli anni ’70, mediante lo sviluppo di particolari elementi di combustibile composti da barrette di matrice di cromo con piccole particelle di U o UO2 disperse nel suo interno e, oltre a ciò, anche grazie alle

intense ricerche svolte nel campo della corrosione degli acciai [2.5]. Sono stati compiuti anche esperimenti circa il comportamento di questi particolari elementi di combustibile soggetti ad irraggiamento neutronico. Come per tutti gli altri progetti di reattore GCFR, però, non si hanno più riferimenti di alcun genere dall’inizio degli anni ’80 in poi fino, ovviamente, all’avvento della Generation IV.

2.5 GB: ETGBR/ECGR

Al termine degli anni ’70 fu dato inizio ad un programma inglese su un “Existing Technology Gas Breeder Reactor” (ETGBR). Questo progetto puntava a fondere l’esperienza inglese sui sistemi al sodio e sui reattori a gas refrigerati con CO2 di tipo AGR. L’elemento di combustibile era

incamiciato con acciaio inossidabile microalettato, mentre l’intero sistema era alloggiato in un vessel di cemento così come per gli AGR. Il sistema ETGBR usava CO2 come refrigerante, ma

presentava una minore densità di potenza rispetto ai metalli liquidi, controbilanciata da un maggiore rapporto di conversione. L’ETGBR non è molto dissimile dagli altri progetti contemporanei di reattori di tipo GCFR; comunque, questo sistema è riuscito a sopravvivere fino alla fine degli anni ’90, a differenza degli altri. Una metamorfosi del progetto è stata però necessaria: l’ETGBR è diventato EGCR (Enhanced Gas Cooled Reactor), quasi a sottolineare l’evoluzione della tecnologia, ed era maggiormente focalizzato sul bruciamento degli attinidi (punto focale della successiva Generation IV) più che sull’elevato rapporto di conversione. Si parlava di potenze dell’ordine di 3600 MWth, refrigerazione a CO2 e combustibile di nitrato di uranio in barrette.

2.6 Giappone: combustibile prismatico

In Giappone il programma sui reattori veloci iniziò negli anni ’60, comprendendo progetti di reattori refrigerati sia a sodio che a gas. In particolare, per quanto riguarda questi ultimi sono stati studiate soluzioni di reattore GCFR refrigerate a vapore, CO2, ed elio. Il progetto avente l’elio come

refrigerante era basato, ancora una volta, sulla già disponibile tecnologia LMFBR, ma in questo caso si optò per un core particolarmente basso (basso rapporto H/D) per ridurre la potenza di pompaggio (minori perdite di carico lungo l’attraversamento del core stesso). Il core piatto inoltre aumenta il rapporto di conversione ma necessita di una maggiore quantità di materiale fissile. Dopo tale primo progetto, le ricerche nel campo dei reattori di tipo GCFR sono proseguite in Giappone, culminando alla fine degli anni ’90 in un progetto GCFR proposto dalla JNC. Anche in questa evoluzione il core si presentava molto “piatto”, ed era alimentato con combustibile sotto forma di microsfere. Per il nucleo delle coated particles fu scelto un materiale ceramico (nitrato di uranio). Gli strati esterni (“buffer layer” per ritenere i prodotti di fissione e “sealing layer” per garantire l’integrità della microsfera stessa) erano fatti in TiN invece che, rispettivamente, in grafite e SiC. Sono state proposte due tipologie di elemento di combustibile: una di queste è molto simile al concetto introdotto per il reattore GBR-2 (fig. 2.3), cioè con le microsfere in un elemento di forma anulare cilindrica con il refrigerante che transita radicalmente verso l’interno attraverso fori praticati sulle superfici laterali dei cilindri stessi, mentre un’altra proposta (JAEA) consiste di grossi blocchi di forma prismatica riempiti con una matrice solida (TiN, SiC o ZrC) all’interno della quale trovano

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blocco, e tutte le componenti strutturali dell’elemento sono realizzate in SiC.

La potenza termica è di circa 2400 MWth, con una densità di potenza elevata (circa 100 MW/m3).

Il fluido refrigerante, come detto, è elio ed è prevista l’adozione di un ciclo diretto di conversione dell’energia, senza alcun sistema secondario.

É evidente come sia proprio il progetto giapponese ad avvicinarsi maggiormente alle soluzioni progettuali che si ritroveranno poi successivamente nella filiera GCFR proposta all’interno della Generation IV: il ciclo diretto ed il modello di elemento di combustibile con microsfere sparse in una matrice ceramica (fig. 2.5) costituirà il primo modello di assembly preso in considerazione per la ventura Generation IV, sostituito poi dal modello a slab.

Figura 2.5: Elemento di combustibile proposto dalla JAEA per il GCFR [2.1]

2.7 Il futuro del GCFR

I progetti di GCFR nel passato erano tutti derivati dai reattori refrigerati a sodio, e come tali improntati alla ricerca del maggiore rapporto di conversione (migliore economia neutronica). Ciò costituiva un problema molto sentito in quegli anni a causa dell’ipotizzata carenza di combustibile nucleare nel futuro prossimo. Ma l’industria nucleare non si è evoluta secondo le aspettative, per cui la carenza ipotizzata di uranio non si è mai verificata. Molti programmi sui reattori veloci sono stati cancellati a causa della carenza della domanda dal mercato e, perciò, ciò ha causato la mancanza di migliorie nella tecnologia del sodio: tali reattori rimanevano infatti costosi e complessi, laddove i classici e collaudati LWR potevano produrre energia a costi inferiori.

Nel progetto della Generation IV il GCFR è un reattore che sfrutta gli isotopi fertili senza però produrre attinidi minori in eccesso in quanto questi stessi vengono “bruciati” al suo interno ottenendone peraltro energia. Per limitare i rischi di rilascio di sostanze radioattive nell’ambiente, le nuove concezioni di combustibile, con microsfere o matrice ceramica (CerCer), sono preferibili alla classica barretta in quanto presentano caratteristiche di ritenzione maggiori.

La rimozione del calore residuo in caso di scram è affidata, laddove possibile, alla circolazione naturale, quindi totalmente passiva.

Per limitare il rischio di depressurizzazione, il circuito primario è racchiuso in un secondo contenimento.

Nel core si preferisce avere a disposizione una elevata percentuale in volume di gas refrigerante: questo non solo riduce le perdite di carico nel core durante il normale funzionamento, ma aumenta anche le potenzialità del sistema di rimozione del calore residuo per mezzo della circolazione

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naturale. Con una tale frazione di refrigerante nel core occorre però utilizzare combustibili ceramici; si preferisce il carburo di uranio (UC) per la maggiore densità di metallo pesante e per la minore sezione di cattura del carbonio rispetto a azoto e ossigeno. Nella fig. 2.6 si ha un’illustrazione del reattore GCFR da 2400 MWth proposto dalla CEA nell’ambito della Generation IV. La descrizione

dettagliata dei progetti GCFR all’interno della Generation IV saranno ripresi in dettaglio nel Cap. 3.

Figura

Figura 2.1: Layout del sistema primario dell’impianto dimostrativo GA GCFR [2.3]
Tabella 2.1: Dati di progetto relativi alle quattro proposte di GCFR. Notare la scala prototipica della proposta GA a  fronte delle maggiori taglie dei GBR [2.1]
Figura 2.2: Sezione verticale del PCRV del reattore GBR-4 (1200 MW e ): 1. Core; 2. Generatore di vapore; 3
Figura 2.3: Elementi di combustibile nei reattori GBR-2 e GBR-3 [2.1]
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