• Non ci sono risultati.

CAPITOLO 1 – INTRODUZIONE

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "CAPITOLO 1 – INTRODUZIONE"

Copied!
20
0
0

Testo completo

(1)

CAPITOLO 1 – INTRODUZIONE

1.1 I VIRUS DELL’IMMUNODEFICIENZA UMANA (HIV) E FELINA (FIV)

A più di venti anni dalla sua scoperta l’AIDS, causato dal virus HIV, continua ad essere una grave malattia infettiva. Stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) indicano che oltre 60 milioni di persone nel mondo convivono con questa patologia e che il numero di nuove infezioni è in costante aumento, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Tutto questo rende necessario la messa in atto di strategie preventive in grado di bloccare, o quantomeno contenere, la diffusione dell’epidemia. La sperimentazione sta procedendo contemporaneamente lungo due percorsi: la ricerca di farmaci efficaci nel controllare la replicazione virale e nel ritardare la progressione della malattia e la ricerca di un vaccino da usarsi in profilassi. Studi condotti per la ricerca di farmaci efficaci hanno già dato dei buoni risultati mentre la realizzazione di un vaccino protettivo è ancora un traguardo lontano. Un valido contributo alla sperimentazione è offerto dall’impiego di modelli animali al fine di chiarire i meccanismi patogenetici indotti dall’infezione e sviluppare strategie terapeutiche e vaccinali. Nel corso degli anni sono stati studiati tre modelli animali: il virus dell’immunodeficienza della scimmia (SIV)/macaco, il sistema dell’immunodeficienza felina (FIV)/gatto e il sistema HIV/topi chimerici con immunodeficienza severa combinata (SCID). Per definizione, nessuno dei modelli animali a disposizione rappresenta l’esatta controparte

(2)

dell’infezione da HIV nell’uomo, ma il sistema FIV/gatto possiede numerosi vantaggi che ne fanno un valido modello di studio per l’AIDS. FIV infatti causa nel gatto un’infezione naturale che presenta notevoli somiglianze sia dal punto di vista immunopatogenetico che dal punto di vista clinico con la malattia da immunodeficienza indotta da HIV nell’uomo (Bendinelli et al., 1995; Pedersen et al., 1987); inoltre, FIV mostra numerose omologie con HIV anche per quanto riguarda l’organizzazione del genoma, il meccanismo di replicazione, il tropismo per macrofagi e linfociti T e l’effetto citopatico in vitro. Altro vantaggio è rappresentato dal fatto che esistono per FIV, come per HIV, diversi sottotipi virali, cosa che consente di testare l’efficacia di vaccini nei confronti di challenge eterologhi. Non meno importante, l’utilizzo di una specie che non rischia l’estinzione e non prevede alti costi di mantenimento permette di lavorare con gruppi più numerosi di animali. FIV è, infine, specie-specifico permettendo così agli operatori di utilizzarlo senza dover adottare le precauzioni necessarie per operare con HIV o con SIV, il quale ultimo è anch’esso in grado di infettare l’uomo (Bignall et al., 1994; Khabbaz et al., 1994; Palca et al., 1992).

1.2 CLASSIFICAZIONE

FIV appartiene al genere Lentivirus della famiglia Retroviridae (Tab. 1.1). Sulla base del tropismo cellulare e delle manifestazioni cliniche delle patologie indotte, i lentivirus possono essere suddivisi in due gruppi: 1) virus che infettano prevalentemente linfociti T e monociti-macrofagi causando immunodeficienza, come HIV-1, HIV-2, SIV, il virus dell’immunodeficienza bovina (BIV) e FIV;

(3)

2) virus che infettano soprattutto cellule della linea monocito-macrofagica causando malattie immuno-mediate organo-specifiche, come il virus Visna Maedi (VMV) della pecora, il virus dell’artrite encefalite caprina (CAEV) ed il virus dell’anemia infettiva equina (EIAV).

1.3 MORFOLOGIA

Il virione maturo appare come una particella sferica o ellissoidale del diametro di 100-125 nm costituita da un involucro esterno, l’envelope, sul quale s’inseriscono le glicoproteine virali di superficie (SU o gp95) e di transmembrana (TM o gp41) responsabili, rispettivamente, del riconoscimento del recettore sulla cellula target e della fusione dell’envelope virale con la membrana citoplasmatica, eventi indispensabili alla penetrazione del virus all’interno della cellula ospite (Fig. 1.1).

All’interno dell’envelope e ad esso associato si trova la proteina strutturale di matrice (MA o p15) la cui funzione sembra quella di guidare la corretta incorporazione delle proteine di superficie nel virione maturo. Il capside, a simmetria icosaedrica, è costituito da numerose unità proteiche (CA o p25) che racchiudono il genoma virale e le proteine ad esso associate; queste ultime sono proteine ad attività principalmente enzimatica che il virus utilizza nelle prime fasi di infezione durante i processi di retrotrascrizione ed integrazione, come la proteina nucleocapsidica (NC o p10), la trascrittasi inversa (RT o p55) e l’integrasi (IN o p31), o nelle fasi tardive di assemblaggio e maturazione, come la proteasi virale (PR o p14). In FIV ed in altri lentivirus che non infettano i primati, come EIAV e CAEV, è presente un ulteriore enzima, la

(4)

deossiuridina trifosfatasi (DU o p14), il cui ruolo non è stato ancora del tutto chiarito.

1.4 ORGANIZZAZIONE GENOMICA

Tutti i retrovirus presentano un genoma diploide costituito da due molecole di RNA unite alle estremità 3’.

Il genoma dei retrovirus, pur essendo a polarità positiva, non funziona da mRNA subito dopo l’infezione ma viene utilizzato come stampo dalla RT per la sintesi di DNA, prima a singolo e poi a doppio filamento. Questo enzima può iniziare la trascrizione grazie alla presenza di un primer, un t-RNA specifico, che si appaia ad una sequenza complementare di circa 18 nucleotidi localizzata all’estremità 5’ del genoma virale.

In analogia con gli altri retrovirus, il DNA provirale di FIV (9.5 Kb), che si origina in seguito alla retrotrascrizione ed integrazione nel genoma della cellula ospite, è fiancheggiato da due long terminal repeat (LTR) e contiene tre grandi open reading frame (ORF), indicate come gag, pol ed env che codificano per proteine strutturali ed enzimatiche. Molte altre piccole cornici di lettura (la cui espressione dipende da meccanismi di splicing alternativo) affiancano quelle maggiori e codificano per proteine regolatorie (Fig. 1.2). In HIV ne sono state identificate sei (vif, vpu, vpr, tat, rev, nef), in FIV tre: vif, ORF-A (o ORF-2) e rev (Tomonaga and Mikami, 1996).

1.4.1 LTR

Le LTR, lunghe circa 360 bp, contengono i domini U3, R ed U5 nei quali sono presenti i siti per l'integrazione del DNA provirale nel genoma

(5)

della cellula ospite. L'LTR al 5' contiene anche segnali importanti per la regolazione dell'espressione genica e dirige la sintesi di un trascritto full-length a cui viene aggiunto un cap al 5’ e che termina in corrispondenza dell’LTR al 3’ in cui si trova il segnale di poliadenilazione (Ikeda et al., 1998; Sparger et al., 1992).

Il trascritto primario dà origine sia all’RNA virale che sarà incapsidato all’interno della particella progenie sia alla poliproteina Gag-Pol, a sua volta successivamente tagliata ad opera della proteasi virale per generare i singoli componenti strutturali (Gag) ed enzimatici (Pol). Questo stesso trascritto può venire processato in vario modo mediante splicing alternativo per generare altre due classi di trascritti. In particolare, il trascritto singly-spiced origina le proteine dell’envelope codificate dal gene env e la proteina Vif, mentre altri trascritti, che subiscono due o tre eventi di splicing, danno luogo alla produzione di proteine regolatorie quali Rev ed ORF-A (Fig. 1.3).

1.4.2 I geni strutturali

Il gene gag è lungo approssimativamente 1350 bp e codifica per le proteine strutturali del capside: CA, NC e MA. Come già detto, le tre proteine sono inizialmente prodotte sotto forma di un’unica poliproteina precursore di 160 kD, comprendente anche le proteine codificate dal gene pol, che viene tagliata successivamente dalla proteasi nelle fasi terminali del ciclo replicativo per liberare le proteine mature (Steinman et al., 1990). La sequenza di questo gene è conservata, sia tra isolati diversi di FIV (con una variabilità che va da un minimo del 7% per CA ad un massimo

(6)

del 23% per NC), sia tra i vari lentivirus (nei quali si riscontrano ampie zone di omologia).

Il gene pol è lungo approssimativamente 3360 bp e codifica per quattro proteine enzimatiche del virus (RT, IN, PR e DU). Esso è il gene più conservato tra i diversi lentivirus; l’omologia di sequenza arriva, infatti, fino al 40-60% (Olmsted et al., 1989).

Il gene env si estende per circa 2600 basi e codifica per le due glicoproteine dell’envelope, SU e TM; in particolare, queste sono originate in seguito a tagli operati dalla proteasi su una poliproteina precursore di 145 kD per costituire la TM, la SU, il primo esone del gene rev ed una sequenza leader (20 KD) che sembra essere importante per la biosintesi e trasporto intracellulare della SU (Stephens et al., 1992).

Il gene env mostra, rispetto a gag e pol, una elevata variabilità che raggiunge, nei vari isolati, una diversità del 20%. Nella proteina Env di FIV, come in HIV, si distinguono regioni conservate e regioni variabili; in particolare, i domini variabili sono nove: due (V1-V2) nella sequenza leader, quattro (V3-V6) nella SU e tre (V7-V9) nella TM (Pancino et al., 1993). I domini da V1 a V5 sono classificati come ipervariabili; V3, V4 e l’ectodomino della TM sono i domini coinvolti nel tropismo di FIV (Vahlenkamp et al., 1999). Come per HIV, V3 è il principale epitopo immunodominante (Lombardi et al., 1993).

1.4.3 I geni regolatori

A differenza di HIV e SIV, FIV contiene nel proprio genoma un minor numero di geni accessori (vif, ORF-A e rev). E’ possibile tuttavia che vi

(7)

siano altri geni regolatori non ancora identificati poiché nel genoma di FIV sono state predette altre ORF la cui funzione non è stata ancora definita. Il gene vif è presente nel genoma di tutti i lentivirus tranne che in EIAV; esso è localizzato fra i geni pol ed env e codifica per una proteina di 29 kD la cui funzione è molto simile a quella riportata per Vif di HIV. Studi su FIV hanno dimostrato che Vif è richiesto per l’infezione con virus libero ma non per la trasmissione diretta del virus da una cellula all’altra (Lockridge et al., 1999; Tomonaga et al., 1992). La presenza di un gene vif funzionale è inoltre necessaria per una efficiente replicazione virale in vivo (Inoshima et al., 1996). La funzione di Vif potrebbe essere quella di promuovere l’infettività del virus, intervenendo in una o più fasi tardive del ciclo di replicazione virale, come assemblaggio, gemmazione o maturazione di virioni. Recentemente, è stato dimostrato che Vif di HIV-1 favorisce l’infettività della particella virale bloccando l’attività inibitoria di APOBEC3G, un enzima cellulare appartenente alla famiglia della citidina deaminasi APOBECs (apolipoproteins B editing catalytic polypeptide), che viene incapsulato nel virione e che sarebbe in grado di causare un’ipermutazione del genoma virale come meccanismo limitante l’infezione (Chiu and Greene, 2006; Franca et al., 2006). APOBEC3G infatti, grazie alla sua attività di citidina deaminasi, sarebbe in grado di convertire i residui di citosina del filamento negativo del trascritto inverso in residui di uracile determinando così il blocco del ciclo replicativo virale (Harris and Liddament, 2004; Lecossier et al., 2003). Diversi studi hanno dimostrato che Vif di HIV-1 è capace di formare un complesso con la proteina APOBEC3G inducendo la sua ubiquitinazione e degradazione proteosomale e inattivando in questo modo l’attività antivirale dell’enzima (Conticello et al., 2003; Wichroski et al., 2005).

(8)

I geni vif dei lentivirus mostrano una scarsa omologia di sequenza, ma la loro lunghezza e localizzazione all’interno del genoma virale è conservata (Pedersen et al., 1993); essi, invece, presentano un’elevata omologia fra isolati diversi dello stesso virus.

Tra i geni accessori di FIV, ORF-A (o ORF-2) è sicuramente il meno caratterizzato. Il gene, situato fra vif ed il primo esone di rev, codifica per una proteina di 79 aminoacidi tradotta a partire da messaggeri policistronici originati da doppi e tripli eventi di splicing ed espressi sia nella fase precoce dell’infezione virale (Tomonaga et al., 1993) che durante le fasi più tardive (Tomonaga et al., 1995). Le dimensioni e la localizzazione all’interno del genoma, simili a quelle del gene tat dei lentivirus dei primati, hanno condotto ad ipotizzare per la proteina ORF-A un ruolo nella transattivazione dell’espressione genica. In HIV e nei lentivirus dei primati, l’azione transattivante di Tat è esplicata mediante interazione con una regione Tat-responsiva (TAR) localizzata in LTR5’ (Caputo et al., 1999). Tuttavia in FIV, come in VMV, un lentivirus degli ungulati con cui FIV presenta molte affinità, non è stata identificata una regione TAR-like, escludendo quindi un simile meccanismo di azione della proteina (de Parseval and Elder, 1999; Neuvent et al., 1993). Studi condotti su FIV hanno evidenziato una debole attività transattivante da parte di ORF-A (de Parseval and Elder, 1999; Sparger et al., 1992). L’osservazione che virus ORF-A-difettivi non crescono su cellule linfoidi, target naturale dell’infezione da FIV, suggerisce invece un importante ruolo della proteina in vivo (Dean et al., 1999; Pistello et al., 2002; Tomonaga et al., 1993). Infine, ORF-A sembrerebbe localizzarsi nel nucleo delle cellule infettate provocando il loro arresto in G2, ovvero sembrerebbe svolgere una

(9)

funzione simile a quella posseduta da Vpr di HIV-1 (Gemeniano et al., 2004).

Il gene rev copre in modo non contiguo due regioni: il primo esone si estende dall’estremità 3’ di pol fino ad env, ed il secondo è localizzato all’estremità 3’ di env. La proteina Rev (29 KD) è prodotta da eventi multipli di splicing e, come in HIV, regola l’espressione genica, aumentando la stabilità e promuovendo il trasporto dal nucleo al citoplasma degli mRNA virali non completamente processati (Kiyomasu et al., 1991; Tomonaga et al., 1993; Tomonaga and Mikami, 1996). La funzione di Rev si esplica mediante interazione con una sequenza target denominata rev-responsive-element (RRE), presente sui messaggeri unspliced o singly-spliced. L’RRE, in FIV, è localizzato al 3’ di env ed è parzialmente sovrapposto alla LTR3’ (Phillips et al., 1992).

1.5 SPETTRO D’OSPITE DI FIV E REPLICAZIONE VIRALE

Il tropismo cellulare di FIV è piuttosto ampio; esso è, infatti, in grado di infettare numerosi tipi cellulari.

Le cellule suscettibili all’infezione da FIV in vivo sono i linfociti T CD4+ e

CD8+, i monociti circolanti e i linfociti B (Brown et al., 1991; Pedersen et

al., 1987); macrofagi, astrociti e microglia nel sistema nervoso centrale (Brunner and Pedersen, 1989; Dow et al., 1990); le cellule dendritiche follicolari nei linfonodi (Dow et al., 1992; Poli et al., 1997).

In vitro il tropismo di FIV è più ampio in quanto, oltre ad infettare gli stessi tipi cellulari suscettibili all’infezione in vivo, il virus è in grado di replicare anche in cellule renali feline CrFK (Baldinotti et al., 1994).

(10)

Il ciclo replicativo di FIV non è conosciuto nei dettagli ma si ritiene sia molto simile a quello di HIV (Fig 1.4).

La fase iniziale dell’infezione consiste nell’attacco della glicoproteina SU del virus ad un recettore specifico situato sulla membrana della cellula target.Recentemente è stato dimostrato che il recettore cellulare primario per FIV è la molecola CD134 (descritto inizialmente come MRC OX-40 in linfociti T attivati di ratto), un membro della famiglia dei recettori del tumor necrosis factor (TNF) e nerve growth factor (NGF) (de Parseval et al., 2004; Shimojina et al., 2004). Isolati primari e ceppi adattati in coltura di FIV possono inoltre interagire, come HIV-1, con il corecettore cellulare CXCR4 (Richardson et al., 1999; Willett et al., 1997).

In seguito alla fusione dell’envelope con il plasmalemma, ad opera della TM, il virus penetra all’interno della cellula; nel citoplasma, si ha la disgregazione del capside, quindi la retrotrascrizione del genoma virale da RNA a DNA, prima a singolo e poi a doppio filamento.

Il DNA virale a doppia elica, associato ad alcune proteine del virus (che costituiscono il cosidetto pre-integration-complex), migra nel nucleo dove, ad opera dell’IN, viene inserito nel genoma della cellula ospite in un sito casuale. L’integrazione porta alla formazione del provirus che può instaurare uno stato di lisogenia o, nell’infezione produttiva, esprimersi attivamente. In questo caso la trascrizione del provirus, avviene ad opera della RNA polimerasi II cellulare; come detto in precedenza, viene prodotto un trascritto primario che può essere utilizzato sia come genoma virale (che viene poi incorporato nel capside della progenie virale) sia come mRNA per la traduzione della poliproteina Gag-Pol. In alternativa, questo RNA viene processato, mediante splicing alternativi, per produrre mRNA codificanti per le proteine ORF-A e Rev (per doppio e triplo splicing) e per le

(11)

glicoproteine dell’envelope e per Vif (singolo splicing) (Fig. 1.3). Tutti questi trascritti sono trasportati nel citoplasma ed espressi secondo un preciso ordine temporale, permettendo alle relative proteine di essere sintetizzate nella sequenza richiesta dalla fase del ciclo di replicazione virale. Al termine del ciclo di infezione le proteine vengono assemblate nel citoplasma ed il virus è rilasciato dalla cellula per gemmazione.

1.6 EPIDEMIOLOGIA

FIV è, oggi, ampiamente diffuso in tutto il mondo, con tassi di incidenza dell’1% in Europa centrale e USA, 21% in Australia, 30% in Giappone (Carpenter et al., 1998; Ishida et al., 1989; Malik et al., 1997). La principale modalità di trasmissione virale sembra essere il morso; infatti, la più alta incidenza d’infezione è stata osservata in gatti randagi con comportamenti aggressivi e nei maschi rispetto alle femmine (Bandecchi et al., 1992). A conferma di tali osservazioni, il virus è stato rilevato nella saliva di gatti naturalmente o sperimentalmente infettati (Yamamoto et al., 1989).

La trasmissione sessuale e il contagio per stretto contatto con animali infetti sembrano probabili ma non sono stati chiaramente documentati (Ueland and Nesse, 1992).

E’ stata, invece, dimostrata la trasmissione verticale durante la gravidanza di gatte infettate sperimentalmente (Jordan et al., 1996); questa forma di contagio non avverrebbe attraverso l’allattamento, come per HIV nell’uomo, ma attraverso la placenta (Harbour, 1992).

(12)

La trasmissione sperimentale è più efficiente per via parenterale o sottocutanea ma può avvenire anche per via mucosa con dosi di virus infettante più elevate (Matteucci et al., 2000).

1.7 VARIABILITA’ GENETICA DI FIV

La variabilità dei retrovirus ha importanti implicazioni non solo sulla diversità e sulla evoluzione virale, ma anche su virulenza, patogenesi e possibilità di sviluppare farmaci e vaccini efficaci (Mansky, 1998).

L’alto tasso di errore dell’RT e la mancanza di meccanismi di riparazione durante tutti gli stadi di replicazione del genoma virale appaiono i principali fattori responsabili dell’ipervariabilità osservata per i lentivirus. Nel caso di HIV, anche l’alta velocità di replicazione è sicuramente un’importante causa di variabilità (Coffin, 1995).

Le porzioni variabili e conservate all’interno del genoma sono facilmente riconoscibili dall’allineamento di isolati primari prelevati a tempi successivi dallo stesso ospite o di ceppi circolanti in natura.

All’interno di una stessa proteina è possibile distinguere regioni più variabili o conservate. Un classico esempio è dato dalla proteina Env di FIV che, come già detto, presenta un’elevata variabilità che però è particolarmente alta in alcuni segmenti chiamati regioni ipervariabili (Morikawa et al., 1991; Pancino et al., 1993). Confrontando le sequenze, gli isolati di FIV sono stati suddivisi in cinque sottotipi diversi, denominati con le lettere dell’alfabeto da A ad E, la cui prevalenza varia nelle diverse aree geografiche considerate. Ceppi appartenenti al sottotipo A sono presenti soprattutto in California e in Europa (Kakinuma et al., 1995; Sodora et al., 1994), il sottotipo B in Giappone, USA ed Italia (Bachmann

(13)

et al., 1997, Pistello et al., 1997), il sottotipo C include isolati dell’Inghilterra, Columbia e Canada (Bachmann et al., 1997), il sottotipo D è presente soprattutto in Giappone (Kakinuma et al., 1995), mentre il sottotipo E comprende isolati sud-americani (Pecoraro et al., 1996). La divergenza nelle sequenze nucleotidiche env di virus appartenenti a sottotipi diversi varia dal 18% al 26%, mentre all’interno di uno stesso sottotipo, la variazione diminuisce fino al 3-15%. E’ stata riportata, infine, una variabilità intrasoggetto del 4% (Sodora et al., 1994).

Il monitoraggio dell’evoluzione di FIV sembra inoltre suggerire che i sottotipi A e C sono più patogeni rispetto al B; il sottotipo A determina, infatti, gravi disordini neurologici (Dow et al., 1990), mentre il C causa una grave sindrome da immunodeficienza che determina la morte dell’animale (Diehl et al., 1995). Al contrario, il sottotipo B sembra evolvere con velocità ridotta rispetto ad A e C, suggerendo un maggior equilibrio del sottotipo B rispetto agli altri due (Bachmann et al., 1997).

1.8 CARATTERISTICHE PATOGENETICHE

L’infezione con FIV provoca nel gatto, suo ospite naturale, una sindrome molto simile all’immunodeficienza indotta nell’uomo da HIV-1 (Pedersen et al., 1987); è una malattia progressiva che interessa diversi organi e persiste per tutta la vita dell’animale.

Anche nell’infezione da FIV è possibile riconoscere una fase acuta con lieve sintomatologia a cui segue una lunga fase di latenza clinica. I sintomi cominciano, in genere, a comparire a distanza di molti anni dall’infezione primaria e le manifestazioni tipiche della fase conclamata terminale, denominata AIDS felino o FAIDS in analogia con la sindrome umana,

(14)

includono linfoadenopatia, infezioni secondarie opportunistiche, disordini neurologici e varie patologie neoplastiche (Bendinelli et al., 1995; Ishida and Tomoda, 1990). A seconda della gravità della malattia i gatti possono vivere mesi o anni, ma la mortalità è comunque elevata. Caratteristica distintiva dell’infezione è, come nel caso di HIV-1, un progressivo declino nel numero dei linfociti T CD4+,con conseguente inversione del rapporto

CD4/CD8.

Queste anormalità conducono progressivamente ad un danneggiamento delle funzioni immuni con alterazioni a carico soprattuttto della popolazione T-helper (Siebelink et al., 1990; Torten et al., 1991). La deplezione dei CD4+ è speculare al livello di replicazione di

FIV (Fig. 1.5): si ha infatti un brusco abbassamento nel numero dei CD4+

durante la fase acuta dell’infezione, a cui segue un parziale recupero nella fase di latenza clinica ed un lento e graduale declino nelle fasi tardive (Bendinelli et al., 1995; Dua et al., 1994).

1.9 LA RISPOSTA IMMUNITARIA

Le risposte immunitarie evocate da FIV comprendono una risposta cellulo-mediata ed una risposta umorale. La prolungata latenza clinica osservata, che coincide con una ridotta attività replicativa del virus, suggerisce che la risposta immune, nel suo complesso, contribuisca a mantenere sotto controllo l’infezione ma sia inefficace nella sua eradicazione (McMichael and Phillips, 1997).

La risposta umorale è diretta principalmente verso determinanti di Gag ed Env e rimane elevata per tutta la vita dell’animale (Egberink et al., 1990; Hosie and Jarrett, 1990). Nei gatti infettati sperimentalmente la

(15)

sieroconversione è stata osservata a 3-5 settimane dall’infezione, con la comparsa di una risposta anti-Env seguita dalla comparsa di anticorpi specifici per Gag (Avrameas et al., 1993; Rimmelzwaan et al., 1994). Nel siero degli animali infettati è stata rilevata la presenza di anticorpi neutralizzanti rivolti verso le glicoproteine di supeficie, ma, con la prolungata replicazione in vivo del virus, si assiste alla comparsa di un preciso pattern di mutazioni nel gene env che conferisce al virus un fenotipo resistente alla neutralizzazione (Bendinelli et al., 2001; Giannecchini et al., 2001).

I principali effettori della risposta immune cellulo-mediata sono i linfociti T citotossici (CTL), essenziali per l’eliminazione delle cellule infette. La risposta citotossica FIV-specifica insorge molto precocemente, essendo rilevabile già a 2 settimane dall’infezione (Beatty et al., 1996). Questa risposta, inoltre, presenta una caratteristica distribuzione tissutale che varia con la progressione della malattia: l’attività CTL è evidente nel sangue periferico durante l’infezione primaria, ma diventa più facilmente rilevabile nei linfonodi e nella milza ad un anno dall’infezione (Flynn et al., 1996). La dimostrazione di un’attività CTL in questi tessuti, conosciuti essere per HIV i siti principali di replicazione virale, potrebbe riflettere il tentativo da parte del sistema immune dell’ospite di controllare la diffusione dell’infezione virale (Willett et al., 1997).

FIV e HIV hanno evoluto meccanismi simili per evadere la sorveglianza immunitaria e persistere nell’ospite. Tra i principali meccanismi di persistenza chiamati in causa vi sono infatti l’infezione di cellule del sistema immunitario, la bassa sensibilità del virus all’azione neutralizzante degli anticorpi, la presenza di reservoir d’infezione come i macrofagi e l’elevata variabilità genetica del virus.

(16)

1.10 PRINCIPALI OSTACOLI ALLO SVILUPPO DI UN VACCINO RETROVIRALE

Uno degli obbiettivi più importanti in ambito microbiologico è quello di eradicare, o quanto meno, controllare la diffusione dell’AIDS. Con l’identificazione dell’agente eziologico della malattia, HIV, sembrava che un vaccino fosse realizzabile in breve tempo. La strada si è, invece, dimostrata molto più ardua del previsto rivelando numerosi ostacoli da superare. Uno dei più rilevanti problemi è costituito dalla elevata variabilità dei lentivirus (§ 1.7); come detto in precedenza, confrontando le regioni ipervariabili del gene env, gli isolati di FIV sono stati suddivisi in cinque sottotipi, da A ad E, la cui prevalenza varia nelle diverse aree geografiche considerate.

Per HIV sono stati invece identificati tre gruppi: il gruppo M (major), il gruppo O (outlier) ed il gruppo N (new o non-M, non-O). Al gruppo M, il più diffuso, appartengono quei virus che sostengono il 99% delle infezioni che si verificano attualmente nel mondo ed è, a sua volta, suddiviso in almeno nove sottotipi o clade (da A a K); tra questi, i sottotipi E ed I sono stati recentemente riconsiderati come ricombinanti intersottotipo (circulating recombinant forms, CFRs) e rinominati, rispettivamente, CRF01-AE e CRF04-cpx (Burton et al., 1994; McCutchan, 2000). Per HIV, la divergenza nelle sequenze nucleotidiche env di virus appartenenti a gruppi diversi può arrivare fino al 47%, mentre in sottotipi differenti la variazione è fino al 26%.

Per quanto riguarda la distribuzione geografica dei diversi sottotipi, si può osservare che il sottotipo B è diffuso prevalentemente in Europa, America ed Australia (Kuiken et al., 1999), il C è prevalente in Sud Africa

(17)

ed in India (McCutchan, 2000), i sottotipi A e D sono causa di malattia per un gran numero di persone nell’Africa Centrale ed Orientale; infine, i restanti sottotipi, che infettano un numero esiguo di persone, sono diffusi nell’Africa Centrale ed in Sud America.

Si registra continuamente l’aumento di ceppi ricombinanti intersottotipo sia per FIV (Reggeti and Bienzle, 2004) che per HIV (Heyndrickx et al., 2000; McCutchan et al., 1999) e ciò comporta una variabilità antigenica ancora più elevata; l’insorgenza delle CRF è da non sottovalutare in quanto esse a volte possono rimpiazzare i ceppi parentali in una determinata area geografica.

L’esistenza sia per HIV che per FIV di molteplici ceppi altamente divergenti è un aspetto importante da considerare nel disegno di un qualsiasi vaccino.

Diversi studi hanno infatti mostrato che vaccini efficaci contro isolati di FIV omologhi o leggermente eterologhi non sono in grado di offrire protezione contro isolati più distanti (Yamamoto et al., 1993).

Incoraggianti risultati sono stati invece ottenuti vaccinando gatti con due ceppi FIV, appartenenti ai sottotipi A e D, poiché essi si sono mostrati protetti sia da infezioni con virus omologhi che da virus eterologhi derivati “ex vivo” (Pu et al., 2001).

Tutto questo suggerisce che i futuri vaccini dovranno essere allestiti da un lato combinando ceppi appartenenti a sottotipi diversi e dall’altro tenendo conto della costituzione antigenica dei virus circolanti nelle regioni geografiche in cui i vaccini verranno utilizzati (Gao et al., 1998; Pistello et al., 1997; Willett et al., 1997).

I due virus, tuttavia, non variano solo nella popolazione ma anche all’interno del singolo animale o individuo infettato, originando molte

(18)

quasispecie e aumentando le difficoltà per l’allestimento di un vaccino efficace e di lunga durata.

Nonostante una robusta e duratura risposta immune, sia di tipo cellulo-mediata che umorale, l’infezione non viene eradicata in quanto da un lato FIV e HIV colpiscono direttamente le cellule del sistema immunitario e dall’altro hanno escogitato diverse strategie per eludere la sorveglianza immunologica (Appay and Rowland-Jones, 2002; Burton et al., 2001).

La variabilità antigenica è anche il risultato di una pressione selettiva esercitata dalla risposta umorale dell’ospite e si manifesta nell’insorgenza, durante il corso dell’infezione virale, di “escape mutants” ossia di nuove varianti virali resistenti alla neutralizzazione e ai CTL (Parren et al., 1999). La comprensione del ruolo svolto dall’immunità dell’ospite nel caso di infezioni virali persistenti è ancora insufficiente. Dopo vari anni di ricerca, rimangono ancora numerose questioni da risolvere, come il ruolo esercitato dagli anticorpi antivirali ed il tipo di risposta immune che è preferibile ottenere con la vaccinazione ed il tipo di antigeni che un vaccino dovrebbe incorporare. Manca, o comunque non è stato ancora definito, un correlato di protezione, cioè un fattore cellulare, virale o immunologico la cui presenza correla con la resistenza all’infezione o la progressione della malattia.

In conclusione, comprendere le modalità con cui i lentivirus si replicano, sfuggono al sistema immunitario e provocano malattia così come conoscere la diversità e l’evoluzione virale nelle diverse aree geografiche, sono obiettivi da perseguire tenacemente per mettere a punto terapie antivirali adeguate e sviluppare vaccini efficaci. In questo ambito,

(19)

cloni molecolari di isolati virali rappresentano una risorsa insostitutibile nella pratica di laboratorio.

1.11 CLONI MOLECOLARI DI ISOLATI VIRALI: UN VALIDO CONTRIBUTO ALLA SPERIMENTAZIONE

I cloni molecolari di isolati virali sono ampiamente utilizzati e particolarmente utili per la produzione di proteine, vettori e per caratterizzare funzionalmente geni. Tali cloni, inoltre, se replicazione competenti, possono essere usati sia per chiarire i meccanismi di replicazione e patogenesi virale sia per la messa a punto di strategie vaccinali.

Molte delle informazioni su HIV e FIV sono state ottenute con studi condotti con cloni molecolari contenenti l’intero DNA provirale; ampiamente utilizzato per FIV, il p34TF10 contenente l’intero genoma del ceppo Petaluma di sottotipo A isolato in California (Olmsted et al., 1989; Pedersen et al., 1987; Talbott et al., 1989); ben noti anche il pPPR contenente il DNA provirale del ceppo PPR, anch’esso di sottotipo A e isolato a San Diego, California (Phillips et al., 1990), TM1 e TM2 contenenti il genoma di ceppi di sottotipo B isolati in Giappone (Maki et al., 1992; Miyazawa et al., 1991) ed, infine, FIV-36 contenente il DNA provirale del ceppo CABCpady00C isolato in Canada (de Rozieres et al., 2004).

Per HIV, sono attualmente disponibili soprattutto cloni molecolari di isolati di gruppo M appartenenti al sottotipo B (ovvero quelli prevalentemente utilizzati; Adachi et al., 1986) e D (Myers et al., 1996; Peden et al., 1997).

(20)

Come detto in precedenza, data l’elevata variabilità genetica di HIV, l’ampia diffusione in tutto il mondo di ceppi altamente divergenti e le relative implicazioni che questa diversità virale ha sulla possibilità di sviluppare farmaci e vaccini efficaci, negli ultimi anni, si è concretizzata la necessità di caratterizzare anche isolati HIV non appartenenti al sottotipo B così come di investigare l’evoluzione virale dei ceppi circolanti nelle varie aree geografiche dove l’infezione è diffusa.

A tal scopo, recentemente, è stata osservata una notevole spinta verso la costruzione di cloni molecolari infettanti di isolati HIV di sottotipo A (Rodriguez et al., 2005), C (Grisson et al., 2004; Ndung’u et al., 2001; Novitsky et al., 1999), D (Novelli et al., 2002), di gruppo 0 (Tebit et al., 2004) e di ceppi ricombinanti CRF02.AG, diffusi in Africa Centrale e Orientale (Kusagawa et al., 2001; Tebit et al., 2003), CRF03-AB, isolati in Russia (Masharsky, 2003), CRF01-AE, prevalenti in Thailandia (Mukai et al., 2002; Salminen et al., 2000).

Tutti questi cloni stanno trovando applicazione per chiarire le caratteristiche patogenetiche ed immunologiche e le velocità evolutive dei vari sottotipi.

Riferimenti

Documenti correlati

Nella seconda parte vengono invece forniti i dati riguardanti il numero di netizens che partecipano nel mercato dell’e-commerce, sottolineando il ruolo centrale

Per favorire ulteriormente la valorizzazione in chiave turistica delle attrattive culturali, ed evitare dunque una crescita eccessiva e sbilanciata, è possibile attuare

© The Author(s). European University Institute. Available Open Access on Cadmus, European University Institute Research Repository... The peculiarity of this period

parole by court), sentence for criminal offences that are not considered as such in Kosovo, and sentences for criminal offences that has been legitimately expunged from

In order to give at least thè flavour of thè constellation of interests and forces underlying thè Italian welfare state, we can briefly survey thè development

Essa è artificiosamente costruita dagli interventi sociali (laboratori di orientamento al lavoro, corsi di lingua, ecc.) che ancor oggi possono essere fatti all'interno degli

I Paesi dell’Unione Europea possono essere considerati dipendenti dalle esportazioni di gas naturale dalla Federazione Russa, in quanto principale fornitore di questa

Abstract: Cheneval and el-Wakil (2018c) defend referendums as a mechanism that allows a popular majority to express itself in situations where the standard channels of representative