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ANTICHITÀ E MEDIOEVO. STORIA DEL PADRE

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(1)

MASSIMILIANO STRAMAGLIA I NUOVI PADRI. PER UNA

PEDAGOGIA DELLA TENEREZZA , EUM, MACERATA, 2009

ANTICHITÀ E MEDIOEVO.

STORIA DEL PADRE

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CORNICE TEORICA

Pedagogia della famiglia

Pedagogia delle famiglie

Pedagogia delle relazioni educative familiari

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POSTULATI TEORETICI

Crisi dei valori di marca paterna e crisi della politica sono due facce della stessa medaglia.

Le moderne famiglie abbisognano del padre quale generatore di senso. Un padre “tenero”, infatti, incarna relazioni sociali centrate sul bene comune.

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L’IGNORANZA DELLA PATERNITÀ

Johann Jakob Bachofen conduce studi etnografici in Libia constatando come la paternità, nelle comunità pre- scientifiche, sia designata solo sulla base di una presunta somiglianza del figlio con il padre. Per tale ragione, egli definisce l’essere padre pura “finzione”.

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Secondo Dieter Lenzen e Jacques Dupuis, solo con il passaggio dal Paleolitico al Neolitico e con le pratiche di allevamento semilibero sorge la consapevolezza della paternità come processo fisiologico. L’errore compiuto da entrambi consiste nel considerare attendibili gli studi etnoarcheologici, che confondono le comunità pre- scientifiche con quelle primitive.

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Gli studi di Bronislaw Malinowski nelle Isole Trobriand, in Melanesia, dimostrano come presso queste comunità la discendenza si determini in linea materna (teoria dell’avuncolato). L’avuncolo, o zio materno, svolge il ruolo educativo e tutelare di padre a partire dall’adolescenza del figlio; ma il padre fisiologico, per quanto siano ignote le proprietà fecondative del liquido seminale, si occupa delle cure primarie.

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La couvade, ritenuta da Margaret Mead processo di imitazione del puerperio (periodo post partum), è riscontata in località ove il travaglio non implica la giacenza a letto della madre dopo il parto (Martin Greenberg descrive la couvade come meccanismo maschile di difesa nei confronti dell’invidia del neonato).

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Cohen e Bennet introducono la “teoria della base fisiologica del comportamento paterno”: a differenza degli altri mammiferi, il neonato necessita per lungo tempo di adeguate cure materne, impossibili da elargire in assenza di un padre che tuteli accortamente la madre.

L’atavica ignoranza della paternità, pertanto, riguarda l’inabilità a correlare processualmente fecondazione e nascita, ma non la messa in atto di adeguate e sollecite cure paterne.

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IL PADRE NELL’ANTICA GRECIA

Nel periodo classico (500-323 a. C.), l’antica Grecia conosce un’inedita forma di agoghè aristocratica, istituzionalizzata successivamente a Sparta: la pederastia iniziatica, o amore carnale tra erastès ed eròmenos. Una pratica paidetica culturalmente connotata: secondo Claude Calame, il rapporto tra uomini adulti e adolescenti di sesso maschile costituisce una forma di attualizzazione dell’ambiguità adolescenziale, e, attraverso la trasmissione simbolica dell’aretè, mira alla formazione spirituale dell’educando. Si tratta di una sorta di educazione virile in cui l’eròmenos apprende a confrontarsi con le doti belliche, morali, civili e politiche dell’erastès per impadronirsene.

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Il padre greco incarna il principio di autorità domestica e pubblica: nell’òikos, moglie, figli e schiavi sono sottomessi al dettame paterno, e il padre, una volta nell’agorà, dibatte tra pari. Per Aristotele, la democrazia in famiglia testimonierebbe addirittura della debolezza del potere maschile. Secondo Liliana Giacone, la preclusione dei diritti politici a donne, meteci (forestieri) e schiavi, attesterebbe come la polis greca sia solo apparentemente democratica. La grandezza della polis risiede nell’idea regolativa, individuata da Paul Veyne, di

“militanza”, di partecipazione; la democrazia ne è solo l’aspetto esteriore, formale, non già sostanziale.

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LA PATRIA POTESTÀ

Roma nasce dall’aggregazione di antiche comunità pastorali. Il mito della fondazione dell’urbe è narrato da Tito Livio, Catone e Plutarco. Esposti per ordine di Amulio re di Albalonga i figli illegittimi della nipote Ilia (dichiarati dalla stessa figli di Marte), i gemelli Romolo e Remo vengono allattati da una lupa e allevati dal madriano Faustolo e dalla moglie Larenzia. Romolo fonderà Roma nei pressi de “l’Etrusco Tevere”, luogo in cui fu abbandonato con il fratello gemello. Plutarco introduce accanto alla lupa, allegoria della madre, un picchio verde, animale caro a Marte e allegoria del padre, che protegge la lupa e i gemelli, li assiste e procaccia pezzetti di cibo. Il picchio è allegoria di colui che sfama e di colui che picchia.

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Il pater familias, infatti, detiene il patrimonium e la patria potestas su moglie, figli e schiavi. Tollere liberos è il gesto del padre che innalza al cielo il nuovo nato se riconosciuto legittimo (se non è gracile, deforme o nato da culpa). L’emancipazione del figlio avviene attraverso ex-mancipatio; fino al momento dell’emancipazione, il padre può esercitare su figli e schiavi lo ius vitae ac necis.

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Solo il pater familias gode dei diritti politici, ma per divenire pater non occorre contrarre iustae nuptiae:

basta emanciparsi, o attendere la morte dell’agnate. Una volta libero, sottolinea Matteo Marrone, il figlio è pater familias a prescindere dall’effettiva paternità.

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Il mestiere di padre, in sintesi, equivale al mestiere di cittadino, o all’acquisizione di uno stato di diritto. La tenerezza del padre, tuttavia, si riversa, secondo Paul Veyne, su figure filiali che non ambiscono, come i rampolli, a un patrimonium: il nipote (ritorna la figura avuncolare), così come il bambino schiavo o trovatello, da coccolare, a volte da amare (ritorna la pederastia iniziatica), o da favorire in segreto.

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IDEALIZZAZIONE E RICERCA DEL PADRE

Con l’avvento del Cristianesimo, i viaggi apostolici di Paolo materializzano la ricerca tipicamente umana di una Genitorialità Divina, resasi pensabile, in questa fase, a partire dalla datità storica del Salvatore. Paolo, come ogni figlio di Dio, si allontana dal Padre per tornare tra le braccia dello Stesso: l’essenza della paternità, in questa fase, è l’idealizzazione.

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Il primo miracolo compiuto dal Salvatore è narrato da Giovanni ed è a noi pervenuto come miracolo di Cana.

Tramutando l’acqua nel vino, Cristo ricorda il primato della letizia sponsale come impegno inderogabile per i nubendi: la sollecitudine alla festosità, nella tradizione cristiana, è carattere irrinunciabile per la famiglia, perché santificare le feste è godere della comunione con Dio.

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La diffusione del Vangelo incontra non poche resistenze da parte delle dottrine ereticali, prima tra tutte la gnosi, la cui principale corrente fu il manicheismo.

Mentre il Cristianesimo ortodosso rimette nelle mani di Dio la speranza nell’eterna salvezza, la dottrina manichea riporta nella sfera dell’intelligibile la possibilità di riappropriarsi del Vero. Le persecuzioni che caratterizzano i primi tre secoli della storia del Cristianesimo riflettono le controversie tra il Credo Nascente e le pretese universalistiche dello Stato romano, ma le conflittualità non arrestano lo sviluppo del potere della Chiesa.

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Tra gli scrittori ortodossi e i Vescovi che contribuiscono a diffondere il messaggio cristiano, o Padri della chiesa, Sant’Ignazio, Vescovo di Antiochia (I secolo d.C.-107) designa il Vescovo, alla pari del Cristo, vicario di Dio in terra.

Dal III sec. d. C., non a caso, la gerarchia ecclesiastica riserverà, dapprima a tutti i vescovi e successivamente al solo Vescovo di Roma, l’appellativo di Papa come rappresentante di Dio in terra.

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Il processo di spiritualizzazione della figura paterna trova massimo compimento nelle Confessioni di Sant’Agostino (354-430 d.C.), Padre della Chiesa latina e Vescovo di Ippona.

Si tratta di un’opera copiosa in cui il Santo ripercorre le tappe della conversione al Cristianesimo appellandosi al suo Papà celeste con spirito solenne e infantile assieme.

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PARENTALITÀ E PARENTALISMO

Lo studio delle dinamiche parentali dell’età di mezzo – che suddividiamo in due fasi: secoli bui (dal V al X sec.

d. C.) e medioevo pieno (dal X al XV secolo) – consente l’individuazione di due costanti storiche fondamentali per la comprensione delle attuali compagini domestiche.

La prima concerne la parentalità.

La seconda il parentalismo.

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La prima costante emerge da una attenta lettura delle ricerche francesi e italiane e concerne la centralità della coppia coniugale all’interno della categoria storica di parentado, o comunità familiare allargata. La famiglia formata da padre, madre e figliolanza risulta fondamentale per comprendere la trama delle relazioni familiari allargate tipiche del medioevo. La solidarietà parentale tra cognati, compari e confratelli, sia nelle città che nelle campagne medievali, ruota intorno a famiglie nucleari che compongono la famiglia allargata del parentado dall’età romanobarbarica (secolo V) all’età feudale (dal secolo IX al secolo XIII).

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Valori familiari dell’età di mezzo sono la pace e l’onore, e spesso i matrimoni compongono l’unione tra famiglie in una società minacciata dalle faide e dal ricorso alle armi. La moglie si pone, pertanto, quale anello di congiunzione tra un lignaggio e l’altro. Il parentado garantisce mutuo soccorso tra famiglie e vicinato. A seconda del ceto sociale di appartenenza, famiglie e vicinati cooperano per il perseguimento di un obiettivo comune: la decima per il contado, il profitto per i grandi signori feudali, e il nomen per gli aristocratici.

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La seconda costante storica è individuabile sulla scorta della ricostruzione di Dominique Barthélemy, che definisce matrimoni politici le unioni atte a comporre i dissidi tra i grandi signori feudali. La conservazione del lignaggio è una costante dell’età di mezzo e coinvolge direttamente i privilegi dei patres. Tuttavia, ridurre le dinamiche familiari al parentalismo finirebbe per gettare ombra sulle dinamiche parentali stesse.

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Il medioevo, infatti, non è propriamente caratterizzato da matrimoni politici, ma da un vero e proprio politicismo matrimoniale: non da eventi tipicamente familiari, ma da un movimento corporativistico di più ampio spessore; non dalla composizione di alleanze, ma dalla messa a punto di strategie; non dal primato della parentela, ma da quello del lignaggio. In sintesi: non dall’emergere della famiglia, ma dall’affermarsi del padre.

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LA FERITA DEL CAVALIERE

Con l’avvento del sistema feudale (secolo IX), il nutrito (cum panis), figlio naturale o spirituale di un signore, riceve da questi una spada. L’investitura del cavaliere avviene mediante inginocchiamento dinanzi al padre naturale o adottivo; questi sortisce un colpo violento sulla spalla del figlio per saggiarne la resistenza. Dopo il rituale, il padre finanzia una tournée della durata di uno o due anni che conduce il cavaliere a errare per ottenere conquiste e liberarsi del giovanile ardore. Al ritorno, il cavaliere entra in urto con il padre e lo sfida apertamente, circondandosi dei compagni di ventura.

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Il padre, in termini simbolici, assume il carattere persecutorio della società medievale (governata dalla paura di cataclismi, guerre, epidemie, carestie, pestilenze) per obbligare il figlio alla nascita sociale.

La ferita paterna consente al cavaliere di spostare la paura dell’ignoto sul padre persecutore e di inseguire, pertanto, un proprio destino. Il signore è colui che fornisce al figlio la corazza (il non-detto della spada) per affrontare la sfida aperta dell’avventurarsi per il mondo.

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MORALITÀ, INTELLETTO, MESTIERE

La scelta monastica, in età medievale, è dettata da specifici motivi di natura patrimoniale: un erede in meno è una minaccia in meno all’ordine costituito. Per tale ragione, tra il VI e il IX secolo, l’esistenza del padre di famiglia si conclude sovente in un monastero: attraverso l’abito monastico, il padre si eleva a Padre garantendosi non solo la commemorazione filiale, ma pure la benevolenza delle comunità religiose.

Paternità come apprendistato morale: questo il nucleo fondante i rapporti di consorzialità tra parentadi e monasteri in epoca medievale.

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La sacralità dei monasteri è riprodotta minuziosamente all’interno della casa nobiliare toscana tardomedievale:

il padre, custode della tradizione, detiene all’interno della dimora uno studio privato in cui conserva memoriali – le famose ricordanze dei padri di famiglia – e vari documenti di grande valore per la perpetuazione della storia familiare. In questo santuario domestico, il padre tesse le lodi della dinastia con uno sguardo attento alla posterità: il padre, ovvero la Memoria, l’Intelletto.

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La terza forma di consorzialità, insieme a quella tra parentadi e monasteri e “tra generazioni”, è il rapporto che viene a istituirsi tra famiglie nella forma tipicamente medievale dell’apprendimento del mestiere. L’adolescente della classe artigiana, infatti, è spinto a formarsi “fuori del nido” e a condividere vita privata e mestiere con un padrone che assume il ruolo di tutore e di modello da emulare (apprendimento per imitazione).

Il garzone, in sintesi, è temporaneamente adottato da estranei:

presta servizio domestico all’interno della nuova casa e apprende osservando il padrone, atto a fornire gli strumenti del mestiere (la spada del cavaliere).

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IL PADRE, DETENTORE DEL CULTO

Il tardo medioevo conosce lo sviluppo di una religiosità intimistica della quale il padre di famiglia diviene principale detentore: la formazione spirituale, in altri termini, diviene un affare di famiglia.

Il padre di famiglia riunisce l’intera comunità familiare, legge ad alta voce i Testi Sacri, insegna ai bambini a pregare. La figura di Dio Padre, in estrema sintesi, è personificata dal padre, e la dottrina perde il suo carattere pubblico di comunione dei fedeli.

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IL CULTODELLA VERGINE

L’antico germanesimo, fondato sull’ideologia della razza pura, prescrive alla donna la preservazione della propria verginità sino alle nozze, sistematicamente indotte, e condanna l’adulterio femminile con pene corporali di una violenza inaudita.

In linea diacronica, il tardo medioevo sviluppa il culto della Vergine Madre, imposto alle donne come simbolo di purezza.

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La nascita del culto mariano, secondo Dieter Lenzen, consente una mediazione tra il divino e l’umano laddove il ritorno del Cristo tarda a compiersi;

secondo un’interpretazione materialistica del fenomeno, legittima l’atavismo germanico del culto della purezza rinnovatosi in età tarda come elogio dell’onore;

infine, in chiave neo-personalistica, la Tenerezza della Vergine Madre e il suo Sì alla chiamata del Padre ne fanno la coraggiosa incarnazione della Tenerezza di Dio.

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LA PROGETTUALITÀ LIBERANTE

Fornendo al figlio la corazza (cuore e coraggio) ed educando la figlia al coraggio vocazionale (pur sempre cuore e coraggio), i nuovi padri scelgono di educare alla progettualità liberante.

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