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«Mio figlio, ingannato con uno stage» Troppi abusi, vanno fortemente limitati

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Academic year: 2021

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LA TRISTEZZA A MIRAFIORI PUÒ TRASFORMARSI IN POESIA Gentile direttore,

la tristezza a Mirafiori è un diritto da rivendicare per le vite ferite che cercano di guarire, perché non sia-mo macchine ineccepibili: siasia-mo vivi. Eppure la tristezza è un crina-le ai cui lati stanno l’indifferenza e la disperazione, che paralizzano l’i-niziativa e l’impegno. È un senti-mento che ti precipita addosso quando vedi la solitudine che ti cir-conda, l’afonia dei saluti intrappo-lati nella gola, il punto cieco della vita dove la perdita della speranza di un senso ti blocca e ti fa rimane-re fermo, facendoti caderimane-re nell’a-patia. Eppure se si sta sul crinale della tristezza si può riconoscere un sintomo che è anche inizio di gua-rigione: la tristezza profonda deve portare al riscatto perché non si

de-ve sempre perdere, non sempre, non per sempre. È così che Sara con i suoi tre bambini ha lasciato la sua fredda roulotte per una stanza dal-le suore di Madre Teresa e a feb-braio con il reddito di cittadinanza spera di poter trovare anche una casa in affitto. È così che Enzo do-po mesi di disoccupazione “totale-globale” ha trovato un piccolo con-tratto di lavoro che lo «tira su di mo-rale». È così che Mario ha smesso di pensare solo ai suoi problemi e si è messo al servizio degli altri e «sì so-no più sereso-no», mentre Rosa ha pre-so il suo primo stipendio dopo 15 anni e vuole offrire da bere a tutto il quartiere. Sono percorsi solitari, fiorellini deboli, deboli, espressio-ni e respiro di un’attesa perché la tristezza a Mirafiori non è solo una connessione neurale, ma poesia.

Fabrizio Floris

«BABY-BOSS ONORATI COME SANTI» COSÌ LO STATO GETTA LA SPUGNA Gentile direttore,

ho letto con dolore l’articolo inti-tolato «Baby-boss onorati come santi». Ho vissuto e studiato fino al 1990 a Napoli, e da circa 30 anni ho trovato altrove un lavoro adeguato ai sacrifici fatti preparandomi. Leg-gendo l’articolo mi è risuonata in mente la canzone di De André «Don Raffae’», là dove dice che lo Stato «si costerna, s’indigna, s’im-pegna e poi getta la spugna con gran dignità». E mi chiedo se ab-biamo noi, come Stato, ancora il di-ritto di parlare e di vietare a quella gente, e sono interi quartieri, che abbiamo lasciato vivere di espe-dienti nella criminalità per decen-ni. Grazie.

Patrizio Conte

Novara

Vite digitali

a qualche mese, nel mondo digitale ci sono venti persone che hanno un potere enorme. Sono dieci uomini e dieci donne. Provengono dall’Australia, dallo Yemen, dalla Colombia e dall’India. Ma anche dal Brasile e dall’Africa, dalla Gran Bretagna e dall’Indonesia. Cinque arrivano dagli Stati Uniti d’America, tre sono europei. Nessuno è italiano.

Sono il Consiglio di sorveglianza del gruppo Facebook. Cioè, l’organismo di vigilanza chiamato a prendere le decisioni sui casi più importati relativi alla libertà di opinione e alla moderazione dei contenuti su Facebook e Instagram. Le loro decisioni toccano le vite di 3,5 miliardi di persone, cioè di tutti gli utilizzatori dei due social.

Da quando Mark Zuckerberg ha avuto l’idea di nominarli («perché Facebook è diventato troppo grande per prendere delle decisioni così importanti da solo»), ci sono voluti due anni per scegliere i quattro presidenti e altri cinque mesi perché loro scegliessero gli altri 16 componenti. I presidenti sono l’ex giudice federale

statunitense ed esperto di libertà religiosa Michael McConnell, l’esperto di diritto costituzionale Jamal Greene, l’avvocato colombiano Catalina Botero-Marino e l’ex primo ministro danese Helle Thorning-Schmidt.

Gli altri membri annoverano avvocati, giuristi, giornalisti (tre, tra cui l’ex caporedattore del Guardian) e perfino l’ex direttore generale del ministero della Giustizia israeliano. Ci sono personalità come András Sajó, già nella Corte europea dei diritti dell’uomo e il direttore di Internet Senza Frontiere Julie Owono; l’attivista yemenita e Premio Nobel per la pace Tawakkul Karman e l’avvocato pakistano e attivista di Internet (gestisce l’organizzazione Digital Rights Foundation) Nighat Dad.

Ciascun membro rimarrà in carica per un periodo di tre anni e potrà ricoprire il ruolo un massimo di tre volte. Quando il Comitato di controllo sarà davvero al completo i membri saranno quaranta. Nel frattempo, la

commissione dei venti, il 22 ottobre scorso, ha iniziato ufficialmente i suoi lavori.

Già, ma come fa un Comitato così a garantire la sua indipendenza da un colosso come

Facebook? «Il Comitato è un ente separato dall’azienda ed è finanziato da un trust

indipendente». Ma che autorità effettiva ha? «Il Comitato dispone dell’autorità per decidere se Facebook e Instagram dovrebbero consentire o rimuovere certi contenuti. Le decisioni che prende sono vincolanti per Facebook, purché la loro attuazione non violi la legge».

Il Comitato è chiamato anche a rappresentare la voce degli utenti. Come? «Le persone avranno la possibilità di contestare le decisioni sui contenuti di Facebook e Instagram,

sottoponendole al gruppo». Le decisioni finiranno pubblicate, insieme a report annuali, sul sito del Comitato e in più lingue

(www.oversightboard.com ).

Per rendere ancora più difficile la vita del Comitato di controllo (che avrà delle belle gatte da pelare) è stato fondato in opposizione un Real Facebook Oversight Board (cioè, un «vero comitato di controllo su Facebook»).

Ovviamente non ha avuto alcun

riconoscimento dall’azienda, ma ne fanno parte figure come Shoshana Zuboff, l’autrice di «Il capitalismo della sorveglianza», Toomas Henrik Ilves, ex presidente dell’Estonia, e Maria Ressa, giornalista filippina invisa dal regime e attualmente in carcere.

Contestare il Comitato di controllo di Facebook, in fondo, è molto facile. Ogni giorno sui social si fa di peggio. Anche su questioni molto più delicate. Ma a me resta una domanda, che mi permetto di girarvi: cosa farei e come mi comporterei se anche da me dipendesse la libertà di espressione di 3,5 miliardi di persone?

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Se la «libertà social»

dipende da 20 persone

GIGIO RANCILIO

WikiChiesa

ei post dei miei amici digitali, che in maggio-ranza conoscono il Vangelo e cercano di met-terlo in pratica, il rapporto genitori-figli emerge pre-valentemente in due modalità. Vi sono madri e pa-dri che testimoniano l’amore per i propri figli rac-contando, in chiave spesso umoristica, l’avventura della loro crescita, a volte fino al completamento degli studi o all’eventuale matrimonio. E vi sono fi-glie e figli che testimoniano, in chiave spesso ma-linconica, l’amore per i propri genitori quando que-sti sono in età avanzata, fino all’estremo saluto e ol-tre, in memoria. A fronte di questo panorama mi ha fortemente colpito, per il suo andare controten-denza, il fatto che un amico quasi ottantenne abbia postato sul suo profilo Facebook, qualche giorno fa, questo telegrafico consuntivo: «Un solo capitale: i figli». L’autore, del quale non farò il nome perché il

suo post non è visibile ai non-amici, mi è molto ca-ro e mi è stato due volte maestca-ro. Nella fede, insie-me alla moglie, avendo mostrato alla giovane cop-pia che eravamo la bellezza e non avendoci nasco-sto la fatica di una Chiesa domestica feconda di cin-que figli. Nel lavoro editoriale, svolto con una pas-sione tale che i molti volumi di documenti eccle-siali di cui è stato curatore venivano additati come la sua seconda prole. Egli illustra la sua affermazio-ne con un popolare brano di Khalil Gibran, quello in cui “il Profeta” ammonisce: «I vostri figli non so-no figli vostri» e prosegue descrivendo le madri e i padri come «l’arco dal quale, come frecce vive, i vo-stri figli sono lanciati in avanti». Le parole di Gibran, autore cristiano che era famoso anche prima, nel tempo della Rete sono diventate alla portata di tut-ti, anche per la facilità con la quale i suoi scritti si a-dattano alle forme frammentarie dei testi digitali. Quelle dell’amico che ho citato sono riservate a u-na manciata di suoi corrispondenti digitali. Ma la le-zione che contengono non è meno preziosa di quel-la del “Profeta”.

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N

GUIDO MOCELLIN

Tra i post di genitori e figli

un amico in controtendenza

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LETTERE E IDEE

Venerdì 29 gennaio 2021

Le parole della Sacra Scrittura non sono state scritte per restare imprigionate sulla carta,

ma per essere accolte da una persona che prega, facendole germogliare nel proprio cuore.

#Preghiera #ParoladiDio

Papa Francesco

Avvenire, Piazza Carbonari, 3 - 20125 Milano. Email: lettere@avvenire.it; Fax 02.67.80.502

A voi la parola

«Mio figlio, ingannato con uno stage»

Troppi abusi, vanno fortemente limitati

aro direttore,

desidero raccontarle l’amara e-sperienza lavorativa di mio figlio trentaquattrenne: da dipendente a tem-po indeterminato per 13 anni presso u-na ditta di servizi antincendio... a stagi-sta senza alcuna tutela in una conces-sionaria di auto... a disoccupato. Stanco e preoccupato di dover apporre sui cartellini degli estintori la sua firma che attestava, come richiesto dai nuovi proprietari, servizi non effettuati, deci-de di lasciare il lavoro a tempo indeci-deter- indeter-minato per uno stage in una concessio-naria di note marche automobilistiche. Appassionato da sempre di motori ac-cetta il rischio di un contratto senza al-cuna tutela con la speranza di poter ac-quisire nuove competenze. Non è un

sal-C

a vicenda occorsa a suo figlio, gentile signora Botti-no, è emblematica di quella che potremmo definire la "trappola" degli stage. Il direttore mi chiede di ri-sponderle perché mi occupo da anni di tali questioni e le dico subito che lei ha già ben evidenziato i nodi che grava-no su questo importante strumento formativo, troppo spes-so oggi ridotto a semplice mezzo per abbattere il costo del lavoro, sfruttando chi è alla ricerca di un’occupazione. Gli stage infatti nascono nel 1997, previsti nel cosiddetto "Pac-chetto Treu", per favorire soprattutto il passaggio dall’i-struzione al lavoro, con una formazione che preveda in so-stanza di "imparare facendo". Da allora, però, sindacati e osservatori del mercato del lavoro hanno denunciato mol-te volmol-te come addirittura nel 90% dei tirocini si celino a-busi del diritto del lavoro. Tanto da sollecitare la riforma del 2017 e in particolare le Linee guida dello Stato alle Regio-ni, competenti in materia. Interventi che, però, hanno mi-gliorato solo marginalmente la situazione. Pur chiarendo i ruoli e le responsabilità dei soggetti interessati allo stage – datore di lavoro, ente promotore e tirocinante – l’inter-vento legislativo si è limitato infatti a fissare un tetto mas-simo alla presenza di stagisti (fino al 10% dell’organico per le aziende oltre i 20 dipendenti) e a prevedere l’obbligato-rietà di una indennità di partecipazione minima, fissata sempre dalle Regioni, per gli stage svolti al di fuori di un cor-so di studi. I tirocini così oggi poscor-sono essere rinnovati nel limite massimo di 12 mesi e, non essendo contratti di la-voro ma periodi di formazione professionale, prevedono per il datore di lavoro esclusivamente l’obbligo dell’assi-curazione anti-infortunistica mentre non sono previsti ver-samenti di contributi previdenziali, né il pagamento di pe-riodi di ferie, eventuale malattia, Tfr ecc. È chiaro che tut-to ciò li rende particolarmente "appetibili" per chi volesse assicurarsi manodopera a bassissimo costo e priva di tu-tele, tanto che nel 2018 (ultimo dato disponibile) gli stage accesi in un anno in Italia sono stati ben 350mila. Nel caso descritto dalla nostra lettrice, questa distorsione

sembra evidente e potrebbe anche essere oggetto di una va-lutazione da parte della magistratura, rimettendo all’esa-me dei giudici il progetto formativo, il mancato ruolo dei tutor, gli effettivi termini della prestazione e le contestazioni finali relative al "mancato coordinamento" di altri lavora-tori. Se venisse accertato che lo stage nascondeva una me-ra prestazione lavome-rativa anziché un’attività formativa, a fa-vore dello stagista scatterebbe il riconoscimento dell’esi-stenza di un rapporto di lavoro subordinato.

La scelta se adire le vie legali spetta ovviamente al prota-gonista di questa vicenda ma, sul piano generale, restano in campo tutti i dubbi e le legittime rimostranze eviden-ziate nella lettera. Secondo diversi osservatori gli stage do-vrebbero essere semplicemente aboliti, lasciando in vita solo i tirocini curricolari, promossi cioè all’interno di per-corsi universitari o di formazione professionale. Una scel-ta forse drastica, ma non certo priva di solide motivazioni, che potrebbe eventualmente prevedere un’eccezione: per-mettere stage in azienda esclusivamente ai giovani neet af-finché prendano contatto con il mondo del lavoro e si ri-attivino. Essenziali, però, anche in questo caso sarebbero i controlli. Come denunciano da tempo il professor Miche-le Tiraboschi e il centro studi Adapt, infatti, perfino sui por-tali pubblici come quelli collegati alla "Garanzia giovani" non si contano le inserzioni illegali di tirocini che nascon-dono in realtà la richiesta di personale per mere attività la-vorative, prive di formazione, spesso addirittura con ri-chiesta di "esperienza" nel settore. Mentre, per favorire realmente l’ingresso dei giovani nelle aziende, esiste già e andrebbe ulteriormente promosso il contratto di appren-distato nelle sue tre declinazioni: per conseguire un diplo-ma, professionalizzante o di alta formazione. Un vero con-tratto di lavoro a tempo indeterminato, ad alto contenuto formativo, comunque conveniente per le imprese grazie ai contributi ridotti e ai bassi livelli salariali, e che soprattut-to non nasconde "trappole".

© RIPRODUZIONE RISERVATA

L

MATTEO LIUT

Il santo del giorno

a fede è una forza che non solo sbaraglia la violenza del mondo ma cambia la storia convertendo all’amore vero il cuore delle donne e degli uomini di ogni tempo. Tra le tante storie dei martiri dei primi se-coli che testimoniano proprio la potenza del Vangelo c’è anche quel-la di san Costanzo, ritenuto dalquel-la tradizione il primo vescovo di Pe-rugia. La sua vicenda si colloca nel contesto della persecuzione scate-nata dall’imperatore Antonino Pio nel secondo secolo. Costanzo fu ar-restato da alcuni soldati e condot-to davanti al console Lucio per es-sere poi flagellato e gettato

nell’ac-qua bollente (o secondo altre fonti in una fornace). Da questo terribi-le supplizio, però, uscì indenne e perciò venne riportato in carcere. Anche lì la sua testimonianza di fe-de convertì le guardie, che fe- decise-ro di aiutarlo a fuggire dalla prigio-nia. Trovò rifugio presso un certo Anastasio, ma venne catturato nuo-vamente e rinchiuso prima ad As-sisi e poi a Spello. Infine venne de-capitato in una località presso Fo-ligno denominata "il Trivio"; il cor-po vene cor-poi cor-portato a Perugia. Altri santi. San Valerio di Treviri, ve-scovo (III-IV sec.); beata Boleslava Maria Lament, religiosa (1862-1946).

Letture. Romano. Eb 10,32-39; Sal 36; Mc 4,26-34.

Ambrosiano. Sir 44,1;49,11-12; Sal 47 (48); Mc 5,21-24a.35-43. Bizantino. Eb 10,32-38; Mc 9,33-41.

L

Costanzo di Perugia

Superò i supplizi,

convertì gli aguzzini

L’amara esperienza di un

34enne impegnato per un

anno in un tirocinio presso

una concessionaria di auto.

Pochissima formazione,

tanto lavoro e alla fine

nessun contratto.

Un classico esempio di

distorsione di uno strumento

nato per collegare studio e

attività pratica. Perciò

andrebbero aboliti

tutti i corsi extracurricolari

Botta e risposta

FRANCESCO RICCARDI

Caporedattore centrale di Avvenire

ver apprendere da solo, il suo incarico gli piace e lo svolge con impegno. Poi il lockdown: due mesi a casa senza remu-nerazione perché la ditta decide di non far lavorare da remoto. Impiega questo tempo per approfondire le conoscenze dei programmi: ore e ore di impegno re-galate. E si va avanti: dopo i primi sei mesi diventati otto a causa della pande-mia, lo stage viene rinnovato per altri sei mesi come concordato. Si arriva al 10 di-cembre, mancano solo dieci giorni alla firma del contratto promesso: la titola-re lo chiama e gli comunica che non in-tendono assumerlo perché non è stato in grado di creare un team e di coordi-nare i meccanici che lavorano lì da an-ni. In pratica secondo lei, lo stagista ul-timo arrivato avrebbe dovuto ricoprire un ruolo di coordinatore e di caposetto-re e dirigecaposetto-re persone con più esperien-za lavorativa.

Quale lo scopo di questo lungo raccon-to? Voglio denunciare l’uso improprio purtroppo molto diffuso dei contratti di stage perché consentono a datori di la-voro senza scrupoli di avere manodo-pera a costo zero. Voglio denunciare l’en-nesimo spreco di risorse pubbliche per-ché non finalizzate veramente alla for-mazione e all’inserimento lavorativo dei giovani. Voglio denunciare il completo disinteresse delle agenzie per il lavoro che fanno da tramite tra stagisti e a-ziende. Voglio denunciare la totale non-curanza e la mancanza di controllo del-la Regione Liguria che ha finanziato que-sto stage. Chi deve controllare? Chi tu-tela questi ragazzi? Dove sono i sinda-cati sempre più impegnati a garantire diritti acquisiti e non a tutelare chi è sen-za diritti? Mio figlio ha regalato 14 mesi della sua vita, ha perso 14 mesi di con-tributi previdenziali, non ha diritto alla disoccupazione né al reddito di cittadi-nanza... in pratica è diventato un invisi-bile. Quanti sono gli invisibili oggi in I-talia? In un Paese con un’allarmante cri-si demografica come più volte denun-ciato da questo nostro giornale, cosa si sta facendo per dare ai giovani quel mi-nimo di stabilità lavorativa che consen-te di poconsen-ter realizzare il sogno di avere dei figli? Se non sapremo urgentemente da-re risposta a queste domande siamo de-stinati a essere un Paese senza futuro. Un cordiale saluto.

Rosanna Bottino to al buio, nella ditta lavora già un suo

a-mico, i titolari garantiscono l’assunzio-ne a tempo indeterminato dopo i 12 me-si di stage: lui me-si fida e me-si lancia con pas-sione nel nuovo lavoro.

Le difficoltà emergono subito: nessuno lo affianca per insegnargli le sue man-sioni, come previsto per uno stagista, perché la persona che ricopriva il suo ruolo non lavora più lì da sei mesi. Sen-za esperienSen-za, con poche, saltuarie e frammentarie informazioni riesce fati-cosamente a districarsi nei programmi delle due case automobilistiche rappre-sentate, a riordinare il magazzino, insi-ste per fare almeno un corso sulle ga-ranzie. Nonostante l’enorme mole di la-voro che lo costringe a fermarsi ben ol-tre l’orario concordato e la fatica di

do-BATTUTO PER 92 MILIONI DI DOLLARI

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