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Coraggio e conoscenza

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Academic year: 2021

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Coraggio e conoscenza

Platone – da ‘Il Protagora’

"Stabilito ciò, Prodico e Ippia, Protagora ci giustifichi come le risposte di prima possano essere giuste secondo lui. Non mi riferisco alle prime risposte che ha dato; infatti in un primo momento aveva detto che, delle cinque parti della virtù, nessuna è simile all’altra, ma che ognuna ha una sua funzione. Non mi riferisco a questa affermazione, ma a ciò che ha detto in seguito. Infatti poi ha detto che quattro parti della virtù sono abbastanza simili fra loro, mentre una, il coraggio, si differenzia molto e ha aggiunto che io avrei potuto capirlo da questa dimostrazione: «Infatti, Socrate, troverai uomini che sono in tutto empi, ingiusti, sregolati e ignoranti, ma molto coraggiosi; da ciò riconoscerai che il coraggio è molto diverso dalle altre parti della virtù». E io subito mi meravigliai della risposta, e ancor più dopo che abbiamo discusso queste cose con voi. Di seguito gli domandavo se ritenesse audaci i coraggiosi; e quello: «Sì, e anche temerari».

Ricordi, Protagora, di aver risposto così?" Disse di sì.

"Su, spiegaci: di fronte a cosa i coraggiosi sono temerari? Alle stesse cose di fronte a cui i vili sono vili?" "No". "Allora di fronte a cose diverse?" "Sì". "I vili si dedicano a imprese sicure, mentre i coraggiosi a quelle pericolose?" "Socrate, così affermano i più". "È vero, ma non è questo che mi interessa. Di fronte a cosa tu affermi che i coraggiosi sono temerari? Di fronte alle imprese pericolose, sapendo che sono pericolose, o di fronte a quelle che non lo sono?" "In base ai nostri ragionamenti è stato dimostrato che la prima ipotesi è impossibile". "Anche questo è vero; infatti, se quello che abbiamo detto è giusto, nessuno va verso un pericolo che conosce, poiché è stato dimostrato che essere vinti da se stessi è ignoranza". Protagora era d’accordo.

"Invece tutti scelgono le cose in cui si sentono sicuri, sia i vili che i coraggiosi, così che sotto questo aspetto i vili e i coraggiosi si orientano verso le stesse cose".

"Però, Socrate, le cose verso cui si volgono i vili e i coraggiosi sono sotto molti aspetti differenti. Per esempio i coraggiosi vogliono andare in guerra, i vili no". "E’ bello o no andare in guerra?" "E’ bello". "Se dunque è bello, in base ai discorsi di prima è anche buono: infatti abbiamo convenuto che tutte le azioni belle sono anche buone". "E’ vero, e anche ora la penso così". "Va bene. Ma chi sono secondo te quelli che non vogliono andare in guerra, pur essendo una cosa bella e buona?" "I vili". "Se dunque è una cosa bella e buona è anche piacevole?"

"Così abbiamo concordato". "E allora i vili, pur essendone a conoscenza, non si dirigono volontariamente verso ciò che è più bello, migliore, più piacevole?" "Ma, se ammettiamo anche questo, annulliamo quello che abbiamo concordato prima". "E cosa fa invece il coraggioso? Non si muove forse verso ciò che è più bello, migliore e più piacevole?" "Sì".

"Dunque, in generale, i coraggiosi non hanno, quando temono, vergognose paure, e quando sono arditi non hanno vergognose audacie". "E’ vero". "Se non sono sentimenti vergognosi, non sono forse belli?" Era d’accordo. "Se sono belli, non sono anche buoni?" "Sì". "Invece i vili, gli audaci e i folli non hanno forse, al contrario, vergognose paure e vergognose audacie?" Era d’accordo. "E sono arditi in azioni vergognose e cattive per nient’altro che per incoscienza e ignoranza". "E’ così".

"E allora? Ciò per cui i vili sono vili, per te è viltà o coraggio?" "Viltà". "E i vili non lo sono forse perché ignorano le cose da temere?" "Certo!" "Dunque a causa di questa ignoranza sono vili?"

Era d’accordo. "Ciò per cui sono vili per te è viltà?" Disse di sì. "Dunque la viltà non è altro che l’ignoranza delle cose da temere e da non temere". Annuì. "Ma allora il coraggio è il contrario della viltà". Disse di sì. "E la sapienza delle cose da temere e da non temere è contraria alla loro ignoranza?". Ancora una volta a questo punto annuì. "E l’ignoranza di queste cose non è viltà?"

A questa domanda annuì malvolentieri. "E la sapienza delle cose da temere e da non temere non è forse coraggio, che è il contrario della loro ignoranza?" A questo punto non volle più annuire e rimaneva in silenzio. "Perché, Protagora, non rispondi né sì né no alla mia domanda?"

"Concludi tu stesso". "Non prima di averti chiesto una sola cosa, se, come prima, ancora sei convinto che esistano uomini molto ignoranti, ma molto coraggiosi". "Socrate, tu insisti perché io risponda; allora ti farò contento, dicendoti che, in base a ciò che abbiamo concordato, questo mi sembra impossibile".

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