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6. ATTREZZATURE IMPIEGATE

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Academic year: 2021

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6. ATTREZZATURE IMPIEGATE

Fig. 6.1

Le analisi che vogliamo eseguire riguardano lo studio di fattibilità sull’alimentazione con miscele di olio di origine vegetale e diesel tradizionale di un motore ad accensione per compressione, ed in particolare riguardano la valutazione delle sue prestazioni.

Abbiamo quindi la necessità di misurare diverse grandezze correlate tra loro durante il normale funzionamento del motore stesso.

Innanzi tutto ci interessano i dati di coppia e di potenza espressa dal motore al variare del numero di giri. Poi come questi dati cambiano al variare dell’alimentazione usata (in pratica delle percentuali di miscela scelte), nonché della loro temperatura di preriscaldamento. Ci interessano infine anche i dati di consumo (grammi di combustibile al secondo) e di consumo specifico (BSFC: brake specific fuel consumption, ossia grammi di combustibile per chilowattora prodotto).

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Fig. 6.2 Banco-Freno con motore

Per la rilevazione dei dati di coppia e potenza abbiamo utilizzato un banco prova Borghi

& Saveri FA-250/30 SPV (fig. 6.2).

Questo tipo di banco-freno (detto anche freno dinamometrico) sfrutta il principio delle correnti parassite. Esso simula il comportamento dell’utilizzatore effettivo attraverso un’azione frenante che può seguire diverse leggi specifiche determinate attraverso un controllo (nel nostro caso un’unità di controllo MP 2030 della APICOM S.r.l.).

Per la misurazione del consumo e del consumo specifico è stato necessario mettere a punto un semplice ma efficace sistema di alimentazione del motore attraverso l’utilizzo di ampolle e vasi comunicanti. Questo sistema, collocato al di fuori della camera di prova, è stato pensato al fine di avere il massimo controllo dei flussi di carburante ed una facile e veloce manipolazione della miscela.

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Si è deciso quindi di eliminare il serbatoio originale in dotazione del motore che avrebbe costituito per il sistema un polmone di espansione troppo grande mettendo a rischio l’attendibilità delle letture.

Al suo posto è stato inserito un serbatoio molto più piccolo e, caratteristica più importante, a tenuta, nonché riempito completamente così da non interferire con le misurazioni.

Questo componente è stato poi il centro delle nostre attenzioni, andando a costituire il cuore del sistema di riscaldamento e controllo della temperatura della miscela di alimentazione.

Con l’introduzione di un agitatore a magnete immerso abbiamo limitato le disuniformità termiche presenti all’interno del nuovo serbatoio dovute ai forti gradienti nell’intorno della resistenza di riscaldamento quando questa entrava in funzione (vedi cap. 5.5).

Completano il quadro delle attrezzature usate i personal computer e le altre apparecchiature a disposizione della postazione di lavoro esterna alla sala prove (fig. 6.3 ).

Fig. 6.3

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6.1 Banco freno

Il banco-freno da noi utilizzato, come detto, è un freno a correnti parassite (vedi fig.6.1.2).

Fig. 6.1.2

Il suo principio di funzionamento si basa sulle correnti di Foucault. In seno ad un conduttore che si muova in un campo magnetico non uniforme o sia posto in una regione in cui si abbiano variazioni di flusso magnetico, nascono correnti indotte a cui si da appunto il nome di correnti di Foucault. Queste correnti possono nascere in qualunque conduttore elettrico, ma l’effetto è più pronunciato nei conduttori solidi metallici. In generale esse costituiscono la causa di perdite supplementari di potenza, ma possono anche essere usate come effetto dissipativo per frenare movimenti continui.

Le forze elettromotrici, infatti, reagendo con il campo magnetico danno luogo, per la legge di Lenz, a forze elettrodinamiche di senso opposto a quello del moto, che risulta così smorzato.

L’energia cinetica persa dal corpo conduttore nell’attraversamento del campo magnetico variabile viene trasformata in energia termica che si accumula nel corpo stesso. Nei freni elettromagnetici la coppia frenante dell’albero motore si crea calettando sull’albero stesso un disco di alluminio o di rame (come nel nostro caso) posto in rotazione fra le espansioni polari di un elettromagnete. La coppia frenante deriva dal fatto che le (f.e.m.)

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generate in un conduttore in moto sono proporzionali alle variazioni d’intensità del campo magnetico. Regolando opportunamente il campo magnetico generato dalle bobine poste sulle espansioni polari dell’elettromagnete, si può regolare perciò anche la coppia frenante agente sul rotore.

Per come è realizzato il corpo statorico (fissato su cuscinetti a basso attrito e libero di ruotare attorno al suo asse), tenderebbe a seguire il rotore per il principio di azione e reazione. Ad impedirne la rotazione è invece una cella di carico posta ad una distanza prefissata dall’asse: essa permette così di avere una lettura del momento torcente (forza rilevata per braccio noto) agente sull’albero. Un pick-up con ruota fonica a 60 denti funge da sensore per il rilevamento della velocità di rotazione dell’albero motore, rendendo disponibile tale dato all’unità esterna MP 2030 (vedi cap. 5.3) che è così in grado di eseguire la regolazione e il controllo del freno stesso. L’unico problema rimane quello di un adeguato raffreddamento del corpo rotorico per smaltire il calore generato dai fenomeni dissipativi legati alle correnti parassite.

Nel nostro caso un sistema idraulico di raffreddamento ad acqua collegava il rotore stesso a vasche esterne di recupero (periodicamente filtrate e rifornite).

Da un punto di vista di layout il Banco freno si presenta come un’apparecchiatura composta da due strutture distinte. La prima e più importante è rappresentata da un cubo cavo d’acciaio: questo è posto sopra ad un blocco di cemento interrato nel pavimento che funge da basamento per l’intero macchinario e costituisce un isolante dalle vibrazioni per l’ambiente del laboratorio. La struttura metallica funge da contenitore per i tubi dell’impianto di raffreddamento ed il quadro elettrico, ed è sormontata da un corpo cilindrico costituito dalle parti meccaniche ed elettriche del rotore e dello statore (il freno vero e proprio), sorretto tramite una struttura dotata di due cuscinetti (grado di libertà rotazionale). Dallo statore poi escono lunghe aste che servono per la calibrazione dello strumento. Queste terminano da ambo i lati con un coltello, posto ad una distanza

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prefissata dall’asse dei cuscinetti, sul quale si deve far gravare un peso di prova per tarare la cella di carico.

Quest’ultima, posta sulla parte superiore del cubo d’acciaio, di lato al freno, fa da collegamento tra lo statore e la cassa per la misura del momento torcente. Un collegamento elettrico mette in comunicazione la cella con l’unità di controllo MP 2030 per rendere ad essa disponibili i dati d’ingresso su cui effettuare la regolazione.

Il posizionamento del motore avviene nell’area prospiciente il freno vero e proprio. Un altro blocco di cemento interrato nel pavimento fa da base d’appoggio per un piano d’acciaio sul quale sono ricavate scanalature a “T” con asse parallelo all’asse di rotazione del freno. Dentro queste gole scorrono i dadi di serraggio di quattro colonne d’acciaio regolabili in altezza. I dadi sono disassati rispetto all’asse delle colonne: sono posizionati ad una certa distanza da esso in modo che, sfruttando l’eccentricità, si possa regolare anche la distanza orizzontale tra le colonne stesse. Due barre profilate ad “L”, collegano a due a due le colonne ed individuano la base d’appoggio per qualsiasi motore oggetto del test.

Nel nostro caso è stato necessario progettare e realizzare un semplice telaio ausiliario che fungesse da collegamento tra il basamento del motore e queste barre (fig.6.1.2).

Fig. 6.1.2 Telaio con motore ed immagine CAD pro-Engineer.

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In un primo approccio erano stati predisposti anche degli elementi smorzanti in gomma (silent block) posti tra le due parti d’acciaio: problemi di surriscaldamento e resistenza del materiale elastico hanno poi suggerito l’eliminazione di tali elementi senza che si verificasse l’insorgenza di particolari problemi vibratori o che comunque problemi legati alla risonanza delle parti meccaniche mettessero in crisi la stabilità e la resistenza della struttura.

6.2 Trasmissione

I componenti della trasmissione sono stati scelti e dimensionati in modo tale da poter trasferire adeguatamente il momento torcente dall’albero motore all’albero del freno, salvaguardando quest’ultimo dai picchi di coppia che notoriamente contraddistinguono il tipo di motore oggetto delle nostre prove. Il problema maggiore infatti è stato il dimensionamento dell’intera catena di trasmissione del moto in modo da poter ospitare giunti elastici di opportune dimensioni (fig. 6.2.1).

Fig. 6.2.1

Nella sua configurazione finale (le diverse configurazioni intermedie, che si sono ai fatti dimostrate inadatte, saranno brevemente esposte ed illustrate in un paragrafo specifico alla fine del capitolo successivo) la trasmissione consta, partendo dal motore, di una

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flangia di collegamento al motore lato volano in acciaio, di un primo giunto Giubo in gomma serie E/C (esagonale a sezione circolare, fig. 6.2.2), di un albero intermedio di trasmissione dotato di flange, di un secondo giunto Giubo identico al primo, e di un carter coprigiunto ad avvolgere il tutto per garantire la necessaria sicurezza.

Fig. 6.2.2

Fin dal suo primo dimensionamento la trasmissione è stata concepita così, suddivisa in tre elementi rigidi intervallati da due elementi elastici. La necessità di componenti elastici deriva infatti dall’impossibilità di garantire un allineamento perfetto dei due assi di rotazione. La conformazione ed il materiale di cui sono fatti i giunti fanno si che essi agiscano longitudinalmente come cerniere (proprio come in un giunto meccanico) limitando notevolmente gli sforzi flessionali sia sui cuscinetti del freno, sia su quelli del motore (vedi figura 6.6.3 ).

Fig. 6.2.3 giunti non allineati

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In assenza di questi componenti i continui cicli di fatica proverebbero i componenti della trasmissione, portando velocemente a rottura l’anello più debole della catena di trasmissione del moto, bloccando così il normale avanzamento della sperimentazione e creando anche notevoli problemi di pericolo per le persone.

In realtà molto tempo è sempre stato da noi dedicato all’operazione di allineamento ogni volta che si rendeva necessario un nuovo piazzamento. L’uso di elementi elastici ha poi portato un altro vantaggio. Le caratteristiche di erogazione di coppia del motore monocilindrico 500cc a ciclo diesel Lombardini, date dal frazionamento, dalla cilindrata e dall’elevato rapporto di compressione comportano un andamento della coppia (nel singolo ciclo) decisamente non costante ed irregolare. Questo produce picchi di coppia di notevole intensità che si susseguono ad intervalli regolari, causando continue accelerazioni angolari (di segno positivo e negativo) della massa rotorica del freno con conseguenze difficili da gestire da parte del controllo-freno. L’interposizione di elementi elastici nella catena di trasmissione permette appunto di diminuire questi picchi e di spalmarne l’intensità su un angolo di manovella maggiore, garantendo così il corretto funzionamento dell’unità di controllo e diminuendo i pericoli di instabilità del funzionamento del banco-freno a numero di giri costante.

Successivamente per inconvenienti abbiamo sostituito i giunti “Giubo” con altri gommati rilevatosi anch’essi inaffidabili. Infine abbiamo utilizzato giunti telati (vedi fig. 6.2.4 ) fornitici direttamente dalla Lombardini che hanno assicurato un corretto funzionamento del sistema.

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Fig. 6.2.4

6.3 Unità di Controllo MP 2030

Il controllo del banco-freno è affidato all’alimentatore per freni a correnti parassite MP 2030 (fig. 6.3.1).

Questa unità di controllo è dotata di un’interfaccia operatore costituita da un display alfanumerico (monocromatico con regolazione del contrasto) e di una tastiera mediante la quale è possibile impostare i parametri operativi del sistema.

Fig. 6.3.1

I modi di funzionamento dell’unità di controllo sono tre: Disattivo (OFF), Attivo (ON), e Blocco (BLK). Nella modalità Disattivo l’operatore ha la facoltà di definire i parametri operativi del sistema; in particolare è possibile fissare i coefficienti di coppia

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e velocità (K PID Coppia, K PID Velocità), la pendenza della funzione Mn2, il coefficiente di velocità, il set del limite di fuori giri, la corrente di allarme fuori giri e le unità di misura della coppia e della potenza.

Nella modalità Attivo l’apparecchio si predispone a visualizzare le informazioni di giri e coppia provenienti dalle interfacce dei trasduttori montati sul banco, e a calcolare la potenza meccanica sviluppata dal motore in prova. La funzione Blocco permette infine di mantenere costante l’ultimo valore di corrente erogato al freno, permettendo così un cambio del modo operativo in corso e (o) una diversa programmazione dei parametri operativi.

Inoltre il funzionamento dell’apparecchio dispone di cinque modalità operative:

• la prima “velocità costante” (n=k) permette di regolare l’entità della corrente erogata al

freno in modo da evitare che il motore in prova superi la velocità richiesta dal set ;

• la seconda “coppia costante” (m=k) rende possibile ottenere una regolazione della corrente

in modo da caricare il motore con una coppia costante indipendentemente dalla velocità di rotazione ;

• la terza “manuale” (%), nella quale l’entità della corrente erogata al freno è regolabile dall’utente tramite il potenziometro multigiri di set posto direttamente accanto al display della console;

• la quarta “proporzione quadratica” (Mn2), permette di regolare la corrente al freno in modo che la coppia sviluppata dal motore in prova risulti una funzione quadratica della velocità (l’indice di proporzionalità è fissabile dall’utente nel funzionamento DISATTIVO o BLOCCO);

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• infine l’ultima “programmabile” (Prog), abilita il controllo dell’alimentatore da parte di un PC esterno.

Il tipo di utilizzo da noi scelto per le nostre prove è stato quello a numero di giri costante (n=k), proprio perché il più adatto alle nostre indagini.

6.4 Consumometro

Fig. 6.4.1

L’apparecchiatura, ( fig. 6.4.1), si avvale di una griglia di ferro verticale che funge unicamente da sostegno per le restanti parti, munita, alla base, di ruote: su di essa sono fissate le parti in vetro, i rubinetti e le tubazioni che costituiscono il sistema di alimentazione e controllo del consumo vero e proprio.

Tra queste è possibile individuare l’ampolla principale (A: il serbatoio del sistema), un cilindro graduato in vetro (B: dove viene effettuata la lettura), una giunzione a “T” che fa da collegamento tra le due attrezzature appena descritte e il tubo di uscita del sistema

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(tubazione di mandata al motore) sul quale in realtà s’innesta il serbatoio termo- controllato C immediatamente a monte del motore ( da noi tolto successivamente);

nell’attrezzatura sono altresì compresi, come detto, una serie di rubinetti tramite i quali si è in grado di rendere comunicanti fra di loro i tre distinti tratti di tubo che collegano i componenti del sistema. Così, comuni rubinetti idraulici sono posti alla base di ampolla e cilindro graduato, e sul tubo in uscita dal giunto a “T”, in modo tale che il collegamento tra i vari tratti, sia realizzabile sia a due a due (in qualunque combinazione) che tutti e tre insieme contemporaneamente.

Il funzionamento del sistema è piuttosto semplice. Si parte dalla preparazione della miscela, che deve avvenire all’esterno, nella quantità che si reputa necessaria per la sessione di prove (l’eventuale rabbocco è comunque sempre possibile anche durante la fase di funzionamento del motore sul banco-prova, e perfino durante la fase di lettura del consumo).

Si riempie l’ampolla A e la si mette in comunicazione con tutti i tratti, avendo cura di attendere il tempo necessario a riempire completamente tutte le tubazioni, evitando accuratamente la presenza di bolle d’aria nel sistema, che si accumulano soprattutto nel lungo tratto di tubo che congiunge l’uscita del collegamento a “T” con il serbatoio termo-controllato, ed in quest’ultimo. La pressione del carburante presente all’interno di A farà sì che parte del liquido sia spinto anche a risalire lungo il cilindro graduato B.

Entrambe le ampolle sono infatti in libera comunicazione con l’atmosfera e sono poste ad una differente altezza: l’ampolla A si trova leggermente più in alto, in modo che (in accordo con la teoria dei vasi comunicanti) il cilindro B si riempirà adeguatamente anche quando A sarà quasi vuota.

A questo punto è possibile accendere il motore: lasciando inalterata la configurazione dei rubinetti (tutti aperti), la sua alimentazione verrà garantita dall’impianto attingendo

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carburante direttamente dall’ampolla principale posta all’altezza massima del sistema, come si può ben vedere in figura 6.4.1.

Quando si vuole eseguire una lettura del consumo non si deve fare altro che chiudere unicamente un rubinetto, quello dell’ampolla A, escludendola dal sistema.

L’alimentazione del motore non potrà avvenire che attraverso il cilindro graduato B che comincerà quindi a svuotarsi.

Si è scelto di effettuare la lettura misurando il tempo che una data quantità di carburante impiega ad essere “lavorata” dal sistema, e non il contrario, cioè non misurando quanto carburante viene effettivamente consumato in un dato intervallo di tempo. In quest’ultimo caso infatti ci si troverebbe a dover fare attenzione a due cose: il raggiungimento del tempo limite dell’intervallo, ed il volume indicato nel cilindro graduato in quell’istante. Il modo di procedere scelto, invece, consiste di fatto nel misurare con un cronometro il tempo che detta quantità di carburante (nel nostro caso la scelta è caduta su un volume pari a 20cc) impiega a scendere lungo il cilindro graduato B: in questo modo l’operatore deve far caso solamente al livello di carburante in tale recipiente, scegliere un volume di inizio ed un volume di fine lettura, e quindi, senza distogliere lo sguardo dalle tacche graduate, avviare e successivamente arrestare la corsa del cronometro tenuto comodamente in una mano.

6.5 Termocoppie

Per rilevare i valori di temperatura allo scarico e quello dell’olio sono state inserite 2 termocoppie rispettivamente nel collettore di scarico e sul dado di spurgo come possiamo vedere dalle figure 6.5.1, 6.5.2 e 6.5.3.

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Fig. 6.5.1

Fig. 6.5.2

Fig. 6.5.3

Le temperature dei gas di scarico e dell’olio motore sono visualizzate tramite un GLA come si vede dalla fig. 6.5.4.

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Fig. 6.5.4

Inoltre dalla stessa Lombardini si è fatto aggiungere una sonda di pressione posizionata sulla testa del cilindro per rendere disponibili i dati per stilare il ciclo indicato del motore, essenziale per la valutazioni del lavoro attivo e lavoro passivo nonché del rendimento indicato (considerando il potere calorifico del combustibile).

6.6 Serbatoio termo-controllato

Questo dispositivo è stato concepito e realizzato per venire incontro a due principali esigenze: sostituire il serbatoio originale, collegando correttamente tra loro tutti i travasi previsti di fabbrica, ed innalzare la temperatura del carburante attuando anche un controllo sulla temperatura stessa.

Il collegamento serbatoio pompa di iniezione non è infatti diretto. Dal serbatoio esce un tubo di connessione al filtro del carburante (fig.6.6) ;

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Fig. 6.6

Su di esso poi sono ricavati altri due attacchi: uno è la reale mandata alla pompa del carburante; l’altro rappresenta un collegamento (in ingresso rispetto al filtro) al “rifiuto”

della pompa stessa. Infatti un giunto a “T” calibrato garantisce una sovrapressione all’interno del filtro necessaria al corretto funzionamento del motore: i due rami della

“T” che collegano il “rifiuto” al filtro del carburante sono di diametro maggiore rispetto al terzo ramo che torna al serbatoio vero e proprio. Un secondo circuito di “rifiuto”

collega l’iniettore posto sulla testa del cilindro con il serbatoio. Il primo circuito è stato mantenuto inalterato nello schema sostitutivo da noi messo a punto, mentre per il secondo è stato previsto, come vedremo, un apposito ingresso, nel serbatoio termocontrollato, riservato al ritorno di carburante caldo dalla testa del cilindro.

6.6.1 Serbatoio

Il serbatoio termocontrollato, realizzato grazie alla collaborazione di un nostro tecnico, è stato scelto in modo che resistesse alle alte temperature per questo è stato ricavato dal pieno partendo da un cilindro di materiale “lexan”. Il problema della tenuta dell’impianto con miscele di gasolio ed olio vegetale risulta difficoltoso già a temperatura ambiente e di certo si intensifica al crescere di T. Per garantire la tenuta del serbatoio abbiamo utilizzato una chiusura meccanica attraverso il serraggio di due

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superfici cilindriche tramite viti autofilettanti. Sono stati successivamente inseriti due rubinetti (A e B), dove A è utilizzato per togliere l’aria e B per svuotare il serbatoio.

Sono stati inseriti tre tubicini metalli α,β e µ. Il primo, α, è utilizzato per l’entrata della miscela, olio e gasolio, che collega il serbatoio al filtro del carburante del motore, posto immediatamente prima della pompa di iniezione prelevando il fluido dalla sommità del recipiente, dove il riscaldato della miscela di carburanti risulta migliore per la mandata alla pompa e per il riflusso dall’iniettore.

Il β costituisce l’arrivo del carburante al serbatoio termo-controllato dal sistema di rifornimento e misurazione del consumo (Consumometro): la sua conformazione è tale da rilasciare la propria portata di carburante “fresco” proprio alla base del serbatoio e di farlo con una direzione tangente alla parete, tale da conferire al fluido un moto di swirl che aiuta il mescolamento della miscela.

L’ultimo condotto, µ, invece collega il serbatoio all’iniettore in testa al motore. Esso costituisce un “ritorno” dall’iniettore che garantisce la tenuta dell’impianto ad eventuali

“rifiuti” all’atto dell’iniezione. La conformazione di questo condotto è analoga a quella del condotto 2, con un profondità di rilascio del carburante minore ed intermedia tra α e µ, dato che il carburante ritorna dalla testa del motore è comunque carburante già riscaldato.

Nella parte superiore sono stati praticati dei fori per il passaggio delle apparecchiature e delle tubazioni necessarie per completare il dispositivo (1 e 2) che rappresentano i terminali della resistenza.

Le apparecchiature impiegate nel serbatoio (ben visibili in figura 6.6.1) sono una resistenza (R) ed una sonda termometrica (T), entrambe collegate ad un’unità di controllo dedicata che sovrintende alla regolazione della temperatura, nonché tre condotti opportunamente sagomati.

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Fig. 6.6.1

6.6.2 - Termo regolatore

L’unità di rilevazione e controllo della temperatura (vedi fig. 6.6.2 ) è stata concepita e realizzata per utilizzare la sonda termometrica e la resistenza presenti nella configurazione del serbatoio prima descritto rispettivamente come ingresso e come uscita. In pratica il dispositivo, chiudendo o aprendo il circuito elettrico di alimentazione della resistenza, attiva o disattiva la fase di riscaldamento. Il controllo sulla temperatura avviene in continuo tramite il segnale d’ingresso della sonda termometrica. La centralina, infatti, sulla base del differenziale tra la temperatura desiderata e quella rilevata, attua l’adeguata legge di attivazione della resistenza. La temperatura voluta viene impostata attraverso i tasti di input disposti sotto il display dell’apparecchio.

T

B 1 1 1 1 1 R

A 1 1 1 1 1

1 1 1 1 1 1

2 1 1 1 1 1

α

B

1 1 1 1 1 β 1 1 1 1 1 µ 1 1 1 1 1

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Fig. 6.6.2 6.7 Inconvenienti

Data la natura sperimentale delle indagini effettuate, gli inconvenienti erano all’ordine del giorno e capitavano di frequente, tutto questo soprattutto durante il primo periodo di prove. Lunghi sono stati gli assestamenti a cui l’intero sistema di analisi e sperimentazione è stato soggetto, e vari sono stati gli accorgimenti che si sono susseguiti nell’avanzare dei test per ovviare agli inconvenienti occorsi.

In particolare i giunti Giubo in gomma posti tra gli organi di trasmissione del moto si sono presto rivelati inadeguati ( vedi fig. 6.7.1) a sopportare i picchi di coppia trasmessi dall’albero motore al rotore del banco freno, nonostante fossero stati scelti con un dimensionamento più che adeguato, sulla carta (seguendo la specifica del produttore), ad assicurare il corretto funzionamento dell’apparato.

Fig. 6.7.1

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Solo dopo molteplici ispezioni ci si è resi conto che la natura impulsiva della coppia, associata alla grande inerzia del freno, faceva sì che ad ogni ciclo del motore i sei tratti del toroide in gomma dei suddetti giunti fossero sottoposti a continui cicli di allungamento e compressione di elevata intensità. Questi portavano a incessanti cicli di isteresi che causavano l’innalzamento della temperatura interna della gomma. La scarsa conducibilità termica di quest’ultima non consentiva di dissipare adeguatamente il calore sviluppato (ed immagazzinato) internamente, generando al contempo un aumento di cedevolezza del materiale. La maggior cedevolezza comportava maggiori estensioni, le quali a loro volta aumentavano le cause del problema stesso e lo facevano crescere in modo esponenziale.

Lo stesso spiacevole inconveniente l’abbiamo avuto utilizzando giunti gommati vedi fig. 6.7.2.

Fig. 6.7.2

L’adozione di due giunti generosamente dimensionati e soprattutto identici forniti direttamente dalla Lombardini (giunti telati) fig. 6.2.3 , per le considerazioni appena esposte, ha scongiurato l’insorgere di altri inconvenienti relativamente a questi particolari. Questo ha comportato la necessità di riprogettare l’intera trasmissione con l’utilizzo di un diverso albero centrale e relativa flangia di attacco al motore realizzata ad hoc.

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Altro aspetto da non trascurare sono state le vibrazioni. Prima di renderci conto della necessità di continue ispezioni riguardo il serraggio di tutti i collegamenti bullonati, con particolare attenzione a quelli relativi agli organi di trasmissione del moto, sono spesso accadute improvvise rotture di viti anche di notevole sezione (diametro di 12mm o di 14mm) come si vede dalla fig. 6.7.3.

Fig. 6.7.3

Accadeva infatti che le vibrazioni, evidentemente di notevole entità, finissero per allentare i dadi di tali viti, anche se autobloccanti, creando le condizioni di farle lavorare a taglio invece che per attrito. Questo presto le faceva finire preda dei notevoli picchi di coppia del motore, da qui la più che necessaria quanto provvidenziale presenza della copertura protettiva del giunto ( vedi fig. 6.7.4) a salvaguardare gli eventuali operatori che si trovassero nelle vicinanze del motore in quel momento.

Fig. 6.7.4

Per controllare in condizioni di sicurezza il regime di rotazione del motore, è stato necessario provvedere all’installazione di un’attrezzatura che portasse il comando del gas al di fuori della sala di prova (fig. 6.7.5); questo è stato collegato all’unità di controllo MP 2030 con il vantaggio inoltre di ottenere una più rapida regolazione dell’acceleratore.

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Fig. 6.7.5

Comunque, già dopo i primissimi tentativi era stato infatti aggiunto, sempre per motivi di sicurezza, un comando a cavo per lo spegnimento del motore che tramite una leva posta all’esterno della camera di prova consentisse in ogni istante il repentino blocco dell’apparecchiatura di prova ( fig. 6.7.6).

Fig. 6.7.6

L’ultimo inconveniente ha riguardato l’allentamento dell’encoder che forniva dati non attendibili. Per ovviare a questo problema si è dovuti ricorrere all’aiuto del tecnico per

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modificare l’alloggiamento dell’encoder rendendo l’accoppiamento con l’albero più forzato evitando successivi rallentamenti delle prove.

Infine la rottura dell’encoder che ci ha spinto a prendere la decisione di interrompere le letture.

Tutte queste rotture e modifiche hanno causando continue ed improvvise interruzioni delle prove e, soprattutto, successive ulteriori perdite di tempo legate ai controlli necessari per garantire nuovamente il posizionamento e l’allineamento delle parti in moto nei piazzamenti seguenti.

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