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Tra il 2006 e il 2009 i risultati emersi da due consecutive indagini linguistiche condotte a Livorno tra gli ultimi parlanti giudeo-livornesi (O

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(1)

Introduzione

[…] non fu mai parlato da più di qualche migliaio di persone: ma è grande il suo interesse umano, come lo è

quello di tutti i linguaggi di confine e transizione1.

Primo Levi

Tra il 2006 e il 2009 i risultati emersi da due consecutive indagini linguistiche condotte a Livorno tra gli ultimi parlanti giudeo-livornesi (O

RFANO

2010, W

AGEMANS

2010) e gli studi di Fabrizio Franceschini (2005, 2206, 2007, 2008a, 2008b, 2009) sulla letteratura dialettale in bagitto hanno contribuito a riaprire un filone di ricerca esauritosi quasi quarant'anni prima con la pubblicazione delle Osservazioni sul tabù linguistico nel giudeo-livornese di Modena Mayer (1978).

Rinnovata nei metodi e nelle prospettive, questa attenzione, unita alla consapevolezza della parzialità del patrimonio linguistico già raccolto, ha spinto chi scrive ad avviare un ulteriore progetto di ricerca ancora centrato sul lavoro di campo, e diretto alla descrizione di un fenomeno linguistico poco noto, ancor meno visibile, eppure eccezionalmente persistente, forse in virtù di una sorta di carsismo geografico, sociale e culturale che ne ha consentito la sopravvivenza durante lunghi e

“brevi” secoli.

Il presente lavoro è l’esito di questo percorso decennale, dipendente dalle sue prime tappe e da alcuni fondamentali contributi prodotti nell'arco di oltre un secolo da letterati, ebraisti, linguisti e raccoglitori delle parlate giudeo-italiane

2

, di cui si fornisce qui un quadro utile a mettere in luce problemi, traguardi e limiti degli studi sul giudeo-livornese

3

.

1La citazione è tratta da Levi, Sistema periodico, 9.

2A differenza di altri approcci tendenti a un uso estensivo o indistinto del termine “giudeo-italiano” per indicare fenomeni linguistici molto distanti sia sul piano diacronico che diamesico (cfr. MASSARIELLO MERZAGORA 1977; MAYER MODENA 2003), con l'etichetta “parlate giudeo-italiane” ci si riferisce in questo lavoro ai dialetti giudaici italo-romanzi di età moderna, assumendo come definitiva la distinzione terminologica proposta da

G

ALLI DE

' P

ARATESI

(

1992, 132) e adottata da APRILE (2012, 13).

3 Pur evidenziando certe tematiche ricorrenti, l’excursus segue l’ordine cronologico e riguarda solo l’insieme delle fonti secondarie, sebbene siano menzionati tangenzialmente anche gli autori letterari più importanti, avendo essi

(2)

Se già negli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento le pagine delle riviste ebraiche ospitarono le prime pionieristiche discussioni e raccolte antiquarie sui dialetti giudaici

4

, l'avvio di studi linguistici di rigore scientifico sul tema si deve, com è noto, allo storico, ebraista e rabbino Umberto Cassuto (1909, 1926, 1930, 1934-35). Le ipotesi dello studioso fiorentino sull'origine delle parlate giudeo-italiane, per quanto criticate e ridimensionate (cfr. F

ORTIS

2006, 54-57), hanno provocato un lungo dibattito ancora fertile (cfr. M

ANCINI

1992; R

YZHIK

2014). Senza penetrare in questa introduzione in quella che, giustamente, Umberto Fortis, chiama «vexata quaestio del cosiddetto “giudeo-italiano”» (F

ORTIS

2006, 49), la distanza linguistica del bagitto dalla galassia delle parlate giudeo-italiane, già percepita da Guido Bedarida (1956, XII), suggerisce di enucleare queste teorie come punto di partenza.

Secondo le tesi di Cassuto anche le moderne parlate ghettaiole, pur nella loro specificità diatopica, avrebbero origine da un’unica koiné linguistica comune a tutti gli ebrei d'Italia, che, come testimonierebbero una serie di costanti riscontrate in testi giudeo-italiani tra loro remoti, scaturirebbe a sua volta da un’arcaica varietà dialettale confinata fino al XV secolo nell'area centro-meridionale (C

ASSUTO

1930, 1934-35) e propagatasi in seguito nel resto della penisola soprattutto grazie all'impulso della comunità romana. Nella ricostruzione di Cassuto, questo parlare ebraico sarebbe stato dunque abbastanza attivo sul piano orale da distinguersi dai dialetti locali con cui entrava in contatto. Le numerose obiezioni mosse a tali proposte, dirette in primo luogo contro l’affidabilità di speculazioni sulla lingua parlata e i tentativi di localizzazione a partire dall'esame di fonti scritte dal forte carattere libresco e letterario (cfr. B

ERENBLUT

1949, F

IORENTINO

1937, 1951), furono mitigate da Benvenuto Terracini (1956-57, 250) e, a seguito dello spoglio di una mole cospicua di testi, hanno trovato un equilibrio – ma anche un punto fermo – nel concetto, introdotto da Giuseppe Sermoneta, di modo linguistico (S

ERMONETA

1976, 8-12) per indicare il sistema di comunicazione «fluido e proteiforme» (C

UOMO

1983, 443) che univa la diaspora ebraica in Italia fino al tardo Rinascimento.

Riguardo alla posteriore nascita delle parlate giudeo-italiane, l'ipotesi monogenetica si poggia su un assunto netto: le comunità del centro-nord, Toscana compresa, furono fondate perlopiù da nuclei ebraici migrati da Roma, pertanto il portato dialettale giudeo-italiano centro-meridionale starebbe alla base di tutte le parlate sviluppatesi successivamente, al netto dell'influsso dei dialetti locali.

prodotto significativi contributi metalinguistici. Per un quadro della letteratura dialettale in giudeo-livornese si rimanda invece a: FRANCESCHINI 2008a, 9-13, 72-78, 80, 162-170; FRANCESCHINI 2013, 105-149; FORNACIARI 2005, 44-61, 101-151.

4Si fa qui particolare riferimento a MODONA 1893, CAMERINI 1909 e CAMMEO 1909, 1910 (cfr. APRILE 2012, 13).

(3)

Nell’argomentare questa affermazione, è lo stesso Cassuto, con un breve inciso, a toccare uno dei temi toccati da questa inchiesta:

«Poiché al nord di Roma le comunità di ebrei italiani (quelle di ebrei di provenienza straniera non ci interessano qui) si costituirono in gran parte con ebrei provenienti da Roma [...]» (C

ASSUTO

1934- 35, 107).

La questione dell’influenza del giudeo-romanesco, che l’ebraista toscano - mosso da esigenze di comprensione macroscopica di un fenomeno linguistico vasto, sfuggente e puntiforme - ha preferito chiudere tra parentesi, interessa sensibilmente anche il giudeo-livornese, tanto da essere stata oggetto di riflessioni dedicate (D

ELLA

T

ORRE

1990).

Come già detto, i pionieristici articoli usciti a cavallo tra XIX e XX secolo nella rivista

«Vessillo Isrealitico» (S

ACERDOTE

1893; M

ODONA

1893, C

AMMEO

1909, 1910, 1911) non contengono osservazioni specifiche sul giudeo-livornese. Nonostante il clima di ostilità degli anni a venire, i primi contributi specialistici sulla varietà giudeo-italiana di Livorno furono pubblicati da Angelo Beccani, la cui tesi di laurea era già stata citata dal Malagoli nel 1939 tra le fonti del Vocabolario pisano (M

ALAGOLI

1997, 467). Nel suo Saggio storico-linguistico sugli Ebrei a Livorno (B

ECCANI

1941), pubblicato con coraggio in un anni drammatici, il linguista ponsacchino riesce a fornire un prezioso profilo linguistico del bagìto quando ancora gli ebrei livornesi «in numero di un migliaio e mezzo, sono sparsi per tutta la città [...], esercitano in maggioranza la mercatura e [...]

ancora mantengono tenacemente quell’unità di riti, di costumi e di lingua, che è sempre stata la prerogativa della loro razza nei secoli» (B

ECCANI

1941, 10). I tratti distintivi di ordine fonetico, morfologico e lessicale ivi descritti sono accompagnati da utili informazioni circa la loro persistenza al momento in cui l’autore scrive, e seguiti da osservazioni conclusive sull’influsso del toscano e del giudeo-spagnolo, rilevando, peraltro, la “tenue influenza” morfologica del giudeo-romanesco, giudicata “relativamente recente” (B

ECCANI

1941, 9).

L’anno successivo Beccani pubblica un primo glossario della parlata basato sulle fonti

letterarie allora a disposizione, cioé la Betulia liberata (Duclou, Betulia), le opere di Guido Bedarida

già date alla stampa con lo pseudonimo di Elezier Ben David (Bedarida, Intermezzo; Bedarida,

Vigilia; Bedarida, Siclo), i sonetti di Cangillo (T

ARGIONI

-T

OZZETTI

, ‘Na firza; T

ARGIONI

-T

OZZETTI

,

Cór pepe), ma anche i manoscritti di un incompiuto lessico del dialetto livornese del Polese (B

ECCANI

(4)

1942, 5). Tuttavia, ciò che rende questa raccolta lessicale particolarmente importante è la revisione del materiale compiuta dall’allora rabbino di Livorno Elio Toaff e, soprattutto, l’aggiunta di voci

“avute dal popolo” (B

ECCANI

1942, 5), due elementi che ne qualificano i risultati come frutto di un pionieristico abbozzo di indagine dialettale sul campo.

Una decina d’anni dopo la fine della guerra, il filo interrotto della riflessione metalinguistica sul giudeo-livornese è ripreso dal commediografo ed erudito Guido Bedarida in persona, autore di un saggio dedicato (B

EDARIDA

1957), ripreso quasi integralmente dall’introduzione al volume che raccoglie i suoi centottanta sonetti giudaico-livornesi (Bedarida, Ebrei,

XI

-

XXIX

), l’approdo più elevato a cui sia mai giunta la letteratura dialettale in bagìtto. Nelle pagine che precedono la raccolta Guido Bedarida spiega la scelta del sonetto con ragioni linguistiche; lo scopo dichiarato è creare una sorta di glossario “in azione” (Bedarida, Ebrei,

XX

) esemplificando «il miglior uso delle parole e dei modi di dire del gergo» (Bedarida, Ebrei,

XX

), anche a costo di turbare il lettore con i toni plebei di certe scenette e dialoghi (Bedarida, Ebrei,

XXI

). Gli intenti annunciati dal Bedarida risultano pienamente soddisfatti, anche grazie all’acuta sensibilità metalinguistica dell’autore (Cfr. A

PRILE

2012, 12). Senza considerare le altre opere in dialetto, solo in Ebrei di Livorno l’autore fornisce note esplicative su etimologia e significato di oltre milletrecento vocaboli e locuzioni giudeo-livornesi.

Tale sforzo lessicografico tradotto in versi, paragonabile solo all’opera in giudeo-romanesco di Crescenzo dal Monte (D

EL

M

ONTE

2007; D

EL

M

ONTE

-M

ILANO

), lasciò dunque ai posteri un’imponente mole di materiale, già di per sé sufficiente a commutarsi in un esaustivo vocabolario del bagìtto. Pur derivanti da un approccio non specialistico, le sue scarne ma acute osservazioni linguistiche condizioneranno tutti gli studi successivi sul giudeo-livornese, mettendo a fuoco alcuni punti fermi e aprendo una serie di questioni. Già dal titolo de Il gergo ebraico-livornese (B

EDARIDA

1957), il letterato livornese compie una scelta terminologica fondamentale, seppur contestabile

secondo gli attuali parametri definitori della dialettologia. Secondo il Bedarida il bagitto - così come

gli altri dialetti giudaici italiani - non è infatti paragonabile a vere lingue come lo jiddish e il ladino,

né per struttura formale né per “dignità letteraria” (B

EDARIDA

1957, 77). Si tratta invece

dell’evoluzione locale di una “una specie di gergo” italo-romanzo formatosi – si ribadisce - in area

centro-meridionale (B

EDARIDA

1957, 77); un “parlar giudaico-livornese” con qualche antico

vocabolo toscano e centro-italiano, con “voci ebraiche ed aramaiche anche italianizzate” e con voci

spagnole e portoghesi di “antica impronta e con l’antica pronunzia” (B

EDARIDA

1957, 77). Una

varietà che “sta un po’ a sé” (B

EDARIDA

1957, 77) rispetto alle altre parlate giudeo-italiane a causa

dell’inconsueto peso degli influssi iberici (B

EDARIDA

1957, 77-78), e che, secondo lo studioso, venne

a formarsi a Livorno durante il Settecento (B

EDARIDA

1957, 78) dall’incontro tra la nuova

immigrazione ebraica italiana e l’antica comunità ispano-portoghese (B

EDARIDA

1957, 78). Per

(5)

Guido Bedarida, in conclusione, questa parlata, “che non è dialetto né vernacolo e forse neppure gergo” (B

EDARIDA

1957, 85) resta comunque un fenomeno originale e robusto (ancora una volta paragonabile solo al giudeo-romanesco) che non è dipeso dall’assenza di ghettizzazione, ma semmai dalla presenza a Livorno di un consistente proletariato ebraico maggiormente legato alle tradizioni comunitarie.

Dopo questi contributi, si dovranno attendere venti anni prima di vedere la pubblicazione di uno studio sul giudeo-livornese di tipo linguistico e dialettologico

5

. Giovanna Massariello Merzagora, autrice del volume sul giudeo-italiano del Profilo dei dialetti italiani curato da Manlio Cortelazzo (M

ASSARIELLO

M

ERZAGORA

1977), riprende e vaglia nel paragrafo dedicato al bagìto livornese le affermazioni di Beccani e Bedarida, aggiungendo alcuni elementi rilevanti. La studiosa ipotizza innanzitutto l’influsso diretto del dialetto pisano nella formazione della parlata, in ragione della provenienza dei primi membri della comunità ebraica di Livorno (M

ASSARIELLO

M

ERZAGORA

1977, 56); aprendo così una questione complessa, accenna inoltre all’apporto giudeo-spagnolo elencando ed esemplificando le modalità meno ordinarie di immissione: ebraismi con veste fonetica spagnola, deformazione di locuzioni, parafrasi in italiano di proverbi e modi dire

6

. Infine, supportando le argomentazioni già esposte in M

AFFEI

B

ELLUCCI

1972, la Massariello Merzagora riconduce anche alla fonetica del giudeo-livornese certi fenomeni di consonantismo tipici della particolare varietà vernacolare livornese diffusa nel quartiere della Venezia Nuova (Cfr. M

ASSARIELLO

M

ERZAGORA

1977, 60)

7

. In realtà, come ha già evidenziato Fabrizio Franceschini (2008a, 212), le fonti ottocentesche non rilevano tali omogeneità, bensì una chiara difformità tra le due varietà dialettali.

5 L’iniziativa dalla redazione de la Rassegna Mensile di Israel avviata su stimolo di Riccardo Bachi (1926,367), che consisteva nella raccolta di liste di parole ed espressioni fornite per iscritto da tutte le comunità d’Italia, fu disgraziatamente interrotta dalla “bufera” delle leggi razziali e della guerra (TERRACINI 1951, 3-4). Il materiale raccolto, insufficiente rispetto al vasto progetto iniziale (TERRACINI 1951, 4), fu successivamente ordinato, analizzato ed illustrato da Benvenuto Terracini (1951, 3-11; 1951b, 63-72); purtroppo, esso non contiene informazioni sulla parlata giudaica di Livorno. Anche in TERRACINI 1962,oveil linguista descrive il successivo lavoro di raccolta sul campo del matematico e cultore di dialettologia Raffaele Giacomelli, Livorno e la sua parlata giudaica sono menzionati solo occasionalmente.

L’unica informazione linguistica originale è l’attestazione a Pitigliano della locuzione “còre mio”, introdotta, secondo un testimone degli anni Trenta, da ebrei livornesi trasferitisi nella cittadina grossetana.

6 Allo stato attuale di conoscenza delle fonti, questa peculiarità pressoché esclusiva all’interno del panorama giudeo-italiano pone chi esamina il lessico e la fraseologia del bagitto in un posizione privilegiata per osservare i complessi scambi tra giudeo-spagnolo e dialetti giudeo-italiani (per approfondimenti si rimanda a FRANCESCHINI 2006a e

A

PRILE

2010).

A conferma di ciò, la stessa Massariello Merzagora, in un posteriore saggio sulla parlata ghettaiola di Firenze, imputa al contatto con il giudeo-livornese la componente lessicale giudeo-spagnola attestata nel corpus giudeo- fiorentino (MASSARIELLO MERZAGORA 1983,100).

7 Per una conoscenza approfondita del profilo dialettale e del contesto storico-antropologico degli abitanti del quartiere della Venezia Nuova di Livorno si faccia riferimento a FRANCESCHINI 2006a e FRANCESCHINI 2006b.

(6)

Ciò che interessa è però l’accento posto sull’alto grado di conservatività fonetica dei parlanti giudeo- livornesi (M

ASSARIELLO

M

ERZAGORA

1977, 60, ma prima ancora B

EDARIDA

1957, 84), che, come rivelano le indagini sul campo alla base di questo lavoro

8

, sembrano preservare nel proprio repertorio, oltre a elementi lessicali toscani desueti, anche i suddetti tratti dell’antico livornese “veneziano”, seppur in forma residuale e a volte con esiti distanti.

L’anno successivo Maria Modena Mayer pubblicherà a Gerusalemme (M

AYER

M

ODENA

1978) un contributo ancora oggi imprescindibile per chi vuole indagare le specificità del giudeo-livornese.

Qui l’analisi linguistica non si sviluppa solo sul piano lessicologico, ma per la prima volta anche sul piano semantico, in stretta relazione alla dimensione pragmatica e alla variazione diafasica che caratterizzano l’uso della varietà da parte dei parlanti. Inoltre lo studio è accompagnato da un glossario degli oltre centoventi termini citati, di cui l’ebraista fornisce la fonte, il significato e l’etimologia (M

AYER

M

ODENA

1978, 175-179). Quest’ultimo elemento conferisce un valore particolare ai risultati, perché, per la prima volta dopo B

ECCANI

1942, è prodotta una raccolta lessicografica ottenuta da un corpus composto non solo da fonti a stampa, ma anche da “alcune interviste ad anziani Ebrei livornesi” (M

AYER

M

ODENA

1978, 166).

Giunti a questa altezza, è obbligatorio menzionare la fondamentale opera di Umberto Fortis e Paolo Zolli (F

ORTIS

-Z

OLLI

1979), che, sebbene tratti solo la parlata giudeo-veneziana, rappresenta il punto più alto finora raggiunto da questo filone di studi, almeno sul piano lessicografico. Sebbene, per ammissione degli autori, alla fonte non vi sia una vera e propria inchiesta dialettale con questionario, il materiale, di gran valore, è stato raccolto interrogando quattro testimoni anziani, a integrazione delle competenze dello stesso Fortis (F

ORTIS

-Z

OLLI

1979, 8). Nel capitolo che ripercorre le tappe degli studi sulle parlate giudeo-italiane, gli autori, rifuggendo in conclusione dalla tesi unitaria del Cassuto (cfr.: F

ORTIS

-Z

OLLI

1979, 46), citano il bagìto livornese, unico dialetto giudeo- italiano dotato di una denominazione propria (F

ORTIS

-Z

OLLI

1979, 13), tra i casi difficilmente compatibili con tale ipotesi (F

ORTIS

-Z

OLLI

1979, 40). Oltre a rappresentare un modello lessicografico per questa tipologia linguistica, è però il ricchissimo glossario (oltre cinquecentocinquanta vocaboli e locuzioni) lo strumento più utile ai nostri fini; ogni voce è infatti accompagnata dalle varianti attestate nelle altre parlate, fatto che consente proficui confronti con il lessico del giudeo-livornese

9

.

8 Si veda però già ORFANO 2008, 215-219 e FRANCESCHINI 2008a, 185, 190.

9 Successivamente Umberto Fortis pubblicò anche un’antologia del teatro giudeo-italiano del Novecento comprendente la riedizione di due commedie di Guido Bedarida (FORTIS 1989). I testi sono anticipati da un’interessante

(7)

Di lì a poco l’erudito e cantore popolare Paolo Edoardo Fornaciari, secondo cultore livornese dopo Guido Bedarida, inaugura una serie di interventi che hanno avuto – e hanno tutt’ora – il gran pregio di riaccendere nella città natale la consapevolezza, allora pressoché svanita, di questa originale realtà dialettale. Fornaciari pubblica un primo intervento sulla «Rassegna Mensile d’Israel» volto ad analizzare il contesto storico-culturale e gli scopi della letteratura satirica in bagitto di autori non ebrei, rimettendo in circolazione testi dimenticati da oltre un secolo, tra cui La betulia liberata e, soprattutto, i poemetti dai toni antiebraici di Giovanni Guarducci (F

ORNACIARI

1983). Nelle conclusioni introduce un elemento centrale, più volte ripreso in seguito: la caratterizzazione diastratica della parlata. Riprendendo e rafforzando le osservazioni del Bedarida, secondo Fornaciari il bagitto è in primis “la parlata del popolino ebreo”, un gergo privo di prestigio che connota il proletariato e il sottoproletariato della Nazione Ebrea di Livorno (Cfr. F

ORNACIARI

1983, 454). Un socioletto volgare, adatto ad essere scimmiottato ironicamente da patrioti come Giovanni Guarducci per spingere la borghesia liberale ebraica ad abbandonare definitivamente le tradizioni comunitarie e accettare l’assimilazione culturale (Cfr. F

ORNACIARI

1983, 454).

Poco dopo, Tiziana Scotto, riprendendo nel titolo il vecchio saggio di Guido Bedarida, compone in una pubblicazione poco nota (S

COTTO

1985) un quadro chiaro e completo sulle origini, la tradizione letteraria (comprendente anche i testi poetici e satirici meno noti) e la caratterizzazione linguistica del bagitto, senza rinunciare ad avanzare ipotesi originali. Secondo la Scotto la popolazione ebraica parlava in bagitto per comunicare con i cristiani, dando vita così a un “gergo” - è ancora questo il termine scelto - espressione di particolari ceti della comunità ebraica e del popolo livornese (S

COTTO

1985, 11)

10

. Una percezione della parlata che si avvicina dunque più a una varietà linguistica veicolare che a un dialetto comunitario piegato a specifiche esigenze di protezione e rafforzamento identitario. Ancora una volta, sono due i fattori ritenuti determinanti per la formazione del giudeo-livornese: l’arrivo di ebrei italiani a fianco degli iberici e i frequenti contatti con la popolazione cristiana, favoriti dall’assenza di ghetto (S

COTTO

1985, 13).

L’anno 1990, grazie alle due pubblicazioni di Mario Della Torre, alias Meir Migdali (Sonetti;

1990), costituisce un punto di svolta per la letteratura dialettale giudeo-livornese e per lo studio di questa varietà linguistica, sia dal punto di vista lessicologico che della storia letteraria; purtroppo, la

introduzione storica ricca di spunti linguistici, ma che non aggiunge niente di significativo al già noto sul giudeo- livornese.

10 L’autrice sottolinea che nel porto toscano si parla di “livornesi ebrei” e non, come avviene altrove, di “ebrei romani”, “ebrei torinesi” o “ebrei italiani” (SCOTTO 1985,11).

(8)

mancata ricezione dei Trenta sonetti giudaico-livornesi del livornese Mario Della Torre (Meir Migdali), stampati in proprio a Netania in Israele, non consentì all’epoca di riconoscerne il valore. I Trenta sonetti, scritti dall’autore dopo quasi mezzo secolo di assenza dalla keillà di Livorno, rappresentano il tentativo dichiarato - con modestia ma anche rivendicata originalità (Della Torre, Sonetti, 3) - di ripetere l’operazione culturale compiuta quarant’anni prima da Guido Bedarida. Le storielle e gli aneddoti messi in versi da Della Torre celano infatti una miniera di vocaboli ed espressioni giudeo-livornesi, accompagnati, sul modello dell’illustre precedessore, da note esplicative che, con sforzo ben riposto, includono proposte etimologiche sovente affidabili. Come già si evince dalle pagine introduttive, la scelta di dire “alcune cose che a lui [NdA: Guido Bedarida] erano sfuggite” (Della Torre, Sonetti, 3), denota un’elevata competenza linguistica, dimostrata dall’impiego di un discreto numero di parole e idiomatismi mai attestati in opere precedenti. Inoltre, nel resto dei casi, lo scrittore livornese propone anche forme grafiche e significati alternativi, elemento che dimostra l’acquisizione della parlata in forma diretta e principalmente orale.

Per Mario Della Torre il bagitto «non era un blocco omogeneo, ma un insieme o una stratificazione di varie tradizioni linguistiche» (Della Torre, Sonetti, 3); tra queste, le immissioni romanesche assumono a suo avviso un peso significativo (Della Torre, Sonetti, 3). Oltre a mettere in rilievo questo aspetto nel repertorio lessicale dei sonetti, l’erudito dedicherà al tema del rapporto tra giudeo-livornese e giudeo-romanesco un utile approfondimento (D

ELLA

T

ORRE

1990) che circolò tra gli addetti ai lavori e che include un glossario di termini comuni alle due parlate. Dopo aver ipotizzato la conservazione del giudeo-romanesco a Livorno da parte dei discendenti degli immigrati ebrei romani tra la prima metà del XVII secolo e la seconda metà del XVIII secolo (D

ELLA

T

ORRE

1990, 118), Della Torre sostiene l’ipotesi della contemporanea o poco posteriore formazione del bagitto rispetto al dialetto toscano livornese, fatto che differenzierebbe la parlata degli ebrei di Livorno da altre appartenenti a comunità più antiche, definite invece “dialetti locali ebraicizzati” (D

ELLA

T

ORRE

1990, 123). In questo contributo, inoltre, si sottolinea e, per la prima volta, si esemplifica l’elevata penetrazione di vocaboli ebraici nel dialetto dei non ebrei, imputata non solo alle dimensioni della comunità di Livorno, ma anche a migliori condizioni di convivenza (D

ELLA

T

ORRE

1990, 123). In seguito, si esprime una valutazione personale che merita di esser riportata:

«Per rifarmi allo stato linguistico del dialetto della mia gioventù posso dire che la classe

popolare ebraica cominciò già cent’anni fa a mescolarsi con i non ebrei. I matrimoni misti erano

già allora frequenti [...] Da questa classe che, paradossalmente, rimase attaccata alla tradizione

(9)

ebraica più della borghesia, venne fuori un dialetto livornese variamente ebraicizzato che spesso risulta completamente incomprensibile» (D

ELLA

T

ORRE

1990, 124).

Da queste considerazioni sembrerebbe che, secondo Della Torre, il bagitto e il dialetto giudaico della classe popolare ebraica e mista non fossero varianti diastriche o diacroniche della stessa varietà dialettale, bensì due fenomeni sostanzialmente indipendenti e cronologicamente separati.

Il tema dell’influsso del giudeo-livornese sul dialetto dei non ebrei è ripreso, seppur in forma dubitativa, in uno studio di poco successivo (G

ALLI DE

' P

ARATESI

1992, 144), mentre si ritiene certo l’influsso lessicale del giudeo-romanesco

11

proprio sulla base delle osservazioni di Della Torre (G

ALLI DE

' P

ARATESI

1992, 141). Si conferma inoltre la preponderanza dell’elemento iberico come tratto distintivo del bagito, tanto da ritenere di provenienza livornese alcuni iberismi diffusi anche in altri centri italiani (G

ALLI DE

' P

ARATESI

1992, 142). La studiosa rimarca poi una lacuna che alcune recenti indagini sul giudeo-livornese, e, infine, il presente lavoro, hanno tentato di colmare: l’assenza di ricerche di campo sull’uso vivo di tali parlate “nel contesto sociolinguistico appropriato come eventi linguistici spontanei” (G

ALLI DE

' P

ARATESI

1992 , 134).

Nello stesso anno, il figlio di Guido Bedarida, Gabriele, pubblica un asciutto ma denso lavoro sulle tradizioni sefardite livornese (B

EDARIDA

Gabriele 1992), in buona parte dedicato alla lingua, alla letteratura e al folclore, e, quindi, al bagitto. Il contributo al dibattito di Gabriele Bedarida è particolarmente autorevole, non solo per l’eredità intellettuale del padre, ma per l’intima e profonda conoscenza personale della comunità ebraica livornese in tutte le sue manifestazioni linguistiche e culturali. Egli pone l’accento sul carattere gergale e popolare della parlata, che, riaffermando il giudizio del padre, non ritiene degna di essere definita “dialetto” (B

EDARIDA

Gabriele 1992, 85). Nel paragrafo dedicato alla lingua, sono evidenziati certi aspetti morfologici e prosodici che dimostrano l’orginale influsso delle lingue iberiche sulla varietà, come ad esempio la formazione di verbi a partire da basi ebraiche con il suffisso spagnolo –ear o la particolare intonazione dei vecchi ebrei livornesi, simile a una “cantilena” e ritenuta un probabile retaggio portoghese (B

EDARIDA

Gabriele 1992, 85).

A differenza di altri esperti, il responsabile dell’archivio della Comunità sposta più avanti nel tempo

11 Allineandosi all’opinione diffusa da studiosi e cultori, la Galli De’ Paratesi, peraltro, considera il giudeo- romanesco l’unica parlata giudeo-italiana ancora vitale (

G

ALLI DE

' P

ARATESI 1992, 135).

(10)

la diffusione del bagitto, collocandola durante l’epoca della Restaurazione (B

EDARIDA

Gabriele 1992, 85). Infine, Gabriele Bedarida, dopo lo scritto di Fornaciari (1983), torna sul tema del rapporto tra emancipazione e declino dal bagitto, confermando il senso di repulsione verso la parlata diffuso tra coloro che desideravano una piena integrazione nella società italiana (B

EDARIDA

Gabriele 1992, 91).

Degno di menzione è inoltre il vocabolario del vernacolo di Giovanni Gelati (G

ELATI

1992), contenente diversi lemmi giudeo-livornesi ripresi dalle fonti letterarie dialettali. Alla voce bagitto si cita un passaggio di S

COTTO

1985 in cui il “gergo ebraico-livornese”, formatasi secondo la studiosa a partire dal 1700, è definito «lo strumento di comunicazione verbale del popolo». Una parlata «tipica delle comunità ebraiche pisana e livornese» e ritenuta certamente capace di influenzare i vernacoli delle due città (G

ELATI

1992, 28).

L’anno successivo, dopo Guido e Gabriele Bedarida, Fornaciari e Della Torre, un quinto erudito livornese, il giornalista e politico Vittorio Marchi, si cimenta nella composizione di un ricco Lessico del livornese con finestra aperta sul bagitto (M

ARCHI

1993), basato fondamentalmente sull’ordinamento alfabetico dei vocaboli contenuti nelle opere di Guido Bedarida. Il lavoro è artigianale, costellato di sviste e poco affidabile, ma risulta di grande interesse come testimonianza culturale e come fonte di utili confronti tra asettica ripresa antiquaria e introduzione di elementi soggettivi, derivanti dagli intensi legami personali e familiari con esponenti della comunità ebraica (cfr. M

ARCHI

1993, 260). Le osservazioni linguistiche, nette ma non meditate, colgono aspetti centrali e vanno comunque tenute in conto; secondo Marchi il bagitto si forma nel secolo XVII per consolidarsi in quello successivo (M

ARCHI

1993, 259), e si caratterizza non soltanto per la massiccia presenza dell’elemento iberico, ma anche per la scarsità di fenomeni toscani e l’assenza di germanismi (M

ARCHI

1993, 259). In un lavoro coevo, opera stavolta di un sociologo, il bagitto, definito dialetto giudaico-livornese, è distinto da un cosiddetto livornese di campagna, molto simile al vernacolo pisano (B

URGALASSI

1993, 15).

Dopo una pausa ventennale, Modena Mayer riprende a trattare del bagitto all’interno di un

saggio breve sulle varietà giudeo-italiane (M

AYER

M

ODENA

1997). In esso, portando ad esempio

proprio la realtà labronica, si sottolinea e approfondisce il già noto tema del rifiuto delle parlate

giudaiche da parte di molti ebrei a seguito dell’emancipazione della seconda metà del secolo XIX

(M

AYER

M

ODENA

1997, 944), cruciale per la comprensione delle dinamiche di trasmissione ed

(11)

evoluzione del bagitto

12

. Inoltre, descrivendo l’insieme delle parlate giudeo-italiane in prospettiva di un superamento della teoria del Cassuto (M

AYER

M

ODENA

1997, 946), la studiosa milanese pone sullo stesso piano l’apporto romano-meridionale e l’apporto dell’”Antica Spagna” tra gli elementi comuni provenienti da altri ambienti linguistici (M

AYER

M

ODENA

1997, 945), conferendo così implicitamente un forte peso al centro livornese all’interno di questa variegata realtà dialettale. Il ragionamento è poi chiaramente espresso nella descrizione delle tendenze morfologiche, ove sono segnalati certi suffissi di probabile matrice iberica diffusi principalmente a Livorno (M

AYER

M

ODENA

1997, 950).

Nel paragrafo sull’area toscana, assimilata all’area umbro-marchigiana, oltre a rimarcare l’importanza dell’opera di Guido Bedarida per documentare la parlata giudeo-livornese, se ne sottolinea la “straordinaria” e “sarcastica creatività” e, in linea con altri studiosi, l’unicità della presenza dell’elemento iberico nell’ambito delle parlate giudeo-italiane (M

AYER

M

ODENA

1997, 959). Tale fenomeno non è spiegato solo con l’originaria composizione etnica della comunità, ma anche con la persistenza del giudeo-spagnolo e del giudeo-portoghese accanto alle altre varietà linguistiche e soprattutto con la fittissima – e spesso inestricabile - rete di contatti tra Livorno e tutti i sefarditi del Mediterraneo (M

AYER

M

ODENA

1997, 959). L’ebraista si spinge oltre, concludendo che:

«a buon diritto, si può sostenere che il giudeo-livornese appartiene, oltre che all’insieme delle parlate giudeo-italiane (e notevoli sono i suoi rapporti, oltre che, naturalmente, con Firenze, anche con Roma), anche alla koiné sefardita: espressioni caratteristiche, metafore, proverbi rimbalznano da Salonicco a Livorno, da Livorno al Marocco o alla Turchia, ponendo complicati e a volte irresolvibili problemi etimologici: si tratta di creazioni livornesi, di prestiti dall’esterno, o di preziosi resti dell’antico comune fondo giudeo-spagnolo?» (M

AYER

M

ODENA

1997, 960).

Modena Mayer intende così ricollegarsi, rimodulandola secondo parametri più accettabili, alla drastica affermazione fatta molti anni prima da Beccani, secondo cui il dialetto ebraico livornese “si deve considerare come uno dei tanti parlari in uso presso i giudaico-spagnoli” (B

ECCANI

1941, 9).

12 Si veda a proposito il paragrafo §2.1.

(12)

Due anni più tardi Fornaciari torna a occuparsi del giudeo-livornese in occasione di un congresso internazionale tenutosi a Girona (F

ORNACIARI

1999). Nel breve intervento, il bagitto è considerato soprattutto un “fatto gergale” derivato dal castigliano dei discendenti dei profughi provenienti soprattutto dagli stati dell’Impero Ottomano e giunti a Livorno dopo aver fatto scalo ad Ancona e Ferrara (F

ORNACIARI

1999, 273). Un “parlar basso” settecentesco contrapposto al giudeo- portoghese della classe dirigente sefardita e marcato socialmente (F

ORNACIARI

1999, 273), che, secondo Fornaciari, in origine si realizzava in due modalità: la lingua franca degli scali mediterranei

13

, intesa come gergo commerciale e marinaresco, e il vernacolo ebraico locale (F

ORNACIARI

1999, 275).

Passata la soglia del secolo, un punto di svolta per lo studio del lessico di tutte le parlate giudeo-italiane è segnato dall’avvio della compilazione della sezione degli ebraismi nel Lessico Etimologico Italiano (LEI), curata da Marcello Aprile e Fabrizio Lelli. Come dichiarato dagli autori, la sezione conterrà, oltre alle forme entrate in italiano dall’ebraico per via dotta, la catalogazione e la sistemazione etimologica delle forme di origine ebraica nelle parlate delle comunità ebraiche italiane e da queste alle parlate dialettali della maggioranza cristiana (A

PRILE

-L

ELLI

2004, 454). I prestiti ebraici e aramaici lemmatizzati sono documentati anche da attestazioni orali (A

PRILE

-L

ELLI

2004, 456); in questo senso le fonti disponibili per le voci giudeo-livornesi, spesso scelte per gli esempi (cfr. A

PRILE

-L

ELLI

2004, 459), compongono un corpus già cospicuo che questo lavoro si prefigge di arricchire. Inoltre, in occasione del convegno veneziano di lessicografia dialettale in ricordo di Paolo Zolli, Aprile illustra un nuovo poderoso progetto lessicografico, Il lessico delle parlate giudeo- italiane (A

PRILE

2006), basato sullo spoglio esaustivo delle fonti a stampa note ma anche su documenti di prima mano, oltre che, naturalmente, sull’archivio della sezione degli ebraismi del LEI.

Nella presentazione del progetto, le parlate giudeo-italiane moderne sono considerate «un’esperienza singolare nel panorama linguistico, sociolinguistico e storico-linguistico italiano» (Aprile 2006, 492) che mal si adatta alle definizioni utilizzate per fenomemi linguistici in apparenza analoghi (Aprile 2006, 492). La situazione documentaria è passata in rassegna regione per regione, e, per la Toscana, è dedicato ampio spazio e importanza al caso livornese, rimarcando l’unicità del glottonimo bagitto e la ricchissima produzione sonettistica e teatrale otto-novecentesca (cfr. A

PRILE

2006, 496-497).

Trattando un fenomeno che si iscrive comunque nel quadro dialettale pisano-livornese, è inevitabile fare riferimento agli studi di Silvia Calamai e al suo lavoro sul vocalismo tonico dell’area (C

ALAMAI

2004). Dopo aver rimarcato la scarsa conoscenza dell’ebraico tra gli ebrei livornesi, la

13 Per approfondimenti si veda il paragrafo §1.2.5.

(13)

varietà giudeo-livornese è descritta a partire dagli aspetti prosodici, cioé la già nota cadenza

‘strascicata’ o cantinelante (C

ALAMAI

2004, 41-42). Citando Bedarida (1956, XVII), Massariello Merzagora (1977, 56), Scotto (1985,13) e Gelati (1992, 28), anche la Calamai pone in rilievo l’influsso della parlata su entrambi i vernacoli toscano-occidentali. In un successivo passaggio della descrizione della varietà vernacolare di Livorno, sono menzionate una serie testimonianze della fine dell’Ottocento fino al Duemila che descrivono la prosodia del livornese come somigliante a una

‘cantilena’ (C

ALAMAI

2004, 96) senza tuttavia porre in relazione questo elemento alla componente ebraica, mentre per il lessico e alcuni tratti fonetici questa relazione è raccolta quando emerge dalle fonti indirette (cfr. C

ALAMAI

2004, 102, 103).

L’anno successivo, Fornaciari, dopo aver inciso una raccolta di canti in giudeo-spagnolo e bagitto della tradizione sefardita livornese (F

ORNACIARI

2004), dà alla stampa Fate Onore al bel Purim, libro che gode di una discreta diffusione e che ha il merito di aver risvegliato nella comunità ebraica cittadina, e tra i livornesi in genere, la consapevolezza dell’esistenza e dell’originalità del dialetto giudeo-livornese. Il successo è in primo luogo dovuto alla ristampa ivi contenuta di una celebre pièce di Bedarida, di alcuni sonetti e poesie di Mario della Torre e Cesarino Rossi, e, infine, di alcuni stralci del poema “perduto” di Raffaello Ascoli, ritrovato proprio da Fornaciari. Lo studioso torna a ribadire già nell’introduzione la tesi già esposta anni prima, puntellata dalla proposta etimologica per il glottonimo

14

: il bagitto sarebbe innanzitutto un socioletto, cioé il modo di parlare, diverso da quello delle elités lusitanofone, del “basso popolo ebraico livornese” (F

ORNACIARI

2005, 4), sebbene altrove – anche nel sottotitolo – si scelga di chiamarlo più semplicemente il vernacolo degli ebrei livornesi.

Come già anticipato, il 2005 è però anche l’anno di avvio di una nuova stagione di studi in ambito specialistico, grazie al costante impegno di Fabrizio Franceschini nel corso degli ultimi dieci anni. Per la prima volta, infatti, le più remote fonti letterarie in giudeo-livornese, edite secondo criteri filologici a partire delle più antiche redazioni manoscritte o a stampa, sono collocate nel corretto contesto storico e socio-antropologico e analizzate linguisticamente con rigore. Questo approccio prende corpo in F

RANCESCHINI

2005 con un primo contributo generale che, a partire dall’analisi delle due versioni dialettali de La Betulia liberata

15

, si svilupperà ampiamente nei due volumi (F

RANCESCHINI

2008a e F

RANCESCHINI

2008b) dedicati allo studio degli “incontri” e gli “scontri”

14 Secondo Fornaciari l’etimo di bagitto è infatti il castigliano tardomedievale pueblo bajo (FORNACIARI 2005, 35).

15 Il riferimento è a Falcini, Molte e Duclou, Betulia.

(14)

linguistici e culturali tra la realtà popolaresca dei bagitti e quella dei veneziani (abitanti cristiani del vecchio quartiere livornese della Venezia Nuova) attraverso il riflesso restituito dalla letteratura dialettale sette-ottocentesca. Già in F

RANCESCHINI

2005, dopo aver avanzato una nuova solida proposta etimologica su basi diafasiche per il glottonimo

16

, si fornisce un quadro delle caratteristiche fonomorfologiche del bagitto a partire dall’analisi del poemetto di Duclou e dal profilo proposto da Beccani (B

ECCANI

1941) e si avvia il lavoro sul lessico differenziale, individuando e sciogliendo ebraismi adattati e non adattati, iberismi ed arabismi.

L’eco di questa rinnovata stagione di studi oltrepassa i confini europei, come dimostra l’intervento della studiosa brasiliana Eliana Rosa Langer (2005), in cui, dopo aver affermato – senza tuttavia addurre alcun elemento esplicativo – che il bagito è una lingua composta da un commistione di “voci antiche di regioni d’Italia e altre località” (L

ANGER

2009, 347), si ripercorre la storia linguistica della diaspora ebraica nel Vecchio Mondo seppur senza più trattare il tema specifico.

In F

RANCESCHINI

2006a si applica invece per la prima volta il metodo quantitativo basato sul calcolo delle occorrenze testuali nella poesia giudaico-livornese per confrontare la consistenza del lessico di origine iberica rispetto agli ebraismi, un aspetto da sempre ritenuto peculiare del bagitto ma mai verificato a partire da dati precisi. Ancora nello stesso lavoro è posta in relazione l’assenza o la scarsità di ebraismi adattati, forme propriamente bagitte e iberismi nel poema dell’Ascoli (Ascoli, Gli Ebrei) con l’assimilazione linguistica e culturale tipica dell’epoca unitaria.

Dopo aver prodotto un quadro accurato della straordinaria condizione di multilinguismo e multiculturalità della Livorno dell’epoca delle “Nazioni” straniere e della stessa comunità ebraica locale (F

RANCESCHINI

2006b), Franceschini pubblica inoltre un articolo sul lessico alimentare nella letteratura giudeo-livornese, spostando stavolta il focus anche sulle opere novecentesche (F

RANCESCHINI

2007), continuando così ad aggiungere tasselli propedeutici al lavoro lessicografico.

Proprio su impulso di Franceschini, chi scrive si è inserito in questo rinnovato percorso di ricerca, realizzando ai fini della tesi di laurea un’indagine sul campo (O

RFANO

2008) volta a verificare la persistenza di tracce della parlata giudeo-livornese nella lingua orale di testimoni ebrei e non ebrei

16 Secondo Franceschini il termine bagitto allude a un linguaggio intimo e segreto, come suggerisce l’esppressione andalusa cantando bajito, cioé ‘filrsela senza esser notati’ (FRANCESCHINI 2008a, 39-40); ad oggi questa ipotesi etimologica è la più accreditata.

(15)

livornesi, concentrando la scelta del campione tra anziani e commercianti

17

. I frutti di questa inchiesta, condotta tra il 2005 e il 2007, dimostrano la vitalità della parlata oltre la soglia del XX secolo, seppur ridotta a un nucleo lessicale e fraseologico circoscritto e perlopiù impiegato con finalità criptico- gergali. Per la prima volta nell’ambito degli studi sulle varietà giudeo-italiane, si è fatto ricorso all’elicitazione di dati orali registrati dalla viva voce dei parlanti e alla sua successiva organizzazione in un archivio sonoro, successivamente pubblicato su supporto CD-ROM (O

RFANO

2010). Sul piano lessicografico, gli apparati prodotti sono due: a) un glossario composto oltre duecento parole accompagnate dalla trascrizione di contesti di occorrenza esemplari per forma e significato estrapolati dal suddetto corpus, immediatamente ascoltabili nella versione multimediale; b) una lista ordinata alfabeticamente del lessico notevole dei centoottanta sonetti che compongono B

EDARIDA

1956, comprensivo di varianti, collocazione delle forme nell’opera e citazione integrale delle note esplicate dell’autore.

Oltre alla inattesa persistenza attuale della parlata, come già detto, soprattutto nella sua veste di gergo commerciale o tabuistico, l’altro elemento interessante emerso da questo studio è l’esistenza di numerose parole e forme adattate mai attestate prima che, da un lato, testimoniano la ricchezza lessicale del giudeo-livornese (più estesa di ciò che si ricava dalle fonti a stampa) e dall’altro ne dimostrano un certo grado di produttività morfologica anche relativamente recente.

La prospettiva abbozzata in L

ANGER

2005 istruisce invece il volume di Ana Rosa Campagnano sulla lingua, la memoria e la storia degli Ebrei di Livorno, pubblicato a San Paolo del Brasile (C

AMPAGNANO

2007). Nel capitolo intitolato Introdução ao léxico do bagito (C

AMPAGNANO

2007, 201-312), si applicano al giudeo-livornese alcune categorie di classificazione lessicologica delle lingue giudaiche proposte in M

ORAG

1999 (C

AMPAGNANO

2007, 201-206) con il sostegno una serie di esempi lessicali, sulla scorta di quanto già esposto in L

ANGER

2005. Successivamente l’autrice propone un “lessico del bagitto” (C

AMPAGNANO

2007, 206-312), attingendo principalmente da M

ARCHI

1993 (importandone dunque i numerosi errori e refusi, e, purtroppo, aggiungendone altri), e, in subordine, dalle opere di Guido Bedarida; per ogni ogni lemma si fornisce significato, lingua di origine e base etimologica.

Tornando in Toscana, i già citati volumi intitolati Livorno, la Venezia e la letteratura dialettale (F

RANCESCHINI

2008a e F

RANCESCHINI

2008b) costituiscono il risultato della rielaborazione e

17 I dettagli metodologici e il piano di raccolta dei dati sono esplicitati nel capitolo III, in quanto il corpus orale e il lessico lemmatizzato in ORFANO 2008 costituiscono parte integrante dei dati linguistici alla base del presente lavoro.

(16)

dell’approfondimento dei temi già toccati dal linguista pisano, e segnano una tappa fondamentale di ricapitolazione e definizione nel percorso degli studi sul giudeo-livornese. In particolare, nel paragrafo che chiude il primo volume, Posizione e caratteri del bagitto ottocentesco (F

RANCESCHINI

2008a, 196-216) si evidenzia, facendo un confronto con il giudeo-veneziano e il giudeo-romanesco, l’elevata distanza linguistica del bagitto rispetto al dialetto pisano-livornese. Il quadro fonetico e morfologico già esposto in F

RANCESCHINI

2005, 18-19 è ampliato e contestualizzato; l’analisi di certe forme plurali femminili in –i attestate nelle opere dialettali più attendibili ha consentito di agganciare il ragionamento alle ipotesi sulla possibile origine comune delle diverse varietà giudeo-italiane, concludendo che certi tratti morfologici dimostrano sostanzialmente l’influenza linguistica degli ebrei di provenienza romana e centromeridionale presenti a Livorno (F

RANCESCHINI

2008a, 210).

Gli approfonditi studi sulle fonti letterarie si accompagnano a una seconda inchiesta sul campo

condotta dallo studioso olandese Cees Wagemans (2009), che ha fruttato materiali preziosissimi per

l’indagine sulle condizioni attuali del giudeo-livornese tra i parlanti. Basata su un questionario

lessicale scritto somministrato a ben novantasei informatori livornesi, per la maggior parte ebrei,

l’inchiesta è corredata da un glossario composto da un’ottantina di parole fornite spontaneamente

dagli intervistati (W

AGEMANS

2009, 84-85), tra cui alcune mai attestate in precedenza. In generale,

secondo questo studio (che conferma nella sostanza i risultati emersi in O

RFANO

2008) il bagitto,

entrato in crisi dagli anni Trenta (W

AGEMANS

2009, 37), è ancora una parlata residualmente vitale,

soprattutto nei ceti bassi (cfr. W

AGEMANS

2009, 38, 56), e, in certi casi, diffusa anche tra i non ebrei

per legami di parentela o affinità. Secondo Wagemans, il giudeo-livornese oggi non è più un vero e

proprio mezzo di comunicazione, bensì un repertorio lessicale “aggiunto” al dialetto o all’italiano per

esprimere complicità affettiva tra due interlocutori (cfr. W

AGEMANS

2009, 57). Nella tesi si indicano

poi diverse e circostanziate cause concorrenti per spiegare il declino della varietà; oltre

all’assimilazione culturale del periodo risorgimentale, alle persecuzioni razziali e alla dispersione

post-bellica, sono imputati le ambizioni di ascesa sociale e il conseguente desiderio di affrancarsi da

certi retaggi popolareschi; il latente antisemitismo presente anche a Livorno; i precoci e diffusi

matrimoni misti; l’esodo verso Israele e altri centri italiani nel secondo dopoguerra; la progressiva

chiusura di attività commerciali di proprietà di ebrei all’interno della piazza del Mercato Centrale; la

scomparsa della famiglia allargata in favore di quella nucleare; l’arrivo a Livorno di un consistente

numero di ebrei libici dopo il 1867; la chiusura della scuola elementare ebraica nel 1983; lo scarso e

alterno interesse dei rabbini livornesi verso questo fenomeno linguistico-culturale nell’ultimo mezzo

secolo (Cfr. W

AGEMANS

2009, 60-68).

(17)

La tesi di Wagemans e le ultime pubblicazioni alimentano nuovamente l’interesse internazionale per il tema, come testimonia il contributo su scrittori giudaico-livornesi e integrazione dell’italianista dell’Università di Gröningen Maria Carmela D’Angelo, presentato durante un convegno istanbuliota tenutosi nel 2010. In esso si pone l’accento sul carattere espressionistico e popolaresco della ricca fraseologia bagitta, più che sull’esistenza di una vera e propria “grammatica”

o sintassi (Cfr. D’A

NGELO

2012, 123-124).

Parallelamente, Aprile segna un’altra tappa del suo percorso di studio lessicale comparato delle varietà giudeo-romanze d’Italia con la pubblicazione di un denso articolo sul rapporto tra parlate giudeo-italiane e giudeo-spagnolo parlato (A

PRILE

2010), in cui, per i motivi già esposti, i riferimenti a Livorno sono numerosi, anche riguardo ai prestiti semantici. Lo studioso salentino sviluppa da una prospettiva cronologicamente moderna un ambito di ricerca le cui basi storico-linguistiche erano già state solidamente gettate da Laura Minervini (1996, 2008), ma che fino a quel momento era stato soltanto abbozzato in M

AYER

1996.

Tornando al focus principale, un successivo contributo di Franceschini dedicato all’analisi di tre voci giudeo-italiane (F

RANCESCHINI

2011) contiene una definizione di bagitto che ben sintetizza il punto di caduta della ricerca dell’autore:

«Nel quadro delle parlate giudeo-italiane, il giudeo-livornese sette-ottocentesco occupa un posto particolare. Si tratta infatti di una varietà italo-romanza caratterizzata dall’assenza di tratti fonomorfologici tipici del livornese e più ampiamente del toscano (mentre altri giudeo- parlari condividono condizioni, presenti o passate, delle varietà dialettali circostanti), da interferenze morfologiche di probabile origine giudeo-italiana centromeridionale e, specialmente, da forti interferenze ibero-romanze» (F

RANCESCHINI

2011, 106).

Mentre questa nuova stagione di studi riaccendeva l’interesse sul tema, valicando peraltro l’ambito accademico

18

, il biochimico Giacomo Nunez, italo-tunisino di origini sefardite livornesi,

18 Si ricorda in particolare la presentazione pubblica del già citato archivio sonoro (ORFANO 2010), svolta all’interno del Mercato Centrale di Livorno e introdotta da Marcello Aprile e Fabrizio Franceschini, che vide la partecipazione di un ampio pubblico composto in maggioranza da membri della comunità ebraica e semplici cittadini.

(18)

pubblica un primo libro di memorie familiari e personali (N

UNEZ

2011) che apre a una stimolante speculazione: il repertorio linguistico e dialettale dei nuclei ebraico-livornesi di antico insediamento nei centri costieri e insulari del Nord Africa e del Medio Oriente. Nel volume non ci sono riferimenti specifici al bagitto o un particolare dialetto dei livornesi ebrei di Tunisi (i cosiddetti Grana

19

), ma saltano all’occhio le numerose riflessioni sul plurilinguismo familiare e comunitario accompagnate da esempi, tra cui una serie di parole relative soprattutto alla cucina e all’abbigliamento, che fanno parte del vocabolario bagitto più remoto o ne rappresentano forme antecedenti o alternative. Nello stesso anno, a partire dalle biografie di tre attori culturali distanti per origine, età e formazione (Piero Nissim, Paolo Edoardo Fornaciari, Matto Scarpettini), chi scrive ha descritto l’intreccio tra i diversi percorsi di rivalutazione artistica dei canti bagitti e sefarditi tra Pisa e Livorno (O

RFANO

2011a), pubblicando anche i testi inediti di due canzoni originali scritte dal giovane musicista livornese Scarpettini, primo autore giudeo-livornese dopo Mario Della Torre a misurarsi di nuovo con la versificazione in bagitto.

In questa scorsa di pubblicazioni recenti, La Grammatica storica delle parlate giudeo-italiane di Marcello Aprile, uscita nel 2012, costituisce una pietra miliare nella dialettologia descrittiva dei giudeo-parlari, e, di conseguenza, del giudeo-livornese. Il saggio si poggia sulla documentazione lessicale raccolta e organizzata durante l’imponente lavoro verso la composizione del già menzionato Lessico delle parlate giudeo-italiane (A

PRILE

2012, 5). Superando l’approccio lessicografico grazie all’analisi comparata delle diverse varietà, Aprile fornisce inoltre un’attenta interpretazione linguistica complessiva delle parlate moderne (A

PRILE

2012, 5), portando a compimento con sistematico rigore i precedenti tentativi di Massariello Merzagora (1977) e Modena Mayer (1997).

Altro aspetto estremamente interessante è la sezione lessicografica, ordinata secondo criteri

Si segnala inoltre il reiterato interesse giornalistico di testate locali e nazionali negli spazi dedicati al costume, alla società e alla cultura (si veda ad es.: M. Gasperetti, “Livorno, rivive l'antica lingua segreta degli Ebrei”, Corriere della Sera, 10 novembre 2009, edizione in linea, http://www.corriere.it/cronache/10_novembre_09/bagitto-livorno- gasperetti%20_f9c9f1e4-ec24-11df-8ec2-00144f02aabc.shtml.)

19 Da Qurna, nome arabo di Livorno, da cui Gorni o Qurni, ‘ebreo livornese di Tunisi’, flesso al plurale in Grana o Qrana (cfr. FRANCESCHINI 2013, 430).

(19)

onomasiologici

20

per evidenziare le caratteristiche suppletive del lessico differenziale delle comunità ebraiche rispetto ai dialetti comuni (A

PRILE

2012, 137).

Il corpus spogliato, descritto nel dettaglio, è esente da lacune per copertura diatopica e diacronica, e include anche contributi recenti come O

RFANO

2010 e F

RANCESCHINI

2005, 2006a, 2007, 2008a, 2008b. In questo senso, la Grammatica di Aprile contiene in nuce un profilo linguistico - soprattutto sul piano semantico - accompagnato dal patrimonio lessicale di ogni singola parlata, e, in virtù della relativa ricchezza documentaria

21

, ciò vale innanzitutto per il giudeo-livornese. Senza entrare nel dettaglio, è sufficiente evidenziare in questa introduzione che, oltre a certi originali tratti fonomorfologici già noti, il bagitto, con esiti analoghi al giudeo-romanesco

22

, si distingue per una serie di strategie peculiari nella formazione e composizione della parola, per la maggiore propensione all’adattamento dei prestiti ebraici e per il gran numero di calchi (anche semantici), termini fraseologici e modi di dire. Inoltre, lo spoglio condotto in A

PRILE

2012 conferma l’elevatissimo numero di prestiti iberici

23

e l’assenza pressoché totale di germanismi (cfr. A

PRILE

2012, 135-136).

Infine, il fondamentale ed esaustivo sistema onomasiologico del lessico giudeo-italiano moderno elaborato dall’autore (A

PRILE

2012, 137-296) sulla base dell’ordinamento concettuale del B

EGRIFFSSYSTEM

consente di operare varie analisi quantitative e comparazioni utili a comprendere le correlazioni tra uso della parlata e sfere semantiche. Nello specifico, si nota la scarsità di termini relativi all’universo fisico, mentre è ben espresso tutto ciò che riguarda l’essere umano, soprattutto nei suoi rapporti sociali, in particolare per ciò che concerne la coscienza e la rappresentazione di sé, l’intelletto, il sapere; i sentimenti e le loro manifestazioni; il lavoro, il commercio e la proprietà;

l’organizzazione sociale e comunitaria; la sfera religiosa. Si rileva inoltre la profusione di vocaboli e sinonimi per esprimere concetti colpiti da tabù, siano essi relativi alla sessualità, alle funzioni corporali o alla malattia, alla morte e al lutto; in questo senso l’originale approccio lessicografico di Aprile conferma dunque per via semantica le osservazioni già esposte in M

ODENA

M

AYER

1978.

20 Il modello scelto, oppurtunamente adattato alle specificità linguistico-culturali delle varietà giudaiche, è la versione francese di

B

EGRIFFSSYSTEM

, elaborato da Rudolph Hallig e Walter Von Wartburg per il FEW.

21 La qualità e la quantità delle fonti a disposizione, se da un lato aiuta a descrivere la parlata in modo più completo, dall’altro indebolisce il valore di un’analisi comparata, proprio per la disparità di dati da confrontare.

22 La comunanza di certi fenomeni tra Roma e Livorno rafforza dunque il ragionamento già esposto in FRANCESCHINI 2008a,210.

23 Metà degli spagnolismi e quasi tutti i lusitanismi, oltre agli ebraismi acquisiti attraverso il giudeo-spagnolo (cfr. APRILE 2012, 123-131).

(20)

Dopo questo grande passo in direzione di una sintesi della variegata fenomenologia giudeo- italiana, un altro affondo verso l’approfondimento della specificità del bagitto ottocentesco e dei suoi riflessi letterari e culturali è compiuto nuovamente da Franceschini, con la pubblicazione di una monografia sulle vita e le opere di Giovanni Guarducci nella prospettiva del suo rapporto con il mondo ebraico (F

RANCESCHINI

2013). Secondo la formula già proposta con efficacia in F

RANCESCHINI

2008a e 2008b, il volume include l’edizione critica dei componimenti bagitti, ebraizzanti e italiani carichi di satira antiebraica del garibaldino livornese, preceduta da un approfondito commento storico-politico e linguistico-culturale sviluppato attraverso l’angolatura della sua produzione poetica. Il saggio si chiude con un ampio glossario delle voci lessicalmente notevoli o non immediatamente perspicue presenti nelle suddette satire (F

RANCESCHINI

2013, 383- 467) e con un’appendice di onomastica ebraica (F

RANCESCHINI

2013, 468-472), primo contributo lessicografico di questo genere.

Il capitolo dedicato alla lingua del poeta labronico si apre sull’interessante tema del glottonimo: nelle opere del Guarducci la parola bagitto, infatti, non compare mai, a differenza della coeva Betulia liberata di Luigi Duclou, ove è usata come identificativo etnico (Duclou, Betulia, 208).

La varietà linguistica giudeo-livornese, in altri contesti ottocenteschi

24

variamente definito “dialetto ebraico”, “lingua” (seppur “fottutissima”) o “gergo”, è chiamata “lingua nazionale”, nel senso di lingua della Nazione ebrea di Livorno (F

RANCESCHINI

2013, 197). Attraverso un’attenta analisi della caratterizzazione fonetica, morfologica e lessicale operata dal Guarducci nei diversi componimenti

25

, si evidenzia la perizia stilistica dell’autore, capace di comunicare, proprio attraverso la parodia linguistica, gli effetti spersonalizzanti e disgreganti del processo di assimilazione attivo in quella cruciale fase storica sulla comunità ebraica nel suo complesso (cfr. F

RANCESCHINI

2013, 205). Il

“popolino” dei bagitti, erede di mercanti, trafficanti e facchini, è infatti deriso agli occhi del lettore attraverso lo strambo vocabolario ricco di ebraismi e orientalismi, mentre per gli ebrei di rango elevato l’autore si limita a una patina fonetica (cfr. F

RANCESCHINI

2013, 205).

Gli studi di Franceschini sull’imitazione parodistica del dialetto giudaico da parte di scrittori livornesi non ebrei ottocenteschi costituiscono, ai fini di questo lavoro, un elemento di confronto (seppur nell’assoluta distanza di diamesi e scopi comunicativi) con le realizzazioni fonetiche e le

24 Il riferimento è a Duclou, Betulia.

25 Si veda FRANCESCHINI 2013, 198-204.

(21)

varianti lessicali adottate da informatori non ebrei contemporanei ed elicitate oralmente nelle recenti indagini dialettologiche.

Il lungo scambio di contributi tra testimoni, eruditi e specialisti si arricchisce, dopo l’esperienza autobiografica, con un nuovo volumetto di Giacomo Nunez, stavolta dedicato specialmente al dialetto giudeo-livornese, realtà ravvivata nella memoria dell’autore da recenti letture e soggiorni livornesi. Come tiene a specificare addirittura nel colophon, lo scienziato, attualmente residente a Washington, preferisce per il glottonimo la forma scempia bagito, ritenuta più vicina all’etimo spagnolo, spiegato con la necessità dei marrani, tornati alla religione avita una volta giunti a Livorno, di ricorrere a una “lingua segreta”, da parlare a voce bassa, appunto, per proteggersi dall’accusa di apostasia (Nunez 2013, 4)

26

.

Riguardo al bagito di Tunisia, Nunez afferma in modo netto che:

«Quasi tutte le famiglie livornesi di origine iberica stabilitesi a Tunisi all’inizio del Novecento [N.d.A: leggasi: “Ottocento”] hanno conservato per quasi centocinquant’anni il bagito di origine, forse più di quanto sia accaduto a Livorno stessa. Ma purtroppo, tranne due o tre parole, da questo punto di vista io sono l’ultimo dei livornesi che ricorda tante espressioni» (N

UNEZ

2013, 27).

Qui, con il termine “livornesi”, sempre scritto in tondo, l’autore indica l’appartenza a un gruppo etnico ben preciso, composto da discendenti di ebrei portoghesi, spagnoli e, in misura minore, italiani provenienti da Livorno, che formarono una coesa comunità fiorente e ben distinta dagli ebrei tunisini (Cfr. N

UNEZ

2013, 19). Il bagito tunisino che ricorda Nunez è una lingua che rafforza e identifica l’appartenenza al gruppo, composto in buona misura da notabili e benestanti, e, sebbene servisse principalmente per non esser compresi dagli altri (Cfr. N

UNEZ

2013, 19), è qualcosa di cui andare orgogliosi, a differenza di ciò che affermano o lasciando intendere altri testimoni di Livorno.

Il libro contiene una raccolta di parole ed espressioni spiegate nel loro significato e contesto d’uso (N

UNEZ

2013, 29-46), che ad oggi risulta di enorme interesse, non solo perché dimostra la diffusione della parlata fuori dal centro di origine (caso unico in ambito giudeo-italiano), ma anche perché

26 Questa spiegazione non dissipa il sospetto di una posteriore acquisizione colta del termine, sebbene l’autore, nel libro e nelle interviste, abbia sempre coerentemente affermato di aver appreso la parola a Tunisi per trasmissione orale.

(22)

testimonia, nella comunità livornese sefardita di Tunisi, la conservazione di abitudini fonetiche e lessico giudeo-livornese antico, in buona parte di remota base iberica.

La questione del bagitto tunisino è ripresa e sviluppata in O

RFANO

2014, grazie ai dati raccolti da una precedente terza inchiesta effettuata tra alcuni parlanti della capitale nordafricana ed altri italo- tunisini di origine livornese emigrati negli Stati Uniti, tra cui, appunto, Giacomo Nunez. Le interviste videoregistrate restituiscono uno spaccato plurilinguistico e culturale complesso e poco noto, in cui il retaggio giudeo-livornese è solo una delle componenti, e che, in O

RFANO

2014, è stato appena sondato. Ad ogni modo, il corpus orale così ottenuto ha consentito la compilazione di un glossario di voci di indubbia matrice giudaica (O

RFANO

2014,143-144), tra cui molti termini e locuzioni già attestati in fonti precedenti di ambiente livornese.

Come emerge già chiaramente da questa rassegna, la questione della vitalità e dell’attuale consistenza della parlata si configura come un argomento aperto e degno di maggiore approfondimento, proprio alla luce degli incoraggianti risultati prodotti dal lavoro di campo degli ultimi anni.

Giunti a questo punto dello stato dell’arte degli studi, alcune domande meritano una risposta non impressionistica: cosa resta oggi del bagitto delle origini nell’uso spontaneo? Chi lo ricorda e chi ancora lo usa? In quali occasioni e contesti comunicativi? Che dimensioni e fisionomia possiede l’attuale patrimonio lessicale e fraseologico di questa varietà dialettale? In che cosa si differenziano i residuali parlanti giudeo-livornesi attuale dai bagitti ottocenteschi, sia dal punto di vista del repertorio lessicale che sociolinguistico? Le inchieste orali tra i testimoni, non filtrate dalla tradizione letteraria, consentono di verificare la sussistenza dei supposti tratti originali del giudeo-livornese, oppure, di individuarne altri?

Mentre, su un altro versante di ricerca, il lavoro sulle fonti testuali continua a dare frutti, è compito di chi scrive stabilire alcuni punti fermi attraverso l’analisi e la rielaborazione del consistente corpus di dati linguistici attualmente a disposizione, confrontandolo e incrociandolo con il materiale linguistico desunto dalle fonti a stampa. Senza anticipare criteri e metodologia adottata

27

, si è scelto di ripartire dai promettenti risultati già emersi in O

RFANO

2008 e avviare un nuovo ciclo di indagini sul campo, ampliando considerevolmente la platea degli informatori per numero, età e condizioni

27 Per la descrizione dettagliata dell’indagine sul campo si veda il capitolo III.

(23)

socio-economiche, ed espandendo il terreno di inchiesta ben oltre Livorno

28

, compiendo così un sostanziale passo avanti nella definizione dell’effettivo areale storico di diffusione della varietà.

Frutto di un piano di elicitazione pluriennale, il corpus audiovisivo è stato indicizzato per enunciati contenenti i contesti di occorrenza del lessico differenziale, ma anche isolando le osservazioni metalinguistiche e altre informazioni contestuali fornite dagli informatori, sottoposti, secondo il livello di competenza dialettale, a diversi tipi di input da parte del raccoglitore.

Al materiale così organizzato e predisposto per l’analisi linguistica – principalmente di ordine lessicologico - si è aggiunto il glossario alla base di O

RFANO

2010, in modo da creare la banca dati più vasta possibile sull’uso o sulla reminiscenza della parlata da parte di testimoni viventi nel corso dell’ultimo decennio.

Dopo un capitolo introduttivo in cui si delinea un profilo storico e linguistico della comunità ebraica di Livorno, il presente lavoro si apre con la descrizione delle inchieste sul campo che hanno condotto alla costituzione del corpus a cui si è già accennato. Per la prima volta in questo ambito di studi, sono esplicitati criteri, metodi, fasi, luoghi e dimensioni della campagna di raccolta dati, in modo da consentire una valutazione oggettiva dei risultati esposti e delle conclusioni raggiunte.

Successivamente, l’analisi si sviluppa in due direzioni: la questione del grado di vitalità della parlata e l’esame lessicologico del corpus. Nel terzo capitolo, dopo aver esaminato le valutazioni degli esperti, si espongono e si confrontano i risultati emersi dalle indagini sul campo riguardo alle attuali condizioni della parlata giudeo-livornese: consapevolezza e giudizio dei parlanti, evoluzione, segnali di vitalità e di estinzione, ambiti d’uso, scopi e contesti comunicativi.

Nel quarto capitolo si passa invece a descrivere e analizzare il corpus principalmente con criteri quantitativi: tracce dei fenomeni fonomorfologici peculiari, composizione del lessico differenziale su base etimologica; focus sull’elemento iberico e sul lessico esclusivo prodotto dagli informatori tunisini; analisi del lessico di frequenza e esame semantico del lessico di base. Il quinto capitolo illustra i dati offerti dall’indagine sociolinguistica operata sulla base della valutazioni degli informatori e su alcuni indicatori relativi alla competenza dialettale. Il sesto capitolo è costituito dalla lemmatizzazione del lessico differenziale ricavato dal corpus; ogni lemma è accompagnato della informazioni etimologiche e grammaticali, dal significato nelle diverse accezioni e dal confronto

28 Il campione degli informatori è descritto in §3.5, mentre all’appendice 1 si può consultare la scheda di ogni intervistato.

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