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Il mondo  recita Bauman , non è dotato né di una struttura, né

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

Obiettivo del presente lavoro è quello di procedere allo studio del fenomeno della regolazione all’interno della cornice giuridico-economica dei mercati non domestici, che ha condotto alla realizzazione di un mercato sovra- nazionale, all’istituzione di un’organizzazione mondiale del commercio e allo sviluppo di accordi macro-regionali. Si cerca di affrontare la questione dando una rapida ricognizione storica dei tratti caratteristici dell’intervento pubblico nel mercato e ponendo, quindi, l’accento sul difficile rapporto intercorrente tra diritto ed economia. Tale legame trae le proprie fondamenta nella considerazione secondo cui l’economia è un oggetto difficile da governare, che obbedisce a regole proprie anche se, nella storia delle istituzioni, ha intrecciato le proprie dimensioni con il diritto, in un rapporto di reciproca influenza.

Si è cercato di incasellare la questione partendo da un’analisi sistematica del concetto stesso di Globalizzazione, del quale si prova ad illustrare le caratteristiche tipiche oltre che tratteggiarne un tentavo di definizione, benché si tratti di un fenomeno dotato di evidente portata multidimensionale.

Il mondo  recita Bauman , non è dotato né di una struttura, né

della solidità di un tempo: la globalizzazione si prospetta, quindi, quale

processo attraversato da fasi di decelerazione e accelerazione le cui intensità e

modalità non sono facilmente prevedibili. L’ampliamento dei mercati, la

deregolamentazione e le privatizzazioni creano, quindi, uno spazio economico

e finanziario in continua espansione, incoraggiano l’abbattimento dei costi,

l’aumento delle transazioni finanziarie ed estendono la scala di produzione

verso una più efficiente realizzazione di scambi di merci, servizi, movimenti di

capitale e persone, attraverso l’eliminazione di barriere di natura economica e

giuridica oltre che culturale. Tutto ciò si inserisce all’interno di una crisi

economica generalizzata, nella quale la supposta unità globale del mercato è

contraddetta da l’espandersi di flussi migratori, dall’incremento di profonde

disuguaglianze tra le diverse zone geografiche e dall’emergere di imprese

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multinazionali, che attraverso attività di offshoring e outsourcing, influenzano tutte queste dinamiche, oltre che i mercati globali.

Enunciati gli obiettivi generali, si propone di affrontare i tratti caratteristici dell’intervento pubblico nell’economia: la storia insegna che forme di regolazione pubblica in modi, quantità e qualità distinte sono sempre esistite in tutti gli ordinamenti e il passaggio da un mercato unico di carattere nazionale ad uno di tipo globale, modifica in misura rilevante l’intervento dei soggetti pubblici statali in campo economico, declassando il ruolo dello Stato nazionale.

L’espansione del ruolo del potere pubblico nella sfera di regolazione dei mercati trae le proprie origini all’interno di un contesto nel quale la libertà economica individuale non ha ricevuto le necessarie garanzie.

Nell’elaborato si affronta l’evoluzione di tale libertà, partendo dalla concezione avvallata dai pensatori appartenenti alla corrente liberale e muovendo verso quanto cristallizzato all’interno dei Trattati comunitari, nei quali si riconosce la libertà all’impresa mediante la realizzazione di un mercato aperto e in libera concorrenza. L’orientamento che si delinea non è uniforme:

apre, quindi, la necessità di un bilanciamento dei diversi interessi, considerando che la libertà economica incontra dei limiti sia a livello comunitario che nazionale, in particolar modo laddove l’agire contrasti non soltanto con i principi fondamentali della Costituzione (la dignità umana e l’utilità sociale) ma anche laddove violi sfere inerenti l’ordine, la sicurezza pubblica e la salute.

L’approvazione della Costituzione Repubblicana  e in particolare il

riferimento all’art. 41 Cost.  apre, dunque, un capitolo diverso

dell’intervento pubblico. Si inserisce il concetto di economia mista, nella quale

vengono a convivere proprietà pubblica e privata, funzionalizzata all’utilità

sociale, che è comunque soggetta, mediante riserva di legge esplicita (art. 41

Cost. comma 2), a controlli e programmi.

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Ingente è stato, quindi, il dibattito innescato sul contenuto di tale disposizione, considerando che l’art. 41 Cost., oltre all’opera di circoscrizione del rapporto fra l’iniziativa economica e l’intervento dei poteri pubblici, può essere considerata una delle norme sulle quali trova giustificazione l’intervento dello Stato nel settore economico.

La rivoluzione organizzativa degli anni Venti del secolo scorso, muove dalla necessità di un intervento pubblico a sostegno del tessuto industriale, influenzata da una precisa scelta ideologica relativa ai mezzi di produzione. In Italia, si assiste alla proliferazione di imprese commerciali con garanzia pubblica, le holding società pubbliche quali Eni, Iri e Efim, per le quali viene introdotta la categoria degli enti pubblici di tipo economico. Nello stesso periodo storico proliferano, quindi, forme distinte di rapporto tra realtà economiche e soggetti pubblici, i quali, insieme ai Ministeri, gestiscono parallelamente il settore economico. Attraverso il sistema delle partecipazioni pubbliche, lo Stato si inserisce nel mercato, quale soggetto erogatore di servizi e beni, non limitandosi ad agire in qualità di regolatore. L’intervento pubblico nell’economia agisce, quindi, in una dimensione fortemente contraddittoria e caratterizzata da ritmi discordanti e intermittenti.

Nella prima metà del XX secolo , prevalgono politiche economiche tese a governare l’economia attraverso la predisposizione di pianificazioni economiche generali, le quali nel mondo sovietico sono considerate il modello di gestione dell’intero sistema economico, mentre in Europa assumono le forme di una pianificazione cosiddetta indicativa. Queste, perseguono, alla stessa stregua della regolazione, fini di carattere generale ma se ne distanziano perchè la programmazione guida le attività economiche secondo la cosiddetta funzione-obiettivo, ovvero oltre a stabilire gli obiettivi sociali, fissa il percorso e predispone, anche se non completamente, i mezzi normativi per raggiungerli.

Gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, si contraddistinguono per

un nuovo tipo di intervento pubblico all’interno della sfera economica in cui,

allo Stato produttore, si affianca lo Stato finanziatore o maieutico, che

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interviene quale sostenitore dello sviluppo e della dimensione sociale, nella quale promuove la realizzazione del sistema sanitario, previdenziale nazionale e attribuisce rapido impulso alla scolarizzazione di massa.

Si consolida inoltre una realtà ordinamentale di tipo sovranazionale quale è l’Unione europea, la cui ambizione principale è quella di realizzare un mercato unico, ove, se da un lato permette una circolazione senza vincoli di persone, beni, capitali e servizi, dall’altra, consente, alle istituzioni europee il compito di intervenire nell’economia. Ciò comporta la predisposizione di misure che, al fine di favorire il principio concorrenziale, finiscono per ledere l’organizzazione statale e creano i presupposti per il declino dell’organizzazione pubblica di molti settori produttivi, sottoposti alle regole e all’organizzazione extra-nazionale.

Si è quindi cercato di individuare i poteri pubblici che, attraverso una struttura reticolare e multilivello, integrano tale sistema di unificazione sovranazionale, per cui accanto agli istituti della stabilità della moneta, della finanza e del commercio quali il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e l’Organizzazione Mondiale del Commercio, si aggiungono le agenzie di rating, le transnational nongovernmental organizations, gli standards setter bodies, l’International Organization of Securities Commission, alla quale appartiene la Basel Committee on Banking Supervision. Anche l’Unione Europea può essere considerata un potere pubblico programmatore in divenire, volto ad incoraggiare quel processo di integrazione che necessita dell’adesione degli Stati membri per venire ad esistenza.

Il rafforzarsi di una dimensione sovra-nazionale indebolisce, quindi,

ma non svilisce completamente, le funzioni statali, che intervengono

all’interno della sfera economica attraverso le società miste per la gestione dei

servizi pubblici locali. Non si può trascurare, quindi, la sopravvivenza di uno

Stato, che, attraverso una varietà di soggetti pubblici (tra cui i ministeri, le

agenzie e le autorità amministrative indipendenti) continua a regolare

l’economia attraverso numerosi e variegati tipi di norme.

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La percezione muove dunque verso tentativi di privatizzazione e liberalizzazione, della riforma del sistema bancario, dell’apertura del mercato dei servizi pubblici locali, della modifica del sistema di contabilità pubblica, del sistema imprenditoriale mediante l’adozione di procedure di de- regolamentazione e semplificazione  Comunicazioni 97 e 535 del 2005  dei regolamenti e dei procedimenti amministrativi.

In tale scenario si inserisce  e approfondisce , il ruolo delle Autorità amministrative indipendenti che hanno visto un ampliamento dei compiti, in conseguenza della metamorfosi subita dalla crisi economico- finanziaria che si è prontamente trasformata, in crisi politica e in crisi delle istituzioni rappresentative.

La costruzione del mercato interno europeo sviluppa, quindi, una decisa accelerazione, con lo sviluppo di una normazione comune per il ravvicinamento delle disposizioni legislative nazionali. Tale progetto è stato profondamente influenzato da una visione politico-economica di tipo liberale, basata sulla capacità ordinante dei principi e delle regole di concorrenza.

Soltanto negli ultimi dieci anni, il legislatore europeo ha cominciato a preoccuparsi dell’armonizzazione, oltre che dell’unificazione, amministrativa europea, il cui obiettivo è di favorire lo sviluppo concorrenziale e pluralista del mercato, salvaguardando la capacità di competizione delle imprese e contenendo le politiche restrittive, tra le quali quelle che si incanalano verso la formazione di monopoli o “cartelli”.

La trattazione si sposta, quindi, sull’analisi delle condotte anticompetitive che trovano accoglimento a livello comunitario e riflessi nella sfera nazionale, che hanno condotto, sia nell’ordinamento comunitario che in quello nazionale alla devoluzione della garanzia del gioco della libera concorrenza, a un’autorità specializzata.

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è, infatti, divenuta

un punto di riferimento costante per i consumatori, un interlocutore

istituzionale naturale del Governo e del legislatore, un soggetto chiamato ad

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esercitare una vigilanza costante sulle imprese, ritagliandosi il ruolo di vero e proprio “ponte di collegamento” tra l’ordinamento europeo e quello nazionale.

Questa ha avuto anche un compito cruciale nell’interpretazione dell’art.

41 Cost. e la tutela della libertà di iniziativa economica privata, intesa dalla Corte costituzionale sia in chiave soggettiva, come diritto di libertà, sia in chiave oggettiva, quale protezione costituzionale di un sistema aperto alla concorrenza, e quindi, quale criterio di assegnazione delle libere scelte ad imprese e consumatori in un contesto competitivo e metodo ordinante dei rapporti economici.

È con lo Sherman Act statunitense del 1980 che si apre la diffusione di una vera e propria disciplina concorrenziale, la quale sarà tardivamente accolta anche dall’Italia con la Legge 287/1990.

Con l’adozione di questa legge, inizia un vero e proprio periodo di assestamento, caratterizzato dalla primaria diffusione dei principi antitrust nell’ordinamento nazionale e nel diretto “abbeveramento” alla fonte comunitaria. Nella fase successiva, il cui baluardo è dominato dall’avvento del regolamento n. 1/2003 recante la modernizzazione del diritto anti- concorrenziale, il legislatore comunitario  sia per alleviare la Commissione di un carico di lavoro che era apparso spesso insostenibile, sia perchè teso ad attirare le autorità nazionali di concorrenza in un quadro effettivamente comune di regole e di prassi interpretative , ha previsto un nuovo modello organizzativo. Esso, pone al centro di un network istituzionale di livello europeo la Commissione, cui spetta un ruolo di coordinamento delle varie autorità nazionali, e, soprattutto, affida a queste ultime il compito di applicare direttamente gli artt. 101 e 102 (ex artt. 81 e 82) del Trattato sulla repressione delle intese anticoncorrenziali e degli abusi.

Obiettivo del presente lavoro è, da ultimo, quello di concentrarsi sullo

studio del problematico rapporto esistente tra il sistema di risoluzione delle

controversie dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e le sempre

cospicue corti economiche regionali.

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Il tema si inquadra, quindi, all’interno di una questione più generale, anticipata dall’esame delle vicende storiche che hanno portato all’introduzione dell’Organizzazione oltre che dall’analisi dell’istituto della risoluzione delle controversie.

La questione trova, quindi, la sua collocazione all’interno dell’ordinamento sopranazionale, nel quale si sviluppa la presenza particolarmente diffusa di istanze giurisdizionali, da cui emerge, la proliferazione di conflitti a livello giurisdizionale, oltre che, l’ampliarsi di un fenomeno  già avanzato  di frammentazione del diritto internazionale, incentivato dall’emergere di accordi bilaterali o regionali.

La sostanziale mancanza, di norme consuetudinarie internazionali,

dotate di un contenuto analogo a quelle di diritto interno, amplia il timore che

simili forme di proliferazione possano compromettere l’unità e la coerenza

dell’ordinamento non-domestico, a causa del pericolo concreto di decisioni

discordanti. Pertanto, in assenza di specifiche disposizioni pattizie, non è a

tutt’oggi consentito individuare, tra le diverse istanze, alcun rapporto di tipo

gerarchico che indichi a quali di esse debba essere riconosciuta prevalenza in

caso di concorso.

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