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CAPITOLO 5. LA RICERCA E I SUOI RISULTATI

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CAPITOLO 5. LA RICERCA E I SUOI RISULTATI

Obiettivo principale della mia tesi era quello di indagare attraverso alcune interviste come la nostra città stia cambiando e cosa si stia realmente modificando. Volevo presentare il fenomeno delle dipendenze da un diverso punto di vista, ascoltando dalle parole dei diretti interessati come questa sia vissuta e come loro stessi si percepiscono all'interno della società; grazie alla disponibilità del Servizio per le dipendenze di Livorno, alla cooperativa Onlus San Benedetto ed al gruppo giocatori anonimi, attraverso le parole degli addetti ai lavori e degli addicted, ho potuto capire a fondo i sentimenti e le percezioni di un dipendente e quindi a livello metodologico, sono riuscita ad analizzare il fenomeno proprio con l' utilizzo delle interviste biografiche. In un primo momento avevo ideato di predisporre dei questionari da sottoporre ad un numero assai elevato di persone di fasce d'età diverse; ma successivamente ho constatato che le interviste biografiche si rivelavano invece la soluzione migliore, poiché durante l'intervista il soggetto si sentiva libero di scegliere cosa dire e conseguentemente non essendo incanalato su domande obbligate, le persone si sono aperte maggiormente ed esprimevanore le loro opinioni senza mai sentirsi sottoposti ad un giudizio.

Descriverò quindi i vari di interviste effettuate soffermandomi particolarmente sull'intervista biografica, sui criteri seguiti nel condurla finalizzati agli obiettivi che comunque io volevo raggiungere.

Passerò poi alle interviste sia agli addicted che agli addetti ai lavori,

prendendo in considerazione ambedue i punti di vista, con le loro diversità

e somiglianze.

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5.1INTERVISTA BIOGRAFICA: METODI E FINALITA'

Nella ricerca sociale, l'intervista è uno strumento utile per condurre uno studio su un argomento specifico. Per definizione, le interviste sono uno scambio verbale tra due o più persone, e attraverso tale strumento si cercano informazioni su dati personali, comportamenti ed atteggiamenti riguardanti il tema preso in esame. A seconda dell'argomento indagato, le interviste possono essere condotte anche in gruppo oppure in sedute individuali.

Tra le tecniche di gruppo è utile descrivere le principali: il focus group, il brainstorming, il gruppo nominale e la tecnica di Delphi.

Il focus group o gruppo di discussione nasce negli USA negli anni '40 da Levin e Merton; questa intervista di gruppo prevede un ruolo direttivo dell'intervistatore e si ha un alto grado di interazione tra i partecipanti e un alto livello di strutturazione delle domande.

Il gruppo è limitato (da 6 a 12 elementi) e l'intervistatore dirige l'intervista stimolando la discussione sui temi utilizzando una scaletta.

Questo tipo di intervista è particolarmente indicata per le indagini di mercato e solo di recente è stata utilizzata nel campo della ricerca sociale con il supporto di sociologi.

Anche il brainstorming è caratterizzato da un ruolo direttivo del ricercatore, ma si ha una bassa strutturazione delle domande; gli individui partecipano attivamente tra loro sviluppando un gran numero di idee in modo libero.

Differentemente il gruppo nominale, usa una tecnica peculiare poiché i soggetti sono obbligati a scrivere le proprie opinioni all'inizio dell'intervista; queste affermazioni saranno lette al gruppo e commentate sotto una guida direttiva dell'intervistatore.

La tecnica di Delphi infine, utilizza un metodo simile a quello del gruppo

nominale; i soggetti dopo aver scritto letto e commentato le proprie

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impressioni, devono formulare nuove previsioni finalizzate al raggiungimento di un' opinione comune.

Per quanto concerne la ricerca sociale di tipo individuale, identifichiamo tre tipi di intervista: il questionario, l'intervista semi strutturata e l'intervista biografica.

Il questionario è una tra le tecniche di rilevazione dati più utilizzate nelle scienze umane, poiché garantisce un grado di ambiguità molto basso.

Generalmente questo tipo di intervista è costruita con domande chiuse che possono differenziarsi in domande di scelta, domande filtro, domande condizionate, di ordinamento e di confronto, domande di grado di accordo, domande di posizionamento e di percezione semantica.

L'intervista semi strutturata prevede un insieme fisso ed ordinato di domande aperte e questa modalità fa sì che ogni intervistato possa rispondere come meglio crede, senza essere influenzato dalle linee guida del ricercatore che propone risposte già predefinite. Questo tipo di intervista rientra nell'ambito della ricerca non standard, poiché al rispondente è lasciata la libertà di aggiungere elementi che personalizzano le proprie risposte rendendole uniche; così facendo si raccolgono informazioni e testimonianze assai vicine alla verità. Il livello di direttività è medio, ugualmente la standardizzazione e la strutturazione.

L'intervista biografica è un tipo di indagine che cerca di ricostruire gli aspetti della storia e della vita del soggetto. Durante la conduzione di questa ricerca si garantisce l'interazione tra l'intervistato e l'intervistatore e si pone al centro il vissuto personale del soggetto tenendo conto del suo contesto ambientale, culturale e sociale.

L'intervista biografica viene spesso denominata in modi diversi ad esempio intervista in profondità, motivazionale, focalizzata, ermeneutica, libera, biografica o narrativa.

Il livello strutturale e direttivo è molto basso; in questo tipo di intervista si

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afferma l'autonomia dell'intervistato, si dà gran peso alla parola, la peculiarità di questa intervista sono l'apertura, la flessibilità, la presenza di un modo di ragionare induttivo e la capacità di imparare dai racconti di vita dell'intervistato. L'intervista biografica può essere suddivisa in due sotto schemi: il racconto di vita e la storia di vita. Il racconto di vita inizia da una traccia ad alta strutturazione, la traccia è indicativa perché ha la funzione di promemoria per il ricercatore, gli atteggiamenti sono di flessibilità e di apertura, l'intervistatore instaura con l'intervistato una forma di filtro che orienta il colloquio e su cui si cercherà di soddisfare le attese del ricercatore.

La storia di vita è un insieme organizzato in forma cronologica e narrativa degli eventi, di esperienze e di strategie riguardanti la vita di un soggetto, lo scopo di condurre un'intervista di questo tipo è quello di capire quali sono state le motivazioni, i sentimenti e i vissuti dei soggetti. Nella storia di vita si ha l'invito da parte del ricercatore di parlare di sé, della propria vita con la frase ipotetica : “ mi racconti la sua vita iniziando pure da dove vuole”.

L'intervistato non si deve mai sentire a disagio durante l'esposizione dei fatti e tanto meno sentirsi criticato.

I criteri di una buona ricerca sono appunto quelli di mettere a suo agio l'intervistato, predisporre l'intervista in un luogo tranquillo, saper ascoltare l'intervistato ispirandogli fiducia e disponibilità, stimolare il discorso con contraddizioni argomentate con la complementazione, assumere un atteggiamento non moralistico o legalistico, cercare di immedesimarsi nell'intervistato, non assumere atteggiamenti di curiosità morbosa, indirizzare il discorso dell'intervistato verso le aree interessate o non ancora approfondite.

Il tipo di intervista scelta per questo tema è quella di tipo biografico. Prima

di tutto è necessario che il ricercatore svolga un'accurata fase di

progettazione. Sarà questa fase a determinare il buon esito della ricerca.

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Nella progettazione il ricercatore deve curare quattro aspetti: costruire un disegno di ricerca, elaborare la traccia dell'intervista, selezionare le persone da intervistare e valutare l'accessibilità al campo di ricerca.

Il primo passo a cui il ricercatore deve prestare attenzione è la costruzione di un disegno di ricerca; questo primo passo è composto da tre stadi tra loro correlati: la costruzione della prima traccia pratica, del quadro teorico e del campione; possedere i set d'intervista e di briefing; condurre un'analisi longitudinale e trasversale dei testi con l'interpretazione dei modelli interpretativi. In questi stadi bisogna condurre il lavoro esternamente al campo, inquadrando i confini del campo d'indagine; occorre costruire un abbozzo di ipotesi correlate che servano da guida. Dopo aver definito questi parametri occorre fare una scelta delle persone da intervistare basandosi su regole ben definite dal quadro teorico a cui si fa riferimento.

Un aspetto importante di questo primo passo si conclude con la divisione del lavoro tra i membri dell'equipe, dividendo mansioni e responsabilità.

Il secondo passo consiste nel possedere i set di interviste e i nello svolgere briefing di coordinamento. Prima di svolgere le interviste è utile strutturare con l'equipe la scaletta e scegliere il set dell'intervista che sia accogliente e che metta l'intervistato a suo agio. Per quanto riguarda la traccia dell'intervista questa può essere aperta, nascosta o interiorizzata, la conduzione varia a seconda del tipo di ricercatore ma anche del modi di rispondere dell'intervistato. Il terzo passo è quello che si svolge sul campo, infatti tutte le ipotesi effettuate durante le due fasi precedenti possono essere modificate effettuando quella che viene denominata analisi longitudinale dei testi.

La struttura di una traccia può variare ma possono comunque essere definite in tre criteri: criterio per pertinenza, per funzione e per provenienza.

Una strutturazione secondo il criterio per pertinenza la traccia è elaborata

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organizzando il lavoro su dimensioni teoretiche

1

e su dimensioni empiriche;

2

lavorando con una strutturazione basata sul criterio per funzione il ricercatore può elaborare una traccia avvalendosi di dimensioni valutative, affettive, informative e fattuali; se invece si basa il lavoro sul criterio per provenienza si possono classificare dimensioni teoriche- informative, empirico-informative, empirico-fattuali e teorico-fattuali. Da tenere comunque sempre presente è il concetto che qualsiasi tipo di intervista voglia orientare il ricercatore, sarà sempre l'intervistato a definirne i confini, questo aspetto caratterizza quindi il carattere tipicamente esplorativo di questa ricerca. Sempre da un punto di vista puramente teorico è necessario che il ricercatore selezioni le persone da intervistare in modo da costituire un campione adatto allo scopo della ricerca; per far ciò può avvalersi di sette criteri: suddivisione (stratifica la popolazione di riferimento in base a certe caratteristiche ritenute discriminanti), criticità (permette di applicare al massimo le informazioni a tutti i casi), differenziazione (permette di documentare le differenze e mettere e mettere in luce particolari rilevanti), omogeneità (utile per studiare un gruppo o un sottogruppo in profondità per cogliere aspetti con la maggior precisione possibile), tipicità (permette di definire persone tipiche durante la ricerca), atipicità (permette di definire persone che nel corso della ricerca dimostrano di possedere caratteristiche diverse e atteggiamenti differenti rispetto al tema), intensità (permette di selezionare le persone che presentano con intensità una certa caratteristica).

Da un punto di vista meramente pratico anche l'intervista vera e propria si articola in due fasi principali: la fase preliminare composta dal primo contatto e il preambolo e la fase della conduzione composta dalle strategie d'ascolto e di intervento, la consegna iniziale, le successive consegne e i

1 Dimensioni concettuali che si riferiscono a teorie postulate nel tempo in cui si vuole avere un riscontro concreto

2 Dimensioni basate su prove valutabili su aspetti contestuali o sull'esperienza dell'intervistato.

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rilanci. La fase preliminare instaura una vera e propria interazione tra ricercatore e intervistato tipica dell'intervista biografica. Durante questa fase si instaura il patto biografico ossia un accordo tra le parti che regolerà l'intervista. Il patto biografico definisce una relazione che regola le disposizioni psicologiche, funzionali e sociali; si può parlare di di un rapporto psicologico perché il parlare delle proprie esperienze lo implica naturalmente, si parla di complicità funzionale poiché si ha un riconoscimento reciproco di saperi condivisi ed infine si ha una forte componente sociale. La fase preliminare è composta dal preambolo che inizia dal momento del primo incontro fino all'inizio dell'intervista, durante questa prima fase si terranno comportamenti tipici alle presentazioni.

La fase della conduzione si struttura invece di tutte quelle strategie

d'ascolto e di intervento. Le strategie di intervento si possono classificare a

loro volta in altre tre step: la consegna di partenza, le consegne e i rilanci

ed infine la conclusione del racconto. La consegna di partenza, denominata

anche stimolo iniziale o domanda fondatrice, è l'inizio vero e proprio

dell'intervista; nel caso in cui si sceglie il racconto di vita la domanda

iniziale sarà rivolta ad un aspetto particolare della vita dell'intervistato, nel

caso della storia di vita la domanda iniziale sarà molto più vaga e non

indirizzerà l'intervista su nessun argomento specifico. Le consegne e i

rilanci sono degli interventi del ricercatore all'interno del racconto; in

particolare le consegne sono dei modi diretti di sollecitare la continuazione

del discorso dell'intervistato, i rilanci hanno lo stesso scopo ma si

riferiscono a livello intenzionale e valutativo del discorso senza basarsi sui

ragionamenti causali. Gli obiettivi delle consegne sono due, uno di tipo

informativo e l'altro valutativo nel quale il ricercatore esplicita dei sotto

gruppi all'argomento esplicitando le concatenazioni causali. L'intervistatore

può utilizzare categorie linguistiche: la reiterazione, dove si tenta di mettere

alla prova la veridicità di quanto detto dall'intervistato utilizzando l'effetto

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eco o il riflesso; la dichiarazione ossia l'atto che completa quanto dice l'intervistato favorendo la descrizione e l'espressione; la terza categoria linguistica è l'interrogazione cioè un atto che mette in dubbio la verità ma con la criticità verso effetti di resistenza e di radicalizzazione dell'opinione espressa.

La conclusione del racconto non è intesa come la conclusione vera e propria dell'intervista perché spesso la traccia precedentemente scritta non è stata del tutto esplorata, spesso ci sono delle “zone bianche” che non vengono trattate per diversi motivi, ad esempio, non è bastato il tempo oppure l'intervistato si è rifiutato di rispondere, il ricercatore deve tenere conto di queste zone bianche come degli elementi caratteristici della persona che ha di fronte; nel caso in cui le zone bianche sono determinate dalla mancanza di prezzo il ricercatore dovrà ottenere un secondo appuntamento per approfondire queste lacune.

Il lavoro del ricercatore non finisce certo qui, ma dovrà affrontare un lungo lavoro dopo aver effettuato l'intervista. Il ricercatore dovrà dedicare molta attenzione alla trascrizione dell'intervista, traducendo e interpretando ciò che è stato detto e raccontato. La trascrizione dell'intervista serve al ricercatore per effettuare una buona analisi di ciò che è stato raccolto.

Demazier e Dubar individuano tre tipi di atteggiamenti che corrispondono ognuno ad uno o più tipi di analisi. In particolare all'atteggiamento illustrativo

3

corrisponde l'analisi del contenuto e della dinamica, ad un atteggiamento restitutivo

4

corrisponde un'analisi dei saperi sociali infine ad un atteggiamento analitico

5

corrisponde un'analisi proposizionale del discorso e delle relazioni per opposizione.

L'analisi del contenuto si propone di descrivere in maniera oggettiva il

3 Le parole dell'intervistato sono usate per “illustrare” le affermazioni del ricercatore.

4 Opposto all'atteggiamento illustrativo, le parole sono trasparenti ossia sono in grado di fornire da soli i significati utili alla comprensione dei fenomeni.

5 Con questo atteggiamento si intende superare il problema dell'attinenza delle categorie ricercatore-

intervistato.

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contenuto “manifesto” delle parole; l'analisi tematica individua temi e sotto temi formando uno schema dentro il quale ogni intervista viene posizionata. Il rischio di queste analisi, come sottolinea Rita Bichi,

“consiste nel far discendere l'operazione di categorizzazione secondo l'interpretazione del ricercatore e non dai mondi vissuti degli intervistati”. Il prodotto delle interviste è più tematizzato e non analizzato.

L'analisi dei saperi sociali e l'analisi denominata trasparenza sono tipiche dell'atteggiamento restitutivo; per gli studiosi ci sono due tipi di restituzione, uno attraverso l'analisi dei saperi sociali dove il sapere è appannaggio dei soggetti e l'analisi serve solo a renderne conto e l'altro attraverso la trasparenza dove le interviste vengono organizzate riportandole integralmente e facendole precedere da dei testi destinati a spiegarle e indirizzarle.

Le due analisi correlate all'atteggiamento analitico sono l'analisi proposizionale del discorso in cui il locutore costruisce una struttura organizzata intorno ad alcune nozioni chiave. Se si considerano come unità semantica la proposizione vengono reperiti come referenti – nucleo oggetti tematici; le proposizioni sono poi codificate in modelli organizzativi.

L'analisi delle relazioni per opposizione si fonda sull'ipotesi che la strutturazione del discorso si organizzi intorno a opposizioni di termini e che sia presente una struttura generale. Questo tipo di analisi ha l'obiettivo di reperire relazioni tra oggetti, pratiche, elementi dell'ambiente e giudizi che vengono associati loro dal locutore; queste coppie significante/significato si oppongono.

Ricercatore e intervistato non sono due figure distinte ma sono pensate

come un unico insieme finalizzato alla produzione di conoscenza. Ogni

soggetto intervistato viene considerato non solo come fonte di

informazione ma come attore sociale. Il ricercatore deve esplicitare il suo

sistema di riferimento dal quale non può prescindere ma che deve essere

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permeabile all'esperienza. L'analisi è quindi una modalità di riflessione del processo di interpretazione; l'obiettivo è quello di costruire l'apparato categoriale che forma il prodotto finale. Intervistare in quest'ottica è già compire analisi.

5.2INTERVISTE AGLI ADDICTED E CONSIDERAZIONI RELATIVE

Quando ho pensato alla costruzione dell'indice di questa tesi, il primo pensiero è stato quello di sentire dalla voce stessa dei nuovi dipendenti cosa fosse successo e come vivessero la loro esperienza.

Per far ciò mi sono rivolta, come chiunque avrebbe fatto, al Sert di Livorno. Subito sono stata accolta nel migliore dei modi dall'assistente sociale e dal direttore dell'ente, i quali mi hanno descritto la difficoltà di poter intervistare gli utenti visto il poco tempo a disposizione per seguire con la dovuta attenzione il progetto da me presentato dovuto da un numero di richieste d'aiuto molto elevate. Allo stesso tempo però si sono resi disponibili ad aiutarmi in questo “percorso di conoscenza” anche attraverso la partecipazione a riunioni di equipe il cui tema principale erano proprio le nuove dipendenze. Proprio in una di queste riunioni ho incontrato la psicologa di una delle associazioni più attive su questo tema in particolare al gioco d'azzardo patologico: l'associazione San Benedetto.

Questa associazione, sita in via dell'Industria, si occupa principalmente di dipendenze classiche, quelle causate dall'abuso di sostanze, offrendo servizi utili alla relazione d'aiuto già instaurata con il Sert.

Questa associazione nasce nel 1985, per dare voce a quelle famiglie o

quelle persone che, negli “anni d'oro”dell'eroina, avevano avuto la sfortuna

di imbattervisi. Da piccola congregazione di persone, la volontà di fare

comunità si è ampliata e si è pensato alla nascita di un'associazione con

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personale specializzato. Ad oggi la San Benedetto offre oltre a un supporto psicologico anche il centro diurno dover sperimentare la vita di gruppo e imparare “nuovi mestieri”. Dal 2006 l'associazione ha rivolto la sua attenzione anche alle nuove dipendenze ed in particolare al gioco d'azzardo patologico. La San Benedetto offre un supporto psicologico sia di gruppo che individuale a giocatori di azzardo ed insieme al Sert di Livorno curano l'inserimento in strutture. Proprio grazie a questa associazione ho potuto sentire con le mie orecchie e vedere con i miei occhi come il gioco, da attività socializzante, diviene una spada che pende sulla testa dei giocatori e delle loro famiglia.

Ho intervistato cinque persone ed ognuna di loro, seppur con il solito problema, avevano storie molto diverse tra loro. La prima persona che ho intervistato è un signore tipicamente livornese, che è in “cammino con l'associazione” dal 2006. L'uomo, che oggi racconta la sua storia con il sorriso, ha dovuto affrontare tanti anni di sofferenza per lui il gioco è diventato un comportamento patologico quando è andato in pensione.

Piero, così lo chiamerò per non svelare niente della sua identità, ha sempre

giocato a carte fin da ragazzo insieme agli amici e a qualche bicchiere di

vino. Per lui giocare era normale e quando le slot iniziarono a comparire in

città tanta fu la curiosità di provare a giocare virtualmente immaginandosi

di essere nei più grandi casinò del mondo, come si vede nei film dove

appare normale e soprattutto divertente. Piero era appena andato in

pensione e, con più tempo a disposizione e meno preoccupazione ha

iniziato a giocare con più frequenza; inizialmente era divertente giocare e

vincere, e più vinceva e più giocava. Piero non si rendeva conto del vortice

in cui stava entrando fino a quando, a causa delle ingenti perdite si è dovuto

rivolgere a molte finanziarie della città per ottenere altre somme di denaro

che spendeva in pochi giorni. Ormai Piero aveva toccato il fondo, sapeva di

essere lì, ma non sapeva cosa fare per risalire in superficie, quelle

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macchinette lo chiamavano con insistenza e per lui l'unico modo di

“farcela” era giocare di nuovo, più forte, per provare a vincere tutto per ripagare i suoi debiti. Questo comportamento si è ripetuto per molto tempo, fino a quando la sua famiglia si è accorta del problema. Liti furibonde sono seguite alla scoperta che Piero, lavoratore, padre e uomo onesto, aveva

“giocato” i risparmi di una vita senza pensare alle conseguenze. Ma lui non si accorgeva di quello che stava facendo, come mi racconta, era avvolto in un alone di inconsapevolezza credeva che l'unico modo di farcela era gestire quelle macchinette infernali e giocare ancora. Piero è stato fortunato, la sua famiglia non lo ha abbandonato, in particolare sua figlia che lo ha e ancora lo accompagna nel suo “percorso di liberazione”. Piero, racconta, che sua figlia ha contattato subito l'associazione e dopo alcuni brevi colloqui ha dovuto fare l'accesso al Sert di Livorno e raccontare ancora una volta, con difficoltà, la sua storia. Il primo passo è stato quello di vivere senza soldi, non avere niente in tasca se non cinque euro per comprare le sigarette lo aiutava a stare lontano dalle slot che lo avevano portato fino a quel punto. Dalle parole di Piero si percepisce come questo percorso per lui sia stata una riscoperta, un modo nuovo di assaporare la vita, ad esempio il cibo aveva un altro gusto, un gusto che si era dimenticato sopraffatto dal gioco. La relazione con le persone avevano un altra caratteristica, ora erano vere, Piero dopo tanti anni di sonno si era risvegliato e poteva godere delle cose belle che la vita gli poteva offrire.

Purtroppo, però, non potevano non esserci delle difficoltà, la prima e

sicuramente la più difficile da affrontare è stata la famiglia, il giudizio dei

familiari da affrontare e secondariamente anche il pagamento di tutti i

debiti che Piero aveva contratto. Anche in questo caso l'associazione San

Benedetto è stata di grande aiuto, ideando insieme alla figlia di Piero un

piano di rientro del debito. Oggi Piero spera di essere uscito da questo

vortice che lo aveva sopraffatto, e quando gli ho chiesto come si sentisse

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sul suo viso è spuntato un sorriso e mi ha detto sospirando “ Bene... ora mi sento vivo!”

L'intervista di Piero è stata molto particolare perché lui al contrario delle altre persone che ho intervistato aveva il bisogno di parlare per fare in modo che “chi studia l'argomento” possa realmente capire cosa vuol dire giocare e cosa vuol dire essere un giocatore patologico; si può dire che Piero ha accolto l'opportunità di fare questa intervista come un dovere per dare voce a chi, a causa del gioco, l'ha persa sopraffatta dai suoni ripetitivi delle slot machine.

La seconda persona che ho intervistato è Salvo, quando ha iniziato a raccontarmi la sua storia, la stanza è stata avvolta da un velo di tristezza.

Salvo stava seduto su una sedia nell'angolo della stanza, il suo aspetto non lasciava trapelare niente della sua interiorità in realtà quando ha iniziato a parlare tutta la sua sensibilità e fragilità è uscita insieme alla suo flebile ed insicuro tono di voce. Lui sembrava un gigante, ma uno di quelli buoni.

Salvo, al contrario degli altri non è molto che è seguito dall' associazione e

per lui la storia è totalmente diversa. Mi racconta che lui non aveva mai

giocato prima, che non era mai era entrato in tabacchi per giocare una

schedina, che non aveva mai comprato un gratta e vinci e che soprattutto

non gli piaceva giocare neanche a casa nemmeno una tombolata per Natale,

fino a quando un giorno poco prima di Natale, dopo aver fatto colazione, il

suo amico e proprietario del bar tabacchi sotto casa gli fa notare della riffa

natalizia, a salvo piaceva il pacco messo in palio e decide di giocare due

numeri; quei numeri furono il suo battesimo di fuoco. Salvo decise per la

prima volta di giocare al lotto proprio quei numeri e il giorno

dell'estrazione scoprì che oltre al pacco aveva vinto anche l'ambo sulla

ruota di Firenze. Per tutti quel Natale fu ricco di gioia ma non per Salvo

che iniziò così la sua storia di giocatore d'azzardo. Salvo iniziò a giocare

sempre di più a tutte le lotterie presenti, lotto, super enalotto, win for life,

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gratta e vinci fino a quando il suo tabaccaio di fiducia istallò le prime

macchinette. Inizialmente le macchinette istallate dal gestore del bar

tabacchi non facevano vincere premi in denaro ma buoni da spendere nel

negozio, così Salvo, anziché smettere cambiò tabacchi ed iniziò a giocare

alle slot dove si poteva vincere denaro. Salvo, mi conferma il circolo

vizioso descritto dagli studiosi e soprattutto mi conferma che l'incentivo più

grosso per un giocatore sono le vincite iniziali. Salvo mi spiega che, forse,

se inizialmente avesse perso anziché vincere non si sarebbe spinto così

oltre e non avrebbe “giocato” la sua vita. Salvo, invece, vinceva, ma tutto

ciò che vinceva giocava. La sua vita girava intorno al gioco. Salvo era

operaio di una famosa azienda, una di quelle aziende che ha dato “da

mangiare” a tanti livornese, che per tanti è stato solo un miraggio e che

garantiva uno stipendio che ad oggi si può solo sognare. Salvo ci lavorava

ormai da anni ed era conosciuto da tutti per la sua esperienza ed

affidabilità, per Salvo il lavoro era l'unica cosa veramente importante,

l'unica cosa che aveva costruito con le sue mani ( Salvo non ha famiglia se

non quella di origine e quella della sorella), fino a quando il gioco ha preso

il sopravvento. Ogni mattina si alzava andava a prendere il caffè e iniziava

a giocare, poi andava a lavorare e lì pensava solo al gioco non prestando

più attenzione a quello che doveva fare, quando usciva dal lavoro tornava a

giocare; mi racconta che ormai conosceva tutte slot della città ed anche

quelle delle zone limitrofe e per ognuna dedicava un giorno particolare

della settimana. Ogni giorno Salvo seguiva questa ritualità fino a quando si

giocò più di quello che aveva e lo stipendio non bastava più, lo finiva in

una sola sera. Salvo al contrario di tanti giocatori non si rivolse alle

finanziarie o agli “strozzini” ma decise di escogitare un piano per

racimolare un po' di denaro in più. L'azienda presso cui lavorava aveva

parecchia giacenza di rame e così Salvo decise di prenderlo caricarlo in

macchina e rivenderlo. Salvo non si rendeva conto che stava rubando e che

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qualcuno dell'azienda presso cui lavorava, che si era accorto del suo cambiamento di comportamento, lo stava osservando. Salvo pensava di aver risolto i suoi problemi e di poter attingere da quelle giacenze di rame quanto voleva. Fino alla notte in cui il guardiano notturno dell'azienda lo ferma e gli chiede di aprire il bagagliaio dell'auto. Quella sera il carico era grosso e per la prima volta Salvo si rese conto di aver iniziato a rubare per finanziare il gioco. Non conosceva però le conseguenze, credeva che l'azienda per la quale aveva dato “sudore e Sangue” per tutti questi anni lo avrebbe ascoltato e avesse chiuso un occhio per il brutto episodio.

L'azienda invece scelse la via più dura e Salvo fu denunciato per furto e venne licenziato in tronco. Ora Salvo era solo, non aveva più niente, non disse nulla ai suoi familiari anzi continuò a fingere di andare a lavorare, usciva di casa, ma si recava presso le sale slot dove il tempo non aveva più importanza, niente era importante come i colori e i suoni di quelle video lottery. Ormai giocava pesante, ormai non aveva più nessun paracadute e la sua caduta era senza freni. La sua ossessione verso il gioco era così forte che niente lo poteva più distrarre e Salvo non avendo più soldi ha iniziato a chiedere prestiti a tante finanziarie fino a che non spendeva tutto quello che aveva a disposizione così preso dal panico decise di iniziare ad usufruire di una carta di credito intestata alla sorella, che aveva lasciato in un cassetto.

Tutto sembrava filare liscio, ma Salvo non era a conoscenza che la sorella

aveva attivato il servizio di messaggistica per sapere i movimenti della

carta di credito. La sorella di Salvo, allertata dai messaggi di prelievo della

sua carta, si rivolge al fratello, ma lui incosciente di quello che stava

facendo, negava sempre l'utilizzo. Quando il conto andò in rosso, Salvo,

non poteva far altro che confessare il suo grande problema. La sorella,

rimase incredula del racconto e come prima reazione si arrabbiò privandolo

anche di poter stare con il nipote. L'uomo ormai solo e risvegliato

bruscamente dal sonno provocatogli dal gioco, decise di andare al Sert. Lì

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raccontò la sua storia, e venne indirizzato all'associazione San Benedetto, dove finalmente, consapevole della sua malattia ha chiesto aiuto. Salvo ora è in trattamento, segue assiduamente le sedute di gruppo e il piano d'aiuto creato per lui dagli specialisti dell'associazione. Lui non sorride, sospira, ha paura di non farcela, ad oggi non ha ancora denaro con sé e non vuole più averlo, ha ancora paura di poterlo spendere in quelle “dannate”

macchinette. Nelle sue parole si sente ancora la paura, ancora si definisce un giocatore ma spera; la sua speranza è quella di trovare lavoro e di poter aiutare suo nipote negli studi, spera di ripagare tutti i debiti e di ripagare sua sorella di tutto ciò che gli ha sottratto; spera di tornare a una vita normale.

L'intervista di Salvo è stata diversa da tutte le altre, fin dal primo momento che l'ho visto ho capito che non sarebbe stato facile tirare fuori da lui quello che aveva vissuto, la sua fragilità si capiva dalla sua postura, ma soprattutto si capiva la rabbia che provava verso se stesso per essere caduto nel vortice del gioco d'azzardo ed aver rinunciato alla sua vita. Dalle parole di Salvo ho capito quanto è difficile convivere con questa malattia, ho capito quanto è difficile ammettere ed accettare di essere malati e chiedere aiuto, grazie a Salvo ho capito che c'è un filo molto sottile tra giocare in modo normale e in maniera compulsiva, dalle parole di Salvo ho capito quanto tutti siamo a rischio e grazie a questa intervista mi sono interrogata su cosa possiamo fare per fare prevenzione.

Quella di Giuliano è stata un intervista molto breve, in poche parole mi ha

espresso la sua volontà di cambiare. Lui ha iniziato a giocare per fuggire da

una realtà familiare opprimente, i litigi continui tra suo padre e sua madre e

la sua libertà limitata lo hanno portato a diventare un giocatore d'azzardo. Il

suo gioco preferito era il gratta e vinci, lo trovava sotto casa e giocarci gli

dava quel senso di libertà che non aveva in nessun altro momento della

giornata, quel gioco lo faceva sentire vivo. Più giocava e più aveva bisogno

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di soldi e non sapendo come procurarseli iniziò a diventare violento nei confronti della madre. Alla morte del padre le cose non migliorarono anzi il solo fatto di essere “l'uomo di casa” gli permetteva di fare quello che voleva. La madre non sapeva arginare il problema o forse non si rendeva neanche conto della gravità della patologia. Solo dopo la morte della madre Giuliano ha iniziato a capire di avere un problema, così si è rivolto all'associazione per chiedere aiuto. Fra le persone intervistate Giuliano è quello che frequenta meno assiduamente il gruppo, il più silenzioso e il più schivo, ma anche lui come gli altri vuole cambiare, il suo percorso è ancora lungo ma spero che ce la possa fare.

Angelo non è di Livorno, abita nel pisano e a guardarlo non sembra un giocatore d'azzardo. Angelo è un imprenditore in pensione, lo si nota subito dal suo abbigliamento, scarpe costose ai piedi, pantalone in coordinato con il maglione e cappotto nero come soprabito. Un signore distinto che quando è entrato nella stanza ho stentato a credere alla sua storia. Lui è un giocatore patologico da molti anni, forse quello che ha giocato più di tutti.

Il suo modo di raccontare è freddo, lucido e diretto; sembra quasi che stia

parlando di marketing. Si rende conto di quello che ha fatto, il potere e lo

stress lo hanno portato a giocare, prima ai cavalli poi ai gratta e vinci, ma

quello che davvero lo riempiva di soddisfazione era giocare alle slot

machine. Il rumore dei soldi che cadevano nel piattino lo facevano sentire

potente e soprattutto confermavano al suo ego il fatto di non essere un

perdente. Per molto tempo le cose sono andate avanti così. Lo stress

lavorativo e familiare era sempre più alto così come più alte erano le

giocate, fino al punto che i contanti non bastavano più e per giocare

firmava gli assegni. Sicuramente Angelo non sapeva di essere così

compulsivo fino a che si è giocato anche uno degli appartamenti di sua

proprietà. Solo a quel punto la famiglia, che già si era accorta dell'assenza

prolungata di Angelo da casa, della sua inaffettività e della sua iperattività,

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gli ha imposto un out-out, o si faceva curare oppure avrebbe perso anche l'affetto delle sue figlie. Così posto davanti al problema, Angelo ha deciso di chiedere aiuto. Lui non ha accettato di compiere il primo passo del programma, non ha mai rinunciato ad avere a disposizione del denaro, non avrebbe accettato il percorso di cambiamento; ha trovato una soluzione alternativa, ha intestato tutti gli immobili alla moglie e alle figlie, il denaro ugualmente e per sé si è intestato un conto con prelievo massimo limitato.

Oggi, Angelo dice di non avere più problemi con il gioco d'azzardo anche se ogni volta che passa vicino ad una sala slot la tentazione è molto forte.

Anche Angelo si è impegnato e la sua famiglia seppur in maniera diversa dalle altre gli è stata vicina soprattutto perchè ha svegliato Angelo dal torpore dal quale era stato pervaso ponendolo davanti una scelta: vivere ancora con la sua famiglia oppure sopravvivere con il gioco.

L'ultima intervista che ho effettuato è a Sandro. Inizialmente non voleva partecipare al progetto, non voleva farsi intervistare e parlare delle sue ferite ancora troppo fresche, poi, convinto dal resto del gruppo e dalla psicologa che lo segue, ha deciso di “mettersi in gioco”. Lui ha sulla cinquantina, è magro e si presenta vestito da lavoro, con scarpe anti- infortunistiche, camicione di flanella e pantaloni tutti macchiati di pittura.

Sandro lavora ancora, fortunatamente, perchè è grazie a questo duro lavoro

che riesce a “dimenticarsi” della sua ossessione. Lui come gli altri è un

giocatore patologico da anni e come gli altri ha intrapreso il suo percorso

tramite l'associazione San Benedetto; al contrario degli altri però è solo, la

sua famiglia lo ha abbandonato. Sandro non parla molto, ma questo

concetto lo ribadisce molte volte durante la sua intervista: “io mi sono fatto

curare quando ho capito cosa ho perso”, “ gli altri sono fortunati, io sono

solo”. La sua solitudine si percepisce oltre che dalle parole anche dai suoi

occhi che sono spenti, vitrei quasi impenetrabili e sempre bassi che fissano

le sue mani che strofina nevroticamente. Quando gli ho chiesto cosa

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volesse raccontarmi della sua esperienza di giocatore, lui, con voce tremante quasi come se stesse per scoppiare a piangere mi risponde: “ cosa posso dirti se non che mi sono rovinato la vita, anzi che l'ho persa totalmente, mia moglie mi ha lasciato ed io non sono riuscito a trattenerla, ma aveva ragione a lasciarmi non era più vita.”

Sandro mi racconta che se non fosse stato per sua moglie probabilmente oggi sarebbe ancora a giocare, a qualsiasi tipo di gioco, non avrebbe mai chiesto aiuto perchè non si rendeva conto di essere malato, non si rendeva conto di dove era arrivato. Ancora è lontano dal traguardo, lo sa ne è consapevole, ma anche lui spera di poter cambiare, di poter riconquistare la fiducia e la stima di sua moglie e di dimostrare anche a sé stesso che può farcela.

Quando ho effettuato queste interviste era un giorno piovoso e certo non mi aspettavo che ben cinque persone su dieci avessero accettato e fossero lì ad aspettarmi. Lo scopo di queste interviste era quello di entrare nei panni delle persone che avevano questi problemi e capire tramite i loro racconti, i loro occhi e il loro modo di fare cosa vuol dire essere un giocatore, quali pregiudizi affrontare, l'inconsapevolezza e il dolore nell'affrontare la verità.

Dovevo capire cosa vuol dire perdere tutto e provare a riconquistare quello

che è tuo, dovevo capire cosa significa essere un dipendente per pormi

delle domande e per provare a rispondere, dovevo capire per far sì che

questo elaborato non fosse solo un elenco di definizioni ma per essere una

riflessione del momento critico che la nostra città sta affrontando. L'unico

mio grande dispiacere è stato non aver avuto l'opportunità di intervistare

anche gli altri tipi di addicted perchè purtroppo ancora il servizio pubblico

non garantisce loro un percorso d'aiuto.

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5.3INTERVISTA AGLI ADDETTI AI LAVORI

il servizio pubblico italiano prevede che i sert siano il punto di riferimento per ogni tipo di dipendenza, purtroppo ancora non è così. Il sert di Livorno si occupa, in maniera egregia, di tutti i tipi di dipendenza da sostanza e del gioco d'azzardo patologico, dipendenza per la quale può essere definito fiore all'occhiello della Toscana. Grazie all'impegno ed alla sensibilità del personale e alla sempre più crescente quantità di richieste d'aiuto da parte di giocatori e di familiari dei giocatori patologici, il Sert livornese ha voluto intraprendere, come nuovo progetto, il trattamento del gioco d'azzardo patologico. I servizi offerti sono terapia farmacologica, psicoterapia individuale e di gruppo, collaborazione con l'associazione San Benedetto, il gruppo giocatori anonimi, il gruppo dei familiari dei giocatori ed infine il centro anti-usura. Inoltre il dipartimento delle dipendenze di Livorno ha aderito al progetto Orthos. A parlarmi di questo progetto è il direttore del dipartimento dott. Henry Margaron, il quale mi spiega quali sono i principali obiettivi di tale progetto.

L'associazione Orthos, sita a Siena, si occupa del trattamento intensivo

delle dipendenze patologiche comportamnetale in particolare del

trattamento residenziale del GAP. L'associazione è composta da psicologi,

psicoterapeuti, educatori, esperti in comunicazione e ricercatori sociali. Il

programma dell'associazione è di tipo residenziale e come lo definisce il

dottor Riccardo Zerbetto, è incisivo ed intensivo. Il programma si svolge

nel breve periodo ( solo tre settimane) in cui la persona viene estraniata

dalla quotidianietà della compulsione ed inserita in un contesto rurale in cui

è costretta a riflettere sulla sua condizione. Durante questo periodo si cerca

di capire quali sono stati gli ostacoli al cambiamento e si cerca di dare gli

strumenti per effettuarlo. Il programma della giornata tipo in Orthos è

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molto strutturato, ci sono orari precisi per le varie attività, sia individuali come la cura della persona e dell'ambiente, e il lavoro fisico, che di gruppo come la psicoterapia, l'analisi del pensiero magico e della maschera, in modo più specifico l'analisi della personalità multipla, definita comunemente quella di “dottor Jekill and Mr Hide”.

Il dottor Margaron, durante il nostro colloquio, mi spiega che è molto orgoglioso di ciò che riesce a fare per queste nuove dipendenze e che si sente molto onorato di essere uno dei Sert più all'avanguardia su questo argomento. Allo stesso tempo però mi sottolinea anche le difficoltà che è costretto ad affrontare e della difficoltà che deve affrontare insieme ai suoi operatori per poter sviluppare un programma di trattamento, cura e prevenzione più ampio. Molte sono le richieste pervenute al sert di Livorno anche per altri tipi di dipendenza comportamentale, in particolare per comportamenti legati al sesso e alla dipendenza da internet, ma non è ancora possibile eseguire un percorso d'aiuto poichè non vi sono né risorse di personale né risorse economiche. A tale proposito il dottor Margaron mi conferma che seppur vi sia una crescita di richieste di aiuto per dipendenze comportamentali, non si sono abbassati gli accessi per il trattamento delle dipendenze classiche. A tale proposito mi sottolinea quanto le associazioni del territorio siano importanti per il trattamento di queste nuove dipendenze in particolare per il gioco d'azzardo. Il sert, infatti come mi riferisce il direttore, rappresenta il nodo centrale di una rete territoriale costruita con sforzi e difficoltà vista la poca legislazione presente.

L'altra intervista che ho effettuato riguarda la psicologa dell'associazione

San Benedetto Olivia Della Vista. Con la dottoressa mi sono soffermata

sull'aspetto psicologico e sulla dipendenza che si sviluppa in queste

persone. La dottoressa mi ha confermato la difficoltà che molte persone

provano nell'affrontare la verità della scoperta di essere malati. Il dato

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preoccupante che emerge da questa intervista è che ancora molto andrebbe fatto si in un ottica di cura che di prevenzione e che ancora oggi, soprattutto in Italia non sono stai eseguiti degli studi autorevoli sullo sviluppo delle dipendenze comportamentali. Per quanto riguarda il gioco d'azzardo invece l'aspetto preoccupante è, quello che viene definito come “sommerso”, ad esempio il numeo sempre crescentte di donne che diventano giocatrici patologihe e della difficoltà di chiedere aiuto perchè non conforme ad una cultura di pregiudizi in cui la donna è vista come l'angelo del focolar e non

“ha il diritto” di “curarsi” quando affetta da una patologia altamente giudicata come la dipendenza, oppure il losco mondo mofioso che c'è dietro al gioco d'azzardo e al prestito d soldi sporchi, oppure il livello delinquenziale che aumenta per poter finanziare questo tipo di dipendenza, lo stato che non controlla il regolare funzionamento delle slot e che non sviluppa una rete di informazione e di prevenzione.

Di questi aspetti ho parlato con i responsabili del gruppo di giocatori anonimi, del gruppo gam-anonon e del centro anti usura. Anche loro appaiono preoccupati della situazione che l'Italia stà vivendo e delle difficoltà che incontrano per svolgere il loro aiuto, totalmente volontario, per arginare questo fenomeno. La loro difficoltà principoale stà nel farsi conoscere perchè ogni mezzo pubblicitario ha un costo e l'autofinanziamento è molto difficile e soprattutto perchè diventare una realtà troppo conosciuta non garantirebbe più quell'anoonimato e quella riservatezza che rappresentano il tratto distintivo di questi gruppi.

Il centro anti usura, ribadisce il concetto del numero sempre più elevato di

persone ce si rivolgono agli usurai e delle difficoltà che incontrano

nell'ideare piani di rientro per i loro assistiti. Questo aspetto è un indice

negativo da non sottovalutare e sul quale è necessario prestare molta

attenzione.

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