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CAPITOLO 4

TERAPIA MEDICA E CHIRURGICA

I cani con epilessia sintomatica dovrebbero ricevere un trattamento mirato della causa sottostante; ciò è particolarmente importante se viene identificata una causa metabolica, poiché le crisi reattive sono spesso refrattarie al trattamento con farmaci antiepilettici se la causa primaria non viene affrontata.

Nei casi in cui non è possibile trattare la causa sottostante, o questa non viene identificata, si effettua una terapia sintomatica dell’epilessia (Platt, 2004;

Muñana, 2013).

4.1 Terapia medica nell’epilessia idiopatica

Questo tipo di trattamento, curando la sintomatologia e non direttamente la causa, può spesso durare per tutta la vita dell’animale e richiede molto impegno da parte del proprietario, in termini sia di tempo che di denaro (Platt et al, 2004).

Generalmente si raccomanda l’inizio del trattamento quando è presente uno qualsiasi dei seguenti criteri:

 La frequenza delle crisi è di una o più al mese;

 C’è una storia di crisi a grappolo o stato epilettico;

 La crisi stessa o i segni post-ictali sono considerati particolarmente gravi;

 Il proprietario vuole iniziare la terapia indipendentemente dalla

frequenza o gravità (Podell, 2013).

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Idealmente l’obiettivo della terapia farmacologica è la remissione totale delle crisi, ma ciò avviene in pochissimi casi. Un animale, infatti, viene considerato libero da epilessia se non ha avuto alcuna crisi per un anno o più e il tasso di remissione varia dal 15% al 18% (Gandini, 2015). Nella maggior parte dei casi l’animale resta in terapia tutta la vita e non è possibile fare una prognosi a lungo termine (Bernardini, 2008). Un obiettivo primario realistico del trattamento è, invece, quello di ottimizzare il controllo delle crisi epilettiche riducendone la frequenza almeno del 50% e minimizzando gli effetti negativi dei farmaci antiepilettici (Jaggy, 2008; Packer, 2014).

Un altro strumento importante per valutare sia l’efficacia sia la tossicità dei farmaci è il monitoraggio terapeutico, ovvero la misurazione delle concentrazioni del farmaco, in particolare:

 Dopo l’inizio del trattamento, una volta raggiunto lo steady state;

 Dopo ogni aggiustamento della dose, una volta raggiunto lo steady state;

 Quando le crisi non sono adeguatamente controllate;

 Quando vi è preoccupazione per eventuale tossicità correlata al farmaco;

 Ad intervalli di 6-12 mesi per lo screening di eventuali modifiche nella

distribuzione del farmaco nel corso del tempo.

Il farmaco ideale dovrebbe essere:

 In grado di superare la barriera ematoencefalica velocemente e in

quantità adeguate;

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 Capace di prevenire e/o neutralizzare gli eventi depolarizzanti parossistici cerebrali;

 Facilmente somministrabile;

 Privo di effetti collaterali rilevanti a breve e lungo termine;

 Privo di tossicità acuta e cronica;

 Poco costoso (Gandini, 2015).

Fino a non molto tempo fa, le uniche opzioni di trattamento primario per cani con epilessia erano il Fenobarbital ed il Bromuro di potassio, ma negli ultimi 20 anni, nonostante questi due farmaci vengano ancora ampiamente usati, ne sono stati sviluppati di nuovi per l’uso negli esseri umani (Immagine 4.1) e ora vengono utilizzati anche per il trattamento in medicina veterinaria (Muñana, 2013; Charalambous, 2014).

La scelta del farmaco antiepilettico (AED) si basa generalmente su una serie di

fattori quali tipo di crisi, efficacia e tollerabilità dei farmaci. In medicina

umana, la ILAE fornisce linee guida anche con le raccomandazioni sull’uso

dei farmaci. In medicina veterinaria non sono state estrapolate queste linee

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guida per cui la scelta del farmaco si basa principalmente sulla tollerabilità.

Gli effetti avversi si possono dividere in transitori, persistenti e pericolosi per la vita. La maggior parte degli effetti transitori si possono facilmente evitare effettuando periodicamente il dosaggio dei farmaci e scompaiono in poche settimane. Gli effetti persistenti riguardano il sistema nervoso centrale e sono dose-dipendenti. Gli effetti pericolosi per la vita possono indurre malattie del midollo osseo o danni d’organo (Podell, 2013).

Tradizionalmente si è sempre consigliato di iniziare il trattamento con la mono-terapia, ai dosaggi più bassi raccomandati e in seguito, monitorando le concentrazioni, aggiustare la dose ed eventualmente associare un secondo farmaco per controllare nel modo più adeguato le crisi (Rusbridge, 2013;

Gandini, 2015). Di seguito ne vedremo alcuni.

4.1.1 Fenobarbital

Il Fenobarbital è tuttora considerato il farmaco di prima linea per il trattamento

dell’epilessia nel cane grazie alla sua efficacia, basso costo, facilità di

somministrazione e velocità di raggiungimento delle concentrazioni steady

state (Kluger, 2009). Appartiene alla classe dei Barbiturici e nasce come

farmaco per il controllo dell’epilessia umana (Gandini, 2015). Il suo principale

meccanismo d’azione è il potenziamento dell’inibizione a livello post

sinaptico attraverso l’azione sul recettore GABA

A

. In particolare aumenta le

correnti recettoriali del cloruro prolungando l’apertura dei canali del cloro post

sinaptici, con conseguente aumento intracellulare della concentrazione dello

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stesso e successiva iperpolarizzazione della membrana cellulare. Dopo somministrazione orale la biodisponibilità riportata è di circa il 90% con un tempo di assorbimento di circa 1,3 ore e un picco di concentrazione plasmatica di 4-8 ore. L’emivita di eliminazione è di circa 40-90 ore (Gandini, 2015) dopo dosaggio orale multiplo e subisce metabolismo epatico. Esiste anche in forma parenterale per somministrazione intravenosa (IV) o intramuscolare (IM). La dose iniziale di partenza raccomandata va da 2,5 a 3 mg/kg ogni 12 ore e mantenendo le concentrazioni plasmatiche nel range terapeutico di 20-45

g/ml si è dimostrato efficace nel 60-80% dei cani epilettici. La

concentrazione sierica del farmaco dev’essere misurata circa due settimane

dopo l’inizio della terapia. Si effettua un doppio prelievo ematico per valutare

la fenobarbitalemia sia nel picco di assorbimento, alcune ore dopo la

somministrazione, sia subito prima della somministrazione successiva. In

seguito, se le crisi sono controllate, la fenobarbitalemia si misura a intervalli di

6-12 mesi con un unico prelievo (Bernardini, 2008). Effetti avversi comuni del

Fenobarbital includono polifagia, polidipsia, poliuria, letargia e atassia in circa

la metà dei cani entro il primo mese di trattamento, ma nella maggior parte dei

casi tendono a migliorare, se non risolversi, nel corso di alcuni mesi (Muñana,

2013; Muñana, 2015). È stata affermata da diversi studi anche la possibilità di

sviluppo di pancreatite acuta in soggetti trattati con Fenobarbital da solo o

associato a Bromuro di potassio (Gaskill, 2000; Bizzeti, 2006). L’effetto

negativo di maggiore preoccupazione è il potenziale di epatotossicità con

induzione degli enzimi epatici, ma tutti gli effetti riportati sono reversibili con

l’interruzione della terapia (Muñana, 2013).

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4.1.2 Bromuro

Le proprietà antiepilettiche del sale inorganico Bromuro (di potassio o di sodio) sono conosciute a partire dalla metà del 1800, anche se in medicina veterinaria è stato usato a partire da uno studio effettuato nel 1986 (Schwartz- Porsche, 1986). Originariamente veniva utilizzato come aggiunta in cani epilettici mal controllati con Fenobarbital ma, più recentemente, ha guadagnato l’uso come farmaco di prima linea (Baird-Heinz, 2012). Dopo la somministrazione, il Bromuro si distribuisce facilmente nello spazio extracellulare e attraversa i canali del cloro GABA dipendenti nella membrana post sinaptica per accumulo intracellulare e porta la membrana ad iperpolarizzarsi. Con la somministrazione orale la biodisponibilità è del 46%

circa e l’emivita di eliminazione varia da 25 a 46 giorni nel cane, richiedendo,

di conseguenza, diversi mesi per raggiungere lo steady state. Non subisce

metabolismo epatico e viene escreto immodificato con l’urina; inoltre un

carico elevato o basso di cloruro dietetico, rispettivamente, aumenta o

diminuisce l’escrezione di Bromuro, riducendone o prolungandone l’emivita

(Shaw, 1996). La dose iniziale raccomandata di Bromuro di Potassio è di 20-

30 mg/kg per via orale ogni 24 ore. Effetti indesiderati includono vomito,

letargia, atassia, poliuria, polidipsia e polifagia. Per ridurre il vomito è

raccomandato somministrare il farmaco con il cibo; se persiste si può

suddividere la dose giornaliera in 2 somministrazioni. Segni di tossicità sono

dose-dipendenti e comprendono alterazioni della coscienza, atassia e paresi

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(Muñana, 2013; Gandini, 2015). È importante monitorare il livello plasmatico del Bromuro e mantenerlo all’interno del range terapeutico (960-3000 mg/ml se usato in monoterapia, 810-2220 mg/ml se usato in associazione a Fenobarbital) anche se non vi è controllo delle crisi, poiché aumentando la dose si ha possibile aumento degli effetti avversi (Bizzeti, 2002).

4.1.3 Gabapentina

La Gabapentina nasce come agonista del GABA ma sembra non agire sul

recettore, infatti il meccanismo d’azione cellulare esatto non è chiaro. Alcuni

studi suggeriscono che gran parte dell’effetto antiepilettico sia dovuto al

legame con una specifica proteina modulatrice dei canali del calcio voltaggio

dipendenti, con conseguente diminuzione del rilascio di neurotrasmettitori

eccitatori. Dopo somministrazione orale, le concentrazioni massime nel

sangue vengono raggiunte entro 2 ore e circa 1/3 della dose assorbita subisce

metabolismo epatico prima dell’escrezione renale con un’emivita di

eliminazione di circa 3-4 ore. La dose raccomandata nel cane è di 10-20 mg/kg

per via orale ogni 6-8 ore e gli effetti indesiderati comuni includono sedazione

e atassia (Muñana, 2013). È stato dimostrato in uno studio sperimentale che

l’aggiunta di Gabapentina alla terapia con Fenobarbital o Bromuro di potassio

ha aumentato la durata del periodo inter-ictale e accorciato i tempi di ripresa

post crisi, mentre in alcuni cani le crisi sono state prevenute completamente

(Govendir, 2005). Non è conosciuto l’esatto range terapeutico entro il quale la

Gabapentina riesce a controllare le crisi, si sospetta sia 4-16 mg/dL (Dewey,

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2009). Platt (2006) ha effettuato delle misurazioni sulla concentrazione plasmatica in alcuni cani trattati con successo con la molecola ma il basso numero di casi esaminati non ha permesso di giungere ad una conclusione.

4.1.4 Zonisamide

Farmaco sulfamidico con diversi effetti farmacologici. Viene commercializzato in Europa dal 2005 (Gandini, 2015). È stato dimostrato che blocca i canali del calcio di tipo T, inibisce i canali del sodio voltaggio dipendenti, aumenta il rilascio di GABA e inibisce il rilascio di glutammato.

Dopo somministrazione orale ha una biodisponibilità di circa 68% e le concentrazioni massime vengono raggiunte in circa 3 ore con emivita di eliminazione di circa 17 ore. La maggior parte del farmaco subisce metabolismo epatico seguito da escrezione renale. La dose iniziale raccomandata nel cane è di 5-10 mg/kg per via orale ogni 12 ore. La concomitante somministrazione di Fenobarbital aumenta la clearance della Zonisamide, per cui è necessaria la fascia alta del range di dosaggio. Gli effetti avversi comprendono sedazione, atassia e perdita di appetito, mentre effetti più gravi, ma meno comuni, sono epatotossicità e acidosi dei tubuli renali.

Non è stato stabilito quale sia la concentrazione sierica terapeutica ottimale

consigliata nel cane ma è consigliato misurare le concentrazioni quando non

si ottiene un controllo ottimale delle crisi epilettiche, per determinare se possa

essere giustificato un aumento del dosaggio (Muñana, 2013).

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4.1.5 Levetiracetam

L’esatto meccanismo d’azione del Levetiracetam è poco conosciuto. Riduce la corrente attraverso i canali del calcio voltaggio dipendenti, inibisce il rilascio di calcio dai depositi intraneuronali e inibisce la scarica di impulsi dai neuroni, sopprimendo così l’ipersincronizzazione e la propagazione dell’attività epilettica. Dopo somministrazione orale, è ben assorbito con una biodisponibilità del 100%, e picchi di concentrazione raggiunti in meno di 2 ore (Dewey, 2009). Viene escreto principalmente immodificato nelle urine, con un’emivita di eliminazione di 3-6 ore e la somministrazione concomitante di Fenobarbital sembra ne aumenti la clearance. La dose consigliata nel cane è di 20 mg/kg per via orale ogni 8 ore e gli effetti avversi comuni comprendono sedazione e atassia (Muñana, 2013). Complessivamente, la molecola, è ben tollerata e appare efficace nella riduzione delle crisi (Packer, 2015).

4.1.6 Pregabalin

È un farmaco di più recente generazione della stessa classe della Gabapentina,

con meccanismo d’azione simile ma maggiore affinità per il sito di legame e

quindi maggiore potenza. La concentrazione massima si raggiunge in circa 1,5

ore e ha un’emivita di eliminazione di circa 7 ore. La dose raccomandata nel

cane è di 3-4 mg/kg per via orale ogni 8 ore ma, per minimizzare gli effetti

collaterali, si consiglia di iniziare il trattamento a 2 mg/kg e aumentare la dose

di 1mg/kg ogni settimana fino al raggiungimento della dose stabilita. Effetti

indesiderati includono sedazione e atassia (Muñana, 2013).

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4.1.7 Topiramato

Il Topiramato, monosaccaride derivato dal D-fruttosio, è una molecola utilizzata nella gestione dell’emicrania e dell’epilessia umana. Agisce su meccanismi multipli migliorando l’attività GABAergica e inibendo i canali di sodio e calcio voltaggio dipendenti. Uno studio condotto su 10 cani ha mostrato una riduzione del 66% nella frequenza delle crisi ipotizzandone un suo utilizzo come farmaco aggiuntivo nel trattamento dell’epilessia idiopatica del cane. Effetti indesiderati descritti sono stati sedazione, atassia e un aumento del tasso di metabolismo epatico in pazienti trattati cronicamente con Fenobarbital. Nel complesso il farmaco è stato ben tollerato dai cani (Kiviranta et al, 2013).

4.1.8 Imepitoina

L’Imepitoina, derivato dell’Imidazolinone, è una molecola ad azione

antiepilettica recentemente approvata nell’Unione Europea per il trattamento

dell’epilessia idiopatica canina. Agisce sui recettori delle Benzodiazepine

potenziando gli effetti del GABA. I canali del Cl restano aperti più a lungo ed

entrando più ioni Cl il neurone è meno eccitabile. L’imepitoina ha elevata

lipofilia e supera facilmente la barriera ematoencefalica. Il dosaggio va dai

10mg/kg, inizialmente, fino ai 30 mg/kg in due somministrazioni giornaliere e

lo steady state viene raggiunto in 2 giorni. Viene metabolizzata per

ossidazione epatica (senza coinvolgere gli enzimi epatici) ed eliminata per via

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fecale e urinaria. La molecola è stata studiata come farmaco di prima scelta ma si può utilizzare anche in associazione con Fenobarbital o Bromuro di potassio, di cui minimizza gli effetti collaterali (Rundfeldt, 2014). Recenti studi hanno messo a confronto l’uso di Imepitoina e Fenobarbital in cani affetti da epilessia idiopatica, dimostrando un’efficacia comparabile tra i due farmaci, ma una minore incidenza e gravità di effetti avversi dell’Imepitoina rispetto a quelli provocati dal Fenobarbital (Tipold, 2014).

4.1.9 Epilessia refrattaria alla terapia

Si parla di Epilessia refrattaria, quando “non si ottiene una diminuzione di almeno il 50% della frequenza delle crisi epilettiche dopo una terapia con uno o due farmaci a dosaggi plasmatici adeguati” (Gandini, 2015). I cani refrattari alla terapia sono più del 30% (Muñana, 2013) e, spesso, la frustrazione nel non ottenere un controllo adeguato delle crisi porta il proprietario a optare per l’eutanasia dell’animale (Gesell, 2015). Attualmente, si ipotizzano tre meccanismi alla base della refrattarietà dell’epilessia:

 Ipotesi farmaco-target, secondo cui nel tessuto epilettogeno vi sarebbe una minore sensibilità delle strutture bersaglio ai farmaci;

 Ipotesi dei trasportatori multifarmaco, secondo cui ci sarebbe una

clearance maggiore dei farmaci antiepilettici, rispetto alla normalità, dovuta a una sovra espressione di proteine trasportatrici di farmaci;

 Modificazioni nelle proprietà dei network neuronali.

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Questi meccanismi si pensa siano essenzialmente dovuti ad anomalie genetiche, vista anche l’elevata incidenza di epilessia refrattaria in alcune razze canine, e al fatto che molti pazienti non rispondono mai alla terapia antiepilettica, neanche nelle fasi iniziali (Gandini, 2015).

4.2 Terapia d’urgenza

La buona gestione di un cane epilettico include anche raccomandazioni per la

cura di emergenza delle crisi a casa. In corso di brevi crisi tonico-cloniche è

consigliato non somministrare nulla per far cessare la crisi, ma far adagiare

l’animale in decubito laterale proteggendo la testa con dei cuscini per evitare

traumi. La terapia d’emergenza è necessaria quando le crisi durano più di 10-

15 minuti, non c’è ripresa della coscienza, si susseguono nuove crisi e ci sono

alterazioni del sistema cardiocircolatorio (Cizinauskas, 2008). In particolare il

trattamento d’emergenza è indicato in caso di status epiletticus e crisi a

grappolo. Viene consigliata la somministrazione rettale di Diazepam mediante

siringa con cannula, alla dose di 1mg/kg al momento della comparsa di crisi

epilettiche, fino a 3 volte nell’arco di 24 ore. Nei cani trattati con Fenobarbital,

questo riduce il picco delle benzodiazepine somministrate per via rettale, per

cui viene suggerita una dose di 2mg/kg di Diazepam (Muñana, 2013). Crisi

prolungate e farmaci antiepilettici sedativi spesso portano a una perdita del

tono faringeo, per cui, in ospedale, questi pazienti necessitano di intubazione,

supporto ventilatorio e somministrazione di ossigeno. Bisogna monitorare

temperatura, pulsossimetria, pressione sanguigna e ogni anomalia va corretta

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nel più breve tempo possibile. Si somministra 0,5 mg/kg di Diazepam IV, se è necessario ogni 2 minuti, finché le crisi non cessano e se ricorrono dopo i boli di Diazepam, questo si può somministrare in infusione continua a 0,5 mg/kg/h (Thomas, 2010; Baroni, 2015).

In medicina umana, per il trattamento d’emergenza dello status epiletticus e

delle crisi a grappolo, viene utilizzato il Levetiracetam e recentemente si

stanno effettuando alcuni studi per dimostrarne l’efficacia anche nel cane

come aggiunta alla somministrazione rettale di Diazepam (Peters, 2014).

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4.3 Terapia non farmacologica

Per i pazienti che non rispondono ai farmaci antiepilettici sono stati studiati metodi di trattamento non farmacologico. Uno di questi è la stimolazione del nervo vago, al momento utilizzata prevalentemente negli esseri umani (Martlè, 2014). Viene posto chirurgicamente nel collo un dispositivo simil pacemaker che offre una ripetitiva stimolazione elettrica del nervo vago. Secondo uno studio questo trattamento è potenzialmente efficace nel cane sebbene venga utilizzato raramente a causa del costo elevato (Muñana, 2013). Uno studio con risultati discordanti è stato condotto sull’uso della compressione oculare per stimolare il nervo vago nel controllo delle crisi epilettiche (Speciale, 1999).

Numerosi studi sono inoltre stati effettuati sulle modificazioni

dell’alimentazione. La dieta chetogenica è utilizzata con successo nei bambini

e prevede un elevato contenuto di grassi, basso contenuto di carboidrati e di

proteine; ma in uno studio sul cane non ha evidenziato alcun effetto benefico

(Larsen, 2014). Un altro studio riguardante l’uso di questa dieta ha, invece,

evidenziato un miglioramento nella sintomatologia comportamentale legata

all’epilessia, riducendo la paura nei cani e, quindi, mostrando proprietà

ansiolitiche (Packer, 2016). Una dieta ipoallergenica con supplemento di acido

grasso è, invece, sembrato migliorasse il controllo delle crisi nei cani di uno

studio retrospettivo (Matthews, 2012). Ulteriori studi verranno certamente

intrapresi per lo sviluppo di nuove terapie non farmacologiche (Muñana,

2013).

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Varie ricerche in medicina umana supportano la teoria secondo la quale i

pazienti riportano un EEG stereotipato a seconda del tipo di crisi che

manifestano. Sulla base di queste ipotesi è stato messo a punto il Seizure

Advisory System (SAS), un dispositivo che mediante l’impianto bilaterale di

elettrodi nello spazio subdurale, utilizza algoritmi per rilevare lo sviluppo di

crisi epilettiche focali e fornire una stimolazione per interromperle. Questo

meccanismo è alla base della chirurgia del lobo temporale che mira a

rimuovere il focus epilettogeno e che, al momento, è praticata solo in medicina

umana. L’uso di questi dispositivi nel cane, ad oggi, ha dato risultati piuttosto

controversi (Howbert, 2014). In uno studio su pochi cani questo dispositivo è

stato utilizzato con successo per poter somministrare in tempo i farmaci

antiepilettici e controllare le crisi. Tuttavia l’esiguo numero dei pazienti fa si

che servano ulteriori studi per verificarne l’attendibilità (Coles, 2013).

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4.4 Terapia chirurgica

È possibile intraprendere una terapia chirurgica per la risoluzione di crisi epilettiche nei casi in cui venga rilevata un’anomalia anatomica come causa scatenante, come, ad esempio, idrocefalo, neoplasia e trauma cerebrale o in caso di encefalopatia epatica da shunt porto-sistemico.

4.4.1 Idrocefalo congenito

Il trattamento chirurgico dell’idrocefalo ha come obiettivo quello di deviare in

modo continuativo il liquido cefalorachidiano in eccesso dai ventricoli

cerebrali verso la cavità peritoneale. Si utilizza uno shunt con un’estremità

rostrale da posizionare nel ventricolo laterale, una valvola unidirezionale e

un’estremità distale da posizionare nella cavità peritoneale. Il paziente viene

posizionato con l’estremità anteriore in decubito sternale e con gli arti

posteriori lateralmente, verso il chirurgo, in modo che il fianco sia in decubito

laterale. Si prepara la testa del paziente per una craniotomia rostro-tentoriale o

laterale e l’intera superficie laterale fino alla tuberosità dell’anca. Si praticano

poi due incisioni, una curvilinea sulla regione caudo-dorsale dell’osso

parietale e una verticale caudalmente all’ultima costa. Nei pazienti di grandi

dimensioni si può praticare anche una terza incisione, a distanza intermedia tra

le prime due, sul lato del torace. Con una fresa a elevato numero di giri si

praticano nell’osso parietale due fori, uno per lo shunt e l’altro per una sutura

di ancoraggio. In corrispondenza dell’area di inserimento dello shunt si

incidono le meningi e si rimuove la piccola parte di cervello sottostante,

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mediante aspirazione, per accedere al ventricolo laterale. Si posiziona la parte rostrale dello shunt nella porzione dorsale del ventricolo e si ancora nell’apposito foro usando una sutura a sandalo romano. Si posiziona l’estremità distale dello shunt nella cavità peritoneale e si ancora all’ultima costa e alla muscolatura addominale. La prognosi è variabile con possibili complicazioni che riguardano lo shunt, e sono ostruzione, dislocazione, danno meccanico e infezione (Fossum et al, 2013).

4.4.2 Neoplasie cerebrali

Le neoplasie cerebrali provocano in primo luogo compressione dei tessuti e aumento della pressione intracranica. Gli approcci chirurgici all’encefalo tipicamente eseguiti sono tre e sono la craniotomia laterale o rostro-tentoriale, la craniotomia trans-frontale e la craniotomia sub-occipitale. Viene usata una di queste tecniche o una loro combinazione a seconda della zona dell’encefalo su cui bisogna intervenire.

Una volta esposto l’encefalo, si incidono le meningi e se ne asporta lo strato in

corrispondenza della massa da rimuovere usando una sonda e creando un

lembo di tessuto meningeo che servirà a ridurre il sanguinamento. Sempre con

una sonda si individua un piano tra il tumore e il tessuto cerebrale e si segue

l’intera circonferenza della massa provando a liberare l’estremità della

neoplasia dall’encefalo. In alcuni tumori solidi si può praticare una sutura di

sostegno nella massa e usarla per aiutarsi nella trazione mentre si esegue la

dissezione della parte mediale del tumore. In alcune neoplasie, come ad

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esempio i tumori infiltrativi, può essere utile l’uso di un aspiratore a ultrasuoni per rimuovere la massa. Una volta estratto il tumore si asporta l’eventuale tessuto di colore anomalo dal letto tumorale mediante aspirazione e si controlla l’eventuale emorragia dei tessuti circostanti mediante elettrobisturi bipolare. Si effettua la ricostruzione del cranio e si chiudono i tessuti mediante le tecniche abituali. Il tumore riportato più frequentemente nel cane è il meningioma, la cui principale complicazione postoperatoria è la polmonite, che insorge in circa il 20% dei pazienti con un tasso di mortalità pari a circa il 50% (Fossum et al, 2013).

4.4.3 Trauma cerebrale

Il trauma cerebrale è un danno al cervello di origine esterna influenzato da

fattori diretti come la forza dell’impatto e fattori indiretti quali emorragia,

edema e processi infiammatori secondari. L’intervento chirurgico nel trauma

cranico è volto principalmente a decomprimere l’encefalo per diminuire la

pressione intracranica aumentata a causa di lesioni cerebrali primarie e

secondarie, rimuovere le fratture depresse nel cranio e l’emorragia

intracranica. Gli approcci chirurgici impiegati in genere sono quello rostro-

tentoriale o quello sub-occipitale, in base alla posizione della/e lesione/i. In

caso di tumefazione cerebrale, per ottenere una decompressione chirurgica, è

spesso necessario rimuovere parti estese del cranio. Queste parti rimosse non

devono poi essere ricostruite per non confinare l’encefalo in un compartimento

chiuso e poter permettere a esso di espandersi. In seguito, se il paziente ha un

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buon recupero, il cranio potrà essere ricostruito. La prognosi è, nel complesso, da riservata a sfavorevole, ma molti cani con gravi lesioni cerebrali hanno un buon recupero funzionale (Fossum et al, 2013).

4.4.4 Shunt porto-sistemico

Gli shunt portosistemici sono costituiti da vasi anomali che permettono il passaggio diretto nella circolazione sistemica del sangue portale che, quindi, non transita nel fegato. Possono essere extraepatici, di cui un classico esempio è lo shunt porta-cava, o intraepatici.

Solo i pazienti con shunt portosistemico congenito, e non acquisito, sono dei buoni candidati per la chirurgia, il cui scopo è l’identificazione e la legatura o attenuazione dei vasi anomali. Negli shunt extraepatici si utilizzano comunemente dei costrittori ameroidi o delle fascette di cellophane per ottenere l’occlusione dei vasi. Il costrittore ameroide induce una costrizione del vaso attraverso il rigonfiamento del materiale igroscopico che costituisce la porzione interna del dispositivo e la successiva occlusione avviene in seguito alla fibrosi che si instaura attorno al vaso. L’uso delle fascette di cellophane, invece, determina un’iniziale risposta infiammatoria acuta seguita da una reazione tissutale cronica da corpo estraneo, con attenuazione vascolare più lenta. Nella tecnica per l’inserimento di un costrittore ameroide si esegue un’incisione sulla linea alba e si accede in cavità addominale.

Si identifica la vena porta, retraendo il duodeno a sinistra e ventralmente, la

vena cava caudale, le vene renali e frenico-addominali. Si identificano i vasi

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anomali che comunicano con la vena cava caudale e si seleziona il costrittore ameroide della dimensione appropriata. Si esegue una dissezione attorno al vaso di shunt per permettere l’inserimento del costrittore e si alloggia il vaso nello spazio circolare interno del dispositivo. Si inserisce la chiave nella fessura del dispositivo e si esegue la normale sintesi dell’incisione addominale. Nella tecnica con inserimento di una fascetta di cellophane si ripiega una di queste in modo da formare una striscia di tre strati. La fascetta si può poi fissare, o causando un’ostruzione parziale facendo passare il cellophane intorno allo shunt e a un chiodo e applicando una clip al titanio sulla striscia, o fissandola in modo tale che inizialmente non provochi alcuna occlusione, applicando il cellophane intorno al vaso e fissandolo con una o più emoclip.

Se non è possibile inserire un costrittore ameroide, il vaso può essere chiuso o attenuato con una legatura. L’occlusione dello shunt dovrebbe determinare un rapido aumento della pressione portale, ma se non si è sicuri che il vaso occluso sia lo shunt si può eseguire una portografia digiunale. In seguito si stringe lentamente la legatura e poi si procede alla sutura dell’incisione.

Con i costrittori ameroidi, rispetto alla legatura chirurgica, la durata dell’intervento è abbreviata e le complicazioni intra e post-operatorie sono minori.

Le potenziali complicazioni sono emorragia, ascite, crisi convulsive e

coagulopatie. Può anche esserci ipertensione portale in seguito al ripiegamento

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dello shunt. Tuttavia, la maggior parte dei cani ha un esito eccellente o buono

dopo l’inserimento di un costrittore ameroide (Fossum et al, 2013).

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