• Non ci sono risultati.

In questo fenomeno di crescente interesse per la vittima, hanno avuto un peso fondamentale alcuni documenti normativi adottati prima nell'ambito del Consiglio d'Europa e successivamente nella cornice dell'Unio

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "In questo fenomeno di crescente interesse per la vittima, hanno avuto un peso fondamentale alcuni documenti normativi adottati prima nell'ambito del Consiglio d'Europa e successivamente nella cornice dell'Unio"

Copied!
221
0
0

Testo completo

(1)

INTRODUZIONE

Lo spazio giuridico europeo ha costituito il palcoscenico sul quale, a partire dagli anni Ottanta, si è innescato un processo di riscoperta della vittima del reato, ormai divenuta la “nouvelle étoile de la scène penale”

1

.

In questo fenomeno di crescente interesse per la vittima, hanno avuto un peso fondamentale alcuni documenti normativi adottati prima nell'ambito del Consiglio d'Europa e successivamente nella cornice dell'Unione Europea.

Da un lato, la Raccomandazione (85) 11 sulla posizione della vittima nella sfera del diritto e della procedura penale e la Convenzione europea sul risarcimento alle vittime di reati violenti hanno affermato un importante principio, in base al quale la tutela della vittima rappresenta un dovere imprescindibile di solidarietà sociale;

dall'altro, la Decisione quadro 2001/220/GAI ha tradotto le norme di soft law in regole cogenti per gli Stati europei. Ruolo ancor più importante per la valorizzazione della vittima come soggetto meritevole di protezione nell'ambito del processo penale è stato, ed è tuttora, quello della giurisprudenza delle due Corti europee

2

.

1 Così si esprime A. WYVEKENS in L'insertion locale de la justice penale. Aux origines de la justice de promixité, Parigi, 1997, p. 117.

2 M. GIALUZ, La protezione della vittima tra Corte EDU e Corte di Giustizia, in Lo

(2)

Le pronunce della Corte di giustizia hanno contribuito a definire la nozione di vittima e i contorni dei suoi diritti nel procedimento, mentre le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo hanno delineato le coordinate di un delicato equilibrio tra i diritti della vittima, soprattutto quella vulnerabile, e quelli dell’imputato.

La Corte di giustizia in particolare è intervenuta più volte sui temi della vittima del reato, riconoscendo espressamente che la Decisione quadro del 2001 si limitava a fissare norme minime, lasciando poi alle autorità nazionali un ampio potere discrezionale circa le concrete modalità di conseguimento degli obiettivi con essa perseguiti.

Tuttavia, sono sorti parecchi dubbi circa la compatibilità delle soluzioni normative nazionali rispetto alle indicazioni fissate dalla fonte europea

3

.

L'Unione aveva dunque cercato di armonizzare i diversi sistemi processuali allo scopo di fornire un trattamento omogeneo alle vittime di reato nel territorio europeo, ma con parziale insuccesso. La poca incisività della Decisione quadro e le nuove possibilità offerte dal Trattato di Lisbona hanno spinto il legislatore europeo a tornare sul tema, con la Direttiva 2012/29/UE. Concepita come strumento di ampio respiro, valido per tutte le vittime di reato, essa rappresenta

statuto europeo delle vittime di reato. Modelli di tutela tra diritto dell'Unione e buone pratiche nazionali, a cura di L. LUPARIA, CEDAM, 2015, pp. 19 ss.

3 Ibidem.

(3)

una vera pietra miliare nella definizione di uno statuto europeo della vittima, stabilendo all’art. 2 che “Ciascuno Stato membro prevede nel proprio sistema giudiziario penale un ruolo effettivo ed appropriato delle vittime. Ciascuno Stato membro si adopererà affinché alla vittima sia garantito un trattamento debitamente rispettoso della sua dignità personale durante il procedimento”.

Da subito è apparso chiaro come il nuovo intervento avrebbe avuto il suo trionfo solo tramite una concreta e uniforme implementazione in tutti gli Stati membri, i quali hanno il compito di trasformare il linguaggio dei principi (tipico delle fonti sovranazionali) in regole precise, di possibile applicazione in un preciso contesto normativo

4

. All'interno della Direttiva, recepita in Italia piuttosto di recente (e non senza ritardo) tramite il d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212, emerge tra i problematici temi affrontati anche quello riguardante il trattamento della “vittima vulnerabile”, ovvero di chi, per le caratteristiche legate al soggetto o al tipo di violenza, ha subito un trauma in conseguenza del reato.

La posizione di vulnerabilità, peraltro, è connessa al rischio della cosiddetta “vittimizzazione secondaria”, cioè il patimento di un nuovo trauma causato dal processo e connesso alla riedizione del

4 M. SIMONATO, recensione su Victims and crimninal justice. European standards and National good practices, Walters Kluwer, 2015, a cura di L. Luparia, in www.penalecontemporaneo.it, 6 Marzo 2015.

(4)

ricordo.

Soggetti per antonomasia riconducibili alla categoria sono il minore e l'infermo di mente, ma la Direttiva offre in realtà indicazioni aperte, evitando cataloghi chiusi e suggerendo, piuttosto, una valutazione individuale della vittima

5

.

Ci si affaccia così ad una estrema variabilità della nozione, evitando di confinare la categoria ad un numerus clausus di individui: se da una parte prevale l’aspetto oggettivo, ossia una vulnerabilità connessa al tipo di crimine tout court (modalità dell’azione criminosa, caratteristiche del bene tutelato particolarmente sensibile), dall’altro prevale una considerazione soggettivistica, poiché la vittima è vulnerabile a prescindere dal tipo di fatto delittuoso che abbia leso i suoi diritti.

Accanto all'attenzione e alla tutela per tali soggetti, è da sottolineare come le condizioni di vulnerabilità possano anche diventare nel processo elemento utile agli imputati, al fine di minare la credibilità della testimonianza della stessa vittima, e addirittura strumentalizzabili, specialmente se la vittima è una donna o un minore

6

.

Alla luce dell'incidenza sempre più profonda della normativa

5 F. DI MUZIO, La testimonianza della vittima “vulnerabile” nel sistema delle garanzie processuali, in www.giurisprudenzapenale.com, 25 Aprile 2015, p.3.

6 Ivi, pp. 4-5.

(5)

internazionale, che guarda alla persona offesa come titolare di diritti e facoltà che prescindono dall'ulteriore status “civilistico” di danneggiato, emerge l'idea di una vittima bisognosa di una vera protezione “dal” e “nel” processo, facendo attenzione a nuovi interessi, indipendenti dalla pura soddisfazione della pretesa risarcitoria

7

.

All'interno di questa generale forma di tutela, un'attenzione particolare è da dedicare, come anticipato, alla vittima più debole.

Se da un lato la disciplina nazionale appare lacunosa e disorganica, la particolare attenzione data alla testimonianza della vittima vulnerabile nell’incidente probatorio “speciale” e nelle dichiarazioni in sede dibattimentale rappresenta una significativa evoluzione rispetto al passato, viste le particolari modalità di “audizione protetta”, alla luce anche degli ultimi interventi riformatori del legislatore che hanno modificato alcune norme del codice di procedura penale

8

.

È quindi opportuno individuare i soggetti annoverabili nella suddetta categoria, sondando l'ordinamento giuridico italiano per verificare il corretto recepimento della normativa europea, e, soprattutto, per individuare le accortezze che il codice di rito dedica all'individuo più

7 R. CASIRAGHI, Il veto del querelante al decreto penale di condanna: privilegio o partecipazione della vittima?, in L'indice penale, Gennaio-Agosto 2015, pp. 103 ss.

8 F. DI MUZIO, op. cit., p. 7.

(6)

fragile inserito nel complesso circuito processuale.

Con questa operazione sarà forse possibile ricostruire uno “statuto

della vittima vulnerabile”, sistema apprezzabile ma non privo di

ombre.

(7)

CAPITOLO 1)

LA VITTIMA DEL REATO: NOZIONE, ORIGINI STORICHE E FONTI NAZIONALI

INTRODUZIONE

Un'analisi volta a determinare il ruolo e la tutela della vittima vulnerabile all'interno del processo penale presuppone il soffermarsi sul più generico termine “vittima”, ponendolo anche a confronto con quello “persona offesa”: quest'ultimo è infatti, tra i due, il più citato e richiamato sia nel codice penale sia nel codice di rito, pur mancandone una definizione terminologica

9

.

Per questo motivo la dottrina processualpenalistica ha più volte cercato di definire i concetti con cui si fa riferimento alla “vittima” del reato, fino a giungere alla individuazione della persona offesa dal reato come il soggetto titolare del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice violata, bene che si postula leso o messo in pericolo dall'azione od omissione del colpevole.

La definizione della vittima non può prescindere, dunque, dall’esaltazione dell’aspetto lesivo della condotta, che ha consentito anche di affermare che in ogni reato è sempre presente una persona

9 S. TESSA, La persona offesa dal reato nel processo penale, Giappichelli, Torino, 1996, p.1.

(8)

offesa, anche quando non è possibile coglierla in tutta evidenza

10

.

11

1.1 ”Vittima da reato”: panoramica sulla nozione a livello nazionale

Di solito si parla di vittima di reato, di soggetto passivo del reato e di persona offesa dal reato a seconda che ci si riferisca, rispettivamente, all'ambito criminologico, penalistico o processuale

12

.

È interessante osservare che nel sistema italiano il termine “vittima” è utilizzato una sola volta nel codice di rito (art. 498, comma 4 ter

13

), preferendo per il resto, come già ricordato, usare le espressioni

“persona offesa” e “danneggiato”, i quali a loro volta richiamano concetti tra loro diversi e dalle diverse sfumature semantiche.

Il fatto stesso che la parola “vittima” sia rarissimamente usato dai legislatori moderni è sintomatico di una concezione formale e meccanicistica vigente tra i giuristi, in relazione alla figura e al ruolo del soggetto passivo nella genesi e nella dinamica del fatto

10 Cfr. F. CARNELUTTI, Lezioni sul processo penale, I, 2^ ed., Roma, 1949, p. 166, il quale, a tal proposito, parla di “invisibilità della vittima”, piuttosto che di

“inesistenza”.

11 G. LAMONICA – L. LO VASCO, Le prerogative della vittima nel processo penale, in www.archiviopenale.it, Fascicolo n^2, Maggio – Agosto 2013.

12 P. P. PAULESU, voce Persona offesa dal reato, in Enc. Dir., Ann. II, t. I, Milano, 2008, p. 592.

13 Quando si procede per i reati di cui agli articoli 572, 600, 600 bis, 600 ter, 600 quater, 600 quinquies, 601, 602, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 octies e 612 bis del codice penale, l'esame del minore vittima del reato ovvero del maggiorenne infermo di mente vittima del reato viene effettuato, su richiesta sua o del suo difensore, mediante l'uso di un vetro specchio unitamente ad un impianto citofonico.

(9)

criminoso

14

.

Più volte si è cercato di dare un significato (come già detto non rinvenibile all'interno dei codici) alla definizione “persona offesa”, che è stata identificata da parte della dottrina nel “titolare del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice violata”

15

.

Per compiere questa operazione si è partiti dalla distinzione, propria della teoria generale del reato, tra danno criminale e danno civile, ovvero tra offesa e danno risarcibile, i quali, come è stato osservato

16

, costituiscono due cerchi non sempre coincidenti

17

.

Il danno criminale, o offesa, consiste nella lesione o messa in pericolo dell'interesse protetto dalla norma penale e, una volta verificatosi a seguito dell'illecito, non è più eliminabile (quod factum est, infectum fieri nequit); il danno civile, o risarcibile, è invece rappresentato dalle conseguenze nocive del reato e, a differenza del primo, può essere riparato mediante il ripristino dello status quo ante o la corresponsione di un risarcimento

18

.

La distinzione tra i due tipi di danni consente di enucleare le due diverse nozioni di persona offesa e di persona danneggiata dal reato.

14 M. CORRERA – D. RIPONTI, La vittima nel sistema italiano della giurisprudenza penale, 1990, p. 12.

15 M. ROMANO in M. ROMANO – G. GRASSO, Commentario sistematico del codice penale, Giuffré, 1990, vol. II, p. 235.

16 F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, parte generale, 10^ ed., 1987, p. 717.

17 S. TESSA, op. cit., p. 1.

18 Ivi, pp. 1 ss.

(10)

Nel primo caso si fa riferimento al soggetto passivo del cosiddetto danno criminale, titolare dell'interesse protetto e leso dall'azione criminosa; nel secondo si allude a colui che subisce invece un “danno civile”, e quindi risarcibile, in conseguenza della lesione di un proprio diritto soggettivo generata dalla condotta costituente reato

19

.

Anche se titolare dell'interesse giuridico protetto dalla norma penale violata, alla persona offesa è attribuibile, qualora decida di intervenire nel processo, la qualifica di soggetto e non quella di parte.

Al contrario del danneggiato che si costituisce parte civile, la persona offesa resta infatti soggetto del processo per tutta la durata del procedimento, dalla fase delle indagini all'eventuale giudizio di Cassazione, rivestendo un ruolo al quale il codice di rito attribuisce poteri di “impulso” e di “controllo” dell’operato del pm e del giudice.

Per lungo tempo l'attenzione del legislatore e dell'interprete si è focalizzata proprio sulle funzioni del pubblico ministero, insieme alle prerogative dell'imputato, dimenticando invece la persona offesa, distinta dal danneggiato del reato e indipendente dalla sua eventuale costituzione come parte civile

20

.

Questo non sminuisce però l'importanza ad essa riconosciuta dal codice, posto che il legislatore le ha dedicato l'intero titolo VI del libro

19 F. ANTOLISEI, L'offesa e il danno nel reato, Bergamo, 1930, p. 104.

20 P. P. PAULESU, voce Persona offesa dal reato, op. cit., pp. 593-594.

(11)

I

21

, in virtù della tendenza sostenuta dalla dottrina ad assegnare un maggior rilievo alla presenza processuale di tale soggetto

22

.

Dopo i timidi interventi di carattere novellistico operati dal legislatore sul tessuto normativo del codice Rocco, il nuovo ruolo della persona offesa ha poi ricevuto definitiva ratificazione con l'opera di riforma organica dell'ordinamento processuale

23

.

1.2 La persona offesa dal reato: dal codice Rocco al codice del 1988

Quanto appena osservato sulla persona offesa acquista maggior peso se si considera il ruolo marginale che questa rivestiva nel codice del 1930, ove ex art. 306 c.p.p. aveva la facoltà di “presentare memorie, indicare elementi di prova e proporre indagini per l'accertamento della verità” solo nell'ambito della fase istruttoria, precisando altresì, a scanso di equivoci, che dall'esercizio di tale facoltà non sarebbe scaturito alcun diritto in fase procedimentale.

La situazione è notevolmente cambiata con l'entrata in vigore del

21 G. CONSO - V. GREVI, Compendio di procedura penale, 4^ed., CEDAM, 2008, p.

133.

22 Per tutti, G. CORDERO, La posizione dell'offeso del reato nel processo penale:

una recente riforma nella Repubblica federale tedesca ed il nostro nuovo codice, in Cass. Pen., 1989, p. 1121: “la pratica giustifica, ed anzi richiede, un'attiva partecipazione della parte lesa al procedimento penale”. La questione più annosa che ruota intorno al tema è la giustificazione in termini sistematici di una

“partecipazione dell'offeso al processo penale: partecipazione strutturata in modo tale da farne un soggetto attivo del giudizio, le cui parti dovrebbero essere esclusivamente il pubblico ministero e l'imputato.”

23 L. BRESCIANI, voce Persona offesa dal reato, in Digesto (Disc. Pen.), vol. IX, 1995, p. 536.

(12)

vigente codice di rito, tant'è che la nozione di persona offesa è stata dilatata mediante il riconoscimento di tale status a soggetti che non sono titolari del bene giuridico tutelato dalla norma penale, tra i quali i prossimi congiunti dell'offeso deceduto in conseguenza del reato

24

.

25

Contemporaneamente, è stato reso più incisivo il suo ruolo: essa ha ottenuto l'attribuzione di maggiori poteri e, soprattutto, la rimozione del limite che comprimeva la sua sfera d'azione all'interno della fase predibattimentale. In particolare, ex art. 90 comma 1 c.p.p. la persona offesa è diventata titolare di determinati diritti e facoltà: “la persona offesa dal reato, oltre ad esercitare i diritti e le facoltà ad essa espressamente riconosciuti dalla legge, in ogni stato e grado del procedimento può presentare memorie e, con esclusione del giudizio di cassazione, indicare elementi di prova

26

”.

In concomitanza con l'avvenuta rivalutazione del ruolo della persona offesa il legislatore del 1988 ha ritenuto opportuno distinguere la sua posizione da quella della parte civile

27

, cercando di caratterizzare con maggior chiarezza quest'ultima come la parte che interviene nel processo penale per far valere la propria pretesa risarcitoria o

24 Art. 90 comma 3 c.p.p.: qualora la persona offesa sia deceduta in conseguenza del reato, le facoltà e i diritti previsti dalla legge sono esercitati dai prossimi congiunti di essa.

25 G. CONSO - V. GREVI, op. cit., p. 133.

26 Non ha però il diritto ad ottenerne l’ammissione.

27 Già il codice Rocco aveva consentito l'ingresso nel processo penale della pretesa risarcitoria quale lis minor, laddove il reato avesse cagionato un danno di natura civilistica.

(13)

restitutoria

28

.

Il danno da fatto illecito penalmente rilevante si colloca all'interno della generale tipologia di cui all'art. 2043 c.c., mediante il filtro specificativo degli artt. 185 c.p. e 2059 c.c. Ogni reato costituisce altresì un “fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto”, obbligando pertanto alle restituzioni ed al risarcimento dei danni, patrimoniali e non

29

.

In tal modo, l'illiceità penale si manifesta idonea a dar luogo ad una responsabilità sia rilevante sul piano strettamente penalistico sia di natura aquiliana.

L'attuale disciplina relativa alla posizione della parte civile presenta della novità. Originariamente il danneggiato non agiva al fine di ottenere un risarcimento, ma recava un contributo all'accertamento dei fatti ad opera della pubblica accusa, onde meglio dimostrare la responsabilità dell'imputato

30

. Con l'entrata in vigore del nuovo codice di rito, il soggetto titolare del rapporto civilistico originato dalla pretesa del risarcimento del danno diventa vera e propria parte processuale, con la conseguente attribuzione di diritti e facoltà

28 Art. 74 c.p.p.: l'azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno di cui all'articolo 185 del codice penale può essere esercitata nel processo penale dal soggetto al quale il reato ha recato danno ovvero dai suoi successori universali [90 c.p.p.], nei confronti dell'imputato e del responsabile civile.

29 G. DI CHIARA, voce Parte civile, in Dig. (Disc. Pen.), vol IX, 1995, p. 234.

30 C. SANTORIELLO, voce Parte nel processo penale, in Dig. (Disc. Pen.), aggiornamento, 2004, p. 575.

(14)

connessi a tale ruolo. La parte civile può svolgere una serie di attività, e non di puro intervento, volte a porre i presupposti per l'emissione del provvedimento riparatore in presenza di una norma penale violata. Non si parla di semplici facoltà, ma di un ingresso nel processo penale

31

e di una presenza da comprimario fino al suo esito

32

.

Ciò che ha spinto il legislatore a chiarire maggiormente la posizione della parte civile, trova la sua giustificazione in quelle prassi distorsive nelle quali spesso le costituzioni di parte civile occultavano persone offese, preoccupate soprattutto di riuscire a svolgere un ruolo più attivo

33

.

Allo stesso modo, è dato di comune esperienza che anche la parte civile vada a dissimulare sotto le vesti formali dell'attore quelle del soggetto in realtà interessato alla persecuzione penale. Nel danneggiato vi è spesso infatti un'aspettativa di giustizia che va oltre il petitum (il risarcimento del danno), assorbendo anche la causa petendi (il riconoscimento della responsabilità penale)

34

.

Detto questo non si può sottacere come, nella realtà, un'alta

31 Finalizzate al consentire una efficace partecipazione sono le norme (artt. 420 comma 2, 484 comma 1, 598, 614 comma 3) che impongono di accertare la regolarità della costituzione di parte civile, ordinando la rinnovazione di avvisi, citazioni, notificazioni e dichiarazioni di cui il giudice dichiari la nullità.

32 C. SANTORIELLO, voce Parte nel processo penale, op. cit., p. 576.

33 G. CONSO – V. GREVI, op. cit., p. 135.

34 P. P. PAULESU, voce Persona offesa dal reato, op. cit., p. 595.

(15)

percentuale di ipotesi sia caratterizzata dalla coincidenza in capo al medesimo soggetto della qualifiche di danneggiato e di persona offesa, cosicché quest'ultima è quasi sempre in grado di costituirsi parte civile ex art. 74 c.p.p.

35

Dobbiamo infatti considerare che dal reato nasce quantomeno il diritto al risarcimento dei danni morali, seppur risarcibili solo in via satisfattiva con una somma proporzionata alla gravità del reato e all'entità del turbamento subito per sua causa

36

.

Il legislatore del 1988, proprio in considerazione dell'ordinaria coincidenza dell'offeso col danneggiato, ha dunque considerato la persona offesa una figura prodromica e, per certi aspetti, complementare rispetto alla parte civile: la sedes della prima è principalmente, anche se non esclusivamente, la fase delle indagini preliminari, durante le quali essa agisce in qualità di soggetto affiancandosi al pubblico ministero, per stimolarne e controllarne l'attività, coltivando l'interesse al rinvio a giudizio dell'imputato. La sedes della seconda sono l'udienza preliminare e il dibattimento, fasi in cui è possibile esercitare tutti i diritti spettanti alla parte processuale

37

.

Si crea così quasi una staffetta volta a consentire ai poteri delle due

35 G. CONSO – V. GREVI, op. cit., p. 135.

36 O. DOMINIONI in AA. VV., Procedura penale, Giappichelli, Torino, 2010, p. 147.

37 Ivi, pp. 147-148.

(16)

figure di integrarsi reciprocamente, anche se in realtà questa simmetria funzionale tratteggiata dal codice costituisce una forzatura concettuale, basata su un mero criterio di frequenza (id quod plerumque accidit)

38

.

Tuttavia, proprio facendo leva su tale criterio, la Corte Costituzionale ha enunciato il canone interpretativo in base al quale la normativa in tema di parte civile sarebbe il modello cui attingere quando la disciplina concernente la parte offesa non risulti compiutamente delineata. In particolare, la Corte le ha espressamente riconosciuto la facoltà di partecipare alla perizia disposta con incidente probatorio anche attraverso un consulente tecnico

39

.

Laddove però la coincidenza tra i due soggetti non si verifichi, l'assetto delineato denuncia uno sfavore nei confronti della persona offesa che non abbia anche subito un danno dal reato. Questa, non potendo costituirsi parte civile, non ha molte possibilità di partecipare effettivamente alla fase processuale, salvo l'esercizio di alcuni diritti e facoltà di gran lunga meno incisivi di quelli attribuiti al danneggiato dal reato: presentare memorie, indicare gli elementi di prova salvo che nel giudizio di Cassazione, sollecitare il pubblico ministero ad impugnare la sentenza

40

.

38 P. P. PAULESU, voce Persona offesa dal reato, op. cit., p. 601.

39 C. Cost. 28 Dicembre 1990, n. 559, in Giur. Cost. 1990, pp. 3192-3193.

40 S. TESSA, op. cit., Prefazione e pp. 14-16.

(17)

A tal proposito, è opportuno ricordare che la parte civile può impugnare i capi della sentenza direttamente riguardanti la pretesa risarcitoria nonché, ai soli effetti della responsabilità civile, la sentenza di proscioglimento pronunciata in esito alla fase dibattimentale. L'area del suo interesse ad impugnare vede poi uno spiccato ampliamento in caso di ingiuria o diffamazione, poiché ex art. 577 c.p.p. la parte civile può impugnare la sentenza anche gli effetti penali, vista la natura eminentemente soggettivistica del bene tutelato

41

.

Di non scarso rilievo appaiono però le prerogative della persona offesa sul rispetto dei tempi delle indagini preliminari. Essa infatti ha il diritto di ricevere la notifica della richiesta di proroga della indagini presentata dal pm, sempre che ne abbia fatto richiesta, e di presentare memorie entro cinque giorni dalla notificazione (art. 406 comma 3 c.p.p.), oltre al diritto di ricevere l'avviso della data dell'udienza camerale che il giudice fissa se ritiene di non poter concedere la proroga delle indagini (art. 406 comma 5 c.p.p.).

L'evoluzione del sistema penale non si è comunque spinta sino al riconoscimento alla persona offesa dal reato della qualità di parte nel rapporto processuale, non potendo difatti né agire in giudizio, né

41 G. DI CHIARA, voce Parte civile, op. cit., p.248.

(18)

formulare petita sul merito, né impugnare personalmente

42

.

Le ragioni della tradizionale refrattarietà del processo penale a prendere in considerazione le istanze del titolare dell'interesse leso dal reato sono molteplici. La prima ragione è di ordine ideologico, e consiste nel rendere il processo impermeabile alle pulsioni giustizialiste solitamente presenti in chi ha subito un'offesa

43

.

La tendenza a circoscrivere le prerogative della persona offesa è sempre stata motivata, infatti, con la necessità di assicurare una sorta di autotutela del processo dal rischio di ritorsioni e vendette.

Una seconda ragione è di tipo squisitamente tecnico: conferire al soggetto poteri autonomi ed eccessivamente pregnanti, specialmente in campo probatorio, significherebbe rafforzare il polo accusatorio e indebolire quello difensivo, così alterando la par condicio tra le parti.

La terza è una ragione di tipo prasseologico, poiché si regge sul dato empiricamente consolidato e già richiamato dell'ordinaria identità tra il titolare del bene leso protetto dalla norma e il danneggiato dal reato

44

. La commistione tra offesa penale e danno civile, invero, ha rappresentato una delle maggiori ragioni che hanno determinato le coordinate velocemente tracciate. Essa ha in qualche misura finito col

42 G. LATTANZI - E. LUPO, Codice di procedura penale, rassegna di giurisprudenza e dottrina, libro I, Giuffré, Milano, 1998, p. 519.

43 P. P. PAULESU, voce Persona offesa dal reato, op. cit, p. 594.

44 Ivi, p. 595.

(19)

rendere malvista la vittima, che nella percezione degli operatori giudiziari si trasforma in una sorta di intruso all'interno del processo penale, impegnato a monetizzare il suo dolore più che a chiedere giustizia. Emerge così il volto più sgradevole della vittima, che appare quasi innaturale e tiranna, puntando pressoché solo all'iniziativa risarcitoria contro l'imputato

45

. Lo schema concettuale che si delinea pare anche trovare conforto all'interno del testo costituzionale, privo di ogni riferimento esplicito all'offeso del reato e ove si legge che

“tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti”

46

, un'espressione che sembra proprio riferirsi solo a chi abbia subito un danno dall'illecito penale

47

.

1.3 La vittima del reato, questa dimenticata

48

Il sistema italiano di procedura penale non prevede lo status giuridico di “vittima del reato”, costruito invece, come detto, per la persona offesa.

La stessa nozione di vittima non ha un significato univoco, trattandosi di espressione generica di matrice criminologica, che si estende a

45 A. AMODIO, Mille e una toga. Il penalista tra cronaca e favola, Giuffré, 2010, p.

104.

46 Art. 24 comma 1 Cost.

47 P. P. PAULESU, voce Persona offesa dal reato, op. cit., p. 595.

48 L'espressione è mutuata dal titolo della Tavola rotonda nell’ambito della Conferenza annuale della Ricerca, tenutasi a Roma il 5 dicembre 2001.

(20)

significati estranei al tema propriamente giuridico, includendo gli effetti indiretti del reato , i quali si riflettono sulla struttura e le cause dello stesso, o sulla necessità che sia inflitta una punizione

49

. L’avvento della modernità e la secolarizzazione hanno gradualmente ma irrevocabilmente determinato lo smarrirsi del significato originario della parola “vittima”, smarrimento che segna anche la perdita di ogni valore trascendente riconosciuto a questo status.

Tuttavia, al fine di valorizzare la prospettiva dell’offeso dal reato, punto di partenza imprescindibile è proprio l’esame del concetto di

“vittima”, foriero di numerose implicazioni storiche nei molteplici ambiti in cui si articolano le scienze criminali, prima fra tutte la vittimologia

50

.

Il concetto di vittima è assai antico e si ritrova in numerose culture, strettamente legato al sacrificio religioso e con un preciso valore simbolico: l’offerta sacrificale esprime la dipendenza dalla divinità, e nel sacrificio umano la vittima è apparentemente amata, poiché allontana insidie, pericoli, calamità; ma è anche volutamente dimenticata, poiché lascia tracce colpevoli in coloro che dal suo sacrificio ottengono o pensano di ottenere vantaggi e benevolenza.

49 G. ILLUMINATI, La vittima come testimone, in Lo statuto europeo delle vittime di reato, cit., pp. 63-64.

50 P. MARTUCCI, La protezione sociale della vittima nel reato, Relazione al Convegno Nazionale “Modernità e diritti: la tutela delle vittime”, Firenze, 11-12 Ottobre 2002.

(21)

In questa prospettiva, il sacrificio umano può essere accostato alla pena capitale attraverso cui si crede di liberarsi dal male, per cui vi è anche la necessità di rimuovere l’immagine della vittima, espressione di un potere che produce disperazione e morte colpendo le fasce più deboli o poco protette.

Questo atteggiamento persiste ancora oggi: una ricerca realizzata mediante questionario, che ha interessato 950 studenti dell’Università di Bologna, ha evidenziato che gli intervistati ritengono i “bambini” e le “donne” i soggetti che corrono il maggior rischio di vittimizzazione

51

.

Emerge un aspetto decisamente intimo e psicologico del concetto, il quale è tuttavia riconducibile a quello ben più giuridico di “persona offesa”, in quanto indifferentemente utilizzati per indicare il medesimo soggetto all'interno di numerose riviste del settore

52

. I due termini sono quindi pressoché fungibili.

Nonostante le tinte più introspettive che caratterizzano il termine in analisi, e il fatto che sia fondamentale per le vittime trovare il loro riconoscimento, è stato efficacemente puntualizzato che non è opportuno enfatizzare la dimensione privata o psicologica dell'ascolto

51 A. BALLONI, “Cause ed effetti del ritardato sviluppo della vittimologia”, in “La vittima del reato questa dimenticata”, Convegno dell'Accademia dei Lincei, Roma 5 dicembre 2001, p. 2.

52 Cfr. C. CESARI, La posizione dell'offeso nel processo penale, in Giur. It. 2012, p.

463 ss.

(22)

della loro sofferenza, poiché appare piuttosto cruciale la dimensione giuridica, e quindi processuale, del riconoscimento a cui aspirano: la vittima è un soggetto titolare di diritti il cui riconoscimento può essere soddisfatto unicamente all'interno di un rito giudiziario

53

. La vittima esiste e chiede tutela e giustizia, senza darsi eccessivo pensiero delle logiche che presiedono la formulazione delle regole processuali.

Essa infatti rappresenta l'antagonista primario dell'autore del reato e per ciò solo è parte naturale del conflitto penale che, elevandosi a processo, diventa strumento essenziale di garanzia per il rispetto dei diritti alla vita e alla libertà dell'individuo. Esso assicura protezione a tutte le legittime istanze che richiedono la salvaguardia di diritti fondamentali, poiché non è possibile che questi vengano trascurati o rimossi ai soggetti resi vulnerabili dall'esperienza drammatica di una vittimizzazione

54

.

Del resto, è consolidato orientamento della giurisprudenza europea quello secondo cui le regole del giusto processo siano rispettate anche tramite la doverosa valorizzazione delle istanze di tutela degli interessi personali della vittima, applicandole compatibilmente ad

53 M. BOUCHARD – G. MIEROLO, Offesa e riparazione. Per una giustizia attraverso la mediazione, Milano, 2005, p. 119.

54 G. TRANCHINA, La vittima del reato nel processo penale, in Cass. Pen. 2010, pp.

4056 ss.

(23)

essi

55

.

Proprio dalla giurisprudenza europea e, più in generale, dal contesto normativo dell'Unione, è scaturita l'esigenza di una nuova e rafforzata attenzione nei confronti della vittima, primo soggetto processuale a ricevere tutela penale dal diritto comunitario in forza della Decisione quadro 2001/220/GAI (poi sostituita dalla Direttiva 2012/29/UE), che all'art.1, lett. a ne aveva anche fornito una definizione: è vittima “la persona fisica che ha subito un pregiudizio, anche fisico o mentale, sofferenze psichiche, danni materiali causati direttamente da atti o omissioni che ha subito un pregiudizio, anche fisico o mentale, sofferenze psichiche, danni materiali causati direttamente da atti o omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno Stato membro”.

55 Ibidem.

(24)

CAPITOLO 2)

L'IMPORTANZA DELLE FONTI EUROPEE: LA NUOVA ATTENZIONE PER LA VITTIMA E L'APPROCCIO VERSO LE VITTIME VULNERABILI

INTRODUZIONE

Diversamente da quanto è avvenuto all'interno del nostro contesto nazionale, la protezione penale della vittima è ormai da molti anni una delle priorità dell’Unione Europea, come più recentemente confermato ed evidenziato dalla Direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, istitutrice di norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato.

La Direttiva in oggetto intensifica la spinta europea affinché la giustizia penale diventi sempre più un momento di inclusione, “un forum per tutte le vittime”

56

, ed una solida base legale per il rafforzamento del testo è costituita dal Trattato di Lisbona: l’art.

82(2)

57

TFUE prevede la possibilità di istituire norme minime per la tutela delle vittime del reato, e la successiva road map del Consiglio

56 L. CORNACCHIA, Vittime e giustizia penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, p.

1760.

57 Cfr. art 82(2) TFUE: Laddove necessario per facilitare il riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e la cooperazione di polizia e giudiziaria nelle materie penali aventi dimensione transnazionale, il Parlamento europeo e il Consiglio possono stabilire norme minime deliberando mediante direttive secondo la procedura legislativa ordinaria. Queste tengono conto delle differenze tra le tradizioni giuridiche e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri.

(25)

adottata a Budapest il 10 giugno 2011 invita esplicitamente gli organi comunitari a muoversi in tale direzione

58

.

La Direttiva, abrogando la Decisione Quadro 2001/220/GAI, si pone come obiettivo principale di rivedere ed integrare i principi enunciati dalla stessa

59

, ponendo sin da subito una particolare attenzione verso le donne e i bambini che abbiano subito una violenza, in quanto soggetti ascrivibili alla categoria delle vittime vulnerabili.

Analizzando l'oggetto delle varie iniziative legislative a favore della vittima si avverte la difficoltà di definire un concetto unico e tecnico, ma emerge proprio la possibilità di individuare varie categorie a cui viene riservata una notevole attenzione

60

.

2.1 La vittima in Europa: un breve excursus tra le fonti

L'Unione Europea, costituita da Stati membri caratterizzati da cultura, tradizioni e ordinamenti diversi, persegue, per motivi di tipo prima

58 S. ALLEGREZZA, Il ruolo della vittima nella Direttiva 2012/29/UE, in Lo statuto europeo delle vittime di reato, cit., pp. 3-4.

59 Cfr. n. 4 del Preambolo: Nella risoluzione del 10 giugno 2011 relativa a una tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti e della tutela delle vittime, in particolare nei procedimenti penali («la tabella di marcia di Budapest»), il Consiglio ha dichiarato che si dovrebbero intraprendere azioni a livello di Unione per rafforzare i diritti, il sostegno e la tutela delle vittime di reato. A tal fine e in conformità con la citata risoluzione, la presente direttiva mira a rivedere e a integrare i principi enunciati nella decisione quadro 2001/220/GAI e a realizzare significativi progressi nel livello di tutela delle vittime in tutta l'Unione, in particolare nei procedimenti penali.

60 S. ALLEGREZZA, La riscoperta della vittima nella giustizia penale europea, in Lo scudo e la spada. Esigenze di protezione e poteri delle vittime nel processo penale tra Europa e Italia, Giappichelli, 2012, p. 12.

(26)

economico e poi sociale, l'obiettivo della costruzione di un mercato unico all'interno del quale operatori e cittadini possano muoversi liberamente. Funzionale a tale traguardo è la predisposizione di strumenti di coesione sociale che possano rendere effettiva le libertà di circolazione di persone, servizi, merci e capitali, ovvero le quattro libertà sulle quali si basa il mercato comune.

La realizzazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, e la libera circolazione delle persone nell’ambito del territorio dell’Unione europea, implicano la necessità di garantire uno standard minimo di tutela alle vittime di reato

61

, e di questo, in realtà, l'Europa si è occupata ancor prima del Trattato di Maastricht del 1992.

I testi normativi finora prodotti in materia di tutela della vittima possono essere suddivisi in due diverse categorie: quelli che si occupano della protezione della vittima in via generale e quelli che riguardano la tutela delle vittime di specifici reati, in particolare quelli lesivi dell’integrità fisica e morale delle persone, che colpiscono più di frequente vittime vulnerabili (per citarne alcuni, lo sfruttamento e l’abuso sessuale dei minori e la tratta di esseri umani)

62

.

61 A. M. CASALE, P. DE PASQUALI, M. S. LEMBO (a cura di), Vittime di crimini violenti, Maggioli, 2014, p. 50.

62 M. VENTUROLI, La tutela della vittima nelle fonti europee, in Dir. Pen. Con., 3- 4/2012, p. 88.

(27)

I testi riconducibili al primo gruppo, nei quali rientrano i più risalenti documenti normativi della Comunità europea in materia di tutela delle vittime del reato, sono ormai molto numerosi e vanno dunque a costituire un lungo elenco dal quale è opportuno estrapolare i più significativi.

Il primo di essi è rappresentato dalla Risoluzione del Parlamento Europeo del 13 marzo 1981 sull’indennizzo alle vittime di atti di violenza: con essa, dopo averne individuato la base giuridica nel principio della libera circolazione delle persone, si chiede alla Commissione di presentare una proposta di direttiva contenente norme minime in materia di indennizzo pubblico alle vittime di reati violenti, senza che rilevi la nazionalità di queste ultime quale condizione necessaria per beneficiare di detto indennizzo

63

; due anni dopo, con la Convenzione Europea sul Risarcimento alle vittime dei reati violenti emanata dal Consiglio d'Europa il 24 Novembre 1983 (mai firmata dall'Italia) si attua quanto suggerito precedentemente, evidenziando la necessità di creare, o rafforzare se già esistenti, sistemi statali di risarcimento economico nei confronti delle vittime di reati violenti, soprattutto se gli autori dell'illecito non sono stati identificati o sono privi delle opportune risorse economiche

64

.

65

63 Ibidem.

64 Ivi, p. 89.

65 La necessità di un sistema pubblico di risarcimento per le vittime che non

(28)

Il primo passo verso uno statuto della vittima, ed anche il primo volto a sottolineare la necessità di un ristoro e di un'attenzione nei suoi confronti di tipo non solo economico, è mosso attraverso la Raccomandazione (85) 11 sulla posizione della vittima nel quadro del diritto e della procedura penale, approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa il 28 Giugno 1985; essa invitava gli Stati ad inserire una serie di misure a tutela della vittima in tutte le fasi del procedimento

66

, suggerendo di provvedere con interventi di vario livello: a livello di polizia, sensibilizzando gli operatori nel trattamento delle vittime; di azioni giudiziarie, facendo in modo di garantire alla vittima un diritto all'informazione e la possibilità di una citazione diretta; durante interrogatori ed udienze, assicurando la tutela ed il rispetto della dignità e dei diritti della vittima; al momento dell'esecuzione, garantendo tempi rapidi per la riscossione dei risarcimenti

67

.

Sebbene la Raccomandazione in esame sia caratterizzata da un contenuto più incisivo rispetto agli interventi predetti, essa si inserisce, insieme a precedenti e successive risoluzioni e raccomandazioni, nell'ambito del “diritto muto” dell'Europa, ovvero

possono essere risarcite da altre fonti è riconosciuta anche dall’ONU nella dichiarazione sui principi fondamentali di giustizia relativi alle vittime della criminalità e alle vittime di abuso di potere del 1985.

66 A. M. CASALE, P. DE PASQUALI, M. S. LEMBO (a cura di), op. cit., p. 49.

67 M. DEL TUFO, Linee di politica criminale europea e internazionale a protezione della vittima, in Questione Giustizia, n^ 4, 2003, pp. 716 ss.

(29)

in quella serie di documenti non cogenti né vincolanti, spesso mal conosciuti dagli stessi Stati che ne sono destinatari

68

.

In particolare, i punti della Raccomandazione che meno hanno trovato attuazione nell'ordinamento italiano riguardano il trattamento della vittima al momento dei primi contatti con la polizia, durante i quali il testo del 1985 richiede allo Stato di formare operatori attrezzati a rispondere in modo adeguato alle esigenze del soggetto, informandolo sulla forme di assistenza disponibili e sulle modalità del possibile risarcimento, tanto da parte dello Stato stesso quanto da parte dell'autore dell'illecito

69

.

Per concludere il primo elenco di fonti, compiendo un notevole salto cronologico che passa anche attraverso la fondazione dell'Unione europea, è necessario richiamare la più importante tra le iniziative sulla materia in esame, costituita dalla Decisione quadro 2001/220/GAI e ricollegabile alla cornice generale tracciata dalla Raccomandazione del 1985.

L'importanza che essa ha rivestito va al di là del suo contenuto, poiché rappresenta uno dei più compiuti tentativi di armonizzazione nell'ambito processuale penale

70

.

68 Ivi, p. 707.

69 M. DEL TUFO, La tutela della vittima in una prospettiva europea, in Dir. Pen.

Proc. 1999, p. 890.

70 S. ALLEGREZZA, La riscoperta della vittima nella giustizia penale europea, in Lo scudo e la spada, cit., p. 9.

(30)

Tuttavia, gli Stati membri non hanno reagito con prontezza, mostrando un atteggiamento quasi disinteressato per le indicazioni dell'Unione

71

.

Approvata in seno al Consiglio dei Ministri dell'Unione il 15 Marzo 2001, la Decisione individua uno standard minimo di diritti che ogni Stato membro deve garantire alle vittime di reati, portatrici di istanze autonome cui l'ordinamento deve dare spazio e riconoscimento riservando loro un trattamento rispettoso della dignità personale durante il corso di tutto il procedimento penale (art. 2), e cercando di salvaguardare nel migliore dei modi possibili le vittime più vulnerabili

72

.

La Decisione si preoccupa in primo luogo di fornire una definizione al termine vittima, che indica all’art. 1 come “la persona fisica che ha subito un pregiudizio, anche fisico o mentale, sofferenze psichiche, danni materiali causati direttamente da atti o omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno Stato membro”.

Tale definizione però, seppur influenzata dalle elaborazioni vittimologiche

73

concernenti la valorizzazione delle conseguenze

71 Ibidem.

72 A. M. CASALE, P. DE PASQUALI, M. S. LEMBO (a cura di), op. cit., p. 51.

73 In vittimologia, secondo la definizione di E.C. VIANO, vittima è “qualsiasi soggetto danneggiato o che abbia subito un torto da altri, che percepisce se stesso come vittima, che condivide l’esperienza con altri cercando aiuto, assistenza e riparazione, che è riconosciuto come vittima e che presumibilmente è assistito da agenzie/strutture pubbliche, private o collettive”; IV Congresso Mondiale di vittimologia, Atti della giornata bolognese, a cura di A. BALLONI – E.

(31)

psichiche dell’illecito, risulta piuttosto limitata, dal momento che emerge come il danno patito debba derivare direttamente dal reato, consentendo così il riferimento solo alle vittime dirette

74

.

Dalla definizione restano dunque escluse sia le vittime indirette (le persone a carico, o altri superstiti, delle vittime dirette) sia le persone giuridiche, e sorgono particolari problemi interpretativi soprattutto nel nostro Paese, in quanto l'interprete italiano è costretto ad un'opera di adattamento piuttosto insidiosa posto che, come già visto, il termine vittima non viene utilizzato a livello legislativo

75

. Tuttavia, nella nozione di vittima fatta propria dalla Decisione quadro, possono farsi rientrare sia la figura di persona offesa sia quella di persona danneggiata dal reato, espressioni proprie del sistema italiano: il fatto che le disposizioni della Decisione comprendano

“talune misure di assistenza alle vittime, prima, durante e dopo il procedimento penale”

76

significa che esse trovano il proprio destinatario in una fase anteriore al processo, collocazione che non può che essere riferita alla “nostra” persona offesa; non compare poi alcun riferimento testuale alla necessità di un legame tra pregiudizio

VIANO, Bologna, 1989, p. 126.

74 M. VENTUROLI, op. cit., p. 90.

75 Ad eccezione, come visto, dell' art. 498, comma 4 ter c.p.p.

76 Così recita il 6^ considerando: Le disposizioni della presente decisione quadro non hanno pertanto come unico obiettivo quello di salvaguardare gli interessi della vittima nell'ambito del procedimento penale in senso stretto. Esse comprendono altresì talune misure di assistenza alle vittime, prima, durante e dopo il procedimento penale, che potrebbero attenuare gli effetti del reato.

(32)

e titolarità del bene giuridico leso, ed il richiamo espresso ai danni materiali (l'art. 2 parla di economic loss) consente l'utilizzo della definizione anche per la figura del danneggiato da reato tout court, ovvero il soggetto che abbia sì subito un danno a causa dell'illecito, ma che al contempo non sia il titolare del bene giuridico protetto dalla norma penale

77

.

Lo statuto europeo della vittima nel processo penale che va a crearsi tramite la Decisione ruota attorno a tre diversi temi: il diritto della vittima a partecipare “alla giustizia” quale forma primaria di compensazione simbolica, che si traduce nel prendere parte al processo penale tradizione e nell’avvalersi di mezzi alternativi di definizione dei conflitti (in particolare la mediazione penale); il diritto alla compensazione monetaria per il danno subito dal reato; il diritto alla protezione dai rischi di vittimizzazione secondaria

78

.

Cercando di cogliere i più importanti diritti che il testo in esame attribuisce alla vittima, è possibile farne una sintetizzazione sulla base di una bipartizione temporale:

- precedentemente all'instaurazione del procedimento penale, punto focale per la tutela delle vittima è il diritto all'informazione,

77 A. BALSAMO, Persona giuridica “vittima” di reato ed interpretazione conforme al diritto comunitario, in Cass. Pen., 2008, pp. 789-790.

78 S. ALLEGREZZA – M. GIALUZ, Víctima y «supervivencia» en la Justicia penal europea, in La víctima menor de edad, Un estudio comparado Europa/America, Colex, 2010, p. 518.

(33)

riconosciuto in modo specifico e dettagliato nell'art. 4, interamente dedicato al tema: lo Stato deve garantire l'accesso, fin dal primo momento di contatto con le autorità incaricate dell'applicazione della legge, in una lingua generalmente intesa, alle informazioni rilevanti, riguardanti anche l'esistenza di strutture di servizio e assistenza che la vittima può ricevere; la possibilità di sapere in che modo sporgere denuncia, quali sono le procedure successive alla presentazione della denuncia e qual è il suo ruolo in tale contesto; quali sono le condizioni per fruire dell'assistenza di un legale, del patrocinio gratuito e di qualsiasi altra forma di assistenza, e quelle per ottenere un risarcimento; nel caso in cui poi la vittima risieda in altro Stato, essa dovrà poter conoscere i meccanismi cui ricorrere per tutelare i propri interessi (art. 4.1, lett. a-h)

79

;

- durante lo svolgimento del processo, lo Stato deve predisporre le misure necessarie affinché la vittima possa essere sentita e possa fornire elementi probatori, procedendo però ad interrogarla solo per quanto necessario ai fini del processo (art. 3); deve impegnarsi a ridurre le difficoltà di partecipazione e comunicazione della vittima testimone o parte in causa (art. 5) e, se necessario, assicurare alle vittime, specie alle più vulnerabili, la possibilità di rendere

79 M. G. AIMONETTO, La valorizzazione del ruolo della vittima in sede internazionale, in Giur. It., 2005, p. 1333.

(34)

testimonianza in condizioni protette e diverse dalla classica audizione pubblica (art. 8); deve garantire che i contatti tra vittima e autori del reati vengano evitati, predisponendo strutture apposite che permettano di non incontrare l'aggressore (art. 8.3). Il documento in analisi è forse meno incisivo della Raccomandazione del 1985, caratterizzata da linee di politica criminale di più ampio respiro, ma senza dubbio possiede una maggiore efficacia, poiché esso obbliga gli Stati membri a procedere ad un adeguamento del sistema interno

80

.

Il documento in analisi è forse meno incisivo della Raccomandazione del 1985, caratterizzata da linee di politica criminale di più ampio respiro, ma senza dubbio possiede una maggiore efficacia, poiché esso obbliga gli Stati membri a procedere ad un adeguamento del sistema interno. Per realizzare gli obiettivi indicati viene infatti per la prima volta utilizzato uno strumento normativo vincolante, anche se alla mancata trasposizione delle Decisioni quadro non può conseguire una condanna da parte della Corte di Giustizia che sia supportata da adeguate sanzioni

81

.

Forse per questo motivo i termini di attuazione previsti dalla decisione (22 Marzo 2002 le disposizioni attuative, 22 marzo 2004 la

80 M. DEL TUFO, Linee di politica criminale europea e internazionale a protezione della vittima

,

op.cit., pp. 717-719.

81 M. VENTUROLI, op. cit., p. 93.

(35)

definizione delle garanzie in materia di comunicazione e di assistenza specifica alla vittima, 22 marzo 2006 la implementazione della mediazione nell’ambito dei procedimenti penali) sono stati abbondantemente superati dall’Italia, che solo di recente si è mossa per dare una più completa attuazione: l’art. 53 della legge 4 Giugno 2010, n. 96 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2009) contiene i “principi e criteri direttivi di attuazione della Decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio, del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale”

82

.

2.2 La vittima vulnerabile nella Decisione Quadro 2001/220/GAI

Dai diritti rapidamente analizzati nel precedente paragrafo emergono i caratteri di un soggetto leso e/o danneggiato dall'illecito penale a prescindere dal tipo di reato posto in essere, delineandosi così la figura di una vittima che rivendica il diritto a svolgere un ruolo effettivo e partecipato all'interno del procedimento penale, fruendo di adeguati strumenti di impulso e di partecipazione, con le relative garanzie informative.

Il riconoscimento di tale ruolo attivo, riflesso dell'interesse ad

82 Ibidem.

(36)

ottenere la punizione del reo ed il risarcimento del danno subito, descrive una tutela che si attua “nel” procedimento; una tutela diversamente orientata si profila invece per il soggetto che sia

“indebolito” - fisicamente, mentalmente o moralmente - dalla lesione subita e dai suoi effetti, rendendosi per esso necessaria una tutela

“dal” procedimento

83

.

Con questo secondo aspetto viene infatti individuata una vittima che esige una adeguata protezione personale, al fine di evitare la cosiddetta vittimizzazione secondaria, ovvero che il coinvolgimento nel procedimento penale provochi un pregiudizio aggiuntivo, di tipo soprattutto psicologico e morale

84

.

Fatte queste considerazioni, si può sottolineare come la vittima generalmente intesa nei termini tecnico-giuridici tipici del diritto penale sostanziale, ossia la vittima-soggetto titolare dell'interesse protetto dalla norma penale, sia tutelata in modo del tutto impersonale: il possesso, ad esempio, è tutelato allo stesso modo se possessore della cosa sottratta sia Tizio oppure Caio, in quanto in entrambi i casi la sottrazione può costituire il delitto di furto.

L'impersonalità della tutela è un elemento importante, poiché rispecchia il principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, ed

83 G. CANZIO, T. RAFARACI, S. RECCHIONE, La tutela della vittima nel sistema penale delle garanzie, in Criminalia 2010, p. 259.

84 Ibidem.

(37)

ammetterne una di diverso tipo in base alle peculiarità del soggetto passivo significa introdurre una ampia deroga al predetto principio.

Per questo motivo, se vi sono obiettive ragioni per differenziare la tutela, serve tenerne un adeguato conto, per evitare di ottenere un risultato per altri versi diseguale e quindi ingiusto

85

.

Senza poi mettere in dubbio l'importanza che la Decisione quadro 2001/212/GAI ha rivestito per il richiamo all'attenzione verso la vittima vulnerabile, si deve ricordare che al suo interno permangono numerosi profili di fluidità circa il perimetro definitorio di tale soggetto, identificabile non tanto in forza di una precisa definizione che è del tutto assente, quanto tramite un ragionamento che, a contrariis, fa leva sulle ipotesi di tutela specifica prevista dai testi sovranazionali nei confronti di alcune categorie di persone

86

.

L'assenza di una definizione puntuale sembra quasi in controtendenza rispetto all'art. 2 comma 2, ove infatti si prevede esplicitamente l'obbligo in capo allo Stato di garantire alle vittime vulnerabili un trattamento “specifico” e “che risponda in modo ottimale alla loro situazione”; più dettagliatamente, il contesto della prova dichiarativa è espressamente eletto come quello in cui l'esigenza di protezione

85 A. PAGLIARO, Tutela delle vittime nel sistema penale delle garanzie, in Riv. It. Dir.

Proc. Pen., 2010, pp. 44-45.

86 L. LUPARIA, Linee guida per la tutela processuale delle vittime vulnerabili, Giuffré, 2011, pp. 1-2.

(38)

della vittima più vulnerabile “deve essere soddisfatta con particolare cura” (art. 8 comma 4)

87

.

L'assenza di una definizione può, tuttavia, in un certo qual modo giustificarsi se si considera che sul concetto di vulnerabilità esistono posizioni differenti

88

. In alcuni Paesi europei, tra i quali l'Italia

89

, la vulnerabilità della vittima viene infatti individuata da un punto di vista soggettivo, guardando all'età, al sesso, alla fragilità fisica o psichica- patologica dell’offeso (ad esempio, minori ed infermi di mente); in altri Stati invece, come Spagna e Paesi Bassi, vengono presi in considerazione criteri oggettivi, per i quali contano il tipo di reato, le modalità della condotta e la relazione tra autore e vittima, ovvero comportamenti volti a generare una situazione di fragilità nella vittima (sulla scorta di tale criterio possono ricomprendersi i soggetti passivi degli illeciti di criminalità organizzata o di terrorismo

90

); in altri

87 G. CANZIO, T. RAFARACI, S. RECCHIONE, op. cit., p. 259.

88 M. VENTUROLI, op. cit., p. 90.

89 Si tornerà ampiamente sul punto nel capitolo successivo analizzando il nuovo art. 90 quater c.p.p., introdotto dal d. lgs 212/2015 attuativo della Direttiva 2012/29/UE. Esso, in ottemperanza all'art. 23 della Direttiva, fornisce una sorta di criterio generale per stabilire la sussistenza in capo all'offeso della condizione di particolare vulnerabilità. Questa va desunta, oltre che dall'età e dall'eventuale stato di infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato e dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede. Per la valutazione della condizione, prosegue la norma, si deve valutare se il fatto risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale, se è riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata, di terrorismo o di tratta degli esseri umani, se si caratterizza per finalità di discriminazione, e se la persona offesa è affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall'autore del reato.

90 L. LUPARIA, Linee guida per la tutela processuale delle vittime vulnerabili, op.

cit., p. 2.

(39)

Stati ancora, quale ad esempio la Germania, al fine di assicurare la più ampia protezione possibile, si considera la vulnerabilità della vittima da un punto di vista sia soggettivo che oggettivo, ovverosia muovendo dalle condotte che anche solo potenzialmente determinano la vulnerabilità

91

.

È difficile, certo, prescindere dalla centralità dei criteri soggettivi, per i quali l'esser vittima non fa altro che aggravare una già preesistente situazione di fragilità, ma non è possibile disconoscere l'importanza anche di quelli oggettivi, legati alla qualità del reato, che permettono di individuare specifiche esigenze di tutela di vittime già soggettivamente vulnerabili ed anche, eventualmente, di quelle non altrimenti vulnerabili. In vista di un probabile uso integrato dei due tipi di criteri si richiederanno quindi, in sede normativa, adeguate articolazioni del regime di tutela, che limitino la esaustività di una definizione aprioristica della categoria oggetto di questo studio, in modo da inquadrarla, piuttosto, come un “contenitore” elastico e flessibile, dal quale possano allo stesso tempo emergere con chiarezza i motivi di ogni differenziato regime di protezione

92

. Altro principio fondamentale che riguarda da vicino la vittima debole è contenuto nell'art. 14, ove si prevede che “Ciascuno Stato membro

91 M. VENTUROLI, op. cit., p. 90.

92 G. CANZIO, T. RAFARACI, S. RECCHIONE, op. cit., p. 60.

(40)

incentiva, attraverso i servizi pubblici o mediante il finanziamento delle organizzazione di assistenza alle vittime, iniziative atte a offrire un'adeguata formazione professionale alle persone che intervengono nel procedimento penale o comunque entrano in contatto con le vittime, con particolare riferimento alle necessità delle categorie più vulnerabili”.

La rilevanza di quanto indicato sta nel fatto che la vittima, se non trattata all'interno del procedimento in maniera adeguata alla situazione personale ed alla tipologia di reato subito, può correre il rischio di subire la già citata vittimizzazione secondaria, che può provocare un ulteriore nocumento psicologico alla persona e che, sicuramente, non giova al corretto svolgimento del processo

93

. Sulle due problematiche esposte si tornerà ampiamente nel capitolo successivo, analizzando quanto previsto all'interno dell'ordinamento italiano.

2.3 Le fonti a carattere particolare: la protezione delle vittime di specifici reati

Le linee direttrici della nuova difesa penale corrono ormai lungo i binari della differenziazione del trattamento, individuando delle

93 E. MARIANI, Linee guida per la tutela processuale delle vittime vulnerabili.

Working paper sull'attuazione della Decisione quadro 2001/220/GAI in Italia e Spagna, a cura di L. LUPARIA, Giuffré, 2011, p. 123.

(41)

tipologie delittuose o, ancora meglio, dei tipi criminali, alle quali sono dedicati dei sottosistemi penali e processuali. Esistono infatti vari tipi di supercriminali, tra i quali il terrorista e il pedofilo, cui corrispondono parallelamente supervittime che rappresentano la ratio giustificatrice delle suddette misure di differenziazione

94

.

Categoria particolarmente importante è quella della vittima debole, concetto che, al di là della sua evanescenza e mutevolezza, e particolarmente sensibile ai cambiamenti della coscienza collettiva, ha attratto su di sé i tentativi europei più compiuti di incidere sulla struttura del processo a livello statale. Non a caso, molti degli atti adottati a livello europeo si muovono proprio nella direzione della vittima debole in quanto supervittima

95

.

a) Decisione Quadro 2002/475/GAI sulla lotta al terrorismo

Il primo testo a carattere particolare in cui viene mostrata una certa sensibilità vittimologica è la Decisione quadro 2002/475/GAI del 13 giugno 2002 (poi modificata dalla Decisione quadro 2008/919/GAI), sulla lotta contro il terrorismo , ove nel considerando n. 8 si legge che

“le vittime dei reati terroristici sono vulnerabili e sono pertanto necessarie misure specifiche che le riguardano”. Con essa si mira alla

94 S. ALLEGREZZA, La riscoperta della vittima nella giustizia penale europea, in Lo scudo e la spada, cit., pp. 12-13.

95 Ibidem.

(42)

prevenzione dei reati terroristici, attraverso la configurazione di modelli d’incriminazione in cui le caratteristiche delle potenziali vittime - soggetti quanto mai indeterminati - e le esigenze di sicurezza collettiva chiedono una risposta punitiva particolarmente severa, prevedendo una particolare tutela per le vittime effettive degli atti terroristici. La Decisione svincola infatti lo svolgimento delle indagini o l’esercizio dell’azione penale da una denuncia formale della vittima, e dà agli Stati membri Stati la facoltà di introdurre strumenti di tutela ulteriori a quelli previsti dalla Decisione quadro del 2001

96

, di tipo essenzialmente sostanzialistico.

b) Decisione quadro 2002/629/GAI sulla lotta alla tratta degli esseri umani

Tale decisione si pone in continuità, come afferma il punto n. 4 del Preambolo

97

, rispetto alla Convenzione ONU sulla lotta alla criminalità organizzata transnazionale, approvata a Palermo il 12/12/2000, il cui protocollo successivamente stipulato è volto a prevenire, reprimere e

96 M. VENTUROLI, op.cit, pp. 95-96.

97 Quarto considerando: Il protocollo addizionale della convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare di donne e bambini rappresenta un passo in avanti decisivo nella cooperazione internazionale in questo settore.

Riferimenti

Documenti correlati

Altro problema è il caso in cui il testimone non voglia sottoporsi agli accertamenti richiesti dal giudice, perchè la norma nulla dice a riguardo, però se continuiamo a

Gli occupati e l’utilizzo del sistema di Trasporto Pubblico Tabella 2a: Destinazione Provincia.. di

Tale differenza nella produzione dei rifiuti non può essere attribuita alla durata dei ricoveri: benché al- l’Ismett si eseguano quasi esclusivamente trapian- ti, la durata media

In ogni Pronto Soccorso - DEA della Provincia di Torino è possibile chiedere aiuto ed essere indirizzati alla risorsa più vicina e.. disponibile in quel momento sia nei casi

Mentre la condotta degli imputati è stata esonerata da qualsiasi indagine sulla loro vita anteatta per sondare l’eventuale attitudine alla violenza, la motivazione

3, comma 1, della decisione quadro 2001/220/GAI non le attribuisce alcun diritto nella determinazione della pena da irrogare e dell’entità della pena medesima;

diziaria quand’anche essa sia informata ad obbiettivi di natura riparatoria. Sono almeno cinque i piani che debbono essere tenuti presenti per delineare un sistema di