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Progetto Superare le resistenze “Disabilità: riconoscere la segregazione” 15 e il 16 giugno 2017 Documento finale della giuria

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Progetto Superare le resistenze

“Disabilità: riconoscere la segregazione”

15 e il 16 giugno 2017

Documento finale della giuria

La giuria, esaminati attentamente i documenti prodotti nell’ambito del progetto, preso atto degli interventi e del dibattito avvenuto durante la conferenza del 15 e 16 giugno e dopo ampio confronto al suo interno esprime le seguenti posizioni e raccoglie e conferma alcune specifiche indicazioni:

Preambolo

1. Appare urgente e necessario, alla luce in particolare del dettato degli articoli 12 e 19 della Convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità (PcD), sostenere un’azione mirata e continuativa affinché per tutte le persone con disabilità sia pienamente realizzato il diritto a

“scegliere dove e con chi vivere”. Deve essere data a tutte le PcD l’opportunità di trovare un luogo da abitare dove sentirsi “a casa”, sviluppare relazioni interpersonali e intime, definire una trama di relazione con la comunità. Va respinto con forza ogni approccio nel quale la PcD venga considerata unicamente come una persona da proteggere e/o assistere.

In questa prospettiva la giuria valuta positivamente e sostiene fortemente l’idea che tutte le forme di cosiddetta “residenzialità”

per le PcD vengano inquadrate come risorse per l’abitare indipendentemente dalla diversità di sostegni educativi, assistenziali o sanitari che le caratterizzano. I sistemi di autorizzazione e accreditamento, accanto alle necessarie indicazioni di qualità relative ad aspetti organizzativi e strutturali, debbono, conseguentemente, salvaguardare e garantire luoghi dell’abitare così come descritti, pena generare processi potenzialmente segreganti.

2. I dati disponibili, le relazioni cliniche e scientifiche presentate, il lavoro esteso di consultazione realizzato attraverso i focus group, l’evidenza delle cronache giudiziarie e l’esperienza rappresentata di professionisti e responsabili delle organizzazioni delle persone con disabilità evidenziano che il diritto di abitare umano e dignitoso sopra descritto è lontano dall’essere pienamente realizzato e che anzi una parte cospicua di PcD del nostro paese, anche se non facilmente quantificabile, si trova a vivere in luoghi che configurano autentiche forme di segregazione. Una distanza dalla comunità che richiama alla mente condizioni di vita di carattere “manicomiale”. Luoghi in cui le persone sono soggette a trattamenti inumani e degradanti. L’indicatore più significativo di tale rischio è costituito dal concentrarsi di persone adulte con disabilità intellettiva e autismo, comorbidità psichiatrica e “comportamenti

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problema” in strutture di grandi dimensioni e in situazioni in cui sono assenti progetti personali rivolti alla qualità della vita delle persone e dove c’è evidente prevalenza di interventi farmacologici e di mera assistenza. È, dunque, urgente che si avvii un’azione mirata affinché queste strutture vengano il prima possibile interessate da un processo di riconversione e di conseguente evoluzione delle modalità attuali di funzionamento, verso soluzioni dignitose che promuovano l’appartenenza alla vita nella comunità locale. In questo processo pare di grande importanza la collaborazione attiva del “Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale”.

A fianco di queste realtà di segregazione “conclamata”, processi di esclusione sociale interessano molte altre quote di popolazione con disabilità. L’isolamento fisico, il confinamento in luoghi separati dal resto della comunità è in questi casi meno netto, più sfumato, ma non di meno la presenza in luoghi dell’abitare e della comunità o all’interno di altri servizi non si trasforma in reale partecipazione e inclusione sociale.

L’indicatore più concreto ed evidente di questa condizione di

“separazione” è che le persone sono in relazione quasi esclusiva con operatori dei servizi, familiari e altre persone con disabilità. Si conviene che la condizione di potenziale segregazione, nell’ottica appena esposta, non appartenga in modo esclusivo ai servizi residenziali, ma possa essere presente in diversi ambiti della vita delle persone, a partire dalla famiglia, fino a coinvolgere gli stessi servizi domiciliari e diurni che dovrebbero scongiurare l’istituzionalizzazione e la segregazione delle persone con disabilità. Inoltre altri indicatori premonitori di questo fenomeno di “separazione” potrebbero essere la mancanza di privacy nell’utilizzo degli spazi abitativi e la mancanza di una reale espressione delle proprie scelte personali. La carenza di questi importanti elementi può divenire sintomo prodromico di latente o potenziale segregazione, generando assenza della sensazione intangibile, ma a tutti noi nota, del

“sentirsi a casa”.

3. Il rischio di una “vita a parte” nei servizi per l’abitare è sicuramente influenzato da contesti e modalità di lavoro che nei fatti non trovano i modi e le forme per un pieno riconoscimento dei diritti della persona.

L’articolazione dei fattori e degli indicatori di questa condizione di rischio richiedono analisi puntuali e la capacità di intercettare le ragioni e i processi generativi, pena il rischio di denunce sociali e dichiarazioni di principio non efficaci per intervenire sul problema. La giuria ritiene che l’ampio lavoro di consultazione nazionale e i pareri raccolti durante la conferenza consentano di formulare una prima lista di fattori di rischio utili per una strategia di azione.

Distinguiamo tre aree di riflessione e possibile azione.

a) è servizio a rischio di segregazione quello in cui:

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1. alla PcD non è data nei fatti, in modo concreto e fattivo la possibilità di una “partecipazione attiva alla vita del servizio e la possibilità di esprimere, secondo le modalità comunicative che gli sono consentite dalle sue menomazioni e condizioni di salute, i propri desideri” e le proprie preferenze;

2. alla PcD non sia garantito un approccio multiprofessionale e multidimensionale nella valutazione delle condizioni di vita e della necessità dei relativi sostegni;

3. alla PcD non sia garantita un’adeguata modulazione dell’intensità dei sostegni necessari tenuto conto di un approccio rispettoso della promozione della qualità della vita;

4. la volontà della persona non sia riconosciuta, sostenuta e valorizzata da chi ne ha la rappresentanza legale;

5. gli operatori non siano preparati e non abbiano profili di competenze appropriate per realizzare forme di partecipazione e promozione dell’autodeterminazione (ad esempio: non adeguatamente formati, in condizione di burn out, interessati ad un turn over che ne rende impossibile un’azione coerente e continuativa);

6. sia prevista e praticata la contenzione meccanica e farmacologica: la giuria ritiene che la contenzione, di qualsiasi forma essa sia, possa essere considerata un elemento di potenziale segregazione. Si raccomanda, in proposito, che nei servizi per l’abitare sia prevista e praticata una strategia appropriata e personalizzata di gestione dei comportamenti problema e siano presenti, nella rete dei servizi, operatori con competenze adeguate per prevenire e gestire tali comportamenti;

7. le modalità di convivenza non siano state oggetto di condivisione dalle persone che vi abitano;

8. non siano previste risorse appropriate da destinare alla vita relazionale esterna alla struttura, approntando, se del caso, adeguati sostegni per la partecipazione alla vita comunitaria, e/o non venga consentito alle persone di profittare delle opportunità territoriali.

b) Sono pratiche gestionali e amministrative a rischio di generare direttamente o indirettamente segregazione:

1. forme di accreditamento dei servizi che ignorino la natura di luogo dell’abitare e si concentrino solo sui requisiti di carattere igienico/sanitario, ignorando elementi centrati sulla qualità della vita, sugli aspetti abilitativi ed educativi, sul libero esercizio della capacità, delle opportunità e delle responsabilità, e sull’autodeterminazione della persona con disabilità;

2. forme di accreditamento che si occupino in prevalenza di requisiti strutturali invece di focalizzarsi sui processi chiave di qualità del servizio, anche in contesti non istituzionali;

3. sistemi di finanziamento dei servizi per l’abitare centrati esclusivamente sul sistema della “retta” piuttosto che sulla definizione delle risorse

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necessarie alla realizzazione del progetto di vita della persona con disabilità;

4. sistemi di finanziamento che non riconoscano e premino la creazione di filiere di interventi e servizi integrati che rendano esigibile la libertà di scelta della persona con disabilità, la personalizzazione dei servizi erogati, lo sviluppo di percorsi di autonomia;

5. sistemi di finanziamento che non favoriscano la deistituzionalizzazione e non tengano conto degli investimenti aggiuntivi, soprattutto in fase iniziale, necessari a sostenere processi di autonomia personale e vita indipendente;

6. forme di autorizzazione e accreditamento che consentano l’aggregazione di moduli, cosicché in modo improprio e opaco si consenta di operare a strutture dell’abitare che eludono i giusti limiti di ampiezza posti dalle normative regionali, o evitino di definire le condizioni di un abitare il più possibile vicino per numerosità a quello dei comuni nuclei familiari;

7. forme di autorizzazione e accreditamento che consentano senza alcuna motivazione e ragione sostanziale il mantenimento di strutture di ampie dimensioni e ubicate in luoghi isolati (con eccezione di quelle realtà che richiedono il contatto con la natura, ad esempio le fattorie sociali). Non si è tuttavia trovato un accordo su un limite numerico preciso, ma la maggioranza della giuria sottolinea positivamente che la normativa più recente di settore (Legge 112/2016 e Decreto attuativo) indica come finanziabili soluzioni alloggiative che offrono ospitalità a non più di 5 persone e comunque al massimo a 10 persone compresi i posti per soggiorni temporanei. Oltre al criterio numerico centrato sul numero dei posti letto appare rilevante valutare la possibilità di personalizzazione degli ambienti e del loro utilizzo, che dovranno essere strutturati anche considerando essenziale la configurazione di spazi fruibili privatamente o in modalità riservate e rispettose della dignità delle persone e della loro capacità di autodeterminarsi. Potranno, pertanto, essere favorite e valorizzate le soluzioni con appartamenti condivisi a cluster o a satelliti.

La giuria nella sua totalità auspica che il legislatore, per proseguire le riforme del settore, costituisca apposite commissioni di giuristi, esperti di politica sociale, clinici delle disabilità, rappresentanze dei fruitori dei servizi, esperti di modelli organizzativi, al fine di indicare soluzioni adeguate alle aspettative e ai bisogni delle persone con disabilità.

c) Sono generali fattori di rischio:

1. la scarsità di informazioni sulla reale consistenza numerica, la composizione e l’effettiva presenza di opportunità di aperture alla vita relazionale e comunitaria dei servizi per l’abitare; si richiede quindi di superare l’attuale sistema statistico di rilevazione curato dall’ISTAT che coglie solo la superficie del fenomeno e di realizzare una ricerca scientifica mirata, a carattere nazionale, che coinvolga tutte le competenze necessarie;

2. l’assenza di un sistema di tutele e controlli indipendenti che faciliti l’individuazione dei rischi di segregazione e delle situazioni di particolare

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criticità; tale sistema va previsto in tutti i servizi per l’abitare e in particolare in quelli che attualmente ne sono del tutto sprovvisti.

Da ultimo si esprime apprezzamento per il lavoro di individuazione dei rischi di segregazione degli attuali servizi residenziali così come emerge nella sua prima stesura da parte di FISH (Poster). Si concorda tuttavia sulla necessità di proseguire nel lavoro di approfondimento rovesciandone la logica, individuando, in positivo, gli indicatori e check list di valutazione degli elementi di qualità dei servizi per l’abitare, quali possibili criteri futuri di accreditamento, in sintonia e sinergia con il lavoro suggerito dalla bozza del II Programma di azione biennale per la promozione dei diritti delle persone con disabilità, licenziato dall’Osservatorio Nazionale Disabilità nell’ottobre 2016, e con i contenuti specifici della Norma UNI 11010/2016: Servizi per l’abitare e l’inclusione sociale delle persone con disabilità.

05/07/2017

La giuria

Carlo Francescutti (Presidente) Giuseppe Arconzo, Anna Maria Candela, Francesco Chiodaroli, Pietro Cirrincione, Silvia Cutrera, Cecilia Marchisio, Angelo Marra, Fabio Ragaini, Matteo Schianchi, Marco Tirabosco.

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