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Cascine di Porta Vercellina

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Academic year: 2022

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Cascine di Porta Vercellina

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Indice

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Capitolo 1 - Le Cascine di San Siro 1-1 - Il Giardino (Barcho) del Castello 1-2 - San Pietro in Sala

1-3 - San Siro

1-4 - Cascina Bolla e Bolletta 1-5 - Cascina Soramano 1-6 - Cascina Maiera

1-7 - Cascina Caccialepore e Papoeula 1-8 - Cascina Case Nuove

1-9 - Molinazzo 1-10 - La Bruciata

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Capitolo 2 - Le Cascine di Lampugnano 2-1 - Boldinasco

2-2 - Cascina della Chiusa 2-3 - Cascina Comina 2-4 - Lampugnano 2-5 - Lampugnanello

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Capitolo 3 - Torrazza e dintorni 3-1 - Cascina Torrazza

3-2 - Cascina Maura

3-3 - Cascina Cottica

3-4 - Cascina Fametta

3-5 - Molino dei Bissi

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3-6 - Cascina San Leonardo 3-7 - Cascina Campiglio 3-8 - Cascina Fagnarello

3-9 - Cascina Molinazzo (di Trenno) 3-10 - Molino Dorino

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Capitolo 4 - Le Cascine di Trenno 4-1 - Cascina Bellaria

4-2 - Cassinella di Trenno 4-3 - Cascinetta Belgioioso 4-4 - Cort del Colombin 4-5 - Cascina Ortelli

4-6 - Cascina Scolari – Cort di Bertocch 4-7 - Corte degli Ortolani

4-8 - Cascina Melghera 4-9 - Cascina Campi

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Capitolo 5 - Le Cascine di Figino

5-1 - Cascina Seveso - Via ponte del Giuscano - Figino.

5-2 - Cascina Molinetto.

5-3 - Cascina Figinello o della Cornacchia – Cassina Còrnaggia.

5-4 - Cascina Guzzafame

5-5 - Cascina il Roncazzo - El Roncasc – La Roncaja

5-6 - Corte dei quattro dazzi – Cascina Angela - Cascina Lodi.

5-7 - Corte dei Porta - La Cortascia.

5-8 - Cascina Vezzoli.

5-9 - Cascina Corte Galli – Cort del Gall - 5-10 - Cascinetta Rebughini.

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Capitolo 6 - San Romano e dintorni

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6-1 - Cascina Bettole – Cassina di Bettole

6-2 - Cascina Caldera - Via Caldera - Quinto Romano

6-3 - Cascina San Romano - Via Novara 340 – Cassina San Roman.

6-4 - Cascina San Romanello – San Romanell.

6-5 - Cà Rossa e Cascina Sora - La cassinetta del Ceser.

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7 Le Cascine di Quinto Romano 8 Le Cascine di Quarto Cagnino

Cascina Prina Cascina Nebuloni

Corte Cazzaniga Ghisa Maran

Fontanile Carlaccio e Carlaccino Cascina Mariani

Cascina Ghiglia Il lavatoio

Cascina del Bosco Cascinetta Sordelli

Cascina Colomberina Cascinetta Casarelli

Cascina Colombera Cascina Goretti e i Sett Fil

Cascina Airaghi Corte Casati

Cascina Brivio Corte Granda

La Giorgina– Il trenino della sabbia

Cascinetta Salvo – El Barbisun

9 Boschetti e dintorni 10 Creta e dintorni

Pobbiette di Trenno Cascina Creta Vecchia

Cascina Bozzi Cascina Creta Nuova

Boschetti di Trenno Cascina Moretto

Cascina Resciona

Cascina Torrette di Trenno

1

11 Arzaga e dintorni 12 Lorenteggio e dintorni

Cascina Arzaga Cascina Travaglia

Arzaghella Cascina Robarello

Cascina Corba Cascina Giorgella

Cascina Basciana Cascina Luisa

Cascina Castelletto Molino di Lorenteggio

Cascina Restocco Cascina Morona

La Maddalena Cascina Forasera

Cascina Nuova

Cascina Mezzetta

Cascina Loirano

Lorenteggio

San Protaso

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Capitolo 13 - Garegnano e dintorni 13-1 - Isolino Lombardo

13-2 - Garegnano Marzo 13-3 - Garegnanino

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Capitolo 14 - Sellanuova e dintorni 14-1 - Cascina Sellanuova

14-2 - Cascinazza

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Capitolo 15 - Cascina Barocco

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Capitolo 16 - Casina Linterno 16-1 - Cascina Linterno

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17 Le Cascine di Baggio

Cascina Monastero e Moronasc

Santa Maria Rossa

Cascina Delora

Cascine storiche di Baggio

El Palazziett

Cascina Baggina

Cascinetta Dubini e Cà dei Passer

Cascinetta Bossi

Barattè e fontanile Fombio

Cascina Villa Marazzi

Castelletto Bonora

Mietitura e Trebbiatura

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Capitolo 18 - Cascina Molinello o Brondel

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19 Meriggia e dintorni 20 Le Cascine di Seguro

Cascina Meriggia Cascina Gallarata

Cascina Boscaiola Cascina Giretta

Garbagnate Marcido

Cascina Maccaferro

21 Assiano e dintorni 22 Le Cascine di Muggiano

Cascina Moiranino Molino del Paradiso

Cascina Assiano Corte Grande

Cascina Moirano Corte Bislunga

Cascina Malandra Corte Lucini

Cascina Scariona Cascina Guascona

Cascina Guasconcina

Cascina Gaggia

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Introduzione

“Fioeù, voreves sémper bén e, sorattùtt, vorégh bén a la tèrra e rispèttela perché l’é generosa e la recompensa sèmper”

Ad Erminia e Pietro Bianchi, i nostri straordinari Genitori, con infinito affetto e riconoscenza Enrica, Angelo e Gianni Bianchi

1. redigio.it/dati2008/QGLG760-Cascina-linterno.mp3 - Cascine milanesi aperte - Cascina Linterno nel parco delle cave nei pressi di Bresso - 2. redigio.it/dati2008/QGLG761-Cascina-linterno.mp3 - Cascine milanesi

aperte - Cascina Linterno - Il progetto culturale - Expo 2015 - il distretto agricolo culturale milanese, il progetto del politecnico -

3. redigio.it/dati2008/QGLG762-cascine-introduzione.mp3 - Le cascine della Vercellina - Introduzione -

4. redigio.it/dati2008/QGLG763-cascine-portavercellina.mp3 - Le cascine della Vercellina - Introduzione -

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Pochi di noi conoscono le valenze della Provincia di Milano quale importante polo agricolo e terra di forti tradizioni, oggi quasi dimenticate a causa dell’enorme sviluppo industriale e tecnologico.

Se la produzione agroalimentare e zootecnica vive ora un momento di rivalutazione perché elemento strategico per l’economia e il benessere del territorio, ciò avviene anche e soprattutto grazie alla rete di vecchie cascine che hanno saputo rinnovare la propria attività e adeguarsi alle nuove richieste dei consumatori.

Esiste tuttavia una grande parte di questo lascito rurale che è totalmente scomparso e rimane presente solamente nei ricordi, nelle vecchie fotografie e nelle mappe catastali o addirittura citato nel nome di una strada, di un quartiere sommerso dalla nuova edilizia.

E’ quindi con piacere che accolgo questa pubblicazione sulle cascine di Porta Vercellina, un testo che ha un valore innanzitutto storico ma che ci ricorda come la realtà della “città metropolitana” che oggi viviamo tragga origine da un substrato contadino ricchissimo di tradizioni e testimone di un lavoro quotidiano che con la sua tenacia ha contribuito non poco a creare il mito di una città viva, laboriosa, capace di forte imprenditorialità.

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Luigi Vimercati Assessore all’Agricoltura Provincia di Milano

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L’opera “Ad ovest di Milano – Le Cascine di Porta Vercellina” di Angelo e GianniBianchi colma più di un vuoto: di alcune delle cascine e aree agricole descritte nel loro libro, ma che purtroppo non esistono più; della ricerca storiografica su questi temi; della non sufficiente attenzione che Milano presta al valore delle sue radici culturali e produttive. Milano tende ad essere, a tornare, una della capitali europee dell’innovazione e creatività, ma non possiamo dimenticare che le prime “innovazioni creative” milanesi sono state proprio nell’agricoltura e portano firme illustri, come quella di Leonardo, e sconosciute dei tantissimi agricoltori che hanno sviluppato il nostro territorio sia con lo sforzo delle braccia sia dell’inventiva e sperimentazione. Le

“Marcite” e il “Sistema dei Navigli” possono, ad esempio, essere considerati il vecchio “petrolio” del Milanese in quanto permisero lo sviluppo di un’agricoltura intensiva e facilitarono la nascita delle attività industriali collegate. Fare, come continuano con quotidiano eroismo tante famiglie,

“Agricoltura a Milano” vuol dire però non solo farsi interpreti di una gloriosa tradizione, ma anche rendere un “Servizio” di sempre maggiore valore all’intera collettività. I campi, gli allevamenti, la cascine, le macchine agricole e gli animali delle fattorie rappresentano molto di più di una attività produttiva significativa e virtuosa: costituiscono un fondamentale polmone verde in aree fortemente urbanizzate; raffigurano una testimonianza attuale della nostra cultura e un museo didattico “vivo” per far scoprire a tutti i bambini l’emozione di guardare un vero gallo e accarezzare un vitello; offrono l’opportunità di acquistare prodotti biologici e controllati a pochi chilometri o addirittura centinaia di metri dalle nostre abitazioni. Il mio ringraziamento, quale discendente di un famiglia di agricoltori e in qualità di Presidente del Consiglio di Zona 7, è rivolto: agli “Amici Cascina Linterno” e a tutti coloro che con la loro opera e lavoro difendono e promuovono l’agricoltura a Milano;

alla presidente della Commissione Verde Norma Iannacone e a tutti i consiglieri di Zona 7 che hanno fatto loro questi temi negli questi ultimi cinque anni, a tutti i collaboratori del settore Zona 7 per la loro speciale attenzione;

all’Assessore della Provincia di Milano Luigi Vimercati che ci dimostra come sia possibile collaborazione tra diversi livelli e istituzioni per concretizzare il progetto di quella “Grande Milano” che, oltre a migliorare qualità della vita di tutti noi, costituirebbe un modello, per l’Italia e l’Europa, di sviluppo virtuoso basato sulla parallela e costante promozione di innovazione e tradizione.

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Pasquale Maria Cioffi Presidente del Consiglio di Zona 7 di Milano

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Nota degli Autori

Milano è considerata per vocazione città essenzialmente industriale, commerciale e residenziale, proiettata nel futuro come punta del terziario avanzato e dei servizi connessi; la città più cablata d’Italia.

Può sembrare anacronistico che si sia provveduto a sviluppare una ricerca sulle Cascine che un tempo figuravano numerose nel suo territorio. Noi ci siamo limitati ad illustrare quelle che più ci sono vicine, che fanno parte, o che lo hanno fatto, della nostra zona.

Molte volte c’è stato domandato di raccontare com’era costituito il territorio e la storia di questa parte della città prima che fosse urbanizzata.

Lo abbiamo quindi chiesto a chi nelle Cascine è nato o in esse sviluppa ancora la propria attività.

Abbiamo raccolto i loro ricordi, le loro impressioni, il loro entusiasmo, in molti casi la loro profonda amarezza e delusione.

Loro sono i veri autori di questo libro.

Molte Cascine hanno avuto, ed hanno tuttora, un destino amaro fatto di picconi, di scavatrici o di abbandono spettrale; qualcuna impreziosisce ancora il territorio, anche se a volte mutilata e priva della sua vitalità imprenditoriale.

Ne abbiamo censite ben 130; le più sono state abbattute e di loro è rimasto, a modesto risarcimento storico, solamente il nome inciso sulla targa della via dove erano collocate.

Questa ricerca è una risposta a queste domande e ci auguriamo che serva a portare conoscenza, al fine di conservare e di valorizzare quello che ancora è rimasto, così da poter evitare gli errori compiuti nel passato.

Milano ancora adesso ha un cuore contadino.

Generalmente si pensa che nelle grandi città l’attività agricola non esista più e che le poche Cascine rimaste siano la testimonianza di una realtà ormai scomparsa.

Ma a Milano non è così.

Basta invece parlare con gli agricoltori milanesi rimasti per rendersi conto che l’agricoltura nella nostra città ha ancora dimensioni di tutto rispetto e che chi vi lavora non ha per nulla intenzione di chiudere i battenti.

In effetti non è facile fare agricoltura a Milano, quasi ogni agricoltore ha dovuto nella sua vita lottare strenuamente per difendere la terra e la Cascina.

Con l’espandersi della città i terreni sono diventati sempre più preziosi agli occhi dei costruttori e molti agricoltori, che erano solo affittuari, hanno dovuto cedere alle forti pressioni delle società immobiliari.

Oggi questi tipi di problemi sono rimasti, in alcuni casi si sono drammaticamente accentuati, ma i coltivatori milanesi hanno dalla loro parte moltissimi cittadini che, soprattutto durante i fine settimana, visitano le Cascine e percorrono a piedi o in bicicletta i sentieri che costeggiano i prati. La presenza dei contadini in molti casi svolge anche un compito didattico ed educativo.

Già adesso le scolaresche vanno a visitare le Cascine, perché i ragazzi possano vedere l’agricoltura dal vivo, non solo gli allevamenti ma anche le nuove tecniche di coltivazione che vengono impiegate nella risicoltura, nella cerealicoltura, nella

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coltura biologica. Inoltre l’agricoltore può svolgere un compito di salvaguardia dell’ambiente e del verde a costo zero. Dove c’è un agricoltore che lavora la terra, l’ambiente circostante è ben curato e controllato.

L’importante è che i cittadini non dimentichino la storia della città che ha le sue origini proprio nel mondo agricolo.

L’agricoltura, grazie anche alle nuove tecniche di coltivazione, è infatti perfettamente compatibile con l’ambiente urbano. Agricoltura e Città non sono affatto in antitesi.

Solo chi ha interessi reconditi o chi non conosce la vera storia del territorio, si ostina ad affermarne il contrario.

Angelo e Gianni Bianchi – Marzo 2006

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Ringraziamo tutte le persone che hanno contribuito al presente lavoro mettendoci a disposizione le fotografie ed i loro ricordi.

Un ringraziamento particolare a chi ci ha fornito il necessario supporto tecnico e, soprattutto, a chi ci ha aiutato a pubblicarlo.

Ci scusiamo con quanti abbiamo involontariamente dimenticato.

Claudio Acerbi, Piero Airaghi, Carlo Alberti, Famiglia Albini, Biagio Allevato, Silvio Anderloni, Giorgio Arcioni, Rita ed Ernesto Banfi, Umberto Banfi, Dario Barattè, Barbara Beretta, Barbieri, Bombelli, Colnago, Fusetti, Boni, Zanon e Verdura per l’assistenza informatica, Graziella Benaglia, Angelo e Giuseppe Bernasconi, Enrica Bianchi, Sergio Bianchi, Paolo Bisogni, Alice Bonora e Giulio Giola, Angelo Bossi, Angioletto Bossi, Carla Bossi, Dario Bossi, Renato Bosoni, Mariuccia Castelli e Gianluigi Beltrami, Roberto Calisti, Paolo Campari, Famiglia Campi, Ceo De Carli, Piero Carsenzuola, Giorgio Ceffali, Cecilia Chiesa, Luigi Cinquina, Carla Conforti, Emilio Crippa, Rita Daledo, Massimo de Rigo, Enza Di Bona, Angela Farina, Felice Farina, Famiglia Pippo Farina, Amadio Fioravante Facchini, Ferruccio Frontini, Angela Frontini ed Enza Besana, Antonio e Renato Gambini, Paola Garavaglia, Luisa Gervasoni, Istituto Medio Superiore “Rosa Luxemburg”, Silvio Grassi, Famiglia Grassi, Gianni Gronda,Antonia Landoni, Luigi Landone, Sergio Lazzaroni, Giuseppina (Pina) Perego Lombardi, Piera Lombardi, Salvo Lorenzo, Angelo Lodi, Gianna e Rosanna Maierna, Pinuccio Malacrida, Ruggero Marazzi, Davide Mariotti, Famiglia Marziali, Fortunato Miccoli, Carlo Pagani, Sergio Pellizzoni, Giuditta Porta, Mario Pria, Angelo Ranzani, Irene e Francesco Ravagnati, Famiglia Ravani, Giovanni Reina, Anna Riboni, Marco A. Righini, Pinuccia Robbiati, Roberto Rognoni, Pina Romagnoni, Franco Rossetti e Vilma Lucini, Marco Rossetti, Maurizio Rossetti, Ada Rovani, Franco Sala, Claudio Tangari, Oreste Tuissi, Famiglia Vanzù, Famiglia Verga, Angelo e Lino Villa, Severino Vitali, Battista Zoppi.

cascine-in-3.pdf

La Mappa dell’ing. Giovan Battista Clerici del 1659, detta anche” Carta dei fieni e delle legna e dei risi” o semplicemente “Mappa del Claricio”. E’ ritenuta la prima

mappa dettagliata del Contado di Milano compreso in un ideale cerchio di tre miglia avente come centro il Broletto Vecchio.

In essa sono chiaramente indicate tutte le Cascine allora esistenti.

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INTRODUZIONE.

Fuori Porta Vercellina

L’attuale residente milanese forse ignora quale sia stato, nel corso dei secoli, il rapporto simbiotico tra la città e il contado di Milano.

Prima dell’espansione urbana e industriale, avvenuta dopo l’Unità d’Italia e l’Esposizione Universale del 1881, il territorio agricolo di Milano era caratterizzato da un’articolata rete di corsi d’acqua (fontanili, rogge e canali), di strade e di sentieri, tra gli insediamenti sparsi (molini, Cascine e borghi), campi irrigui e i boschi residuali.

La natura entrava in città, attraverso gli orti, i giardini e i cortili. E la prosperità di Milano dipendeva dai prodotti della campagna.

Fuori Porta Vercellina, oltre i bastioni spagnoli e il borgo di San Pietro in Sala, il contado milanese si apriva lungo l’asse viario Vercellese, la strada postale per Novara.

La campagna appariva agli occhi incantati dei viaggiatori (in direzione ovest verso il Ticino) come il risultato di una tenace e sapiente opera di trasformazione antropica dell’ambiente originario della pianura padana. In epoca medioevale, il corso del fiume Olona era stato deviato a nord per i campi di Trenno, Lampugnano e San Siro alla Darsena di Milano.

Dalla via principale divergevano a sud le strade secondarie: fuori porta, lungo percorsi tortuosi, la via Lorenteggio (per San Protaso e Lorenteggio) e la via Arzaga (per la Cascina Arzaga e Lorenteggio); dopo il ponte sull’Olona in località Maddalena, la via Baggina (per la Cascina Castelletto e Baggio). Inoltre, all’altezza del bivio per Quarto, verso sud partiva la via Longa, l’antico collegamento campestre per Lorenteggio e Ronchetto.

In età torriana e viscontea, a nord-ovest oltre le mura del Castello, si estendevano grandi parchi, per lo svago della corte e per la bandita di caccia, nei boschi circostanti.

In età spagnola e austriaca, la località del Molinazzo era una venerata meta di pellegrinaggio per le proprietà miracolose della vicina sorgente del fontanile San Carlo. In età più recente, i nostri avi avevano la simpatica abitudine alle gite “fuori porta” presso qualche osteria, magari in tramvia sul Gamba de Lègn.

Gli Autori non hanno voluto compilare un nostalgico campionario di una vasta fetta del territorio ad ovest di Milano (delimitato a nord dalla strada statale per Gallarate e a sud dal Naviglio Grande).

Essi hanno invece cercato di trasmettere le parole, i colori e gli odori, di una Civiltà Contadina destinata a scomparire.

Ma gli esempi di una tenace e intelligente riconversione dell’attività agricola in città non mancano. Nell’interesse di tutti.

Perché gli spazi di Natura e Agricoltura sono vitali per il futuro, sempre più complesso e difficile, della grande area metropolitana milanese.

Il presente libro, prima di essere riposto nello scaffale importante di qualche libreria, troverà spazio nel cuore e nella mente del lettore.

Marco A. Righini

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Ad Ovest di Milano Le Cascine di Porta Vercellina

di Angelo e Gianni Bianchi Seconda edizione – Marzo 2006

cascine-in-4.pdf

Associazione “Amici Cascina Linterno”

Via Fratelli Zoia, 194 20152 – Milano Tel/Fax 02/4564983

Sito internet : www.Cascinalinterno.it e-mail : amicilinterno@libero.it

Proprietà letteraria riservata.

Angelo e Gianni Bianchi

E’ vietata la riproduzione, anche parziale, senza l’approvazione scritta da parte degli Autori.

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Capitolo 1 - Le Cascine di San Siro

1-1 - Il Giardino (Barcho) del Castello, 1-2 - San Pietro in Sala,

1-3 - San Siro,

1-4 - Cascina Bolla e Bolletta, 1-5 - Cascina Soramano, 1-6 - Maiera,

1-7 - Cascina Caccialepore, 1-8 - Case Nuove,

1-9 - Molinazzo, 1-10 - La Bruciata 1-11 - Papoeula,

redigio.it/dati2009/QGLG819-cascine-SanSiro-01.pdf

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Il Giardino (Barcho) del Castello.

In epoca viscontea (1392), a ridosso del nuovo Castello, eretto nella parte nord-ovest di Milano, fu progettato un vasto giardino ducale, circondato da un fossato. In epoca sforzesca (1482) il Barcho, esteso 5160 pertiche (circa 340 ettari) e cintato da un muro con otto portelli (Porta Vercellina, Torbora, San Siro, Rocca degli Olmi, Bullona, Sant’Ambrogio, Borgo degli Ortolani, Porta Tenaglia), era una grande tenuta con boschi, prati, orti, frutteti, pergolati, fontane, giardini e serragli di animali esotici. A questo incantevole luogo di delizie per la corte, disegnato con raffinate architetture rinascimentali di viali a volta e trame d’acqua (ed illustrato dagli affreschi leonardeschi delle sale castellane), si contrapponeva la campagna del contado oltre il muro, con prati irrigui e terreni spesso invasi dalle piene dell’Olona. In epoca spagnola, dopo la costruzione delle nuove mura e fortificazioni (XVIXVII secolo), il parco inselvatichito fu dapprima lasciato in abbandono e poi diviso in poderi (1681). L’area agricola, ambita per la salubrità, scomparve con l’edificazione dei quartieri borghesi Magenta e Fiera (XIX-XX secolo), lasciando solo la memoria delle cascine Giardino, Colombera, Colomberetta, Portello (con osteria), cascine dei Santi, Case Nuove e Madonnina, di una chiesetta, (el Gesioeul), e di un padiglione (el Casino)

Da un articolo di Marco A. Righini, pubblicato su “Pagine Botaniche” (2003)

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San Pietro in Sala – Piazza Wagner.

L’antico cuore del paese è la piazza Wagner, primitivo slargo della Strada Vercellese, dove, fra alcune cascine, ormai scomparse, era la deviazione per S.Siro.

Nel X secolo si hanno le prime notizie sulla località Sala, dimora campestre di proprietà del longobardo Rozone. Nel XI-XII secolo fu costruita una prima chiesetta dedicata a San Pietro, di fronte al torrente Torbora. Nel 1581, nell’ambito di una riorganizzazione territoriale, l’arcivescovo San Carlo Borromeo assegnò alla nuova chiesa, riedificata sopra la

precedente, tutta l’area fuori Porta Vercellina, dal Giardino a Cagnola e San Siro a nord, a San Romano e Garegnano ad ovest, a Restocco e San Giovanni a sud.

La chiesa di San Pietro in Sala, vicina al portello Torbora, fu quindi a capo di un aggregato suburbano, esterno ai bastioni e autonomo (fino al 1873). Il suo sviluppo fu favorito, in epoca austriaca, grazie alle particolari condizioni di minore imposizione tributaria e di esenzione dal dazio cittadino: vi presero spazio attività commerciali, di magazzinaggio, ingrosso e distribuzione delle merci; non erano esclusi traffici di contrabbando attraverso il confine con il Piemonte sabaudo. Inoltre erano presenti numerose fornaci di argilla per la produzione di materiale da costruzione. Di fronte all’incremento demografico, la chiesa ebbe un radicale ampliamento (1836) e fu poi ricostruita sull’antica sede (1909-1924) mentre il Torbora fu coperto.

L’attuale fitto edificato ha cancellato i segni del territorio, ricco di corsi d’acqua e denso di case sparse, cascine e molini. Si ricordano l’oratorio di San Rocco (demolito nel XVI secolo), le cascine Stadera, Bertafilava (con osteria), Santa Corona, Curzia, le Case Madonnina e Foppone.

Da un articolo di Marco A. Righini, pubblicato su “Pagine Botaniche” (2003)

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San Siro.

Nel XIX secolo San Siro era un piccolo paese attorno alla chiesetta, circondato dai campi e lambito dal fiume Olona (Vepra), che provocava talvolta rovinose alluvioni: nelle vicinanze scorrevano anche il torrente Mussa ed i fontanili Colombara e San Siro, quest’ultimo aveva la testa di fonte proprio qui. Si hanno notizie dell’oratorio di un convento benedettino di antica fondazione (IX secolo), in un territorio ricco di boschi e risorgive.

I milanesi vi ebbero rifugio dopo la sconfitta con il Barbarossa (XII secolo); i Torriani vi tenevano la propria corte per le bandite di caccia (XIII secolo). Nel 1456 la chiesa di San Siro fu riedificata in stile lombardo e nel 1522 restaurata; nel 1581, passata sotto la giurisdizione di San Pietro in Sala, fu incorporata in abitazioni civili e destinata ad uso privato; infine nel XVII secolo fu parzialmente demolita per addossarvi villa Pecchio.

L’oratorio mutilato, dopo alterne vicende che lo tolsero dal culto, nel 1931 fu restaurato, inserito nella Villa Fossati e restituito alla pietà popolare. Nel 1944 la villa fu requisita dalla famigerata banda Koch; dal 1946 è la sede di un’opera religiosa. La parte absidale è l’unica testimonianza del vecchio borgo.

La vecchia via per San Siro, sul lato sinistro del vecchio corso dell’Olona, da San Pietro in Sala, passava per le cascine Bulgarona e Valsorda; nei campi circostanti erano presenti le cascine Gaggiolo e Portello e il Molino Pisano, tutti demoliti.

Il quartiere si è espanso tra i padiglioni della Fiera e del Portello (sull’area degli ex stabilimenti ALFA-Romeo) e i moderni palazzi per uffici (nelle aree degli ex

stabilimenti Isotta-Fraschini, Siemens, Alemagna e Ramazzotti).

Da un articolo di Marco A. Righini, pubblicato su “Pagine Botaniche” (2001) Al tempo dell’Unità d’Italia San Siro era un borgo immerso nelle coltivazioni di

“boiocchi”, specie di rapa lunga e bianca, da qui l’appellativo per i suoi abitanti di “boioccatt”.

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Cascina Bolla – Via Paris Bordone 9.

Nel 1400 la Cascina Bolla è ricordata come "osteria". Situata circa sull'area dell'attuale Via Paris Bordone al n. 9, allora a breve distanza dal corso dell'Olona, si presentava con un porticato con archi a sesto acuto, e al piano superiore finestrelle archiacute con cotti, aveva una torretta affrescata con un volo d'uccelli. Appartenne alla famiglia Caimi. Modifiche successive furono apportate da un proprietario successivo, certo Arrigoni.

Probabilmente fu danneggiata dal terremoto del 1473, quando era ancora proprietà Caimi, che la cedettero nel 1478 ai De Bolli che l'abitarono fino al 1642, sebbene ci siano notizie che assicurano che il celebre giureconsulto Giuseppe Bolla l'acquistò nel 1496.

Sulle piante topografiche del 1500 era chiamata "Labola" e il complesso oltre alla Cascina comprendeva una villa medioevale e un oratorio, prima dedicato a Santa Maria Nascente, quindi a San Gaetano alla Bolla, riferente alla Chiesa di San Siro.

Nel 1567 abitava una sola famiglia, registrata nella parrocchia di San Martino al Corpo.

Tutta l'area passò poi ai Visconti di Modrone che rimasero proprietari sino alla fine del 1800. L'ingegner Camillo Rovizzani e il geometra Romano Pagnotti, nel 1983, dopo studi ed indagini, affermarono che la villa De Bolli fosse quella abitata da Leonardo mentre lavorava a Santa Maria delle Grazie e fosse collegata con il Castello Sforzesco per mezzo di un camminamento sotterraneo, logicamente segreto. Dissero che Leonardo vi possedesse una vigna, ma vi sono notizie controverse. Pare inoltre che fosse una delle mete preferite da Gian Galeazzo Visconti durante le sue cavalcate. Nel 1912 era in dubbio la sua sopravvivenza perché il Comune di Milano, dovendo tracciare il nuovo Piano Regolatore, avrebbe dovuto abbatterla. I proprietari si opposero, chiedendo di modificare il Piano. Nel 1925 il Comune acquistò la casa e un pezzo di prato con l'evidente intenzione di demolire tutto perché nel 1929 chiese alla "Sovrintendenza ai monumenti" il permesso di abbattere almeno la parte dell'edificio che sarebbe finito sulla nuova via Ravizza, per edificare una scuola. Nel 1933 la cascina passò all'Opera Nazionale Balilla (ONB) per costruirvi la Casa dei Balilla, mai realizzata, fu poi acquistata dalla Gioventù Italiana del Littorio (GIL). Tra il 1934 e il 1939 venne letteralmente smantellata poco per volta e fu asportato di tutto. Fu recintata, tanto per salvare qualcosa, ma rubarono anche la recinzione. Nel 1941 la GIL propose al Comune di riprendersi quanto rimasto ma niente si mosse fino ai bombardamenti del '41, quando fu danneggiata. Quello che è rimasto della vecchia cascina, ovvero la sagoma del castelletto tardo gotico che ricorda un casino di caccia, è stato restaurato ed incorporato in una villa moderna ed è difficile da vedere perché è nascosto da alti pioppi e da una muraglia.

Da un articolo del gennaio 2002 del giornale il diciotto.

Spostata leggermente a nord della Cascina Bolla c’era anche la più piccola

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Cascina Bolletta

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Cascina Sarimano o Soramano - Soriman o Sanroman

Si trovava tra le scuderie del trotto di via Harar ed il complesso Don Gnocchi in via Capecelatro. Una strada di campagna la collegava con la Cascina Caccialepore.

Accanto alla cascina nasceva il Fontanile Restocco, uno dei più importanti corsi d’acqua della zona. Aveva una “testa” imponente, con due sorgenti principali. Le acque confluivano poi in un solo alveo e, dopo aver lambito Cascina Molinazzo (l’antica San Jacopo al Ristocchano nei pressi dell’attuale P.zzale Siena), raggiungeva il comprensorio di Villa Restocco ora occupata dal “Piccolo Cottolengo Don Orione” (Viale Caterina da Forlì, Piazza Tripoli).

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Cascina Maiera – Cassina Maera – Via Pinerolo.

Questa cascina era già segnalata nella Carta del Claricio del 1659.

Si trovava in via Pinerolo; è stata demolita alla fine degli anni ‘50 per costruire il quartiere residenziale tra le vie Pinerolo e via Tesio. Cascina molto ampia, vi si accedeva tramite un androne completamente selciato “a rissada”. Appena entrati c’era la casa padronale, poi in centro al cortile c’era l’aia per l’essiccazione dei cereali e tutt’intorno i fabbricati rustici, le case dei contadini, le stalle, i portici e le rimesse. La Cassina Maera era di proprietà di Rosa Scolari ed i suoi affittuari sono stati i signori Gatti che l’anno tenuta fino alla sua demolizione. Noi la ricordiamo come una cascina bella, tenuta in ordine, pitturata interamente di un giallo caldo, con i pilastri e le cornici delle porte e delle finestre intonacati di bianco.

Vicino alla cascina sorgeva un fontanile molto grande ed importante; il fontanile Restocco. Il terreno di sua pertinenza era situato a nord della via Harar,

ammontava a circa 500 pertiche (38 ettari circa), era irrigato in parte con il fontanile Cagnola e soprattutto dal fontanile Maiera che aveva la sorgente poco più a nord di Figino.

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Cascina Caccialepore – Cassina Caccialegura

Cascina molto antica, documentata dal XVI secolo; il toponimo parla chiaro:

caccia alla lepre, tanto per capire si trovava in aperta campagna sino al 1930, poi è stata abbattuta per costruire case popolari e l’omonima via Caccialepori.

La cascina apparteneva all’omonima famiglia, i cui fratelli Maderno e Martino nel 1337 fondarono in città l’Ospedale di S. Caterina. Nel primo dopoguerra le sue ortaglie erano irrigate dai fontanili Cattabrega e Restocco.

Fino al 1955, in via Osoppo angolo Via Frassinetti, si poteva ancora vedere anche la cascina Papoeula, una dipendenza della Caccialegura, adesso si possono intravedere ancora solo i portici della stalla ristrutturati. Era di proprietà della famiglia Dubini, prima agricoltori, poi cavatori e costruttori.

(Dal libro di Ferdinando Cattaneo “Cento Anni di Presenza” Edizioni Rosetum Milano.)

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Cascina Case Nuove – La cassina Cà Noeuv.

“Storia Infinita” quella di Cascina “Case Nuove”, in Via privata Celio 22, a due

“passi” dallo stadio di San Siro.

La cascina è segnalata nella “Carta dei fieni, legne, seminerie de risi…”

dell’ing.G. B. Clerici (Claricio) del 1659 col nome di Casanova.

Formata da due cortili, fino agli anni cinquanta c’erano attive due aziende agricole, negozi e case date in affitto a famiglie operaie. Tra le attività commerciali vi era un lavandaio, un commerciante di equini e una trattoria:

“l’osteria della Pinuccia”. Una delle attività agricole era svolta da una famiglia di ortolani, i Curti, specializzati nella coltura delle fragoline “i magiostritt”, che raccoglievano al mattino presto per venderle fresche e fragranti al mercato.

L’altra azienda invece era improntata sull’allevamento di mucche da latte, i fittavoli erano i signori Marchi, poi a questi sono subentrati i Papetti.

Vicino alla cascina era in funzione una grande fornace, utilizzava la creta dei campi per fabbricare mattoni e coppi.

Moltissimi sono i progetti ed i proclami che preannunciano la ristrutturazione di questo antico e “vissuto” luogo ormai in piena città.

Promesse mai mantenute, interventi di manutenzione ordinaria mai eseguiti.

Risultato: assoluto stato di degrado nonostante la numerosa presenza di abitazioni ed attività artigianali. L’Associazione Cascina Casenuove o.n.l.u.s.

si batte per tutelare quel che resta di questa cascina e scongiurare l’abbattimento.

Di recente per merito di questa Associazione è uscito un libro edito dal Comune di Milano, Consiglio di Zona 7.

Il libro s’intitola “La cascina Casenuove” storia, vicissitudini e progetti sul recupero di un edificio storico come centro di quartiere, a cura di Silvia Ferrati, Mauro Galli, Alberto Zipoli.

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Cascina Molinazzo e oratorio dei Santi Filippo e Donato – Via Martinetti – Via Gulli.

Cascina molto antica ed importante, si pensa che sia nata come un’ospitale dei Templari. In origine il suo oratorio era dedicato a S. Giacomo, infatti era chiamato Oratorio di S. Giacomo al Ristochano, in seguito è stato dedicato ai Santi Filippo e Donato.

Il Ristochano o Restocco, come viene chiamato adesso, è un fontanile di grande portata e di grande importanza per Milano.

Sulla cascina Molinazzo sul suo Oratorio riportiamo fedelmente quanto scritto da Raffaele Bagnoli nel suo splendido libro “Passeggiate milanesi fuori porta” – Almanacco della Famiglia Meneghina 1965.

“…Giunto una ventina d’anni fa, quando visitai per la prima volta questa località, ricordo che la chiesetta spiccava sullo smeraldo dei prati ed aveva intorno a sé un vasto sagrato e, di fianco, una sfilata di cascine con le scale d’accesso esternamente appoggiate alla facciata e una piccola vigna. Un bel loggiato a colonne trabeato occhieggiava su di un giardino. Tracce di decorazioni si rilevavano ancora lungo la scala che conduceva al piano superiore dell’edificio centrale. Verosimilmente si trattava di una costruzione della fine del secolo XVII quando il Molinazzo, dopo la peste di S. Carlo, ebbe il suo quarto d’ora di notorietà.

Un’ala delle cascine, ormai cadente, era stata abbattuta, ma rimaneva in piedi una cortina di abitazioni ridotte a bicocche.

Stava per accadere una grave sciagura all’intorno, giacché un’impresa edile, che aveva acquistato la proprietà dell’area, si apprestava a spianare anche il superstite oratorio del Molinazzo, quando si levarono alcune voci in sua difesa. Si costituì il Comitato “Pro Molinazzo”, il 15 luglio 1957, incoraggiato con simpatia dalla Sovrintendenza ai Monumenti della Lombardia, il quale si propose di ripristinare l’edificio e ridare al nostro patrimonio artistico una delle sue antiche memorie.

Le origini della cadente chiesetta si fanno risalire al Mille ed il motivo della sua fondazione lo si attribuisce all’atto espiatorio di una nobildonna.

Si narra pure che il nostro arcivescovo Ariberto d’Intimiano officiò in questa chiesa il 13 luglio 1023. Di quel luogo se ne conserverebbe la testimonianza nella doppia abside a mezzo fondo come i templi romanici. La maggior parte della costruzione attuale è una tarda sovrapposizione cinquecentesca alla primitiva, la quale pare si debba ascrivere al tempo del pontificato di S. Carlo, quando imperversando la peste anche in questa plaga, gli abitanti, impossibilitati di recarsi in città, perché le porte erano state rigorosamente chiuse, rimasero privi di assistenza spirituale. La chiesuola, ad una sola navata, umile e disadorna, fu rinnovata in breve tempo e fu lo stesso presule che, percorrendo sulla mula le sei miglia che corrono tra essa e l’arcivescovado, si

recò a benedire l’unica campana fissata su di un simulacro di campanile.

Vuole la leggenda che, appena la chiesetta fu aperta, l’epidemia in tutta la zona

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sparisse come per incanto, tanto che molta gente della città, attratta da quella fama, vi si trasferì, allogandosi alla meglio nelle dimore contadinesche che presero il nome di “Cascine della Salute”. Da allora la chiesa di S Donato cessò di essere disadorna; con l’affluenza delle elemosine e dei lasciti, si poté decorarla riccamente.

Al tempietto giunse in visita pastorale il 4 maggio 1595 il cardinale Federico Borromeo.

Qualche cosa della preziosità d’arte originale è arrivata sino ai giorni nostri ed è per ciò che la chiesa, dalle apparenze esteriori alquanto modeste è stata classificata tra i monumenti nazionali. Un’altra abside e la sagrestia furono aggiunte alla fabbrica primitiva e furono coperte di affreschi pregevoli. Un volo di angeli nella cappelletta di Sant’Antonio e un Ecce Homo probabilmente del Solari e una Pietà della scuola del Caradosso sono opere che giustificano una visita al tempietto.

Le caratteristiche architettoniche dell’interno appartengono al tardo Rinascimento.

Sontuoso è l’altare barocco.

Il tempietto, per quasi due secoli, fu retto dai Francescani che avevano costruito vicino un vastissimo convento. Questo non doveva avere, per altro, alcun pregio artistico, se al tempo della riforma di Giuseppe II, essendosene i frati allontanati, non si ebbe scrupolo di trasformarlo in case rurali e in fienili.

Qualche traccia di vetustà vi rimase sino all’agosto del 1937, quando un incendio distrusse quella che era probabilmente la foresteria del convento, piena di sterpi e di paglia. E di quel lontano ricordo di prosperità fratesca non rimase che la chiesetta, come dire il titolo nobiliare etico in un lembo tutto nuovo della città.

Malgrado l’impegno e la buona volontà di coloro che si sono presi a cuore la rinascita di questa chiesetta, alcuni vandali, cui forse non andava a genio così nobile impresa, hanno forzato tempo fa la porta d’ingresso della chiesa frantumando i quadri della Via Crucis, lacerando i paramenti in sagrestia, scardinando i battenti del tabernacolo e spezzando in più parti il Crocefisso settecentesco scolpito in legno.

Questo bestiale atto, anziché scoraggiare gli amici del Comitato, li ha sollecitati, con rinnovato impegno, a riaprire la chiesetta al culto.

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Cascina La Bruciata - Cassina Brusada.

Si trova in via Caprilli,15.

Le vicissitudini di questa cascina sono ben raccontate nei due libri editi dal Comune di Milano e precisamente: “Cascine del Comune di Milano”

Proposta per un Piano di recupero e valorizzazione - Milano sas Editrice 1977 e “Cascine a Milano” insediamenti rurali di proprietà comunale - Editrice Electa. Nella carta del Claricio risulta già presente col nome di “La Bruciata”. Nel Catasto Teresiano risulta di proprietà della famiglia Stampa.

Prima della seconda guerra mondiale la cascina era ancora isolata in mezzo ai campi pur avendo vicino l’ippodromo, tantè che nelle stalle non c’erano più bovini, ma cavalli da corsa.

Cascina molto grande, era formata da due cortili, la corte più piccola era chiusa da un lato dalla casa padronale, da un altro lato dalla scuderia dei cavalli e dagli altri lati da portici adibiti a fienili e a deposito di attrezzi. La corte più grande era chiusa da altre stalle, dalle case dei contadini e da un muricciolo, le due corti erano collegate tra loro da un passaggio ricavato tra due fabbricati.

Dal 1875 la cascina fu sede anche di una famosa osteria: “l’Osteria de la Brusada”.

Si dice che a questa osteria sostasse Napoleone durante la campagna d’Italia e qui trovasse cibo e ristoro dopo una giornata di battaglia.

Durante la guerra la Cascina Bruciata fu gravemente danneggiata da un bombardamento.

Negli anni ’60 fu quasi del tutto demolita per far posto al quartiere residenziale di San Siro, rimase in piedi solo il troncone della villa padronale settecentesca, che non poteva essere demolita perché vincolato dalla Sopraintendenza ai Monumenti.

La villa ha un’architettura interessante che andrebbe valorizzata e non lasciata a deperire in balia alle intemperie e ai vandali che hanno tentato anche di rovinare quel poco che è rimasto. Un suo recupero è auspicabile se non altro in rispetto del suo passato, con buona pace di quelli che vorrebbero abbatterla per costruirci sopra un bel palazzo signorile.

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Capitolo 2 - Le Cascine di Lampugnano

2-01 - Boldinasco,

2-02 - Cascina della Chiusa, 2-03 - Comina,

2-04 - Lampugnano, 2-05 - Lampugnanello

1. redigio.it/dati2009/QGLG820-cascine-lampugnano-02.pdf

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Cascina Boldinasco – Via De Lemenè 48

Cascina molto grande ed antica, più che cascina era un borgo, menzionata sulla carta del Claricio del 1659 col nome di “Boldinascho”, era formata da due cortili con abitazioni, portici, depositi e stalle. È stata acquistata dal Comune di Milano nel 1924.

La terra di pertinenza di questa cascina era di ben 1500 pertiche (circa 98 ettari).

Con le 300 pertiche (circa 20 ettari) della vicina Cascina Mosca, formava la cosiddetta “Fattoria Sperimentale Lamberti”, una delle aziende più progredite e all’avanguardia fino alla seconda guerra mondiale. Poi quasi tutto il terreno è stato cavato per ricavare sabbia e ghiaia per ricostruire Milano distrutta dai bombardamenti. In seguito la cava è stata ricoperta con le macerie delle case ed al suo posto è sorta la collina di Milano: il monte Stella, “la

montagnetta de San Sir”.

Nelle vicinanze di Boldinasco c’è la villa padronale della Cascina Colombara, con annessa cappella neoclassica dedicata a Santa Maria Addolorata, voluta nel 1801 dai conti Mellerio, industriali e alti dignitari dell’impero, come cappella mortuaria e oratorio agreste. Numerose lapidi funerarie murate alle pareti ricordano i conti Castelbarco, Mellerio e Cavazzi.

Lungo la statale per Gallarate, presso La Pobbia, c’è un’edicola mariana, recentemente restaurata. Le Cascine Moia e Moietta, i cui campi erano attraversati dal fiume Olona e dal torrente Merlata (ora tombinati), furono demolite nel secondo dopoguerra per realizzare il quartiere residenziale sperimentale QT8, su progetto coordinato da Piero Bottoni.

Di tutto il complesso della cascina Boldinasco è rimasto solo il fabbricato prospicente la strada.

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Cascina della Chiusa – Cassina la Cius.

Cascina grande ed antica, risulta già menzionata nella Carta del Claricio del 1659.

Il nome era probabilmente legato alla presenza di una chiusa per la derivazione dell’acqua dall’Olona che transita tuttora, tombinato, in Via Natta, Sant’Elia, Terzaghi.

Sulle carte topografiche austriache era denominata Cascina Chiusabella.

In questa cascina era prevalente l’attività orticola, i suoi ultimi contadini sono stati gli Anzani, i Croci, i Gorlini ed i Grandi. All’epoca in cui si decise la demolizione, le case dei contadini erano ancora belle e tenute in ordine, i porticati erano alti e robusti, le stalle invece erano piuttosto malconce e fatiscenti. Invece di raderla completamente al suolo, sarebbe stato più utile salvare la parte in ordine, anche come testimonianza dell’antico territorio;

invece, insieme alle altre cascine vicine: la Fagnarello, Molinazzo, Comina e Lampugnano, è stata abbattuta per far posto ai nuovi quartieri.

Raffaele Bagnoli la illustra in questo modo:

“Cascina Chiusa, lambita dall’Olona e con ricordi assai antichi. All’esterno si rileva il consueto aspetto di dimora difensiva che malvolentieri cede alle lusinghe dell’arte.

Nell’interno, invece, il fabbricato ha un bel portico trabeato, con loggia superiore del secolo XVI. A lato, il portichetto presenta due colonne a capitelli fogliati. Sotto il portico è uno stemma recante un indumento, sembra un camice, come meglio pare che lo confermi l’altro stemma posto sopra il camino, nel salone interno, ove è delineata la figura dell’indumento con le lettere F. C. che potrebbero riferirsi alla famiglia Cotta.”

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Cascina Comina.

Già citata nella Carta del Claricio col nome di “Cassina del Comino” ha seguito la stessa sorte della precedenti: abbattuta.

Negli anni del dopoguerra, in questa cascina c’era attiva una balera in cui al sabato sera e alla domenica pomeriggio si ritrovavano i giovani delle cascine vicine per socializzare e fare un po’ di allegria dopo gli anni duri della guerra.

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Cascina Lampugnano , la Cort di Scigolatt e la Cort del Porro.

Più che una cascina era un borgo. Lampugnano ha un’origine molto antica, risulta citato in una sentenza dell’864, emessa dal conte di Milano Alberico in favore di un certo Odelberto da Lampuniano. Nel 1119 sembra che il Borgo abbia ospitato anche un monastero di Umiliate. In questo posto nel 1328 Ludovico il Bavaro pose il suo quartier generale durante l’assedio di Milano.

Di proprietà della nobile famiglia Lampugnani, comprendeva anche una chiesa ed una casa signorile con una targa stemmaria in marmo del secolo XV sopra il portone d’ingresso.

La chiesa, dedicata a Santa Maria Nascente, fu eretta nel 1328, si è salvata solo lei, tutto il complesso è stato demolito per costruire caseggiati d’abitazione moderni progettati dall’architetto Franco Marescotti. Gli appartamenti sono dotati di ogni comfort e dispongono di zone libere e locali di uso comune che formano un Centro Sociale con sala per spettacoli, riunioni, conferenze. Da

“Passeggiate Milanesi fuori Porta” di R. Bagnoli per Almanacco della Famiglia Meneghina del 1965.

“…Lampugnano era una delle appendici della Pieve di Trenno ed era allora un gruppuscolo di casette attorno alla chiesa Natività di Maria (che aveva in precedenza una denominazione diversa); un piccolo borgo dove prevaleva l’allevamento bovino e la coltivazione delle cipolle.

Una di queste cascine rimane un’affascinante documentazione del suburbio milanese, vista dall’esterno; gli abitanti la chiamano ancora “la Cort del Porro”, dal casato di una delle famiglie che ne ebbe la conduzione per molto tempo.

Una pietra scolpita e murata su di un lato interno reca la data 1839 ma si presume sia quella di un riattamento del complesso (forse dopo il terremoto del 1801 una parte rimase danneggiata). Eccovene una descrizione dell’epoca.

La fisionomia è quella tipica del contado lombardo, disposta in quadrato con un ampio cortile centrale e l’aia ampissima a lato, ad un solo piano oltre il terreno e l’ingressomaestoso.

Varcato il cancello d’ingresso si nota subito a sinistra la dimora del fittavolo con sovrastante una torretta civettuola, con tanto di campana; questa serviva per chiamare a raccolta gli uomini intenti ai lavori dei campi e delle ortaglie.

Poteva anche servire per dare l’allarme in caso di incendio o calamità d’altro genere; la cascina non aveva pretese d’essere una guarnigione o un fortilizio come taluni credono.

Immaginate, sempre sulla sinistra, le stalle con un centinaio di capi bovini e sovrastanti i fienili ben riforniti; di fronte all’ingresso sul fondo del cortile un portico per ricovero dei carri e degli attrezzi.

Sul lato destro del porticato, sempre di fronte, un pollaio e una conigliera; ampi locali soprastanti per conservarvi cereali ed ortaggi di durata: patate e cipolle in prevalenza. Quella di Lampugnano era notoriamente una terra “de scigolatt”

(cipollai, coltivatori di cipolle); molti i rivi oltre all’Olona non ancora inquinato che bagnavano quella terra.

Tutto il lato destro della cascina era occupato da famiglie contadine, mungitori,

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bergamini, ortolani e persino giardinieri, dopo che nel 1895 è stato aperto il cimitero di Musocco.

La trasformazione ha inizio dopo l’annessione di Trenno ed Uniti (1923) a Milano;

sulla via Trenno aprono due botteghe: una di falegname e l’altra di droghiere,

“el Fondeghèe de Lampugnan”.

Approdano a la Cort del Porro anche i fratelli Nava e nascono così all’interno una bottega di maniscalco e una di sellaio. (È ancora tempo di cavalli, calessi e carrozze; vicino c’è anche il galoppatoio di S. Siro e Trenno).

I vuoti del lavoro di maniscalco due dei fratelli Nava lo riempivano con l’attività di fabbro e l’arte del ferro battuto dando così un’intonazione diversa al quieto andare della vita di Lampugnano.

Venne poi, come in tutte indistintamente le periferie milanesi, l’assalto del cemento; sparirono alcune vecchie cascine, l’attività agricola si dimensionò fino a cessare e cambiò volto anche la Curt del Porro.

Neppure l’eco dei tanti muggiti e dei canti dei galli; verso la metà degli anni ’60 ha inizio l’insediamento di attività artigiane nuove ed una delle presenze più gagliarde è costituita da un piemontese: Domenico Ivaldi.

A lui si aggiungono altri artigiani e vi fiorisce un’intensa nuova attività che azzera quanto descritto sulle funzioni originarie della primitiva cascina.

Persino la campana non è più sulla parte turrita della costruzione; scomparso il droghiere, il falegname, il sellaio e il maniscalco-fabbro-artista.

Anche l’esterno è un poco cambiato; un lattaio ha preso il posto del falegname, ma ora la saracinesca è abbassata; dove c’era il droghiere c’è un piccolo bar;

sul lato che volge verso via Diomede c’è ora un negozio di elettrodomestici, attività succeduta ad altra in tempi recenti. Su la Cort del Porro si profila un’ombra cupa e questa è l’amara realtà che vivono gli inquilini e gli artigiani;

dopo le promesse fatte loro dalla proprietà di cessione in caso venisse alienato lo stabile, prelazione, hanno ricevuto lo sfratto come … benservito…”

Da un articolo di Arcano del dicembre 1988 per il giornale “Milano19”.

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Cascina Lampugnanello - Lampugnarèll.

“…La rigogliosa campagna milanese, quella che è stata cancellata completamente negli ultimi quarant’anni, rimane ancora nel ricordo della gente che vi ha vissuto ed ha lasciato ormai di scarsi riferimenti le tracce.

Una traccia dell’abitato di Lampugnano vecchia è data dalla cascina Lampugnanello, da alcuni residenti citata con antico dialetto locale

“Lampugnarèll” contraendo la consonante N in R, cosa davvero insolita nei nomi e più frequente in alcune declinazioni verbali milanesi. Difficile proporre la data di costruzione; comunque la sua presenza risulta dai carteggi di quando la Pieve di Trenno estendeva su questa parte del territorio la sua circoscrizione e quindi gli abitanti venivano registrati in quella sede.

La cascina Lampugnanello era di proprietà di Carlo Osma che (strana coincidenza) era in Lampugnano quello che era per la vicina Trenno Rosa Scolari: il proprietario di mezzo paese.

Senza acredine dunque, il patriota e filantropo, come precisa la targa stradale che indica la via a lui intestata, aveva molte proprietà; non si sa invece, della Lampugnanello, cosa ne fecero i suoi eredi e chi ne è oggi il proprietario anche se voci circolanti danno credito che il complesso sia diventato patrimonio del Comune di Milano.

Originariamente la costruzione adibita ad abitazioni e magazzini di orticoltori che operavano nelle estesissime campagne al di là dell’Olona che correva sul retro; in massima parte le coltivazioni riguardavano le cipolle, classico prodotto che fece conoscere Lampugnano come “ Borgh di scigolatt”.

Naturalmente i coltivi, al di là della prevalenza, davano prodotti anche più nobili, tra cui gustosissime fragole, neppure mancavano frutteti; in un’ansa dell’Olona c’era un vivaio di gamberi d’acqua dolce.

Inutile dire che le acque dell’Olona conobbero l’azzurro più delicato, erano terse e addirittura bevibili, pescose ed invitanti nelle afose giornate estive, avvolte nelle dense nebbie come bambagia d’inverno, ma sempre pulite e tutt’altro che maleodoranti e pestifere come quando se ne decise la copertura.

Della cascina Lampugnanello faceva parte anche un lato padronale, all’interno d’un imponente cancello in ferro e di civettuola compostezza.

Da una parte del piano terreno c’era l’abitazione del custode che aveva compiti di giardiniere; nel centro del cortile da una civettuola fontana zampillava fresca l’acqua più buona della zona, tanto che i contadini o anche la gente comune dell’abitato di Lampugnano se ne provvedevano gratuitamente. Un grazioso portichetto portava alla residenza degli Osma; al piano terra un locale soggiorno con camino di grandi proporzioni e una cucina; un breve corridoio portava ad una sala adibita a studio e a trattenere gli ospiti di riguardo.

Al primo piano le camere spaziose con stucchi alle pareti e ampie finestre sui due lati; vi si accedeva da una scala di pietra di austera fattura al cui termine un ampio pianerottolo aveva anche funzione di vestibolo. Non ci è stato possibile andare oltre con la ricognizione; notizie precise ci sono pervenute dei fratelli Barni e della famiglia di Domenico Flocco, gli orticoltori dell’ultimo

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periodo de “i scigolatt” di Lampugnano che videro sparire le loro colture di fronte … all’invasione della città. Rimangono ancora testimonianze dell’attività agricola: una vasca grande per il lavaggio delle verdure prima di essere portate al mercato all’ingrosso; le stalle dal tetto sfondato e destinate al completo abbattimento circondate da sterpi; i magazzini vuoti ed in parte sprangati o murati per vietarne l’accesso a vagabondi e intrusi.

Uno spettacolo desolante, un deprimente interrogativo sulla sorte futura della costruzione, un senso acuto d’angoscia per coloro che hanno vivo il ricordo degli anni della feconda attività di questo lembo di terra a due passi dalla metropoli.

Dopo la interratura dell’Olona, che ultimamente era diventato un ex fiume, una cloaca a cielo aperto, un’emissione di miasmi pestilenziali, è stata costruita una strada, via Natta.

Rimasero ad abitare la Lampugnanello solo alcune famiglie che assistevano al suo

progressivo degrado; quando siamo andati per prendere appunti per questo servizio due sole persone vi abitavano ancora, anch’esse sul punto di lasciare i locali. Abbiamo notato in due successive giornate festive della nostra ricognizione che una silenziosa processione di gente veniva a vedere i resti di questa cascina; gente del vicino quartiere Gallaratese, del QT8 e anche coloro che casualmente si trovavano a passare dalla via Sant’Elia e venivano colpiti da un indiscutibile contrasto: da una parte la stazione del metrò e dall’altra la squinternata tettoia delle ex stalle.

Non volevamo (e non potevamo) fare i ciceroni; gli stessi interrogativi sul futuro della costruzione ci possedevano e tutt’ora non abbiamo chiare idee al proposito.

Se il Comune di Milano è intenzionato a farla rientrare nel novero delle cascine da recuperare e ristrutturare è probabile che possa servire all’insediamento di un centro culturale, sportivo o di ritrovo per anziani; viceversa …”

Da un articolo di Arcano del febbraio 1989 per il giornale “milano19”.

Cessata l’attività agricola Lampugnanello venne in più riprese interessata da occupazioni abusive.

Mancando la necessaria manutenzione, effettuata in modo parziale ed approssimativo dagli occupanti, le strutture hanno subito un rapido degrado.

Tutto il complesso è stato definitivamente sgomberato all’inizio degli anni ’90.

Gli accessi al cortile ed alle abitazioni vennero opportunamente sbarrati per impedire nuovi “arrivi”.

Lasciata in completo abbandono, nell’agosto 2004 è stata completamente demolita in soli due giorni per motivi di “sicurezza pubblica”.

Ora al suo posto c’è un anonimo piazzale con tanto di recinzione per impedire le occupazioni abusive.

La vicenda della demolizione ebbe ampio risalto sulla stampa a seguito di una interrogazione presentata dai gruppi di opposizione di Palazzo Marino.

Quello che tutti ha stupito è stata la velocità di esecuzione dei lavori di abbattimento e di successivo smaltimento delle macerie.

Bisogna ammettere che Lampugnanello si trovava in uno stato di conservazione

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pessimo e che le risorse necessarie per il suo restauro architettonico e strutturale sarebbero risultate talmente ingenti da rendere anti economico l’intervento.

Ma si sarebbe potuto intervenire prima, evitando il degrado delle strutture e le occupazioni abusive in assoluta mancanza di agibilità sia strutturale che igienica.

L’azione inesorabile delle intemperie, gli usi impropri e la non attuazione dei più elementari interventi di consolidamento o di rimozione delle parti pericolanti hanno di fatto provocato la fine della Lampugnanello.

Strategia ormai ampiamente collaudata per disfarsi delle vecchie cascine: si lasciano nel più totale abbandono accelerandone così la decadenza.

Poi l’intervento delle ruspe liberatrici, salutate con estremo favore dai residenti delle vicine abitazioni stanchi di dover osservare dalle loro finestre l’indecente spettacolo di abbandono e di insensibilità verso i monumenti del nostro recente passato.

Scelte urbanistiche molto discutibili, avvallate in silenzio dai pubblici organismi, e che, purtroppo costituiscono, tranne pochissime eccezioni, la norma corrente.

Addio per sempre Lampugnanello!

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Capitolo 3 - Torrazza e dintorni

3-01 - Torrazza, 3-02 - Pozzi,Merlata 3-03 - Maura,

3-04 - Cottica, 3-05- Fametta,

3-06 - Molino dei Bissi, 3-07 - Molino Dorino, 3-08 - San Leonardo, 3-09 - Campiglio, 3-10 - Fagnarello,

3-11 - Molinazzo di Trenno

redigio.it/dati2009/QGLG821-cascine-torrazza-03.pdf

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Cascina Torrazza – La Torazza.

Cascina molto bella, si trovava nell’omonima via, posta tra il Quartiere Gallaratese e via Gallarate, nei presi del Cimitero Maggiore (detto anche di Musocco), sembra che prenda il nome da alcune vecchie torri qui esistenti, poste di vedetta sulla vicina Olona, all’entrata del territorio milanese. La cascina risulta segnata sulla carta del Claricio del 1659 col nome di

“Toraccia” ed è posizionata sulla riva sinistra dell’Olona, a destra c’è un’altra grande cascina:

la San Leonardo. Ambedue le cascine sono state abbattute per costruire il quartiere Gallaratese. Gli ultimi affittuari di queste due cascine sono stati i signori Gaslini.

Nei terreni della Torrazza la famiglia Gaslini “metteva giù” carote, verze e molte altre verdure e per curare queste colture prendeva donne a lavoro stagionale, prima dal bresciano poi dal centro e dal sud Italia, per questo la gente di Trenno le chiamava affettuosamente “streppa carotul”.

Persa la Torrazza, Franco, Silvano e Valentino Gaslini acquistarono e ristrutturarono a regola d’arte la vicina Cascina Pozzi (1882) iniziando la nuova attività di manutentori del verde cittadino.

Cascina Pozzi si trova in Via Gallarate 313.

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Cascina Merlata

Poco distante da Cascina Pozzi, lungo Via Gallarate, troviamo la bella ma decadente Cascina Merlata in preoccupante stato di conservazione e, alle spalle, l’antica fornace di mattoni.

La Cascina Merlata deve il suo particolare nome ai “merli” che ornavano la sua facciata e dava il nome anche ad un vicino bosco, quello della Merlata, chiaramente riportato nella mappa del Claricio del 1659. Il bosco venne tagliato agli inizi del novecento.

A tal riguardo Luca Sarzi Amadè nel bel libro “Milano fuori di mano” così descrive il “favoloso Bosco della Merlata”. “ … grosso modo compreso tra la Cagnola, Trenno e Pero, popolato di selvaggina, lupi e grassatori (briganti ndr). Si racconta in proposito che i viandanti, prima di avventurarsi per la Gallaratese o la Varesina, facessero testamento.

Celebri i banditi Giacomo Legorino e Battista Scorlino, processati con 80 complici nel maggio del 1566. Il primo fu trascinato per due ore da un cavallo in corsa; quindi fu legato alla ruota, ma nonostante avesse arti e schiena spezzati, era ancora cosciente. Il cappellano implorò allora il boia di sgozzarlo “acciò non stentasse più e non perdesse l’anima”.

Analoga la sorte dell’altro.”

L’area è attualmente molto degradata ed in attesa della definitiva destinazione urbanistica.

Cascina Merlata era molto nota per un avviato allevamento avicolo ora dismesso.

Per alcuni anni, sul lato est, lungo Via Gallarate, venne realizzato un parcheggio di TIR (soprattutto provenienti dalla Turchia) che contribuirono non poco a degradare il luogo per le precarie condizioni di igiene in cui erano costretti a vivere gli autisti costretti a dei veri e propri bivacchi.

Di fronte alla Merlata c’era il casello del dazio ora ridotto ad un rudere cadente.

Nei pressi del dazio un certo “Pasqualin”, originario del bergamasco, tra le due guerre mondiali, si era costruito una piccola cascina da solo, nel tempo libro tra un lavoro e l’altro.

Era chiamata la “Cassinetta del Ciapparàtt” e venne demolita negli anni ’60 per far posto alle case del Quartiere Gallaratese di Via degli Appennini.

Vicino alla Torrazza, in via Busto Arsizio 27, c’era un’oasi, una cosa strana, impensabile a Milano, un piccolo podere coltivato a fiori di campo e vasche d’acqua pulita con dentro le ninfee ed i fior di loto.

Era la passione ed il lavoro di due persone splendide: Giovanna Foglizzo e Biagio Allevato.

Negli anni ’80 hanno dovuto sgomberare in seguito all’esproprio per costruire case, durante quella che è ricordata come “la guerra delle cascine”, un periodo brutto e poco limpido che speriamo non debba più ritornare.

La tenacia e l’amore per il proprio lavoro hanno spinto queste due persone a spostare le loro coltivazioni fuori Milano, a Cornaredo.

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