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L'esercizio di poteri di emergenza da parte dei Governi degli Stati membri

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Implicazioni delle misure di contrasto al COVID-19 sulla democrazia, sullo Stato di diritto e sui diritti fondamentali nell'UE - La risoluzione del Parlamento europeo dell'11 novembre 2020

Dossier n° 43 - 22 dicembre 2020

Introduzione

Il 13 novembre 2020, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione non legislativa volta a richiamare l'attenzione degli Stati membri sul rispetto dei diritti fondamentali e del principio dello Stato di diritto delle misure adottate al fine di contrastare la pandemia di COVID-19.

Raccogliendo le indicazioni delle autorità indipendenti e degli organismi di diritto internazionale umanitario attivi nello spazio giuridico europeo, il Parlamento europeo con la presente risoluzione dà conto delle più cruciali implicazioni del governo della pandemia nell'Unione europea sulla tutela dei diritti fondamentali, la democrazia e lo Stato di diritto, ribadendo altresì che le misure di emergenza non possono rappresentare l'occasione per la compromissione di tali valori fondamentali.

In questo senso, il Parlamento europeo invita gli Stati membri ad adottare misure di salvaguardia di tali fondamentali interessi e esorta la Commissione ad elaborare con urgenza una valutazione indipendente e globale delle misure della "prima ondata" della pandemia, così da intraprendere azioni legali ove necessario, per salvaguardare i valori fondamentali dell'UE.

L'esercizio di poteri di emergenza da parte dei Governi degli Stati membri

Il Parlamento europeo evidenzia come per l'adozione di misure di contrasto, anche molto restrittive dei diritti e delle libertà fondamentali, siano stati e siano tuttora impiegati da parte dei Governi nazionali poteri di emergenza i quali determinano un'alterazione nell'ordinario bilanciamento dei poteri e comportano un rischio di abuso di potere, soprattutto in relazione alla possibilità di sussistenza dei medesimi nel quadro giuridico nazionale anche una volta superata l'emergenza. Pertanto, secondo il Parlamento europeo, il ricorso a poteri eccezionali da parte dell'Esecutivo dovrebbe essere sottoposto a un controllo supplementare per garantire che non siano utilizzati come pretesto per alterare l'equilibrio dei poteri in modo più permanente.

La risoluzione constata inoltre che, nel conferire la delega al governo di poteri eccezionali atti ad adottare con urgenza misure restrittive, diversi Paesi dell'Unione hanno dichiarato lo stato di emergenza.

Lo stato di emergenza deriva da una dichiarazione fatta in risposta a una situazione straordinaria che rappresenta una minaccia fondamentale per un Paese. Tale dichiarazione può sospendere l'ordinario funzionamento dei poteri e può autorizzare le autorità di governo ad attuare misure di risposta all'emergenza e a limitare o sospendere le libertà civili e i diritti umani.

Sul tema della dichiarazione dello Stato di emergenza vedi infra la relazione interlocutoria della Commissione di Venezia dell'8 ottobre 2020 sulle misure prese dagli Stati membri per contrastare il COVID 19 e il loro impatto su democrazia, Stato di diritto e diritti fondamentali.

Taluni Stati membri hanno dichiarato lo stato di emergenza in base a previsioni costituzionali,

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il ricorso alle quali ha suscitato però perplessità da un punto di vista giuridico nei Paesi interessati, altri in base alla legislazione ordinaria (es. Italia e Francia), mentre altri Paesi ancora hanno fatto ricorso de facto a poteri emergenziali, senza procedere a una formale dichiarazione.

La risoluzione ribadisce a proposito l'orientamento della Commissione di Venezia secondo cui una dichiarazione de jure risulta preferibile in quanto "un sistema di poteri costituzionali di emergenza de jure può fornire migliori garanzie per i diritti fondamentali, la democrazia e lo Stato di diritto e meglio servire il principio della certezza del diritto che ne deriva."

Quanto al contenuto delle misure adottate mediante l'impiego di tali procedure e poteri emergenziali, il Parlamento europeo afferma che le misure adottate dai Governi dovrebbero essere necessarie, proporzionate e temporanee, inoltre è necessario che non abbiano un'efficacia o un'applicazione discriminatoria.

La risoluzione sottolinea, a tal proposito, che alcuni Stati membri hanno fatto ricorso a misure eccessivamente repressive per far rispettare le restrizioni, come la criminalizzazione della violazione delle norme di confinamento e arresto delle attività, che si traducono in sanzioni elevate e precedenti giudiziari permanenti.

In definitiva, il Parlamento europeo invita gli Stati membri a considerare la possibilità di uscire dallo Stato di emergenza o di limitare in altro modo il suo impatto sulla democrazia, lo Stato di diritto e i diritti fondamentali.

Il ruolo dei Parlamenti nazionali e il bilanciamento dei poteri

Il funzionamento delle democrazie e il sistema di pesi e contrappesi sono perturbati nel momento in cui un'emergenza sanitaria modifica la ripartizione dei poteri. Il Parlamento europeo osserva con preoccupazione che il controllo parlamentare è stato limitato nella maggior parte degli Stati membri, a causa dell'uso di poteri esecutivi eccezionali, e addirittura i Parlamenti di alcuni Stati membri sono stati relegati a un ruolo secondario, permettendo così ai Governi di introdurre rapidamente misure di emergenza senza un controllo adeguato.

Il Parlamento europeo invita pertanto gli Stati membri ad assicurare che, al contrario, sia la dichiarazione sia l'eventuale proroga dello stato di emergenza, da un lato, sia l'attivazione e l'applicazione dei poteri di emergenza, dall'altro, siano soggette a un efficace controllo parlamentare e ad assicurare che i Parlamenti abbiano il diritto di sospendere lo stato di emergenza. Per assicurare uno scrutinio efficace sull'operato dei governi, e in particolare sul rispetto dei parametri di necessità, proporzionalità e temporaneità delle misure restrittive adottate, il Parlamento europeo ritiene altresì essenziale che si realizzi una più intensa comunicazione tra Governi e Parlamenti. Inoltre, la risoluzione sostiene che, in caso di trasferimento di poteri legislativi all'esecutivo, gli atti giuridici emessi dall'esecutivo debbono essere soggetti ad una successiva approvazione parlamentare e cessare di produrre effetti se non ottengono tale approvazione entro un determinato lasso di tempo.

Per un approfondimento sull'attività di controllo svolta dai Parlamenti nazionali di ciascuno Stato membro durante la prima ondata, si veda la documentazione prodotta dal Centro europeo per la ricerca e la documentazione parlamentare.

Raccomandazioni agli Stati membri Libertà civili e diritti politici

La risoluzione del Parlamento europeo sottolinea l'esigenza che i Governi non approfittino delle normative di emergenza per imporre limitazioni non strettamente proporzionate e necessarie ai diritti fondamentali. In particolare, il Parlamento europeo invita gli Stati membri a limitare la libertà di riunione solo se strettamente necessario, giustificabile alla luce della situazione epidemiologica locale e proporzionato: a tale riguardo, censura l'utilizzazione del divieto di manifestazioni per adottare misure controverse, anche se non correlate al COVID-19, che meriterebbero un adeguato dibattito pubblico e la pinea libertà di manifestare le proprie

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opinioni.

Il Parlamento europeo ricorda altresì che il suffragio universale, libero, segreto e diretto è possibile solo se si garantiscono campagne elettorali aperte ed eque, libertà di espressione, libertà dei media e libertà di riunione e associazione a fini politici. A tale riguardo, constata che, in considerazione dell'emergenza sanitaria, numerosi Stati membri hanno posticipato le elezioni o i referendum a causa delle misure di blocco imposte durante la prima fase della crisi sanitaria, mentre dall'inizio della seconda fase della pandemia sono state nuovamente celebrate alcune elezioni. Il Parlamento europeo sottolinea che la questione relativa all'indire o posticipare le elezioni è un delicato esercizio di equilibrio e invita, perciò, gli Stati membri a fare proprie le raccomandazioni della commissione di Venezia sulle elezioni (su cui vedi infra) e a valutare la possibilità di ricorrere a metodi di voto a distanza, quali il voto per corrispondenza, il voto su Internet, le urne elettorali mobili e il voto per delega, nonché il voto anticipato, in particolare in caso di pandemia.

Gruppi vulnerabili

Il Parlamento europeo rileva che la pandemia colpisce in modo sproporzionato i gruppi più vulnerabili.

In particolare, secondo la risoluzione, i minori sono soggetti a un rischio sproporzionato di esclusione sociale ed economica a causa delle misure di confinamento e devono far fronte a un maggior rischio di violazione dei loro diritti fondamentali a causa di abusi, violenze, sfruttamento e povertà.

Il Parlamento europeo segnala, inoltre, che numerosi Stati membri hanno registrato un aumento della violenza domestica a seguito delle misure di confinamento, sottolineando tra l'altro che le donne, le ragazze, i minori e le persone LGBTI+ sono soggette a un rischio sproporzionato durante i confinamenti, poiché possono essere esposti ad abusi per periodi più lunghi e possono essere esclusi dal sostegno sociale e istituzionale (drasticamente ridotto a causa delle misure adottate in risposta alla pandemia).

Inoltre il Parlamento europeo rileva altresì che la parità di accesso all'assistenza sanitaria è potenzialmente a rischio a causa delle misure adottate per arrestare la diffusione della COVID- 19, in particolare per gli anziani o le persone affette da malattie croniche, le persone con disabilità, i minori, le donne incinte, i senza fissa dimora, tutti i migranti, i richiedenti asilo, i rifugiati e le minoranze etniche e di altro tipo.

La risoluzione sottolinea altresì il fatto che i servizi per la salute sessuale e riproduttiva e i relativi diritti sono stati negativamente colpiti dalla crisi sanitaria e che in alcuni Stati membri l'accesso alla salute riproduttiva e ai relativi diritti, compreso il diritto all'aborto, ha subito forti limitazioni, il che ha costituito, di fatto, un divieto che ha obbligato i manifestanti a scendere in piazza nel mezzo di una pandemia.

In tale contesto, il Parlamento europeo invita gli Stati membri a garantire in modo efficace l'accesso sicuro e tempestivo alla salute e ai diritti sessuali e riproduttivi (SRHR) e ai necessari servizi di assistenza sanitaria per tutte le donne e le ragazze durante la pandemia di COVID-19, in particolare l'accesso alla contraccezione, compresa la contraccezione d'emergenza, e all'assistenza all'aborto; sottolinea l'importanza di continuare ad applicare le migliori pratiche e di trovare soluzioni innovative per la prestazione di servizi connessi alla salute sessuale e riproduttiva e ai relativi diritti, tra cui la telemedicina, i consulti online e l'accesso all'aborto farmacologico precoce in forma domiciliare.

Il Parlamento europeo sottolinea, poi, il fatto che: sono stati segnalati episodi di razzismo e xenofobia in diversi Stati membri, dove si sono verificate discriminazioni nei confronti di persone di un determinato contesto o di una certa nazionalità; le persone di origine asiatica e le persone Rom sono state oggetto di incitamento all'odio e aggressioni; alcuni esponenti politici in determinati Stati membri hanno utilizzato le notizie riportate dai media relative ai rimpatri di massa dei lavoratori rom migranti da paesi con un'alta incidenza di COVID-19 per

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alimentare le paure concernenti la diffusione del virus, fomentando gli atteggiamenti negativi e gli stereotipi.

Gli Stati membri son infine invitati a proseguire gli sforzi per combattere l'omofobia e la transfobia, dal momento che la pandemia ha esacerbato la discriminazione e le disuguaglianze di cui le persone LGBTI + sono vittime.

Il Parlamento europeo si sofferma da ultimo sulle questioni relative all'impatto delle misure restrittive (confinamento e chiusura delle frontiere) sull'accesso alle procedure di asilo. A tal proposito gli Stati membri sono invitati a garantire pienamente l'accesso a una procedura di asilo e a preservare il diritto individuale all'asilo, e ad attuare procedure di reinsediamento e di rimpatrio dignitoso nel pieno rispetto del diritto internazionale. La risoluzione, tra l'altro, esorta gli Stati membri a fornire adeguate strutture di salute fisica e mentale nei centri di accoglienza, tenuto conto delle cattive condizioni sanitarie, dell'ambiente ad alto rischio e della vulnerabilità delle popolazioni di rifugiati durante la pandemia di COVID-19, e invita la Commissione e gli Stati membri a elaborare un piano efficace, incentrato sulla salute pubblica, per affrontare in modo globale la loro situazione, anche alle frontiere esterne, garantendo il diritto all'asilo e offrendo condizioni di accoglienza adeguate ai rifugiati e ai richiedenti asilo. Infine, il Parlamento europeo chiede con urgenza l'evacuazione immediata dei campi situati sulle isole greche e la ricollocazione dei richiedenti asilo in altri Stati membri, dando la priorità alle persone più vulnerabili, e invita gli Stati membri a consentire lo sbarco e a garantire che lo sbarco avvenga solo in un luogo sicuro, in conformità del pertinente diritto internazionale e dell'Unione, e il più rapidamente possibile.

Giustizia

Il Parlamento europeo sottolinea il fatto che i sistemi giudiziari sono stati influenzati dalle restrizioni generali, con la chiusura temporanea di numerosi tribunali o la riduzione delle loro attività, cosa che si è in alcuni casi tradotta in ritardi e tempi di attesa più lunghi per le udienze.

La risoluzione evidenzia che i diritti procedurali degli indagati e il diritto a un giusto processo sono sotto pressione, poiché l'accesso agli avvocati è diventato più difficile a causa delle restrizioni generali e perché i tribunali fanno sempre più spesso ricorso alle udienze online.

Anche le prigioni sono, secondo il Parlamento europeo, esposte a un rischio particolarmente elevato di focolai e la salute dei detenuti e degli agenti penitenziari è stata particolarmente a rischio durante la pandemia; inoltre le misure sanitarie hanno comportato una riduzione del tempo concesso all'aperto nonché divieti relativi alle visite, che hanno ripercussioni sul diritto dei detenuti di comunicare con le proprie famiglie.

In tale contesto il Parlamento europeo invita gli Stati membri a garantire i diritti degli imputati, compreso il loro libero accesso a un difensore, e a valutare la possibilità di udienze online come soluzione e alternativa alle udienze in tribunale o al trasferimento degli indagati in altri Stati membri dell'UE nell'ambito del mandato d'arresto europeo. La risoluzione invita peraltro gli Stati membri a garantire il rispetto di tutti i principi che disciplinano i procedimenti giudiziari, compreso il diritto a un processo equo, e a tutelare i diritti e la salute di tutte le persone in carcere, in particolare i loro diritti all'assistenza medica, ai visitatori, al tempo all'aperto e alle attività educative, professionali o ricreative.

Istruzione

Il Parlamento europeo incoraggia gli Stati membri ad adottare misure volte a garantire il diritto all'istruzione durante questa pandemia. In particolare; gli Stati membri sono invitati, alla luce delle ondate di recrudescenza della pandemia, a fornire i mezzi e un quadro sicuro all'interno del quale garantire il proseguimento delle lezioni e a garantire un accesso effettivo a tutti gli studenti.

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Privacy

Il Parlamento europeo si sofferma sui requisiti indispensabili che devono presentare le misure volte a contrastare la pandemia che limitano il diritto alla vita privata e alla protezione dei dati personali, sottolineando da un lato che le nuove tecnologie impiegate in tale ambito destano preoccupazione, dall'altro, che i governi di alcuni Stati membri hanno fatto ricorso a misure di sorveglianza straordinarie dei loro cittadini (droni, auto di sorveglianza, tracciamento mediante geolocalizzazione degli operatori delle telecomunicazioni, pattuglie militari e di polizia, monitoraggio delle quarantene obbligatorie con telefonate a casa da parte della polizia o obbligo di segnalazione tramite un'applicazione). Secondo il Parlamento europeo, inoltre, in alcuni Stati membri la riapertura degli spazi pubblici è stata accompagnata dalla raccolta di dati attraverso rilevazioni della temperatura e questionari obbligatori e mediante l'obbligo di condividere i dati di contatto, talvolta senza tenere debitamente conto degli obblighi derivanti dal regolamento generale sulla protezione dei dati.

In tale contesto, la risoluzione invita gli Stati membri a rispettare il diritto alla privacy e alla protezione dei dati e a garantire che tutte le nuove misure di sorveglianza o di tracciamento, adottate in piena consultazione con le autorità preposte alla protezione dei dati, siano strettamente necessarie e proporzionate, abbiano una solida base giuridica, siano limitate alle loro finalità e abbiano carattere temporaneo; la risoluzione invita la Commissione a monitorare tali misure, segnatamente alla luce della sua raccomandazione (UE) 2020/518 dell'8 aprile 2020 relativa a un pacchetto di strumenti comuni dell'Unione per l'uso della tecnologia e dei dati al fine di contrastare la crisi COVID-19 e uscirne, in particolare per quanto riguarda le applicazioni mobili e l'uso di dati anonimizzati sulla mobilità.

Libertà di movimento e Spazio Schengen

Il Parlamento europeo pone l'accento sul fatto che la libertà di movimento è stata limitata in tutti gli Stati membri mediante il confinamento obbligatorio o raccomandato e il divieto degli spostamenti non essenziali; nella risoluzione si sottolinea altresì che, in risposta alla pandemia di COVID-19, la maggior parte degli Stati appartenenti allo spazio Schengen ha ripristinato i controlli alle frontiere interne o ha chiuso tali frontiere, parzialmente o totalmente, o le ha chiuse a determinati tipi di viaggiatori, compresi cittadini dell'UE e loro familiari e cittadini di paesi terzi residenti nel loro territorio o in quello di un altro Stato membro.

In tale contesto, il Parlamento europeo denuncia il fatto che nell'introduzione di tali misure si è registrata una palese mancanza di coordinamento tra gli Stati membri e tra questi ultimi e le istituzioni dell'Unione; nello stesso tempo alcuni Stati membri hanno introdotto restrizioni illegittime e discriminatorie, non consentendo ai residenti di un'altra nazionalità dell'UE di entrare nel proprio territorio.

In base a tali premesse la risoluzione invita gli Stati membri a valutare le misure da essi attuate che hanno limitato la libertà di circolazione e a dar prova della massima moderazione e a garantire il pieno rispetto del diritto dell'UE, in particolare il codice frontiere Schengen e la direttiva sulla libera circolazione, al momento di valutare la possibilità di imporre nuove restrizioni alla libertà di circolazione. Inoltre, il Parlamento europeo ricorda che, conformemente al codice frontiere Schengen, la valutazione della necessità di un controllo alle frontiere interne e la sua proroga se introdotto quale azione immediata dovrebbero essere monitorate a livello di Unione; a tal fine invita la Commissione, tra l'altro, a:

esercitare un adeguato controllo sull'applicazione dell'acquis di Schengen, in particolare a valutare le misure già adottate dagli Stati membri come pure la tempestività e la qualità delle notifiche trasmesse dagli Stati membri;

monitorare attentamente gli sviluppi e, se necessario, a ricordare agli Stati membri i loro obblighi giuridici nonché a formulare pareri;

ad avvalersi delle sue prerogative per richiedere informazioni supplementari agli Stati membri, e a migliorare la sua comunicazione con il Parlamento sul modo in cui esercita le

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sue prerogative a norma dei trattati.

Informazione

La risoluzione denuncia le indebite interferenze poste da alcuni Stati membri alla libertà di cronaca dei media, laddove è stato limitato l'accesso alle informazioni relative alla salute pubblica e la libertà di pubblicare notizie concernenti la politica sanitaria, laddove le domande poste dai media ai Governi sono state ignorate o respinte, laddove è stato per di più limitato l'accesso alle informazioni prorogando o sospendendo i termini entro cui le autorità devono rispondere alle richieste relative alla libertà di informazione.

Sul tema del diritto fondamentale all'informazione, per i profili relativi alla limitazione delle forme di manifestazione delle opinioni volta al controllo della disinformazione, l'UE si ha da tempo intrapreso una serie di iniziative volte a contrastare la diffusione di fake news, anche da parte di soggetti organici a Governi di paesi terzi ai fini di destabilizzazione degli assetti istituzionali democratici europei. In tale contesto, l'UE sta collaborando da vicino con le piattaforme online per incoraggiarle a promuovere le fonti autorevoli, a declassare i contenuti che risultino falsi o fuorvianti e a rimuovere quelli illegali o che potrebbero provocare danni alla salute. La Commissione europea ha precisato che gli analisti da essa impiegati ritengono che siano state attivamente diffuse informazioni e affermazioni false per seminare confusione e sfiducia a proposito della risposta dell'Europa al coronavirus. Soggetti stranieri, localizzati in paesi terzi, quali in particolare Russia e Cina, avrebbero svolto operazioni miranti a influenzare l'opinione pubblica e a promuovere campagne di disinformazione nell'UE, nei paesi vicini e a livello globale, nell'intento di compromettere il dibattito democratico ed esacerbare la polarizzazione sociale. Migliorando al contempo la loro immagine nel contesto del coronavirus. Sul tema della disinformazione vedi infra le ricerche della Agenzia europea per i diritti fondamentali - FRA.

Raccomandazioni alla Commissione europea

Il Parlamento europeo invita la Commissione a commissionare con urgenza una valutazione indipendente delle misure adottate durante la "prima ondata" della pandemia di COVID-19 al fine di trarre insegnamenti, condividere le migliori pratiche e rafforzare la cooperazione, nonché di garantire che le misure adottate durante le successive ondate della pandemia siano efficaci, mirate, ben giustificate sulla base della specifica situazione epidemiologica, strettamente necessarie e proporzionate; accoglie con favore il fatto che una prima valutazione di questo tipo delle misure adottate dagli Stati membri in materia di COVID-19 sia inclusa nella prima relazione annuale della Commissione sullo Stato di diritto; invita inoltre a continuare a monitorare le misure adottate, a intensificare le sue attività di coordinamento degli Stati membri e a intraprendere azioni legali, ricorrendo ad altri strumenti disponibili ogniqualvolta necessario per salvaguardare il rispetto dei valori fondamentali dell'Unione.

Infine il Parlamento europeo invita le istituzioni dell'UE e gli Stati membri a trarre i giusti insegnamenti dalla crisi della COVID-19 e a impegnarsi in una cooperazione molto più stretta nel settore della salute, visti gli enormi oneri che i cittadini hanno dovuto affrontare nel tentativo di gestire la loro salute fisica e mentale durante la pandemia, anche attraverso la creazione di un'Unione sanitaria europea, come indicato nella sua risoluzione del 10 luglio 2020 sulla strategia dell'UE in materia di sanità pubblica dopo la crisi della COVID-19.

Covid e Stato di diritto: la Relazione annuale della Commissione europea

Il 30 settembre 2020, la Commissione ha pubblicato, nell'ambito del nuovo meccanismo europeo per lo stato di diritto, la prima Relazione annuale sullo Stato di diritto (COM(2020)580), nella quale si fotografano i più significativi sviluppi, sia in positivo sia in negativo, nell'osservanza dei parametri della rule of law a livello dell'Unione e dei singoli Stati membri.

L'iniziativa è riconducibile a una delle sei priorità individuate nel programma 2019-2024 dell'attuale Commissione europea e costituisce uno degli elementi di un impegno più generale a livello dell'UE per

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rafforzare i valori della democrazia, dell'uguaglianza e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Recentemente pertanto la Commissione ha avanzato una serie di iniziative complementari, tra cui la COM(2020)790 sul piano d'azione per la democrazia europea e la COM(2020)711 relativa alla nuova strategia per rafforzare l'applicazione della Carta dei diritti fondamentali.

Il rispetto dello Stato di diritto costituisce, ai sensi dell'articolo del 2 Trattato sull'UE (TUE), uno dei valori fondamentali dell'Unione europea. Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'UE e della Corte europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU), al concetto di Stato di diritto sono riconducibili il principio di legalità, intesa in particolare quale sottoposizione dei poteri pubblici alla legge e divieto di esercizio arbitrario del potere esecutivo, la certezza del diritto, il principio del bilanciamento tra i poteri, e dunque la garanzia dell'indipendenza e dell'autonomia dell'ordine giudiziario, strettamente connesso allo Stato di diritto, nell'accezione nonché la tutela del pluralismo sociale, con particolare riferimento alla libertà e al pluralismo dei media.

Nella Parte Generale di tale relazione la Commissione sottolinea taluni profili critici per lo Stato di diritto emersi in rapporto alla pandemia di COVID-19. Si rilevano ivi le significative ricadute delle misure emergenziali di contrasto alla proliferazione del virus sulla salvaguardia della Rule of law, con particolare riferimento agli aspetti problematici dovuti al permanere di misure di concentrazione dei poteri o di limitazione dei diritti fondamentali anche una volta rientrata l'emergenza sanitaria. In particolare, la Commissione, nell'ambito dell'attività di monitoraggio prevista dal citato meccanismo, ha analizzato i principali provvedimenti di emergenza adottati dagli Stati membri, valutando (1) se fossero circoscritti nel tempo, (2) se la loro stretta necessità e proporzionalità fossero garantite da meccanismi di salvaguardia e (3) se potessero essere soggetti a controllo giudiziario e parlamentare.

Da tale analisi, ha ricavato tre riflessioni:

l'importanza di garantire che il processo decisionale urgente ed efficace, prevalentemente condotto dagli esecutivi, rimanga inquadrato in una logica di bilanciamento dei poteri e, dunque, sia possibile il controllo parlamentare, sia in funzione di indirizzo sia in funzione di verifica ex post circa le misure giuridiche adottate, nonché il controllo sulle leggi da parte delle Corti costituzionali e delle Corti supreme;

l'insorgere di ostacoli all'esercizio del controllo democratico da parte dei media e degli organismi della società civile durante i periodi emergenza e il rischio che siano adottate misure restrittive della libertà di espressione e di accesso alle informazioni (anche a fini politici).

Peraltro la Commissione europea ha sottolineato il ruolo essenziale dei media liberi e pluralisti per la diffusione di informazioni verificate, che contribuiscono, tra l'altro, alla lotta contro la disinformazione e tutelano la responsabilità democratica. La questione si inserisce nel contesto di una serie di recenti misure a livello europeo, tra le quali il piano d'azione e il codice contro la disinformazione. Quest'ultimo strumento è stato sottoscritto da alcune tra le maggiori piattaforme online (Google, Facebook, Twitter, Microsoft, Mozilla e, a partire da giugno 2020, TikTok), le quali si sono, tra l'altro, impegnate a fermare i profitti derivanti da pubblicità realizzata da profili e siti web che alterano l'informazione e a fornire agli inserzionisti adeguati strumenti di sicurezza e informazioni in merito ai siti che creano disinformazione.

la resilienza del sistema giudiziario, messo a dura prova dalla chiusura parziale degli organi giurisdizionali in dipendenza del COVID-19, con il rischio di compromettere il diritto fondamentale di accesso a un giudice indipendente e a un ricorso giurisdizionale effettivo.

La Commissione, in questo senso, saluta con favore le iniziative volte alla digitalizzazione delle comunicazioni con gli uffici giudiziari e dello svolgimento dei processi.

Attività dell'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali

Nell'ambito della sua attività di monitoraggio indipendente condotta tramite la raccolta e l'analisi di dati e informazioni relativi a tutti i 27 Stati membri, l'Agenzia dell'UE per i diritti fondamentale (FRA) ha elaborato, tra marzo e ottobre 2020, cinque bollettini sulle implicazioni per i diritti fondamentali della pandemia di coronavirus nell'UE.

Tali documenti forniscono un'analisi dei principali riflessi delle misure adottate dai governi degli Stati membri dell'UE per affrontare l'epidemia sulla protezione dei diritti fondamentali, come sanciti dalla Carta di Nizza (in prosieguo, CDFUE) e, al contempo, individuano gli ambiti in cui le

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conseguenze del COVID hanno reso e rendono tuttora l'intervento degli Stati membri particolarmente necessario per garantire l'effettivo godimento di tali diritti.

La FRA ricorda innanzitutto che le iniziative intraprese in situazioni di emergenza eccezionali, motivate dall'urgente necessità di salvare vite umane - di per sé un obbligo essenziale dei diritti fondamentali - comportano giustificate restrizioni ad alcuni diritti, come la libertà di movimento e di riunione e associazione. D'altronde, conformemente al diritto internazionale umanitario, gli Stati possono anche derogare agli obblighi di salvaguardia di alcuni diritti umani, ma tali deroghe, sempre prescritte dalla legge, devono essere in vigore per un periodo di tempo limitato, essere sottoposte a controllo e risultare proporzionate e necessarie. Una volta superate le circostanze eccezionali, i Governi sono tenuti a revocare le misura di emergenza.

Nel Primo e nel Secondo bollettino, la FRA rileva come il contrasto al diffondersi dell'epidemia abbia comportato, in generale, restrizioni alla vita quotidiana con profonde implicazioni per il godimento dei diritti fondamentali nell'UE: infatti, le misure di distanziamento fisico e sociale, rimaste a lungo in vigore in tutti gli Stati membri dell'UE, hanno inciso sul godimento di molti diritti fondamentali, tra cui il diritto alla libertà e alla sicurezza (art. 6 CDFUE), il diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 7 CDFUE), la libertà di pensiero, di coscienza e di religione. (art. 10 CDFUE), la libertà di espressione e di informazione (art. 11 CDFUE), le libertà di riunione e di associazione (art. 12 CDFUE), la libertà delle arti e delle scienze (art.

13 CDFUE) e la libertà di movimento e di residenza (art. 45). La FRA segnala inoltre che la chiusura dappertutto nell'UE di quasi tutti i luoghi di studio ed istruzione non è priva di conseguenze per il diritto all'istruzione di tutti i bambini che vivono nell'Unione, senza discriminazioni (artt. 14 e 21 CDFUE). Altresì la pressione subita dai sistemi sanitari di tutti gli Stati membri in dipendenza dal COVID ha inciso sull'effettività del godimento del diritto alla vita (art. 2 CDFUE) e del diritto alla salute (art. 35 CDFUE), i quali, in connessione con il divieto di discriminazione (art. 21 CDFUE), richiedono che la prevenzione sanitaria e le cure mediche siano disponibili per tutti.

I primi tre bollettini della FRA evidenziano poi con particolare preoccupazione il forte impatto che la pandemia di COVID e le misure adottate per contenerlo hanno avuto, in tutti gli Stati membri, sui diritti fondamentali dei gruppi sociali più vulnerabili. In primo luogo, l'Agenzia nota come le persone che si trovavano in specifici contesti ad alto rischio di infezione a causa dalla difficoltà di applicare misure di distanziamento fisico, quali le persone anziane e le persone con disabilità ospitate in strutture residenziali e i detenuti delle carceri, nonché quanti lavorano presso tali strutture, siano stati sottoposti a un significativo aumento del rischio di ammalarsi, il quale si ripercuote negativamente sul diritto alla vita e alla salute (artt. 2 e 35 CDFUE).

La FRA rileva che gli Stati membri dell'UE hanno adottato misure per mitigare il rischio di un'ulteriore diffusione di COVID-19 e per proteggere le persone che vivono e lavorano in tali contesti. Nondimeno il COVID ha fortemente ostacolato la prestazione di servizi essenziali come l'istruzione, l'assistenza sanitaria, il sostegno di comunità e il trasporto per le persone con disabilità. Parimenti in tutta l'UE sono emerse criticità rispetto al diritto degli anziani a condurre una vita dignitosa e indipendente, come sancito dall'art. 25 CDFUE, relative in particolare all'accesso al trattamento e ai test, alla situazione delle strutture residenziali, all'accesso ai servizi e all'impatto dell'isolamento. Talune misure adottate dagli Stati membri, secondo la FRA, sollevavano interrogativi su una potenziale discriminazione basata sull'età.

Anche i diritti dei detenuti, in particolare il diritto di visita e l'accesso ai servizi per la rieducazione, hanno subito forti compressioni in ragione dell'emergenza sanitaria, benché siano talora state adottate misure quali la liberazione anticipata per evitare il sovraffollamento. In secondo luogo, la FRA segnala l'acuirsi dei problemi relativi alle condizioni di vita di taluni gruppi sociali, in dipendenza dalla pandemia, quali le persone senza fissa dimora, i rom e i nomadi (che sono oggetto dell'approfondimento nel quinto bollettino). L'Agenzia riporta altresì che la violenza domestica è aumentata durante il periodo di isolamento.

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Nel Quarto bollettino sulle implicazioni della pandemia da coronavirus per i diritti fondamentali nell'UE la FRA ha illustrato gli sviluppi (aggiornati alla fine di giugno 2020) di alcuni fenomeni critici, sorti ex novo o accentuatisi a seguito della diffusione del virus, relativamente ai temi del razzismo, dell'asilo e della migrazione, della disinformazione, della privacy e della protezione dei dati personali.

La Fra ha stilato la seguente lista di elementi chiave:

continuano a rappresentare motivo di preoccupazione i fenomeni del razzismo, dell'incitamento all'odio e della violenza contro i gruppi minoritari, legati alla pandemia; la diffusione del virus si è frequentemente rivelata il pretesto per muovere attacchi, specie attraverso i social media, nei confronti di minoranze (peraltro già soggette ai fenomeni citati), quali le persone coinvolte nei flussi migratori e i Rom;

la FRA segnala la persistenza e, in certi casi, l'aumento di incidenti ai danni di persone di presunta origine asiatica;

sono emerse in diversi Stati membri segnalazioni relative all'uso nel mondo politico del linguaggio xenofobo e razzista.

alcuni Paesi hanno segnalato una declinazione razziale e una applicazione sproporzionata di restrizioni relative a COVID-19 rispetto alle persone con origini nordafricane;

in alcuni Stati membri continuano a registrarsi problematiche riguardanti la registrazione e il trattamento delle domande di asilo; il numero delle domande di asilo a maggio 2020 è aumentato rispetto al mese precedente, sebbene i livelli complessivi siano rimasti bassi (ciò potrebbe riflettere un graduale ritorno ai consueti trend);

la maggior parte degli Stati membri che avevano imposto restrizioni temporanee al trattamento delle domande di asilo all'inizio della pandemia hanno gradualmente ripreso la gestione delle procedure di protezione internazionale entro giugno, in parte tramite le interviste a distanza.

Nel medesimo bollettino la FRA ha approfondito il tema delle attività di disinformazione con riferimento al COVID-19, e in particolare sui social media, rilevando che:

dati provenienti da alcuni Stati membri dimostrano che le azioni prese all'inizio della pandemia hanno ridotto con successo l'impatto della disinformazione; gli sforzi per contrastare la disinformazione a livello nazionale includono la promozione di una maggiore trasparenza in sede di pubblicazione delle statistiche relative al virus, la creazione di piattaforme per la confutazione della disinformazione e il conferimento di risorse finanziarie ai media ai fini del contrasto di tale fenomeno;

molti Stati membri hanno avviato indagini penali sulla diffusione della disinformazione;

teorie e argomenti cospirazionisti hanno tratti comuni in tutta l'UE;

La FRA è infine tornata sulle questioni relative all'uso delle app di tracciamento dei contatti e degli altri strumenti offerti dalla tecnologia per contrastare la pandemia, e sui temi connessi dell'aumento dei rischi per la tutela dei dati personali.

In tale contesto è emerso che:

le autorità per la protezione dei dati in diversi Stati membri hanno chiesto una legislazione volta a fornire chiarezza giuridica, garantire la natura volontaria e prevedere la limitazione delle finalità delle app di tracciamento dei contatti, ripristinare la fiducia del pubblico nelle app. L'Agenzia ha registrato gli sforzi di alcuni Stati membri nel senso richiesto dalle autorità di protezione della privacy.

organismi per la protezione dei dati, organizzazioni della società civile e media hanno continuato a prestare attenzione all'impiego di altri strumenti tecnologici impiegati nel contesto della pandemia, compreso l'uso di droni e altre forme di monitoraggio del rispetto delle misure di distanziamento, moduli di localizzazione dei passeggeri e screening della temperatura. In tale ambito si registrano preoccupazioni per le questioni relative al

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trattamento dei dati e alla mancanza di una base giuridica certa per la disciplina di tali strumenti.

Il rapporto della Commissione di Venezia

La Commissione europea per la Democrazia attraverso il Diritto, nota come Commissione di Venezia, dal nome della città in cui si riunisce, è un organo consultivo del Consiglio d'Europa. Istituita nel 1990 e concepita inizialmente come strumento d'ingegneria costituzionale di emergenza, in un contesto di transizione democratica, la Commissione ha visto la propria attività evolvere progressivamente sino a diventare un'istanza di riflessione giuridica indipendente, internazionalmente riconosciuta. La Commissione contribuisce in modo significativo alla diffusione del patrimonio costituzionale europeo, che si basa sui valori giuridici fondamentali del continente, e garantisce agli Stati un "sostegno costituzionale". I membri sono in particolare professori universitari, di diritto costituzionale o di diritto internazionale, giudici di corti supreme o costituzionali, e alcuni membri di Parlamenti nazionali. Essi sono designati, per quattro anni, dagli Stati membri della Commissione ma agiscono in piena autonomia e indipendenza. Dal dicembre 2009 il presidente della Commissione è Gianni Buquicchio. Il Consiglio d'Europa (organismo non facente parte delle Istituzioni dell'UE) è stato fondato il 5 maggio 1949 con il Trattato di Londra, firmato da dieci paesi tra cui l'Italia. Il suo obiettivo è assicurare il rispetto di tre principi fondamentali: la democrazia pluralista, il rispetto dei diritti umani e la preminenza del diritto. Il Consiglio d'Europa opera inoltre per la valorizzazione dell'identità culturale europea attraverso la lotta contro ogni forma di intolleranza; la ricerca di soluzioni per i problemi sociali e la salvaguardia della qualità della vita dei popoli dell'Europa. I lavori del Consiglio d'Europa si traducono nella elaborazione di convenzioni e accordi a livello continentale, che costituiscono la base per l'armonizzazione delle legislazioni negli Stati membri. I paesi del CdE detengono a turno la Presidenza per sei mesi, alternandosi secondo l'ordine alfabetico inglese. I principali organi del Consiglio d'Europa sono: il Comitato dei Ministri, il Segretario generale, l'Assemblea parlamentare e il Congresso dei poteri locali e regionali.

L'8 ottobre 2020 la Commissione di Venezia ha pubblicato una relazione interlocutoria a proposito delle misure prese dagli Stati membri per la crisi del COVID 19 e del loro impatto su democrazia, Sato di diritto, e diritti fondamentali.

Alcuni degli argomenti contenuti nel documento sono alla base di una serie di premesse e di dispositivi della risoluzione del Parlamento citata.

Eccezioni, limitazioni e deroghe ai diritti umani

La relazione della Commissione di Venezia fornisce utili spunti di riflessione circa l'inquadramento delle misure che incidono sulle libertà e i diritti contenuti nella Convenzione europea per i diritti umani (CEDU), nonché sulle modalità con le quali gli Stati membri hanno adottato lo Stato di emergenza come precondizione per l'approvazione di misure eccezionali.

In particolare, la Commissione di Venezia ha identificato tre strumenti principali nell'ambito della protezione dei diritti umani che tengono conto di situazioni eccezionali: il primo è l'eccezione ai diritti umani, che esclude dall'ambito specifico di tali diritti umani alcune azioni intraprese in tempi di emergenza. Ad esempio, l'articolo 4.3 della CEDU stabilisce che il divieto del lavoro forzato e obbligatorio, sancito dall'articolo 4.2 non si estende a "qualsiasi servizio richiesto in caso di emergenza o calamità che minacci la vita o il benessere della comunità" (par. c). Il secondo strumento è la limitazione dei diritti umani: si tratta della clausola di restrizione che consente agli Stati di limitare alcuni diritti umani non assoluti, ossia inderogabili, al fine di tutelarne altri o di proteggere interessi considerati prioritari. Tali limitazioni sono in ogni caso soggette ai principi di legalità (ossia devono essere prevedute da una legge), legittimità (occorre perseguire uno scopo legittimo) e proporzionalità (principio cha a sua volta viene articolato nei parametri di necessità e della adeguatezza della misura rispetto allo scopo, e della sua temporaneità). L'esempio tipico è il diritto alla libertà di espressione che può essere soggetto tramite la legge a restrizioni, ove necessarie per tutelare una serie di interessi pubblici, tra i quali la tutela della salute. Il terzo e più radicale strumento è la deroga ai diritti umani, la sospensione temporanea di alcuni diritti umani garantiti dalla Convenzione EDU, la quale può esser impiegata solo in presenza di circostanze eccezionali di guerra o di altra pubblica emergenza che minacci la vita di una nazione (articolo 15 della Convenzione EDU). Anche le deroghe devono risultare conformi ai parametri di necessità, proporzionalità e temporaneità. Occorrono tuttavia

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alcuni passaggi procedurali (la dichiarazione di stato di emergenza, la notifica nell'ambito dei Trattati sui diritti umani) che consentono l'esperimento di un controllo anticipato su tali misure derogatorie. La Commissione di Venezia ricorda che nel contesto della crisi COVID-19, fino ad ora, solo tre Stati membri dell'UE hanno derogato agli strumenti internazionali e regionali sui diritti umani durante la crisi: Estonia, Lettonia e Romania. Tutti e tre hanno inviato notifiche ai sensi dell'articolo 15 della CEDU. Questi tre paesi hanno anche notificato alle Nazioni Unite la deroga all'ICCPR (International Covenant on Civil and Political Rights - Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici delle Nazioni Unite).

Stato di emergenza

In occasione della pandemia di COVID, tutti gli Stati membri dell'UE hanno adottato misure eccezionali per proteggere la salute pubblica e la maggior parte di essi ha dichiarato una qualche forma di stato di emergenza pubblica o ha conferito poteri speciali di emergenza, in base a disposizioni costituzionali o a leggi in materia di protezione della salute pubblica. In particolare, nove Stati membri hanno dichiarato tale stato secondo il rispettivo quadro giuridico costituzionale: Bulgaria, Repubblica ceca, Finlandia, Estonia, Ungheria, Lussemburgo, Portogallo, Romania a Spagna. in due di tali Stati (Bulgaria e Portogallo) lo stato di emergenza è stato dichiarato dai rispettivi Parlamenti, mentre nei restanti sette la dichiarazione è avvenuta a livello governativo.

Cinque Stati membri hanno dichiarato lo stato di emergenza sulla base di previsioni di legge ordinaria. Tra questi, oltre all'Italia, si annoverano Francia, Germania, Lettonia e Slovacchia. In questa categoria, alcuni paesi hanno scelto di fare riferimento a leggi ordinarie per dichiarare lo stato di emergenza, sebbene le loro costituzioni includano disposizioni concernenti vari tipi di stati di emergenza (es. Italia, stato di guerra ex art. 78 Cost), tra l'altro per ragioni storiche o per l'esigenza di evitare l'applicazione di meccanismi repressivi. In Francia, in particolare, una legge ha creato lo "stato di emergenza sanitaria" (l'état d'urgence sanitaire) con la quale si è addivenuti a una riorganizzazione dei poteri e delle competenze delle autorità, autorizzando l'Esecutivo ad agire mediante ordinanza per determinate questioni.

Infine quattordici Stati membri dell'UE non hanno dichiarato de jure lo stato di emergenza durante la crisi del COVID-19: Austria, Belgio, Croazia, Cipro, Danimarca, Grecia, Irlanda, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Slovenia, Svezia e Regno Unito.

La maggior parte degli Stati membri dell'UE in questa categoria ha fatto ricorso alla legislazione ordinaria (principalmente legge sulla salute pubblica) per far fronte alla crisi del Covid-19.

In linea generale, la Commissione di Venezia sostiene che l'adozione dello Stato di emergenza costituzionale de jure debba essere considerata sempre preferibile a uno stato di emergenza de facto basato sulla legislazione ordinaria, il quale può portare alla riduzione delle garanzie.

Elezioni

Una sezione della relazione della Commissione di Venezia è dedicato ai riflessi della pandemia sulla gestione dei processi elettorali, con riferimento al rispetto degli standard internazionali stabiliti dall'articolo 3 del Protocollo n. 1 della Convenzione europea dei diritti umani (CEDU) e dall'articolo 25 1 lettera b dell'ICCPR, che includono i principi fondamentali del suffragio universale, libero e segreto, nonché i principi della periodicità delle elezioni e della stabilità delle leggi elettorali.

Inoltre, secondo la Commissione di Venezia non sono possibili elezioni democratiche senza il rispetto dei diritti umani, in particolare, la libertà di espressione e di stampa, la libertà di circolazione all'interno del paese, la libertà di riunione e la libertà di associazione a fini politici, compresa quella di fondare partiti politici. Le limitazioni a tali diritti sanciti dalla CEDU e dall'ICCPR necessitano di una base giuridica, e dovrebbero essere stabilite nell'interesse generale e rispettare il principio di proporzionalità.

Secondo la Commissione di Venezia, lo svolgimento di elezioni in situazioni di emergenza può incidere sulla libertà di voto, con particolare riguardo al diritto degli elettori di formarsi liberamente un'opinione, specialmente durante le campagne elettorali. La garanzia del suffragio universale può essere compromessa

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anche in virtù del fatto che agli elettori possa essere impedito di votare per motivi di sicurezza, connessi all'esistenza di rischi per la salute. Anche il mancato svolgimento delle elezioni può costituire un problema rispetto alla fondamentale esigenza di periodicità delle tornate elettorali, potendo peraltro l'applicazione di norme di emergenza risultare una modalità per mantenere al potere gli incumbent. Infine l'adozione di nuove regole elettorali in situazioni di emergenza solleva la questione della stabilità della legge elettorale e, in caso di deroga alla normale divisione dei poteri, quella della legalità e della separazione dei poteri.

In circostanze straordinarie, come l'attuale epidemia di Covid-19, ci sono inevitabili limitazioni alla periodicità delle elezioni o ad altri principi elettorali, come il suffragio universale (ad alcuni elettori può essere impedito di votare, per motivi di salute; oppure ci possono essere ostacoli allo svolgimento di elezioni) o il suffragio libero. Inoltre, la Commissione di Venezia sottolinea che lo svolgimento di elezioni durante misure straordinarie o pandemie porta principalmente a una minore affluenza alle urne e quindi a una minore legittimità delle elezioni, poiché i gruppi più vulnerabili rischiano di non partecipare alle elezioni.

Secondo la Commissione di Venezia, il principio di proporzionalità rappresenta il parametro sulla cui base valutare la legittimità delle misure prese in materia elettorale in costanza dello stato di emergenza. Oltre a rispettare i principi di legalità e interesse pubblico, le restrizioni dovrebbero essere proporzionate al loro obiettivo: qualsiasi restrizione volta a garantire lo svolgimento delle elezioni in tempo dovrebbe essere bilanciata con la limitazione del diritto a libere elezioni e, viceversa, il rinvio delle elezioni dovrebbe essere bilanciato con il rischio di tenerle durante la situazione di emergenza. Le misure adottate dovrebbero anche mirare a garantire la fiducia nelle istituzioni democratiche.

La relazione ricorda che si sono verificati rinvii di elezioni in Germania, Francia, Italia, Spagna, Austria, Repubblica Ceca e Polonia. In Italia il referendum è stato rinviato.

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