Dopo Costantino
Gli anni che vanno dal cd. Editto di Milano (313) all’editto di Tessalonica (380) corrispondono ad un mutamento radicale nell’immagine religiosa dell’impero.
Si passa infatti dalla fine della persecuzione contro il Cristianesimo, assurto al rango di religio licita, alla sua proclamazione come religione di stato, mentre i culti pagani ufficiali passano a religio non licita, con la minaccia di pene sempre più gravi verso i praticanti, a cui corrisponde la distruzione o la riconversione degli edifici di culto.
Tali provvedimenti favoriscono l’irreversibile declino dei culti pagani, a
cui comunque permangono legati molti esponenti del tradizionalismo
senatorio di Roma, dell’amministrazione imperiale e più in generale
delle scuole filosofiche classiche, oltre alla popolazione rurale, dove
residui pagani sono rimasti anche dopo la cristianizzazione.
L’appoggio imperiale alla Chiesa fra vantaggi e rischi
La Chiesa trova nell’appoggio imperiale quasi ininterrotto condizioni favorevoli per la sua organizzazione gerarchica, per l’azione evangelizzatrice e per le opere caritative.
Proprio nel IV secolo emergono alcune delle più grandi figure di padri della Chiesa, cioè scrittori cristiani che diventeranno un punto di riferimento dottrinale nei secoli successivi, dai latini Ambrogio, Girolamo e Agostino, ai greci Giovanni Crisostomo, Gregorio Nazianzeno, Basilio Magno, Gregorio di Nissa.
I vescovi diventano autorità di grande prestigio nelle città rivestendo una funzione che si estenderà sempre più all’ambito politico; emblematico è soprattutto il caso delle grandi sedi patriarcali, Antiochia di Siria, Costantinopoli, Alessandria, Gerusalemme e ovviamente Roma, al cui vescovo, successore dell’apostolo Pietro, chiamato con il nome di papa (padre), viene riconosciuto un primato di autorità.
Tuttavia proprio l’influenza imperiale, che giungerà alla scelta dei vescovi o al loro allontanamento, alla pesante ingerenza in questioni dottrinali e disciplinari, fino alla proibizione degli altri culti come espressione del personale zelo degli imperatori per la causa del vero Dio, sotto la cui protezione si mette l’impero, finirà per favorire una strumentalizzazione politica della fede cristiana fino a mettere pesantemente a rischio la libertà della Chiesa e talora la stessa fedeltà ai principi evangelici.
Le eresie e i concili
Fra IV e V secolo si verificano numerosi contrasti dottrinari all’interno della Chiesa, relativi in gran parte alla concezione del rapporto fra natura divina e natura umana di Cristo, che coinvolsero profondamente nei dibattiti anche i semplici fedeli e che spinsero gli imperatori ad indire concili ecumenici (cioè universali) di vescovi con l’obiettivo di sancire solennemente una dottrina ufficiale sulle varie questioni aperte, definendo ἀνάθεμα (cioè scomunicato, escluso dalla comunione della Chiesa), chiunque affermasse il contrario.
Le dottrine considerate devianti erano definite eresie (da αἵρεσις, “scelta”,
“dottrina”) e i loro seguaci eretici. Le definizioni dogmatiche (da δόγμα
“dottrina”) dei concili portarono a scissioni, alcune delle quali esistenti tuttora, da parte delle comunità cristiane che non li accettavano.
Con il termine di ortodosso (ὀρθόδοξος, da ὀρθός “retto” e δόξα “opinione”) si definisce chi non segue le correnti ereticali.
In realtà il rispetto da parte degli imperatori stessi delle decisioni conciliari fu molto variabile, per cui lo stesso arianesimo, condannato dal concilio di Nicea sotto Costantino, trovò appoggio da parte di vari imperatori.
Eresie principali
il marcionismo, originato dal Vescovo Marcione di Sinope (80-160), contrapponeva dualisticamente l’Antico Testamento, espressione di un Dio creatore giustiziere, al Nuovo Testamento, espressione del Dio d’amore rivelato da Cristo.
lo gnosticismo, corrente sincretistica influenzata dalla filosofia neoplatonica, concepiva la salvezza come purificazione e distacco dalla materia (identificata come male), un’esperienza riservata a pochi detentori di una conoscenza (γνῶσις) esoterica; di origine gnostica era il docetismo (da δοκέω), che negava la corporeità umana di Cristo, sostenendo che sulla croce era salito solo un fantasma.
l’arianesimo, originato dal presbitero di Alessandria Ario (256-336), negava l’originaria divinità di Cristo, sostenendo che il Figlio era creatura e in quanto tale inferiore al Padre; condannato nel 325 nel Concilio di Nicea sopravvisse a lungo anche per il favore di alcuni imperatori;
il donatismo, originato dal vescovo scismatico Donato (260-335) e diffuso nell’Africa nordoccidentale, faceva dipendere la validità dei sacramenti dall’integrità morale di chi li amministrava, escludendo tutti quei vescovi e presbiteri che durante le persecuzioni avevano evitato il martirio. I suoi sostenitori, detti circumcelliones, portarono avanti sommosse antiimperiali.
il pelagianesimo, originato dal monaco irlandese Pelagio (360-420), negava la necessità del battesimo e della grazia divina per la salvezza eterna, affermando che dipendeva solo dalla volontà personale e dalle buone opere.
il nestorianesimo, dal patriarca di Costantinopoli Nestorio (381-451), rifiutava alla Vergine Maria il titolo di θεοτόκος (Madre di Dio) sostenendo che aveva generato la sola natura umana di Cristo, non la sua persona divina; fu condannato nel 431 nel concilio di Efeso.
il monofisismo (μόνη φύσις = una sola natura) del monaco costantinopolitano Eutiche (378-454), che negava la reale consistenza della natura umana di Cristo, annullata in quella divina; fu condannato nel concilio di Calcedonia del 451.
Il manicheismo
Durante il IV secolo ebbe significativa diffusione una religione nata nel vicino oriente dal predicatore Mani (III sec. d.C.) che fondeva lo zoroastrismo con elementi di eresie cristiane. Alla base del manicheismo c’è l’idea dualistica di una lotta fra bene e male, fra luce e tenebre, fra spirito e materia. Compito dell’uomo è liberare dalla materia il suo spirito, altrimenti destinato ad una serie di reincarnazioni.
Di qui una serie di divieti che riguardavano soprattutto il gruppo degli Eletti, e che includevano l’astinenza dalla carne, dall’uccisione di qualsiasi forma vivente e dagli atti sessuali e una vita ascetica.
Fra i suoi più famosi adepti fu il giovane Agostino di Ippona, poi convertitosi al cristianesimo e diventato il più grande padre della Chiesa latina.
Contro i manichei Diocleziano aveva previsto la condanna al rogo per i capi e la decapitazione per gli adepti. Provvedimenti antimanichei furono emanati anche dagli imperatori cristiani.
In realtà forme di dualismo manicheo si ripresentarono in Europa fino al tardo medioevo (Càtari).
Dopo la morte di Costantino (337) si affermano, dopo aver
eliminato i diretti concorrenti, i figli Costantino II, Costante e Costanzo II.
Flavius Iulius Constantius II
(317-361) Flavius Claudius
Constantinus II (317-340)
Flavius Iulius Constans I
(323-350)
Dinastia costantiniana
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Attraverso un accordo fra i tre augusti approvato dal senato Costantino II assume il controllo dell’Occidente; Costante, sotto la tutela di Costantino, dell’Italia, Africa, Pannonia, Dacia, Macedonia e Acaia; Costanzo II dell’Oriente.
Nel 340, con l’uccisione di Costantino II in
un’imboscata presso Aquileia, il fratello Costante I assume il
controllo dell’intera parte
occidentale dell’impero.
350 L’esercito della Gallia si ribella contro Costante acclamando imperatore il generale Flavio Magno Magnenzio;
Costante viene ucciso mentre cerca di fuggire verso la Spagna. Contro Magnenzio scende in campo Costanzo II che lo sconfigge nel 353 presso Mons Seleucus, in Gallia.
Magnenzio si suicida a Lugdunum (Lione).
Costanzo II
Rimasto unico imperatore, Costanzo II favorisce
l’eresia ariana, attraverso un concilio indetto a Milano nel 355, che condannò all’esilio il vescovo Atanasio di
Alessandria e il papa
Liberio, poi costretto ad una dichiarazione di
compromesso.
Nel 355 emana un editto
che stabilisce la chiusura dei templi pagani e la condanna a morte per chi pratica
idolatria, magia e
divinazione.
Durante la guerra contro Magnenzio Costanzo II sceglie come cesare Flavio Giulio
Costanzo Gallo, figlio di Giulio Costanzo (il fratellastro di Costantino vittima come quasi tutti i familiari delle purghe avvenute nel corso della lotta per l’eredita di Costantino I);
tuttavia le lamentele per la durezza del suo governo lo spingono a farlo decapitare nel 354. Successivamente elegge come cesare Flavio Claudio Giuliano, fratello del
precedente, affidandogli il comando delle truppe in Gallia impegnate a difendere il territorio imperiale da un’invasione degli Alamanni.
Nel 357 Costanzo dopo essere stato impegnato nell’area danubiana contro i Germani e Sarmati, cerca di frenare l’avanzata dei Persiani, guidati da Sapore II.
Nel frattempo Giuliano ottiene successo contro gli Alamanni a Strasburgo (358) e consolida il suo
prestigio presso l’esercito che nel 360 lo acclama come augusto a Lutetia Parisiorum (Parigi).
Costanzo muove contro di lui ma muore a Tarso
(Cilicia) nel 361 .
Giuliano l’apostata
Unico superstite dell’eliminazione del ramo secondario della dinastia costantiniana nel corso della lotta per la successione matura dagli eventi un’avversione per Costantino e per la fede cristiana, in cui forse era stato educato, che ripudia comunque - da cui il nome di apostata - per abbracciare la filosofia neoplatonica. Diventato imperatore si distingue per le ottime capacità amministrative, ma destina gran parte delle sue energie nel fallito tentativo di riportare in auge il paganesimo, selezionando rigorosamente i sacerdoti per prestigio personale, impedendo ai cristiani di insegnare nelle scuole e favorendo iniziative di assistenza ai poveri in concorrenza con quelle ecclesiastiche.
Flavius Claudius Iulianus
Nato nel 331, imperatore 360-363
Ramo secondario della dinastia costantiniana
Nel 363 Giuliano si reca in oriente per intraprendere una campagna contro i Persiani. Fa sosta nella ricca Antiochia dove il suo aspetto da filosofo
trasandato e barbuto e la sua
avversione agli spettacoli, suscita ironia, a cui risponde con lo scritto Misopogon (l’odiatore della barba).
Giunto in Mesopotamia muore
improvvisamente senza avere ottenuto i successi sperati.
Viene eletto Gioviano, cristiano, che stipula la pace con i Persiani.
Flavius Claudius Iovianus
363-364
Nel 364 Gioviano muore dopo 8 mesi di regno. Gli ufficiali scelgono Valentiniano I che regna sull’Occidente associandosi il fratello Valente, a capo dell’Oriente e, dal 367, il figlio Graziano, di 8 anni. Riprende in Occidente l’appoggio imperiale verso il cattolicesimo, mentre Valente è vicino agli Ariani.
Flavius
Valentinianus I 364-375
Flavius Iulius Valens 364-378 Flavius
Gratianus 367-383
Nel 375 muore Valentiniano I in Pannonia; viene eletto da parte dei soldati il figlio
Valentiniano II, di soli 4 anni, che assumerà un
atteggiamento tollerante verso gli ariani.
Flavius
Valentinianus II
375-392
I Goti
Originari della Scandinavia, i Goti discesero nell’Europa centro-orientale dividendosi nel III secolo dopo lo stanziamento in Scizia (foce del Dnepr) in due gruppi: i Tervingi o Visigoti (Goti dell’ovest) e i Grutungi o Ostrogoti (Goti dell’est). Nel corso del III secolo i Goti attuarono molteplici scorrerie nel territorio dell’impero impegnando gli imperatori Decio e Claudio il Gotico fino ad un accordo con Aureliano che assegnò ai Visigoti la Dacia a nord-est del Danubio. Dopo la metà del IV secolo tuttavia la pressione degli Unni spinse il capo goto Fritigerno a chiedere all’imperatore Valente ospitalità nel territorio dell’impero (Mesia) in cambio dell’appoggio militare come foederati e della conversione al cristianesimo (che avvenne seguendo l’Arianesimo predicato da Ulfila).
Tuttavia il numero imponente dei barbari entrati con Fritigerno e la carenza di mezzi di sussistenza forniti dall’impero, anche per la corruzione dei funzionari, portò a scontri con la popolazione locale e, dopo il fallito tentativo di uccidere a tradimento Fritigerno da parte del comes Thraciae Lupicino si giunse ad una vere e propria guerra (376- 382).
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Il 9 agosto del 378 Valente si scontra con i Visigoti di Fritigerno ad Adrianopoli (Tracia), senza attendere i rinforzi inviati dal collega Graziano, finendo ucciso assieme ad altri 30.000 romani.
Nel 379 Graziano sceglie come augusto il generale ispanico Flavio Teodosio I (il grande), figlio di Teodosio il vecchio, un generale di Valentiniano I giustiziato per accusa di tradimento. Teodosio riesce a rinsaldare le forze romane compromesse dalla sconfitta di Adrianopoli e porta avanti accordi con gruppi di Goti fino alla pace siglata nel 382, che concede ai goti lo stanziamento nel territorio dell’impero in cambio di sostegno militare. Nel 387 Teodosio sposa Galla, figlia di Valentiniano I
Flavius Theodosius
Nato nel 347 imperatore 379-395
Teodosio il grande
Due usurpatori
Nel 383 Magno Massimo, forse cugino di Teodosio, viene acclamato imperatore dalla truppe stanziate in Britannia e si scontra presso Lutetia con Graziano, che viene ucciso a Lione. Successivamente, in seguito a trattative che coinvolsero Ambrogio, viene riconosciuto come augusto di Occidente da Teodosio e Valentiniano. Durante il suo regno fece condannare a morte per stregoneria, assieme ad altri seguaci, l’eretico Priscilliano, con l’intenzione di acquistare prestigio agli occhi della Chiesa come difensore dell’ortodossia, ma suscitando al contrario la riprovazione di Papa Damaso, di Ambrogio e di S. Martino vescovo di Tours, che aveva cercato di evitare la condanna.
Nel 388, dopo un tentativo di Massimo di assediare Valentiniano II a Milano, Teodosio muove contro Massimo, sconfiggendolo ripetutamente ed assediandolo ad Aquileia, dove si arrende e viene fatto uccidere.
Magnus Clemens Maximus
383-388
Nel 392 Valentiniano II muore a Vienne; il generale Arbogaste porta al potere Flavio Eugenio, tollerante verso i pagani.
Nel 394 Eugenio viene sconfitto al Frigido (Alpi Giulie) da Teodosio, a capo di un esercito organizzato sotto la guida del magister utriusque militiae
Stilicone, con l’apporto di federati barbari fra cui 20,00 goti guidati da
Alarico, a cui viene promessa la carica di magister militum. Eugenio, fatto prigioniero, viene decapitato; Arbogaste si suicida.
Flavius Eugenius 392-394
380 Editto di Tessalonica
Nel 380 il cristianesimo secondo il credo niceno viene proclamata religione ufficiale dello stato dagli imperatori Teodosio I, Graziano e Valentiniano II.
Vogliamo che tutte le nazioni che sono sotto nostro dominio, grazie alla nostra carità, rimangano fedeli a questa religione, che è stata trasmessa da Dio a Pietro apostolo, e che egli ha trasmesso personalmente ai Romani, e che ovviamente (questa religione) è mantenuta dal Papa Damaso e da Pietro, vescovo di Alessandria, persona con la santità apostolica; cioè dobbiamo credere conformemente con l'insegnamento apostolico e del Vangelo nell’unità della natura divina di Padre, Figlio e Spirito Santo, che sono uguali nella maestà e nella Santa Trinità.
Ordiniamo che il nome di Cristiani Cattolici avranno coloro i quali non violino le affermazioni di questa legge. Gli altri li consideriamo come persone senza intelletto e ordiniamo di condannarli alla pena dell’infamia come eretici, e alle loro riunioni non attribuiremo il nome di chiesa; costoro devono essere condannati dalla vendetta divina prima, e poi dalle nostre pene, alle quali siamo stati autorizzati dal Giudice Celeste.
Nel 381 è convocato da Teodosio il Concilio di
Costantinopoli, in cui si condanna nuovamente
l’arianesimo e si completa la definizione
dottrinaria del simbolo (= credo, formula di fede)
niceno-costantinopolitano, definendo lo Spirito
Santo, come terza persona della Trinità,
procedente dal Padre (ἐκ τοῦ πατρὸς
ἐκπορευόμενον).
Il simbolo niceno-costantinopolitano
Πιστεύομεν εἰς ἕνα Θεόν, Πατέρα, παντοκράτορα, ποιητὴν οὐρανοῦ καὶ γῆς ὁρατῶν τε πάντων καὶ ἀοράτων.
Καὶ εἰς ἕνα κύριον Ἰησοῦν Χριστόν, τὸν υἱὸν τοῦ θεοῦ τὸν μονογενῆ, τὸν ἐκ τοῦ πατρὸς γεννηθέντα πρὸ πάντων τῶν αἰώνων, φῶς ἐκ φωτός, θεὸν ἀληθινὸν ἐκ θεοῦ ἀληθινοῦ, γεννηθέντα οὐ ποιηθέντα, ὁμοούσιον τῷ πατρί, δι᾽ οὗ τὰ πάντα ἐγένετο,
τὸν δι᾽ ἡμᾶς τοὺς ἀνθρώπους καὶ διὰ τὴν ἡμετέραν σωτηρίαν κατελθόντα ἐκ τῶν οὐρανῶν καὶ σαρκωθέντα ἐκ πνεύματος ἁγίου καὶ Μαρίας τῆς παρθένου καὶ ἐνανθρωπήσαντα, σταυρωθέντα τε ὐπὲρ ἡμῶν ἐπὶ Ποντίου Πιλάτου, καὶ παθόντα καὶ ταφέντα, καὶ ἀναστάντα τῇ τρίτῃ ἡμέρᾳ κατὰ τὰς γραφάς, καὶ ἀνελθόντα εἰς τοὺς οὐρανούς, καὶ καθεζόμενον ἐν δεξιᾷ τοῦ πατρός, καὶ πάλιν ἐρχόμενον μετὰ δόξης κρῖναι ζῶντας καὶ νεκρούς· οὗ τῆς βασιλείας οὐκ ἔσται τέλος.
Καὶ εἰς τὸ πνεῦμα τὸ ἅγιον, τὸ κύριον καὶ ζωοποιόν, τὸ ἐκ τοῦ πατρὸς ἐκπορευόμενον, τὸ σὺν πατρὶ καὶ υἱῷ συμπροσκυνούμενον καὶ συνδοξαζόμενον, τὸ λαλῆσαν διὰ τῶν προφητῶν.
Εἰς μίαν ἁγίαν καθολικὴν καὶ ἀποστολικὴν ἐκκλησίαν. ὁμολογοῦμεν ἓν βάπτισμα εἰς ἄφεσιν ἁμαρτιῶν· προσδοκῶμεν ἀνάστασιν νεκρῶν καὶ ζωὴν τοῦ μέλλοντος αἰῶνος. ἀμήν.
S. Ambrogio
Il personaggio più autorevole dell’età teodosiana è il vescovo di Milano Ambrogio. Nato a Treviri nel 339-340 da due membri di famiglie illustri (Simmaci e Aurelii), dopo gli studi giuridici a Roma fu inviato come governatore della provincia di
Emilia et Liguria a Milano, dove alla morte delvescovo ariano Aussenzio (374), fu acclamato come successore dal popolo pur non essendo ancora battezzato (!). La sua ricca cultura che sfruttò in una amplissima produzione letteraria (è uno dei grandi padri della Chiesa occidentali).
Ebbe inoltre un ruolo molto importante nello
stimolare gli imperatori a troncare ogni legame con
il paganesimo.
I fatti di
Tessalonica
Nel 390 3.000 persone sono fatte massacrare da Teodosio
nel circo di Tessalonica, come punizione per l’uccisione in
una sommossa del governatore Boterico. Teodosio fa
pubblica penitenza a Milano davanti al vescovo Ambrogio,
che aveva protestato per l’evento.
Il racconto dello storico Sozomeno
La causa del peccato era questa. Un auriga, avendo visto il
servitore di Buterico, a quell’epoca magister militum in Illirico,
aveva tentato di sedurlo con turpi sguardi. Arrestato, si trovava in
prigione. Ma poiché stava per celebrarsi un’importante
manifestazione nell’ippodromo, il dêmos chiedeva che fosse
rilasciato perché necessario alla competizione. Ma dal momento
che non aveva ottenuto alcunché, insorse violentemente e alla fine
uccise Buterico. Quando questi fatti furono resi noti, l’imperatore
montò in una collera smisurata e ordinò che un numero prestabilito
di individui presi a caso fosse giustiziata. Di conseguenza la città si
riempì di molti ingiusti massacri. Perfino stranieri, appena
approdati o giunti dalla strada, furono inaspettatamente catturati. Si
verificarono allora sofferenze degne di compassione
L’intervento di Ambrogio
In quel tempo, a causa della città di Tessalonica il vescovo si trovò in gravi angustie, quando seppe che la città era stata quasi distrutta. Infatti l’imperatore gli aveva promesso che avrebbe perdonato i cittadini di quella città, ma in seguito a un accordo segreto fra l’imperatore e alti funzionari, all’insaputa del vescovo, la città fu abbandonata alla strage per tre ore e molti innocenti furono uccisi. Quando il vescovo lo seppe, interdisse all’imperatore l’ingresso in chiesa, e non lo giudicò degno di partecipare all’assemblea della chiesa e alla comunione delle cose sante prima di avere fatto pubblica penitenza. L’imperatore gli obiettava che Davide aveva commesso insieme adulterio ed omicidio. Ma subito gli fu risposto: “Tu che lo hai seguito nel peccato, seguilo nella correzione”.
Udendo queste parole il clementissimo imperatore venne in tal disposizione d’animo da non rifiutare la penitenza pubblica e il beneficio di questa correzione gli valse la seconda vittoria.
Paolino di Nola, Vita di Ambrogio
Legislazione antipagana negli anni di Teodosio
Fra il 381 e il 383 con una serie di leggi Teodosio vieta di compiere sacrifici e pratiche divinatorie e toglie agli apostati passati dal cristianesimo al paganesimo possibilità di
ereditare
Nel 382 in occidente Graziano, che rinuncia alla carica di
pontefice massimo, sopprime i finanziamenti al culto pagano e i privilegi per i loro sacerdoti e vestali; vengono confiscati i terreni dei templi e aboliti i contributi per le feste pagane.
Fra il 391 e il 392 Teodosio con una serie di leggi (decreti
teodosiani) vieta ogni manifestazione di culto pagano e priva i
pagani dei diritti civili, equiparando i sacrifici pagani ad atti di
lesa maestà.
Nessuno, di qualunque condizione o grado (che sia investito di un potere o occupi una carica, che sia autorevole per nascita o sia di umili origini), in nessun luogo, in nessuna città, offra vittime innocenti a vani simulacri; e neppure in segreto, accendendo lumini, spandendo incenso, appendendo corone, veneri i lari con il fuoco, il genio con il vino, i penati con gli aromi. Se qualcuno oserà immolare una vittima in sacrificio e consultarne le viscere, come per il delitto di lesa maestà potrà essere denunciato da chiunque e dovrà scontare la debita pena, anche se non avesse cercato auspici né contro il benessere né sul benessere dell’imperatore.
Costituisce infatti di per sé già un crimine il volere cassare le leggi imperiali, indagare ciò che è illecito, volere conoscere ciò che è nascosto, osare ciò che è vietato, interrogarsi sulla fine del benessere di un altro, sperare e cercare un presagio della sua morte. Se qualcuno venererà con l’incenso simulacri fatti dall’uomo e destinati a distruggersi con il tempo; o se, con ridicolo timore verso le sue stesse rappresentazioni, cercherà di onorare varie immagini cingendo un albero di nastri o innalzando un altare con zolle erbose (una totale offesa alla religione, pur se con la scusante di una offerta meno impegnativa), come reo di lesa religione perderà la casa o il possesso dove si sia reso schiavo della superstizione pagana. Stabiliamo infatti che tutti i luoghi dove si siano levati fumi di incenso – purché si dimostri che appartengano a chi ha usato l’incenso – siano incamerati nel nostro fisco. Se qualcuno cercherà di sacrificare con l’incenso in templi pubblici, o in case o campi altrui, qualora l’abuso avvenga all’insaputa del padrone dovrà pagare 25 libbre d’oro, e la stessa pena colpirà i conniventi. Vogliamo che questo editto sia osservato dai giudici e dai magistrati, nonché dai funzionari di ogni città, in modo che i casi accennati da questi ultimi siano immediatamente tradotti in giudizio e, una volta tradotti in giudizio, siano subito puniti dai giudici. Se i funzionari, per indulgenza o incuria, penseranno di poter coprire o tralasciare qualcosa, dovranno sottostare ad un procedimento giudiziario; quanto ai giudici, se procrastineranno l’esecuzione della sentenza saranno multati di 30 libbre d’oro, e la loro carica sarà sottoposta alla stessa multa.
Codice Teodosiano, XVI, 10, 12 (8 novembre 392).
L’altare della vittoria
Un significato simbolico nelle vicende del rapporto fra paganesimo e cristianesimo è rivestito dalle vicende dell’altare della vittoria a Roma, fatto collocare da Augusto nella curia Iulia sede del senato nel 29 a. C.
al ritorno dall’Egitto.
357 Costanzo II in occasione della sua visita ufficiale (adventus) a Roma fa togliere dalla curia Iulia l’altare della vittoria
361-363 Giuliano nel tentativo di restaurazione pagana ripristina l’altare
382 Graziano ordina la rimozione dell’altare. Simmaco si reca a Milano da Teodosio a capo di una legazione di senatori per protestare, ma non viene ricevuto.
384 Nuova legazione a Milano guidata da Simmaco, ora praefectus urbis, che chiede anche il ripristino per le vestali e i sacerdoti dei privilegi fiscali e della possibilità di ereditare; Valentiniano II li riceve, ma Ambrogio minaccia con una lettera l’imperatore di scomunica in caso di cedimento e con una nuova lettera ribatte alle lamentele della relazione presentata da Simmaco. Negli anni successivi nuove richieste non ottengono risposta positiva, anche per le pressioni di Ambrogio.
393 L’usurpatore Eugenio concede la ricollocazione dell’altare.
Dalla Terza relazione di Simmaco
Reclamiamo dunque per i nostri culti la condizione che ha lungamente giovato allo Stato. Contiamo pure i principi dell’una e dell’altra setta, dell’una e dell’altra convinzione: i primi hanno onorato i culti dei padri, i secondi non li hanno aboliti. Se non fa precedente la religiosità degli antichi, lo faccia la tolleranza dei moderni. Chi è così amico dei barbari da non richiedere l’altare della Vittoria? Noi siamo cauti riguardo al futuro e vogliamo evitare presagi infausti su questo argomento. Almeno al nome della vittoria si renda l’onore negato alla divinità. [...]
Lasciate, vi prego, che da vecchi trasmettiamo ai posteri quello che abbiamo ricevuto da ragazzi. Grande è l’amore dell’abitudine e giustamente il provvedimento dell’imperatore Costanzo non durò a lungo. Dovete evitare tutti gli esempi che sapete essere stati revocati poco dopo. Noi ci preoccupiamo dell’eternità della vostra fama e del vostro nome, che l’età futura non trovi niente da obiettare.
Dove giureremo fedeltà a voi e alle vostre leggi? Quale religione tratterrà un animo falso dal mentire nel rendere testimonianza? Certo, tutto è pieno di Dio e nessun luogo è sicuro per gli spergiuri, ma ha grande importanza a ispirare il timore della colpa il fatto di essere incalzato da una presenza religiosa. Quell’altare tiene stretta la concordia di tutti, stabilisce la lealtà dei singoli e nient’altro conferisce autorità ai nostri pareri quanto il fatto che il Senato delibera tutto quasi sotto giuramento.
Dalla lettera di S. Ambrogio a Valentiniano
“Ma - aggiunge, - bisogna restituire i vecchi altari agli idoli, i loro ornamenti ai templi”. Faccia tale richiesta chi condivide tale superstizione: un imperatore cristiano non sa onorare che l’altare di Cristo. Perché costringono mani pie e bocche fedeli a collaborare ai loro sacrilegi? La voce del nostro imperatore riecheggi Cristo e sia sempre sulle sue labbra solo il nome di chi ha nel petto, perché ”il cuore del re è nella mano di Dio” (Pr 21,1). Forse un’imperatore pagano ha mai eretto un’altare a Cristo? Mentre reclamano cose passate, con il loro esempio ci ricordano con quanto rispetto gli imperatori cristiani debbano tributare alla religione che seguono, dal momento che quelli pagani hanno fatto di tutto per le loro superstizioni.
Noi siamo appena agli inizi, e già sono meno di noi quelli che ci avevano emarginato. La nostra gloria è il sangue, il loro cruccio una perdita di denaro. Noi la riteniamo come una vittoria, essi la considerano un’offesa. Mai ci hanno più avvantaggiato di quando facevano flagellare i Cristiani, proscriverli e ucciderli. La religione ha fatto un premio di quello che la perfidia reputava un supplizio.
Vedete che generosità! Noi siamo cresciuti attraverso le ingiustizie, la miseria, i supplizi, essi non credono che i loro riti possano sussistere senza sovvenzioni.
Nel 393 Teodosio decreta la fine dei giochi olimpici, ritenuti tradizione pagana, mentre grande attrattiva continuano ad avere le corse dei carri. Lo stesso Teodosio decorò l’ippodromo di Costantinopoli con un antico obelisco egizio importato da Eliopoli, ponendolo su un piedistallo appositamente realizzato in cui compare lui stesso mentre presiede la gara.
La morte di Teodosio e la divisione dell’impero
Teodosio muore il 17 gennaio del 395 a Milano, dove aveva più volte risieduto. La cerimonia funebre, in rito cristiano, è presieduta da Sant’Ambrogio, che pronuncia il De obitu Theodosii. Il corpo viene poi sepolto a Costantinopoli nella basilica dei Santi Apostoli. L’impero viene diviso fra i due figli, già precedentemente associati al trono.