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I diritti dei non fumatori

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Academic year: 2022

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I diritti dei non fumatori

written by Carlos Arija Garcia | 09/01/2018

Cosa prevede la legge nei locali al chiuso o all’aperto sul fumo passivo?

Dove sono ammesse le sigarette? E quando c’è diritto al risarcimento del danno?

Il fumo passivo come l’amianto: è una delle sostanze più cancerogene in circolazione. Tutti si lamentano della tettoia in eternit del vicino, ma della sigaretta del marito, della moglie o del figlio dopo pranzo o mentre si guarda il film, nessuno dice niente? Della fumatina del collega d’ufficio o dell’avventore di un bar che, all’ingresso del locale, sbuffa la nuvoletta senza badare più di tanto a chi si trova accanto a lui?

Possibile che una persona che odia il fumo non abbia la possibilità di non assorbirlo?

Quali sono i diritti dei non fumatori? Quali le regole che chi non sa o non ce la fa a rinunciare alla sigaretta deve rispettare? Ed è vero che in tutti gli spazi all’aperto è lecito tirare di accendino? Senza entrare troppo nei dettagli dei danni che provoca il fumo passivo (sono riportati spudoratamente perfino sui pacchetti

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di sigarette), vediamo cosa si può e cosa non si può fare secondo la legge.

Quanto inquina il fumo?

Il fumo passivo è stato inserito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) tra le 116 sostanze certamente cancerogene in circolazione, insieme all’amianto, al catrame di carbone, all’arsenico, al benzene e ad altre sostanze pure o lavorate. Basti pensare che l’aria satura di fumo da tabacco è decine di volte più inquinata di micropolveri rispetto a quella delle grandi città piene di smog: una città chiude al traffico quando raggiunge i 50 mcg per metro cubo di PM-10. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, la quantità di PM-10 che si può rilevare in un ambiente chiuso dove si fuma può raggiungere perfino i 5.000 mcg per metro cubo. Roba da schiattare.

Fumo passivo: che cosa dice la legge?

La legge che tutela i diritti dei non fumatori [1] ha introdotto – per prima in Europa – una serie di divieti sul fumo nei luoghi chiusi, pubblici e privati. Il divieto è esteso ai locali privati chiusi, non aperti al pubblico o ad utenti. Insomma, nell’ufficio del retrobottega di un negozio, dove nessuno può entrare se non commessi o addetti, non si può fumare.

I diritti dei non fumatori arrivano anche ai condomini: non si deve accendere una sigaretta nemmeno negli spazzi comuni chiusi: non solo in ascensore (come ovvio pensare) ma nemmeno sulle scale. Si può fumare, invece, negli spazi all’aperto, come ad esempio il cortile o il giardino. Come vedremo, però, a certe condizioni.

Sigarette escluse anche dai balconi se il fumo può entrare nella casa del vicino dalla finestra accanto. In questo caso, infatti, è possibile applicare l’articolo 844 del codice civile che vieta le immissioni (fra le quali anche quelle del fumo di sigaretta) se superano la normale tollerabilità, ricorrendo all’autorità giudiziaria per farle cessare.

In sostanza: i diritti dei non fumatori sono tutelati in tutti gli spazi chiusi che non consentono un immediato e rapido ricambio d’aria ma anzi, agevolano il ristagno dell’aria inquinata.

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Il cortile del condominio è piccolo: si può fumare?

Luogo aperto non equivale automaticamente a diritto di accendere una sigaretta.

Dipende dallo spazio in cui ci si trova. I diritti dei non fumatori, a volte, vanno difesi anche nei posti a cielo aperto. Ad esempio, nel cortile di un condominio di ridotte dimensioni, chiuso ai quattro lati da edifici di un’altezza considerevole. Il ricambio d’aria in quel cortile sarà lento e complicato. Pertanto, ben può rientrare nel divieto di fumo che interessa un locale chiuso.

Se, invece, il cortile è ampio e arieggiato, cioè con un’adeguata circolazione d’aria, sarà difficile vietare ad un fumatore di accendere una sigaretta.

I diritti dei non fumatori negli spazi aperti

I diritti dei non fumatori vanno tutelati al di là delle dimensioni dello spazio all’aperto in cui qualcuno decide di accendere una sigaretta. Non dipende solo dai metri quadri o dal riciclo dell’aria ma anche dal luogo in cui ci si trova.

Il divieto di fumo, infatti, riguarda i pressi di università ospedaliere o presidi ospedalieri, di istituti di ricerca scientifica di cura pediatrica, perfino le pertinenze esterne (chiamiamoli pure terrazzini o balconi) dei reparti di ginecologia e ostetricia, e di neonatologia e pediatria delle università ospedaliere, dei presidi ospedalieri e degli Irccs, gli istituti di ricerca e cura a carattere scientifico.

Nonostante la presenza di posaceneri in molte di queste strutture. Vederli lì, in bella mostra (quasi sempre usati, peraltro), non è un invito a sporcarli di più ma piuttosto a pensare: “Ti guardo ma non ti uso, vedi come sono forte?”

È vietato fumare in piazza, all’aperto, davanti ad un’università ospedaliera e sul balcone di un ospedale, anche se la porta è chiusa. Nel caso della piazza in cui c’è l’università, conviene allontanarsi di qualche decina di metri per non rischiare una multa che va da 25 a 250 euro. Da mezza stecca a cinque stecche di sigarette circa. A seconda delle marche.

Si rincara la dose (non di nicotina, ma di sanzione) se si butta la sigaretta per terra. In questo caso, ammesso e non concesso di trovare un vigile zelante, il maleducato fumatore dovrà pagare 300 euro di multa. In città come al mare: la

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stessa multa è prevista per chi butta la sigaretta in spiaggia: 300 euro. Sei stecche di sigarette circa. A seconda delle marche.

I diritti dei non fumatori in auto

Potrò, io fumatore, accendermi una sigaretta in macchina mentre mi faccio la Salerno-Reggio Calabria in 12 ore? Solo se viaggio da solo. È vietato fumare in auto se ci sono a bordo dei minorenni (cioè, ragazzi fino ai 18 anni, anche se fumano pure loro) o donne in stato di gravidanza. Ci si affida alla buona volontà del fumatore, in questo caso: controllare chi tira di accendino in macchina è piuttosto arduo. Ma se lo beccano, la multa va da 50 a 500 euro. O, se preferiscono, da una a dieci stecche di sigarette circa. A seconda delle marche.

I diritti dei non fumatori: si può chiedere il risarcimento?

Qualche sentenza in giro per il mondo che condanna le compagnie produttrici di sigarette a sostegno dei diritti dei non fumatori c’è stata. Nel nostro piccolo, in Italia, si è pronunciato contro il fumo passivo nei luoghi di lavoro il Tribunale di Milano [2]. Se vi armate di pazienza (senza accendere una sigaretta, per carità:

meglio una camomilla), vi facciamo leggere il passaggio decisivo della sentenza.

Poi lo traduciamo «al cristiano».

Dicono i giudici milanesi:

“Nel caso in cui il dipendente si trovi, a causa della postazione di lavoro, nella situazione di una ripetuta esposizione al fumo passivo, dalla quale consegue una condizione di disagio – causa di possibili gravi danni alla salute nel lungo periodo – certamente si deve ritenere che essa abbia inciso negativamente sull’esercizio di diritti costituzionalmente garantiti come quello al lavoro; pertanto deve ritenersi che il comportamento omissivo del datore, a fronte di un comportamento vietato da specifiche disposizioni di legge, sia certamente determinante per il danno non patrimoniale patito dal dipendente. Dunque, detto datore di lavoro deve essere condannato al risarcimento”.

Traduzione dal «legalese»: se è vero che la legge impone al datore di lavoro di tutelare la salute e la sicurezza dei propri dipendenti, quest’obbligo si intende

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esteso ad ogni ambito lavorativo, e quindi anche nei confronti delle condotte più usuali e ormai convenzionalmente accettate, come la classica «pausa sigaretta»

in un corridoio. Pertanto, se l’imprenditore non fa rispettare il divieto di fumo all’interno del posto di lavoro, deve versare il risarcimento del danno nei confronti dei dipendenti che – non fumatori – inalano il fumo passivo.

Fumo passivo: posso chiedere il risarcimento anche se non ho il cancro?

Non è necessario aver subito danni mortali come un cancro. Il Tribunale di Milano accorda, infatti, il risarcimento anche per delle ripetute cefalee, difficoltà respiratorie, bruciore agli occhi, il tutto – ovviamente – purché certificato dai medici.

Se, dunque, di fronte alle lamentele del dipendente, il datore di lavoro non fa nulla per ottenere il rispetto del divieto da parte degli altri lavoratori, il disagio – anche minimo – patito dal “non fumatore” va risarcito, perché causa di possibili danni alla salute nel lungo periodo.

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