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Capitolo 3 Modellazione FEM

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Capitolo 3

Modellazione FEM

3.1 Il modello solido

3.1.1 Ricostruzione della geometria

Il FEM è una tecnica molto potente per risolvere equazioni differenziali alle derivate parziali usato in problemi di natura termica, magnetica, elettrica o di diffusione di radiazioni. Un’altra applicazione è quella riguardante problemi strutturali per stabilire le deformazioni e gli stati di tensione indotti da azioni esterne sugli organi del corpo umano.

Il metodo degli elementi finiti può risolvere problemi su domini di qualunque complessità, costituiti da materiali non omogenei ed anisotropi con equazioni costitutive non lineari. Tutte queste caratteristiche lo rendono un metodo appropriato per la soluzione di problemi strutturali complessi in campo biomedico, come ad esempio nell’ortopedia.

Per consentire l’applicabilità in vivo del metodo occorre poter ricavare la geometria dell’organo in modo non invasivo. Nello studio delle ossa intere, l’identificazione della geometria scheletrica è un problema relativamente semplice, che può essere affrontato diversamente a seconda dell’osso che stiamo trattando:

a) Per quelle ossa prive di cavità interne si possono usare i metodi detti della reverse engineering, che consentono di costruire il modello computerizzato tridimensionale di un oggetto a partire da una sua copia fisica. L’oggetto fisico viene fissato ad un supporto e, mediante sistemi ottici, elettromagnetici o meccanici, si determinano le coordinate spaziali di una nube di punti che giacciono sulla superficie esterna dell’oggetto. Questi punti vengono poi interpolati con una superficie poligonale (di solito a facce triangolari) definita o mediante interpolazione geometrica o con una decomposizione spaziale detta triangolarizzazzione di Delaunay. La geometria

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superficie poligonale. Più frequentemente è necessaria una descrizione matematica implicita della geometria, attraverso una rappresentazione b-rep, composta da pezzi (patch) di superfici matematiche espresse attraverso delle spline NURBS.

b) Quando invece sono presenti cavità interne, che è necessario modellare esplicitamente, ad esempio nelle ossa lunghe ove una porzione del volume interno della regione diafisaria è una cavità riempita di midollo, è necessario usare tecniche topografiche. La tomografia computerizzata (TC) è il metodo più utilizzato per la generazione dei modelli di segmenti ossei, fornendo informazioni dettagliate sulla geometria e sulle proprietà meccaniche dei segmenti scheletrici, e rappresenta una procedura di imaging diagnostico, in cui l’informazione anatomica è ricostruita digitalmente da dati relativi alla trasmissione a raggi X, ottenuti facendo lo scanning di un’area in più direzioni. In pratica, un fascio collimato di raggi X passa attraverso la parte del corpo considerata ed esce, attenuato dall’assorbimento dei tessuti, dalla parte opposta del paziente.

Alcuni rilevatori registrano i segnali in uscita e li convertono in proiezioni della distribuzione del coefficiente di attenuazione lineare della sezione stessa. Noto l’insieme di profili di attenuazione lineari, utilizzando opportuni algoritmi, si riesce a risalire al profilo di attenuazione spaziale sulla sezione della fetta.

La distribuzione ricostruita del coefficiente di attenuazione viene espressa in unità di Hounsfield (HU) prendendo come valore di riferimento quello dell’acqua.

Le unità HU sono definite da:

(3.1)

[ ]

O H O H i

HU

Number

2 2

1000

µ

µ

µ

=

dove µi è il coefficiente di attenuazione di un punto arbitrario dell’immagine e µH2O è

l’attenuazione lineare dell’acqua. Il numero HU può assumere valori che vanno da -1000 per l’aria, passando a 0 per l’acqua fino a +-1000 per l’osso. In realtà l’esame TC fornisce in uscita una serie di dati che non corrispondono alle HU, ma vanno opportunamente convertiti in funzione dei parametri di impostazione della macchina.

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In conclusione si ottengono delle immagini (fette) che nel loro insieme definiscono il cosiddetto data set TC (figura 3.1).

Dalle immagini ottenute dobbiamo estrarre i punti che giacciono sul confine esterno ed interno del corpo. Questa operazione è detta di segmentazione.

(a) (b)

Fig.3.1. Ricostruzione geometrica: (a) dataset TC; (b) contorni derivanti dal TC dataset

Il processo di segmentazione inizia con il rilevamento dei contorni dell’osso del paziente. Tale operazione viene effettuata sulle fette TC utilizzando un software specifico [D.Testi et al., 2001] sviluppato presso il Laboratorio di Tecnologia Medica degli Istituti Ortopedici Rizzoli. Questo software carica le immagini nel medesimo formato della TC (DICOM). I contorni vengono rilevati sfruttando il fatto che il numero di HU del tessuto osseo è molto più elevato rispetto al numero di HU dei tessuti molli. Il tessuto osseo infatti è caratterizzato da una elevata densità minerale e presenta pertanto un coefficiente di attenuazione delle radiazioni molto più alto di quello dei tessuti molli

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riportata in figura 3.2: si distingue molto bene il contorno dell’osso rispetto ad i tessuti circostanti.

Fissando una soglia per il valore di HU, un algoritmo di Border Tracing [D.Testi et al., 2001] individua ed evidenzia una linea chiusa composta dai punti che hanno valori maggiori o uguali a questa soglia. Tramite opportuni tools è possibile modificare il contorno individuato per correggere eventuali errori del generatore automatico che possono verificarsi in corrispondenza di zone dell’osso dove i contorni sono poco definiti, come nelle regioni articolari dei condili o della testa del femore.

Fig.3.2. Immagine TC. Singola fetta della parte inferiore del bacino dove si possono notare le parti della

diafisi dei due femori.

Più in dettaglio, il funzionamento dell’algoritmo di border tracing (tracciamanto del contorno) consiste nell’estrazione di un contorno chiuso da un oggetto; per contorno si intende, in questo caso, una sequenza ordinata di punti dell’immagine.

Partendo da un punto iniziale, lungo una direzione specificata dall’operatore, il punto successivo del contorno viene ricercato fra gli otto adiacenti a quello di partenza; fra questi quello che presenta un valore di HU uguale o maggiore della soglia impostata è selezionato come punto successivo del contorno. Il processo termina quando quando viene nuovamente raggiunto il punto iniziale.

Il programma mantiene le informazioni riguardo alla quota ed alla posizione relativa delle fette, indispensabile per una corretta generazione della superficie del solido.

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Nella figura 3.3 si può vedere una sezione TC della zona dei condili con il relativo contorno rilevato da HipCom.

Fig.3.3. Immagine TC di una sezione dell’epifisi

(in corrispondenza dei condili) e contorno dell’osso utilizzando Hipcom

L’algoritmo di Delaunay consente di ottenere una rappresentazione della superficie di un solido partendo da un insieme di punti nello spazio; in questo caso si tratta dei punti che compongono i contorni ottenuti con il software Hipcom.

L’algoritmo di Delaunay è implementato nel software Nuages (sviluppato presso l’istituto di ricerca francese INRIA) mentre il software Hipcom è in grado di esportare i contorni ottenuti nella segmentazione in un formato leggibile dal Nuages. La superficie che si ottiene come risultato dell’elaborazione del Nuages è costituita da un insieme di faccette triangolari [Boissonnat and Geiger, 1993].

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3.1.2 Modello C.A.D.

Sul software Unigraphics NX2 (C.A.D.), a partire dalle superfici ottenute precedentemente, sono stati creati i tre corpi solidi: protesi, osso corticale ed osso spongioso. In particolare, nel presente studio, l’osso spongioso è stato considerato solo nella parte superiore (prossimale) del femore, date le sue scarse proprietà meccaniche e dato che la parte inferiore dell’osso avrà minore funzione strutturale (i carichi considerati sono concentrati nella zona prossimale, par. 3.4). Per la creazione del modello C.A.D. definitivo, si è dovuto simulare l’intervento di protesi d’anca, tramite delle operazioni booleane. Per prima cosa è stata tagliata la testa del femore (figura 3.4).

Fig.3.4. (a) taglio della testa femorale

Successivamente è stato realizzato un solido “raspa”, di forma pressoché identica a quella della protesi, che è stato usato per bucare l’osso sia corticale che spongioso (figura 3.5).

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(a) (b)

Fig.3.5. (a) Realizzazione del buco [arancio l’osso corticale e verde quello spongioso],

(b) parte spongiosa dell’osso

Lo stelo scelto nel modello è quello anatomico non cementato usato largamente presso gli Istituti Ortopedici Rizzoli e in molti altri dipartimenti clinici (AncaFit, Cremascoli-Wright, Milano, Italy; figura 3.6).

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Per completare il modello solido si è posizionata la protesi nella cavità (figura 3.7).

Fig.3.7. Posizionamento delle protesi nella cavità femorale

3.2 Il modello FEM

3.2.1 Introduzione

La scarsa stabilità primaria della protesi può far si che gli spostamenti relativi (micromovimenti) sviluppino all’interfaccia osso-protesi uno strato di tessuto molle (tessuto fibroso). Il tessuto fibroso non è in grado di stabilizzare la protesi, che quindi è soggetta a micromovimenti di entità crescente; questi a loro volta stimolano la formazione di nuovo tessuto fibroso. Il processo appena descritto viene definito mobilizzazione asettica. Per riuscire a simulare i micromovimenti risulta necessario modellare correttamente l’interfaccia osso-impianto.

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La stabilità primaria dello stelo di una protesi anatomica non cementata, come misurato in vivo [Viceconti M., Crisofolini L. et al., 2001], è stata usata come riferimento per confrontare i modelli differenti di contatto [Viceconti et al. 2000].

Nella Tabella 3.1 sono riportati i micromovimenti all’interfaccia osso-impianto in cinque differenti posizioni misurate in vitro e risultanti dalla simulazione agli elementi finiti. I modelli differiscono solo per il tipo di elementi di contatto (n2n=node-to-node; n2f=node-to-face; f2f=face-to-face) o per le caratteristiche del contatto (senza attrito, con attrito, press-fitted). A causa dei grandi micromovimenti, gli elementi n2n non possono essere utilizzati [Viceconti et al. 2000].

Tab.3.1. Micromovimenti all’interfaccia osso-impianto in cinque diverse posizioni misurate in vitro

Dalla tabella si nota che il modello face-to-face, sia con attrito che press-fitted, è in grado di predire i micromovimenti misurati sperimentalmente con un errore medio (RMS) di 10 µm e un errore di picco (peak error) di 14 µm. Tutti gli altri modelli presentano errori superiori.

Meno informazioni sono presenti in letteratura sul legame fra condizioni iniziali all’interfaccia e stabilità primaria. Vi è un articolo che riporta un esperimento in vitro sullo studio dell’influenza di uno strato di tessuto molle sulla stabilità primaria di uno stelo cementato [Markolf KL. et al., 1980]. Il fatto che non ci siano tanti studi su questo problema è causato dalla difficoltà di replicare in vitro le condizioni iniziali all’interfaccia osso-stelo. Così il problema può essere affrontato solo usando

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che si occupa del tessuto molle attorno allo stelo non cementato considera l’effetto di uno strato di 200 µm sulla stabilità di vari tipi di stelo [Keaveny TM., Bartel DS., 1993]. A causa delle limitazioni di tipo tecnico, il più piccolo spessore di tessuto molle considerato è di 200 µm e, se il tessuto molle è sufficientemente esteso, questo spessore è più che sufficiente per inizializzare il processo di fallimento della protesi. (quindi il problema fondamentale è quello di non riuscire a riprodurre tecnicamente piccoli spessori di tessuto molle). Lo studio condotto da Viceconti [Viceconti et al., 2001] è proprio quello di quantificare questo spessore minimo necessario ad innescare la differenziazione tissutale. Le prove sono state eseguite assumendo uno spessore costante di tessuto molle in ogni punto dell’interfaccia osso-impianto; inoltre l’effetto dello spessore sui micromovimenti indotti è studiato per una specifica protesi anatomica (AncaFit, Cremascoli Ortho, Italy).

Si è trovato che la stabilità dell’impianto è estremamente sensibile alla presenza di tessuto molle all’interfaccia osso-impianto. Strati di 300 µm di tessuto molle sono sufficienti per compromettere la osteointegrazione nella maggior parte della superficie dello stelo. Quindi anche un sottile strato di tessuto molle può creare un micromovimento all’interfaccia osso-impianto tale da attivare processi biologici che non portano all’osteointegrazione.

Per studiare il caso è stato adottata una nuova strategia di modellazione che permette di considerare simulazioni del tessuto molle con spessore inferiore a 10 µm, per esaminare l’effetto delle spessore del tessuto molle sui micromovimenti dello stelo di una protesi non cementata. Questa nuova strategia prende il nome di Contact Stiffness Relaxation (CSR).

La presenza di tessuto interstiziale con scarse proprietà meccaniche non è stata direttamente modellata con il metodo degli elementi finiti causa il limite di spessore raggiungibile con gli elementi di modellazione. Quando la rigidezza degli elementi di contatto è ridotta, lo stelo (contact surface) può penetrare nell’osso vicino alla protesi (target surface) di una quantità proporzionale. Così lo spessore del tessuto molle interstiziale è indirettamente rappresentato dalla compenetrazione permessa. Se il gap è pieno di fluido, la grandezza del gap è uguale alla compenetrazione fino a quando il fluido non oppone alcuna resistenza allo stelo. Se il gap è formato da tessuto molle, la compenetrazione rappresenta la riduzione dello spessore del tessuto indotto dall’applicazione del carico (figura 3.8).

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Fig.3.8. Contact Stiffness Relaxation

Equivalente fisico del concetto computazionale della compenetrazione C, che rappresenta la riduzione dello spessore di tessuto molle quando lo stelo metallico lo schiaccia. Come prima approssimazione può essere assunto equivalente allo spessore dello strato di tessuto molle non caricato [Viceconti et al., 2001].

Causa il modulo elastico molto piccolo, lo spessore residuo del tessuto molle sotto l’azione dei tipici carichi di contatto è circa 1-5% dello spessore presente senza l’applicazione di carico. Così, se la compenetrazione è assunta essere uguale allo spessore iniziale del tessuto fibroso senza carico, si commette un errore molto piccolo [Viceconti et al., 2001].

Aumentando la massima compenetrazione (cioè lo spessore dello strato di tessuto molle) si riduce la stabilità torsionale dello stelo.

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3.2.2 Modellazione con il software Ansys

Il contatto è stato definito sul software Hypermesh 6.0 per poi essere esportato sul software Ansys 8.0. Questo supporta sia un contatto rigido-flessibile (rigid-to-flexible) che flessibile-flessibile (flexible-to-flexible) per gli elementi di contatto face-to-face. Per formare la coppia di contatto si utilizzano una contact surface (la protesi nel modello usato) ed una target surface (l’osso).

Per gli elementi di contatto face-to-face Ansys supporta come algoritmo di contatto sia l’ Augumented Lagrangian Method (di default) sia il Penalty Method che il Penalty with Lagrange Multiplier.

L’Augumented Lagrangian Method è una serie iterativa di penalty updates per trovare gli esatti multipli lagrangiani; confrontandolo con il Penalty Method di solito risente meno della grandezza della rigidezza di contatto ma richiede più iterazioni per raggiungere la convergenza.

Con il Penalty Method e il Penalty Method with Lagrange Multiplier si ha la possibilità di controllare la compenetrazione di una superfice sull’altra. La quantità di compenetrazione è definita direttamente mediante l’utilizzo di una real constant chiamata FTOLN (convergence tolerance) che viene impostata al momento della definizione della real constant per la coppia di contatto considerata.

Nell’ impostazione del tipo di contatto nello studio agli elementi finiti, entrano in gioco molti fattori e la loro esplicita definizione; fattori come la rigidezza del contatto (contact stifness FKN), la norma di convergenza, la tolleranza di convergenza (convergence tolerance), il monitoraggio della compenetrazione e altri, tutti caratterizzati dal non avere un diretto significato fisico e quindi non misurabili sperimentalmente.

Riferendosi alla letteratura si è trovato, effettuando un’analisi di sensibilità dei parametri sull’esattezza dei risultati prodotti da un modello agli elementi finiti per il contatto fra osso ed impianto con attrito, che due parametri in particolare giocano un ruolo cruciale: la contact stifness FKN e la convergence tolerance FTOLN. I risultati ottenuti si possono vedere nella tabella 3.2, nella quale viene riportato l’effetto dei parametri di contatto sulla compenetrazione, il numero di iterazioni per convergere e l’esattezza del modello agli elementi finti nel predire i micromovimeti fra osso ed impianto misurati sperimentalmente [Bernakiewicz M. e Viceconti M.,2002].

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Tab.3.2. Effetto dei parametri sull’esattezza dei risultati prodotti da un modello agli elementi finiti per il

contatto fra osso ed impianto con attrito

Cambiando il tipo di algoritmo di contatto (Penalty o Lagrangiano) o la norma per raggiungere la convergenza non si trovano apprezzabili differenze nel raggiungimento dei risultati. Stessa cosa utilizzando o meno l’algoritmo line search per migliorare la convergenza. Al contrario, i parametri di contatto come la contatct stiffness e la convergence tolerance hanno un effetto considerevole sull’esattezza del modello agli elementi finiti.

La relazione lineare fra tolleranza e errore che si osserva dalla tabella 3.2 permette una determinazione a priori della tolleranza in base all’esattezza che si desidera dei risultati. Quindi la convergence tolerance dovrebbe essere riportata in quanto qualifica l’esattezza dell’analisi del contatto.

La contact stiffness è il parametro cruciale per l’esattezza dell’analisi del contatto basato sul Penalty Method. In teoria, un modello dovrebbe convergere asintoticamente alla soluzione esatta incrementando la rigidezza di contatto all’infinito, ma in pratica eccedendo nel valore il modello non giunge a convergenza.

Non ci sono metodi per poter dire a priori il valore della rigidezza di contatto che massimizza l’esattezza della soluzione, anche se alcune considerazioni possono essere ottenute monitorando la massima compenetrazione.

Alternativamente può essere utilizzato un algoritmo di contatto Lagrangiano che non richiede la definizione di una rigidezza di contatto [Bernakiewicz M. e Viceconti M.,2002].

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3.2.3 Mesh

Una volta definito il modello C.A.D., si è provato ad importarlo su Ansys 8.0 senza, però ottenere il risutato sperato. Infatti Ansys 8.0 ha mostrato delle difficoltà di riconoscimento dei solidi e, quindi, si è dovuto ricorrere all’uso di un altro software, Hypermesh 6.0, che presenta un collegamento diretto con Unigraphics NX2 e altri programmi (per esempio Pro-E e Catia ). L’uso di Hyeprmesh 6.0 ha riguardato la parte di preprocessing del modello, cioè la parte di generazione della mesh, definizione del contatto osso-protesi e condizioni al contorno. L’elemento usato per la mesh dei solidi è il SOLID187 [Muccini et al., 2000; Polgar et al., 2001] (figura 3.9), che rappresenta un tetraedro (il più semplice elemento tridimensionale) a 10 nodi, necessario per poter dare una adeguata rappresentazione del problema. Va precisato che Hypermesh 6.0 genera la mesh automaticamente con la tecnica dell’advanced front, cioè crea una mesh, con un meccanismo di tassellizzazione triangolare, delle superficie esterna del solido, per poi generare i tetraedri dall’esterno verso l’interno. Ovviamente la prima mesh è stata definita con una dimensione grossolana.

Fig.3.9. Elemento SOLID187

È stato, poi, affrontato il problema dell’unione dei nodi all’interfaccia dei solidi corticale e spongioso, che nella realtà sono un unico corpo, seppur con caratteristiche diverse. Questo problema ha richiesto un lavoro manuale di adattamento degli elementi all’interfaccia, per evitare che nell’unione dei nodi gli elementi si distorcessero troppo.

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3.2.4 Contatto

È stato poi definito il contatto fra lo stelo della protesi e l’osso tramite l’utilizzo di elementi face-to-face (TARGE170 per l’osso, figura 3.10, e CONTA174 per la protesi, figura 3.11) che tengono conto dell’attrito e consentono grandi spostamenti tangenziali. La coppia di contatto è stata definita col real set standard. L’impostazione del contatto tipo standard nel modello agli elementi finiti impone che, quando vi è separazione fra le superfici, la pressione normale vada a zero, mentre bonded impone che tutti i punti della contact surface siano sempre a contatto con quelli della target surface lungo la direzione normale e tangenziale restando dentro alla regione di pinball e quindi permettendo un certo sliding. Quando vi è la presenza di gaps fra osso e protesi si parla di contatto di tipo fibrous. Dal punto di vista fisico la configurazione di contatto bonded è tipica dell’interfaccia completamente integrata (osteointegrata). Viceversa la configurazione di contatto fibrous è tipica dell’interfaccia completamente fibrotizzata. La configurazione di contatto standard è tipica dell’interfaccia normale che può diventare sia bonded sia fibrous che rimanere standard, a seconda dei micromovimenti e del gap presente in quella zona.

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Fig.3.11. Elemento CONTA174

3.2.5 Test di convergenza

A questo punto, dopo aver assegnato le proprietà meccaniche ai solidi (3.3) e messo le condizioni al contorno (3.4), è stato deciso il livello di infittimento della mesh, con un test di convergenza eseguito su Ansys, esportando nodi ed elementi da Hypermesh 6.0 con un file di testo. Solitamente i test di convergenza vengono eseguiti su modelli lineari dato che i tempi di calcolo sono minori di quelli necessari per i modelli non lineari.

Nel presente studio è stato, invece, eseguito un test su di un modello non lineare (la non linearità è rappresentata dal contatto osso-protesi) poiché con i moderni calcolatori anche le simulazioni non lineari si eseguono in tempi accettabili.

Il test di convergenza è stato effettuato su parametri, quali lo spostamento massimo del collo della protesi e tensione principale massima nella zona centrale del femore, in funzione del numero di gradi di libertà per la mesh dell’osso (figura 3.12); quella della protesi è stata determinata andando a determinare la convergenza degli slidings cinematici (figura 3.13). Le grandezze, analizzate nello studio di convergenza, sono state scelte sulla base dell’esperienza acquisita per questo tipo di problemi dall’istituto nel quale è stata svolta la tesi.

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21 21,5 22 22,5 23 23,5 24 0 200000 400000 600000 ndof Um a x Serie1 (a) 68 70 72 74 76 78 80 82 84 0 200000 400000 600000 ndof Sm ax Serie1 (b)

Fig.3.12. Convergenza (a) del massimo spostamento del collo della protesi e (b) della massima tensione

principale nella parte centrale del femore per la mesh dell’osso.

0 50 100 150 200 250 300 350 400 450 0 200000 400000 600000 sl id in g s_max Serie1

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In conclusione, il suddetto studio ha portato a definire 55905 elementi e 85670 nodi. Vengono di seguito riportate le mesh dei tre solidi e del contatto:

Fig.3.14. Mesh osso corticale

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Fig.3.18. Elementi contact

3.3 Proprietà dei materiali

Per costruire un modello agli elementi finiti della struttura dell’osso, la dipendenza delle proprietà del materiale dalla densità apparente sembra essere il modo migliore per considerare le variazioni, sia individuali che locali, dell’osso. Così facendo si tiene conto anche dell’età del paziente. La densità apparente è definita come la massa corporea umida dell’osso (g), misurata rimuovendo il midollo e tutti i tessuti di natura fibrosa, diviso il volume intero(cm3) [Ciarelli et al., 1991].

In generale sia osso spongioso che osso corticale si comportano come materiali anisotropi. In letteratura il comportamento meccanico dell’osso è stato caratterizzato sia per la direzione assiale che per quella trasversale, ma non è possibile ancora definire un orientamento predominante sia per l’osso spongioso che per quello corticale nel piano trasversale [Wirtz et al., 2000]. Questo problema viene superato supponendo l’osso corticale ortotropo [Huiskes et al.,1981; Katz and Meunier,1987; Reilly and Burnstein,

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1975; Reilly et al.,1974] mentre l’osso spongioso viene considerato isotropo [Brown and Ferguson, 1980; Lotz et al., 1980; Martens et al., 1983; Rohlmann et al., 1983]. Wirtz [Wirtz et al., 2000] ha valutato la conoscenza delle proprietà dell’osso spongioso e corticale per poter costruire un modello agli elementi finiti della parte prossimale del femore. In tutti gli studi considerati [Abendschein et al., 1970; Lotz et al. 1991; Lotz et al. 1990; Ciarelli et al. 1991; Carter et al. 1980] sono stati presi in considerazione il modulo di Young, la resistenza a compressione, trazione e torsione, il modulo di Poisson, il modulo di taglio e le proprietà viscoelastiche, tutte determinate in modo sperimentale.

Abendschein [Abendschein W. e Hyatt G.W., 1970] ha determinato sperimentalmente il modulo di Young longitudinale per l’osso corticale facendo prove con carichi statici su 51 campioni prelevati dalla zona corticale della diafisi della tibia e del femore; nel prelevare i campioni si è fatto attenzione a tagliarli lungo l’asse longitudinale. I risultati trovati hanno dimostrato che il modulo di Young longitudinale varia proporzionalmente alla densità (figura 3.19a).

Lotz [Lotz et al. 1991] ha studiato il comportamento strutturale dell’osso corticale in 123 campioni rettangolari prelevati dalla parte prossimale del femore di 5 femori umani. I campioni sono stati divisi in due gruppi differenti: inferomediali e superolaterali. Per poter confrontare i risultati sono stati testati anche 36 campioni di osso corticale aventi la stessa geometria prelevati dalla diafisi dei femori stessi. Tutti i campioni sono stati orientati sia nella direzione longitudinale che in quella trasversale. Si è trovato che il modulo di Young longitudinale dei campioni della parte prossimale ha un valore medio di 9560±2410 MPa o del 23% inferiore a quello della diafisi; la differenza fra campioni prelevati dalla zona prossimale e della diafisi è significativa mentre non vi è differenza significativa fra i due gruppi prelevati dalla zona prossimale. Per il modulo di Young trasversale dei campioni della zona prossimale si è trovato un valore medio di 5450±1720 MPa minore di quello nella parte della diafisi pari a 5990±1720 MPa; la differenza questa volta non è significativa. Il modulo elastico longitudinale e trasversale per tutti i campioni considerati da Lotz (sia prossimali che della diafisi) sono riportati nella figura 3.19b.

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(a)

(b)

Fig.3.19. Relazione fra modulo elastico e densità apparente per l’osso corticale. (a) Relazione fra il

modulo di Young longitudinale (Es) e densità in 51 campioni di osso corticale umano [Abendschein et al.,

1970]. (b) Modulo elastico longitudinale e trasversale in funzione della densità apparente (i campioni della parte prossimale e della diafisi) [Lotz et al., 1991].

I dati indicano che il modulo di elasticità longitudinale e trasversale hanno una dipendenza dalla densità apparente differente; inoltre risulta essere dipendente anche dalla posizione di prelevamento dei campioni [Lotz et al., 1991].

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Molti ricercatori hanno studiato la relazione fra densità dell’osso trabecolare e densità apparente. Carter [Carter et al., 1980] ha esaminato il comportamento meccanico dell’osso trabecolare a trazione e a compressione evidenziando la dipendenza dalla densità apparente dell’osso. Campioni cilindrici sono stati prelevati dalla parte prossimale e distale di un femore umano con l’asse longitudinale coincidente con quello dell’osso, che con buona approssimazione corrisponde alla direzione principale delle trabecole. E’ stata trovata una forte influenza esercitata dalla densità apparente sul modulo di elasticità longitudinale dei campioni. Inoltre, i risultati ottenuti dai campioni ‘freschi’ (fresh specimen), sono in accordo con quelli ottenuti in precedenza da Carter e Hayes (1977) nelle prime prove di compressione (figura 3.20a).

Lotz [Lotz et al., 1990] ha studiato il comportamento meccanico a compressione di 49 campioni di osso spongioso prelevati da quattro femori congelati cercando la relazione fra modulo elastico longitudinale e densità apparente misurata con il metodo non invasivo single energy quantitative CT. I risultati ottenuti riportano un valore medio di 441± 271 MPa, in accordo con i risultati ottenuti da Martens [Martens et al., 1983], e una stretta relazione con la densità (figura 3.20b).

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Le proprietà meccaniche trasversali dell’osso trabecolare umano sono state studiate anche da Ciarelli [Ciarelli et al., 1991] considerando le maggiori regioni metafisiarie tramite prove sui materiali e CT. I campioni sono stati prelevati dalla parte prossimale della tibia, parte distale e prossimale del femore, parte distale del radio e parte prossimale dell’omero da quattro donatori differenti. La posizione dei campioni per le prove meccaniche rispecchiavano quelle standard anatomiche di anteriore-posteriore (AP), mediale-laterale (ML) e inferiore-superiore (IS) formando la base del sistema di riferimento. La sequenza dei carichi nelle prove era data da un caricamento in due delle tre direzioni ortogonali e nella prova di rottura nella terza. I risultati ottenuti mostrano come la rigidezza dell’osso trabecolare varia sia dalla posizione da cui sono stati prelevati i campioni che dal tipo di metafisi (femorale, dell’omero, del radio). Inoltre la significatività e la legge di variazione fra densità apparente e modulo di elasticità è funzione della posizione da cui è stato prelevato il campione (figura 3.21).

(a) (b)

(c) (d)

Fig.3.21. Relazione fra densità CT e modulo di elasticità (a) anteriore-posteriore, (b) mediale-laterale, (c)

inferiore-superiore. Tutte le regioni metafiseali sono state considerate. (d) Relazione fra densità CT e densità apparente [Ciarelli et al., 1991].

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La rigidezza e l’anisotropia variano sia in base alla posizione che al tipo di metafisi considerata. Ad ogni modo si è trovato che il modulo di elasticità nella direzione inferiore-superiore è significativamente maggiore del modulo della direzione mediale-laterale e anteriore-posteriore in ogni regione considerata. Mentre il modulo nella direzione anteriore-posteriore è maggiore o non significativamente differente da quello della direzione mediale-laterale (dipende dalla regione considerata). Il massimo valore del modulo elastico è stato trovato per la parte distale del femore mentre il minimo valore per la parte distale del radio. Nella figura 3.21 sono riportati tutti i campioni ed i valori in relazione alla densità CT. Si è trovato anche una relazione rilevante fra densità apparente e densità CT che ha dimostrato come l’uso della CT sia un metodo valido per la misurazione della densità locale dell’osso (figura 3.21d).

Nella tabella 3.3 sono riportati tutti gli autori considerati e il tipo di modulo elastico misurato.

Tipo di osso Riferimento Modulo elastico

Osso corticale Abendschein et al., 1970 assiale

Lotz et al., 1991 assiale

Lotz et al., 1991 trasversale

Osso spongioso Knauss 1981a assiale

Lotz et al., 1990 assiale

Carter et al., 1980 assiale

Ciarelli et al., 1991 assiale

Ciarelli et al., 1991 trasversale

Tab.3.3.Modulo elastico misurato e riferimento bibliografico

Un altro studio sulle caratteristiche meccaniche dell’osso spongioso nella parte superiore del femore umano è stato condotto da Martens [Martens et al., 1983]. I campioni, prelevati da regioni differenti della parte prossimale del femore, sono stati sottoposti a prove di compressione lungo i tre assi ortogonali di riferimento. Si è trovata

(26)

deviazione standard rilevati da Martens per il modulo elastico e la resistenza a compressione dell’osso trabecolare nelle differenti regioni della parte prossimale del femore sono riportati nelle tabelle 3.4, 3.5 e 3.6. [Martens et al., 1983].

Tab.3.4.Modulo di elasticità e resistenza a compressione nella direzione longitudianale (asse x)

(27)

Tab.3.6.Modulo di elasticità e resistenza a compressione nella direzione trasversale (asse z)

Ciò che è stato trovato da Wirtz si può riassumere nei seguenti punti interessanti per il nostro studio:

• modulo di Young: per l’osso corticale è una funzione della densità apparente; per questa ragione dovrebbe essere considerato come materiale non omegeneo. La figura 3.22 mostra la differenza del modulo elastico dell’osso corticale per una densità apparente che varia fra 1.5 [g/cm3] e 2.0 [g/cm3]. Dalla figura si può notare come questa differenza sia più alta in caso di carico assiale che di carico trasversale. Risultati simili sono stati trovati in caso di osso spongioso (figura 3.23);

• modulo di taglio: in accordo con gli esperimenti fatti da Martens [Martens et al., 1983] per l’osso corticale del femore si trova una variazione fra 2840 MPa e 4040 MPa con un valore medio di 3280 MPa. Questi risultati sono confermati anche da Reilly e Burnstein (1974) che danno un valor medio che si aggira sui 3000 MPa. Dati su come la diversa densità dell’osso possa influenzare il modulo di taglio dell’osso corticale non sono stati trovati. L’osso spongioso è stato principalmente studiato da Knauss (1981a);

• modulo di Poisson: non è stata trovata nessuna relazione con la densità apparente e in particolare è stato trovato un valore fra 0.2 e 0.3 (media 0.3) per l’osso corticale mentre per l’osso spongioso fra 0.01 e 0.35 (media 0.12).

(28)

Fig.3.22.Relazione fra modulo di Young e densità apparente per l’osso corticale del femore [Wirtz et al.,

2000]

Fig.3.23. Relazione fra modulo di Young e densità apparente per l’osso spongioso del femore [Wirtz et

(29)

La relazione funzionale fra densità apparente ρ e modulo di elasticità E che si trova valutando la figura 3.22 e 3.23 [Wirtz et al., 2000] è espressa da:

osso corticale

(3.2) E=2065ρ3.09 in direzione longitudinale (3.3) E=2314ρ1.57 in direzione trasversale

osso trabecolare

(3.4) E=1904ρ1.64 in direzione assiale (3.5) E=1157ρ1.78 in direzione longitudinale

Di seguito viene riportata una tabella dove si riassumono le caratteristiche dell’osso spongioso e dell’osso corticale impostate nell’analisi agli elementi finiti :

Tessuto Densità

[g/cm3] Parametro Simbolo Valore Riferimento

Corticale 1.9 Modulo di Young

longitudinale YMcz 2065rc 3.09 Lotz et al., 1991 Wirtz et al., 2000 Modulo di Young trasversale YMcx YMcy 2314rc 1.57 Lotz et al., 1991 Wirtz et al., 2000 Poisson’s ratio Psnc 0.3 Viceconti et al.,2000 Shear modulus longitudinale Gcz 3280 Martens et al., 1983 Wirtz et al., 2000 Shear modulus longitudinale Gcx Gcy Ymc/(1+ Psnc) 2

Spongioso 0.64 Modulo di Young YMs 1904rs1.64 Lotz et al., 1990

Wirtz et al., 2000 Poisson’s ratio Psns 0.3 Viceconti et al.,2000

(30)

Le scelte fatte tengono conto dell’ impossibilità, al momento, di definire una direzione predominante nel piano trasversale sia per l’osso corticale che trabecolare. Inoltre è difficile definire una direzione principale assoluta per l’osso trabecolare nella parte prossimale del femore, dipendendo dalla localizzazione. Per l’osso corticale invece (ortotropo) si può definire come direzione principale quella corrispondente all’asse della diafisi. Nel file di input del modello, la densità apparente dell’osso corticale è stata indicata con rc, mentre quella dell’osso spongioso con rs (vedi Appendice B). Inoltre sia l’osso spongioso che quello corticale sono stati assunti con una densità costante e quindi come materiali omogenei.

La protesi è costruita in lega di titanio, avente modulo elastico normale di 105000 MPa e coefficiente di Poisson ν di 0,3; il coefficiente di attrito è stato assunto pari a 0,3 [Viceconti et al., 2000].

3.4 Condizioni al contorno

La modellazione agli elementi finiti non presenta le limitazioni caratterizzanti le analisi sperimentali in vitro. In quest’ultime, infatti, risulta difficile e talvolta impossibile introdurre carichi variabili ed inoltre si ha a che fare con i normali errori di natura sperimentale. In più va sottolineato che, in un’analisi computazionale FEM, il numero delle variabili di ingresso non va ad influenzare l’esattezza del modello numerico.

Pochi studi di natura sperimentale [Burke et al., 1991; Jasty et al., 1992] e computazionale [Huiskes et al., 1998; Keaveny T.M. and Bartel D.L., 1993; Pilliar et al., 2001] sono stati condotti sulla stabilità primaria dell’impianto considerando anche qualche gruppo di muscoli agenti sul femore.

Inoltre esistono anche pochi studi dove la decisione di includere o escludere certe azioni muscolari è discussa alla luce dei risultati della simulazione.

Burke trovò una relazione non lineare fra i carichi applicati e il movimento relativo fra osso ed impianto. Ramaniraka riportò che il valore e la posizione del picco di movimento fra osso ed impianto dipende fortemente dalla direzione e dal valore delle reazioni muscolari applicate. Cheal [Cheal et al., 1992] concluse che le tensioni di taglio nella parte distale dello stelo erano correlate con il momento torcente indotto dalle forze muscolari e dalla forza di contatto sull’articolazione. Alla luce di queste considerazioni è stato analizzato un caso di carico che tiene conto sia della forza di contatto

(31)

sull’articolazione dell’anca e di alcune azioni dei principali muscoli agenti sulla parte prossimale del femore durante la salita delle scale (stair climbing).

3.4.1 Forza di contatto sull’articolazione dell’anca

La forza di contatto sull’articolazione dell’anca è espressa come percentuale del peso corporeo del paziente [Bergmann et al., 2001]. Essa ha un modulo pari ad F e le sue componenti –Fx, –Fy , –Fz sono state misurate nel sistema di riferimento del femore

x,y,z definito da Bergmann [Bergmann et al., 1993] come si può vedere dalla figura 3.24:

NS NS

Fig.3.24. Sistema di riferimento del femore x,y,z e dell’impianto xi=x,yi,zi. La forza di contatto F è

calcolata nel sistema di riferimento del femore; il momento causato dalla forza di contatto sull’impianto (attorno a NS) è calcolato secondo il sistema di riferimento dell’impianto.

La forza di contatto F è trasmessa dalla coppa acetabolare alla testa dell’impianto e gli angoli di F nei tre piani di riferimento sono chiamati A , A , A.

(32)

My, Mz che agiscono in senso orario attorno agli assi xi, yi, e zi del sistema di

riferimento dell’impianto che è ruotato di un angolo S rispetto al sistema di riferimento del femore.

Molto importante per la stabilità dell’impianto è il momento torcente Mt = - Mzi nel

piano trasversale che tende a ruotare l’impianto all’indietro attorno all’asse dello stelo. Le altre due componenti di M sono di minor importanza poichè dipendono dalla definizione del punto attorno al quale M viene calcolato [Bergmann et al., 2001] (Figura 3.24).

Bergmann ha effettuato una serie di misurazioni su quattro pazienti differenti (HSR, PFL, KWR e IBL ) durante 9 attività motorie quotidiane più comuni.

Per ogni attività è stato definito un paziente medio (NPA) secondo la tabella 3.8 sottostante:

Patient HSR PFL KWR IBL NPA

Slow walking 1 5 5 ---- HSR+PFL+KWR

Normal walking 8 5 8 5 HSR+PFL+KWR+IBL

Fast walking 5 4 5 ---- HSR+PFL+KWR Up stairs 6 2 6 (6) HSR+PFL+KWR Down stairs 4 1 6 ---- HSR+PFL+KWR Standing up 4 4 4 4 HSR+PFL+KWR+IBL Sitting down 4 4 4 (4) HSR+PFL+KWR Standing on 2-1-2 legs 4 4 (4) ---- HSR+PFL Knee bend 4 4 4 ---- HSR+PFL+KWR

Tab.3.8. Numero di prove e tipi di prove per ogni paziente. Il paziente tipico NPA è calcolato dalla media

di 2 a 4 pazienti. Le prove tra parentesi non sono utilizzate per il calcolo del paziente tipico. [Bergmann et al., 2001]

La misura della forza di contatto F e del momento torcente viene eseguita come segue: • misurazione per ogni paziente di ogni prova per ogni tipo di attività e calcolo

della forza media per quel tipo di attività per il singolo paziente, con calcolo delle componenti (figura 3.25);

(33)

• ogni media individuale per ogni paziente è usata per calcolare la media del paziente tipico NPA utilizzando i dati per ogni attività secondo la tabella 3.8 (figura 3.25);

Nella tabella 3.9 sono riportati tutti i valori del valore di picco per la forza di contatto FP

e anche il momento torcente di picco Mtp (calcolato sempre allo stesso modo della forza

di contatto) del paziente tipico NPA. Da questa tabella si può notare come il valore più alto del momento torcente agente sull’impianto lo si ha nella salita delle scale che risulta essere l’attività più critica per la stabilità dell’impianto stesso.

Patient and Activity

Peak Hip Contact Force Fp [%BW]

Peak Torsional Implant Moment Mtp [%BW*m] Cycle Time [s] Body Weight [N]

Patient HSR PFL KWR IBL NPA HSR PFL KWR IBL NPA NPA NPA

Slow walking 239 255 244 --- 242 1.72 1.65 1.71 ---- 1.64 1.25 847 Normal walking 248 211 242 285 238 1.82 1.25 1.64 1.55 1.52 1.11 836 Fast walking 279 218 275 --- 250 1.91 1.21 1.94 ---- 1.54 0.96 847 Up stairs 265 227 272 (314) 251 2.25 1.82 2.96 (2.92) 2.24 1.59 847 Down stairs 263 226 316 --- 260 1.83 1.63 2.33 ---- 1.74 1.46 847 Standing up 181 208 182 220 190 1.18 0.77 1.03 1.01 0.88 2.49 836 Sitting down 176 153 149 (199) 156 0.91 0.37 0.65 (0.75) 0.47 3.72 847 Standing on 2-1-2 legs 253 223 (369) --- 231 1.64 0.96 (1.55) ---- 1.17 6.72 920 Knee bend 177 117 147 --- 143 0.67 0.58 0.83 ---- 0.51 6.67 847

Tab.3.9. Valori di picco della forza di contatto Fp, espressa come %BW, e del momento torcente,

espresso come %BW*m, per il singolo paziente e per il paziente tipico [Bergmann et al., 2001].

Le forze fornite da Bergmann sono espresse nel suo sistema di riferimento e quindi si è provveduto a fare la trasformazione nel sistema di riferimento del modello agli elementi finiti definendo anche il nodo di applicazione. Queste sono riportate, assieme alle reazioni muscolari, nella tabella 3.11.

(34)

abbastanza piccola restando nel range di 12°-16° (angolo Ay) tranne che per l’attività di

stare in piedi su una gamba sola che risulta essere di 7°.

L’angolo Az nel piano trasversale invece varia di più. Durante le attività che causano

una rilevante forza di contatto, l’angolo aumenta proporzionalmente al modulo della forza di contatto F. Per la forza di picco FP l’angolo Az è nel range di 28°-35° per

diverse attività mentre risulta essere di 46° e più per la salita delle scale.

Alla luce dei risultati ottenuti da Bergmann e del fatto che viene considerato l’effetto delle forze su una intera popolazione in un arco temporale di circa un mese, si può trascurare la dipendenza dalla direzione con buona approssimazione.

Resultant Hip Contact Force, All Cycles and Average

(a)

Resultant Hip Contact Force, All Cycles and Average Resultant Hip Contact Force and Components, Average Cycle ResultantF -Fx -Fy back-wards -Fz Fp (b) (c)

(35)

Fp ResultantF -Fx -Fy back-wards -Fz

Resultant Hip Contact Force and Components, Average Cycle

(d)

Fig.3.25. (a) Forza di contatto di otto prove del paziente KWR (linee sottili) e la media individuale (linea

in grassetto) espressa in percentuale del peso corporeo %BW. (b) Media individuale della forza di contatto F del diagramma (a) e sue componenti. La forza Fp è quella di picco.(c) Medie individuale di

quattro pazienti della forza di contatto e forza media di contatto del paziente tipico NPA (linea in grassetto). (d) Forza di contatto del paziente tipico NPA, sempre espressa in %BW, e sue componenti [Bergmann et al., 2001].

Slow

Walking WalkingNormal WalkingFast StairsUp DownStairs StandingUp SittingDown Standing on2-1-2 Legs KneeBend

16° 7° 7° 28° 14° 16° 12° 30° 13° 31° 16° 14° 46° Az = 46° Ay = 14° 12° 35° Transverse Plane Frontal Plane 12 ° 1° 36°

(36)

3.4.2 Azioni muscolari

È noto che le azioni muscolari incidano notevolmente sulla stabilità dell’impianto [Cheal et al., 1992] e, quindi, è importante prenderle in considerazione nel presente studio. Un modello che tenga conto di tutti i carichi sul femore non è stato ancora sviluppato, ma in letteratura si trovano studi nei quali sono misurate e considerate le principali forze muscolari.

In particolare Heller e Duda [Heller et al., 2001; Duda et al., 1998] riuscirono a stimare le azioni muscolari e le loro componenti sia per la camminata normale (attività che produce il massimo picco della forza sull’articolazione dell’anca) che per la salita delle scale (attività che produce il massimo momento torcente agente sull’impianto). Per lo studio della stabilità primaria l’attività motoria di maggiore interesse è quella che fornisce un momento torcente maggiore e quindi la salita delle scale (stair climbing). Come si può vedere nella tabella 3.10, non tutti i muscoli agiscono all’atto della salita delle scale. Inoltre nella stessa tabella sono riportate le componenti di queste azioni in percentuale del peso corporeo (%BW), nel sistema di riferimento utilizzato dal Bergmann spiegato precedentemente, per il frame 40 del paziente NPA. Il frame 40 è quello che presenta un picco di momento torcente maggiore nelle misurazioni effettuate da Bergmann [Bergmann et al., 2001]. I vari muscoli principali agenti sulla parte femorale e le varie origini ed inserzione di tutti i muscoli sono riportati nelle figure 3.29, 3.30, 3.31 e 3.32 alla fine del paragrafo. In particolare si possono prendere in considerazione solo l’abduttore, che raggruppa in una singola unità i glutei (gluteo massimo, medio, minimo; figura 3.27), il tratto ileo-tibiale, il semitendinoso, il tensore della fascia lata, il vasto mediale e il vasto laterale. Le reazioni muscolari considerate fanno riferimento ai sette muscoli più importanti che agiscono nella parte prossimale del femore nell’attività di salita delle scale. Gli abduttori, attaccati all’altezza del grande trocantere, il tratto ilio-tibiale e il tensore della fascia lata, che avvolgono il grande trocantere.

(37)

Frame 40

Muscle / Force [ %BW ] Fx Fy Fz

abductor -70.1 -28.8 -84.9

adductor 0.0 0.0 0.0

ilio-tibial tract, proximal -10.5 3.0 -12.8

ilio-tibial tract, distal -0.5 -0.8 -16.8

biceps femoris long head, segment 1 0.0 0.0 0.0

biceps femoris long head, segment 2 0.0 0.0 0.0

gracilis, segment 1 0.0 0.0 0.0 gracilis, segment 2 0.0 0.0 0.0 rectus femoris 0.0 0.0 0.0 satorius, segment 1 0.0 0.0 0.0 satorius, segment 2 0.0 0.0 0.0 semimembranosus, segment 1 0.0 0.0 0.0 semimembranosus, segment 2 0.0 0.0 0.0 semitendinosus, segment 1 0.0 7.6 -85.0 semitendinosus, segment 2 -29.9 -15.4 -78.4

tensor fascia lata, proximal part -3.1 -4.9 -2.9

tensor fascia lata, distal part -0.2 -0.3 -6.5

gastrocnemius medialis, segment 1 0.0 0.0 0.0

gastrocnemius medialis, segment 2 0.0 0.0 0.0

gastrocnemius lateralis, segment 1 0.0 0.0 0.0

gastrocnemius lateralis, segment 2 0.0 0.0 0.0

biceps femoris short head, segment 1 0.0 0.0 0.0

biceps femoris short head, segment 2 0.0 0.0 0.0

vastus lateralis -2.2 22.4 -135.1

vastus medialis -8.8 39.6 -267.1

Tab.3.10.Componenti delle reazioni muscolari durante il frame 40

(38)

P1 P2

P3

tensor fascia lata, proximal part

tensor fascia lata, distal part ilio-tibial tract, distal part abductor ilio-tibial tract, proximal part vastus medialis astus lateralis v (a) (b) (c) (d) (e) (f)

Fig.3.27. (a) Gluteo massimo; (b) gluteo medio; (c) gluteo minimo; (d) vasto; (e) tensore fascia lata; (f)

semitendinoso

.

Questa schematizzazione non prende in considerazione il muscolo semitendinoso che, come si può vedere nelle figure 3.29 e 3.30, ha origine nella zona pelvica e termina nella parte prossimale della tibia. La schematizzazione a cui si fa riferimento è quella trovata in letteratura e studiata da Heller e Duda [Heller et al., 2001; Duda et al., 1998]:

(39)

P0 P1 P3 P2 (b) (c)

Fig.3.28. Semplificazione adottata per i sette muscoli principali agenti sulla parte prossimale del femore.

La forza è espressa in percentuale del peso corporeo (%BW) durante la salita delle scale. (a) Semplificazione adottata da Heller e Duda , (b) Carichi e (c) Vincoli (in bianco) nel modello fem.

(40)

I carichi, sempre espressi in percentuale del peso corporeo (%BW), sono stati poi espressi nel sistema di riferimento del modello agli elementi finiti. La tabella 3.11 riporta la forza di contatto P0 agente sull’articolazione dell’anca, le varie reazioni muscolari P1, P2 e P3 espresse nel sistema di riferimento del modello agli elementi finiti e i vari punti di applicazione sempre derivanti dallo studio di Heller e Duda. Per ciò che riguarda i vincoli, l’osso è vincolato interamente all’altezza dei condili distali (parte inferiore del femore in prossimità del ginocchio, figura 3.28c)

Componenti delle forze da Heller [ %BW ]

muscolo forza nodo FX FY FZ

Hip contact P0 -59.3 -60.6 -236.3

Abductor P1 70.1 28.8 84.9

Ilio-tibial tract, proximal part P1 10.5 -3.0 12.8

Ilio-tibial tract, distal part P1 -0.5 -0.8 -16.8

Tensor fascia lata, proximal part P1 3.1 4.9 2.6

Tensor fascia latadistal part P1 -0.2 -0.3 -6.5

Vastus lateralis P2 -2.2 22.4 -135.1

Vastus medialis P3 -8.8 39.6 -267.1

(a)

Forze risultanti sistema di riferimento FEM [ %BW ]

muscolo forza nodo FX FY FZ

Hip contact P0 1605 58 -57 -236

Abductor P1 71815

Ilio-tibial tract, proximal part P1 71815 Ilio-tibial tract, distal part P1 71815 Tensor fascia lata, proximal part P1 71815

Tensor fascia latadistal part P1 71815

-28 79 77

Vastus lateralis P2 71584 -21 -2 -135

Vastus medialis P3 72111 -38 -8 -267

(41)

Punti di attacco x [mm] y [mm] z [mm] forza 0.00 0.00 0.00 P0 -67.83 -12.04 -35.45 P1 -49.40 -5.01 -79.52 P2 -18.79 8.82 -106.23 P3 (c)

Tab.3.11. Trasformazione delle forze nel sistema di riferimento del modello di Heller e Duda (a) a quello

degli elementi finiti (b) e punti di attacco nel sistema di riferimento di Bergmann (c)

(42)

Fig.3.30. Attacchi ossei dei muscoli dell’anca e della coscia visti posteriormente

(43)

Fig.3.32. Muscoli della coscia visti posteriormente

3.5 Modello utilizzato nello studio

Il modello è composto da due mesh, una per l’osso e una per lo stelo, formate da elementi parabolici a 10 nodi (SOLID187) [Muccini et al., 2000; Polgar et al., 2001]. Il modello considera la mesh dell’osso divisa in due regioni: quella corticale e quella spongiosa. L’osso corticale è stato assunto come trasversalmente isotropo e omogeneo, mentre l’osso spongioso isotropo e omogeneo. I moduli di elasticità dei due tipi di ossa sono stati espressi in funzione della densità apparente dell’osso stesso. La densità apparente è definita come la massa corporea umida dell’osso (g), misurata rimuovendo il midollo e tutti i tessuti di natura fibrosa, diviso il volume intero (cm3) [Ciarelli et al., 1991]. Così la differenza delle proprietà meccaniche dell’osso è ottenuta variando la densità apparente dell’osso corticale e di quello spongioso entro il range di valori trovati

(44)

Lo stelo della protesi è in contatto con l’osso tramite l’utilizzo di elementi di contatto face-to-face (TARGE170 per l’osso e CONTA174 per la protesi) che tengono conto dell’attrito e consentono grandi spostamenti tangenziali (frictional contact element). Il coefficiente di attrito è stato assunto pari a 0.3 [ Viceconti et al., 2000].

L’impianto è caricato con una forza applicata al centro della testa della protesi (forza di reazione dell’anca) di direzione e intensità tipica del carico di picco durante la salita delle scale, mentre il femore con quattro forze addizionali, risultanti dei principali gruppi muscolari che agiscono su di esso [Bergmann et al., 2001; Heller et al., 2001; Duda et al., 1998].

Per ciò che riguarda i vincoli, l’osso è vincolato interamente all’altezza dei condili distali (parte inferiore del femore in prossimità del ginocchio). Mentre la direzione della forza di contatto dell’anca e delle varie reazioni muscolari nel modello è stata considerata costante, l’intensità di tutte queste forze è stata espressa come funzione del peso corporeo del paziente.

La variazione delle possibili masse corporee (59-119 kg) è stata presa dal registro del R.I.P.O. (Registro dell’Implantologia Protesica Ortopedica) degli Istituti Ortopedici Rizzoli, considerando solo i pazienti che hanno subito un intervento con la protesi AncaFit. In prima analisi è stata considerata una massa di 89 kg, che si colloca a metà dell’intervallo di variazione suddetto.

L’analisi numerica finale ha richiesto un tempo di calcolo di circa 14 ore (utilizzando un Pentium 4 a 3 GHz).

Riferimenti

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