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Capitolo 1: il mito I

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Capitolo 1: il mito

IL RACCONTO DI ELENA

Per quanto riguarda l’Elena del mito, la prima testimonianza scritta a cui possiamo guardare non può che essere Omero. Ma nell’Iliade, quando nel III canto Elena compare affacciandosi dai bastioni di Troia per assistere al combattimento tra Menelao e Paride, viene dato per scontato che il destinatario dell’opera conosca già il personaggio, perciò non si ritiene necessaria una particolare presentazione1. Gli antefatti del racconto omerico dovevano essere noti al suo pubblico, più di quanto non lo siano per noi: bisogna tener presente che il poema affronta solo un segmento di una narrazione molto più vasta, in origine orale, poi in forma scritta, riguardante le vicende della guerra, i suoi antefatti e le sue conseguenze.

Tralasciando le fonti orali, che per ovvi motivi non possono essere individuate se non per supposizioni e testimonianze indirette, ci soffermiamo invece sulla produzione scritta relativa agli eroi del ciclo troiano, anche se essa è solo in parte rintracciabile2.

L’autorità di cui i due poemi omerici hanno goduto dall’antichità ai giorni nostri, la statura poetica e letteraria che ne hanno fatto per secoli i referenti e i termini di paragone assoluti della poesia epica successiva, li hanno in certo modo preservati dall’azione distruttiva del tempo. Tale eccellenza artistica però ci dissuade dal vedere in essi il primo parto letterario della cultura greca, suggerendo l’esistenza di una produzione scritta più consistente entro la quale i due poemi si dovevano inserire.

Il processo di selezione storica che ha risparmiato i due poemi dalla sorte degli altri componimenti eroici dello stesso periodo, sopravvissuti in forma frammentaria o dispersi, ci permette di avere una visione solo parziale di quell’ampio patrimonio epico. Gran parte di queste opere non sono giunte fino a noi, ma alcuni di questi titoli ci sono noti: La

piccola Iliade, La distruzione d Ilio, i Ritorni e i Canti Cipri.

Dei Canti Cipri ci rimangono alcuni frammenti, dai quali si deduce che argomento principale del poema dovessero essere gli eventi precedenti la guerra: il personaggio di Elena doveva avere un’importanza rilevante nell’economia del racconto, che prestava

1Omero, Iliade, III, vv. 125-128. 2 Hughes B., 2007, p. 36.

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particolare attenzione ai suoi anni giovanili, e introduceva così gli eventi che porteranno alla guerra.

IL PERSONAGGIO

Molto spesso la figura di Elena viene associato al tradimento: l’incontro con Paride a Sparta e la fuga verso Troia saranno le cause scatenanti della guerra che vedrà opporsi per dieci anni l’esercito greco e quello troiano sotto le mura della città assediata.

Il prevalere della tradizione letteraria legata ai poemi omerici ha fatto sì che il personaggio entrasse nella storia come emblema della donna infedele, causa di sciagure e lutti, immagine per antonomasia dei pericoli insiti nella bellezza femminile per chi da essa si lascia sedurre. Ma questa visione é senza dubbio più tarda rispetto al momento in cui l’eroina fa la sua comparsa nel mito e più tarda anche rispetto ad Omero, che in più di un’occasione scagiona Elena dalla sua colpa; rispecchia piuttosto un atteggiamento misogino tipico della Grecia classica e della tarda antichità.

Tale atteggiamento sarà proprio anche della società romana e perdurerà nelle epoche successive fino alle soglie dell’era moderna, facendo sì che la condanna nei suoi confronti venga perpetuata nella letteratura successiva.

In questo modo viene messo in ombra un aspetto fondamentale del personaggio, dimenticando che Elena è innanzi tutto una creatura semi-divina, in quanto figlia di dei, ma in quanto unica figlia di Zeus, padre e signore di tutte le altre divinità olimpiche, deve necessariamente elevarsi ad una posizione particolare, e non può quindi ridursi al piano prettamente umano della donna fedifraga e immorale.

In Omero Elena viene menzionata spesso come figlia di Tindaro e di Leda, eludendo del tutto la sua duplice natura umana e divina, ma altrove viene accomunata ai Dioscuri, dei quali viene detta sorella germana, riconoscendole quindi la loro medesima paternità e maternità3.

Non bisogna dimenticare che Omero arriva a dare una sua configurazione stabile, e in un certo modo a fissare per la prima volta in forma strutturata una materia fluida di racconti che aveva già alle spalle alcuni secoli di vita: questo comportava la necessità di operare una scelta tra le tante versioni disponibili del mito in circolazione al suo tempo.

3 Omero, Iliade, III, 311.

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La tradizione orale che fino ad allora era rimasta il veicolo privilegiato delle storie mitologiche, favoriva peraltro il proliferare di aggiornamenti variazioni e arricchimenti, che rendevano inevitabile un lavoro di selezione per chi volesse metterne per iscritto un racconto coerente. Questo non impedisce alle versioni scartate di continuare ad esistere e a viaggiare sotto varie forme, facendosi veicolo di significati che per la società greca dell’epoca pre-letteraria, non dovevano essere neanche tanto sottintesi. Se il mito è nato come esemplificazione di valori sociali, morali o spirituali comunemente riconosciuti da un determinato gruppo umano, allora il suo significato doveva essere chiaro ai suoi fruitori nel momento in cui esso veniva narrato e tramandato.

Se analizziamo la storia e la natura del personaggio di Elena sarà più facile capire quali fossero i significati e i valori che essa veicolava in sé, e dare quindi un senso specifico anche agli eventi che si dipanano dal suo agire.

Una delle tradizioni più accreditate è quella che vuole la guerra di Troia come un evento necessario, voluto da Zeus per porre fine alla stirpe degli eroi. É questa la versione data dai Canti Cipri: “Ci fu un tempo in cui innumerevoli tribù [di uomini gremivano] l’ampia superficie della terra florida, e Zeus al vederlo ne ebbe pietà e, nella sua saggezza, decise dia alleggerire la terra che tutti nutre dagli uomini facendo divampare quel gran conflitto che fu la guerra di Troia, in modo che il gran numero di morti svuotasse il mondo”4.

Ci troviamo quindi nel momento in cui un’epoca sta volgendo al termine: l’età degli eroi è ormai giunta ai suoi ultimi decenni, e la stirpe dei figli degli dei, con la generazione dei guerrieri di Troia e poi con quella successiva, si esaurirà, segnando in questo modo anche il punto d’arrivo del racconto mitico, che lascerà spazio al racconto storico.

La guerra è sentita come necessaria a ripulire e alleggerire la terra, come un ennesimo diluvio universale, dall’opprimente peso degli eroi, e lo strumento scelto dal padre degli Dei perché si compia questa svolta epocale è proprio Elena, la bellissima figlia nata dagli amori di Zeus e Leda.

Già da questo momento possiamo evidenziare un carattere essenziale della sua figura, insito nella sua stessa natura: la necessità.

4 Canti Cipri, in: Hughes B., 2007, p. 370.

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Elena è cioè inviata agli uomini da Zeus come rimedio per una situazione divenuta insostenibile, ed è quindi essa stessa necessaria affinché i disegni divini si compiano.

Nella sua figura Necessità e Bellezza diventano una coppia inscindibile: la bellezza che ella rappresenta e che causa tanti lutti agli eroi e alle città, non è altro che un veicolo della necessità.

LA NASCITA

La nascita è in genere un momento molto indicativo per capire la natura di un personaggio mitico: in essa sono spesso adombrati caratteri che saranno tipici di quel personaggio e che ne determineranno le attitudini e in certo modo ne prefigurano il destino. Per quanto riguarda Elena, nelle vicende relative alla sua nascita, troviamo più di un elemento che vale la pena rilevare, e che sembra annunciarne un avvenire votato alle forti passioni: brama erotica, violenza e morte.

La madre sarebbe stata la bellissima regina di Sparta, Leda, sposa di Tindaro, come già viene affermato nell’Iliade dalla stessa Elena: “Ma due non riesco a vedere, due condottieri di eserciti, Castore domatore di cavalli e Polluce, il forte pugilatore, i fratelli che ha generato mia madre”5.

In quanto sorella dei Dioscuri, Elena viene dunque accomunata a loro nella nascita: sarebbe nata dagli amori di Zeus con Leda. Il padre degli dei vedendo la regina bagnarsi nuda nelle acque dell’Eurota se ne invaghì, e per sedurla assunse le innocue sembianze di un cigno. In seguito all’insolito accoppiamento Leda depose un uovo, dal quale, una volta schiuso, nacquero i gemelli Castore e Polluce.

La metamorfosi del padre degli dei nell’uccello marino spiegherebbe la nascita dall’uovo, mentre la presenza di due figli indicherebbe che Leda quella stessa notte si era unita al legittimo sposo Tindaro (o forse era già incinta al momento dell’unione con Zeus, in fondo la gestazione dei figli concepiti da un dio richiederebbe tempi più brevi rispetto ai figli dei mortali): ne sarebbe risultata una coppia di gemelli, dei quali uno (Polluce) eredita dal Padre Zeus la natura divina e immortale, mentre l’altro (Castore) quella mortale di Tindaro.

Il legame strettissimo di Elena con i due fratelli pone una prima questione interessante: il rapporto del personaggio con la duplicità. L’ipotesi che la vede accomunata a loro nella

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nascita dall’uovo, la renderebbe partecipe di una duplice natura umana e divina, ma anche incarnazione essa stessa della duplicità.

Elena era, lo ricordiamo, l’unica figlia mortale generata da Zeus, ma questa sua unicità nasconde già in auge una duplicità, come osserva a proposito Calasso: “Così Elena, l’unica, è sin dall’inizio legata alla gemellità e alla scissione. L’unica è la figura stessa del Doppio” 6.

Non a caso è destinata a diventare emblema di valori contrapposti: oggetto di intenso amore e di altrettanto intenso odio, di desiderio e repulsione, portatrice di piacere e distruzione, amore e morte.

Secondo altre versioni relative alla nascita dall’uovo, come ad esempio nella tradizione accertata del culto tributato ad Elena a Sparta, e in quella dei Canti Cipri, i Dioscuri figurano quali fratelli maggiori di Elena, e in quanto tali presenziano alla schiusa dell’uovo dal quale sarebbe nata la sorella, un uovo quindi deposto da Leda in un secondo momento. Diverse rappresentazioni vascolari del V secolo attestano questa versione: qui i Dioscuri sono ritratti assieme alla madre Leda e agli personaggi della famiglia di Tindaro che circondano l’altare sul quale è collocato l’uovo di Elena in attesa di schiudersi.

Va poi ricordata la versione secondo cui le uova deposte da Leda al termine della notte d’amore che la regina aveva diviso tra Zeus e Tindaro, sarebbero state due, e da ognuna di esse sarebbe nata una coppia gemellare: Castore e Polluce, come già noto, da una, mentre dall’altra la loro controparte femminile, rappresentata dalle sorelle Elena e Clitennestra, accomunate da un analogo destino di tradimento, distruzione e morte. In entrambe le coppie figurerebbe così un elemento divino e uno mortale: Polluce ed Elena da un lato, Castore e Clitennestra dall’altro. Si portava quindi ad un livello ancora più articolato l’elemento di duplicità che è alla base dell’episodio.

Per quanto riguarda la coppia formata dalle due sorelle, bisogna osservare come in questo caso la gemellarità non assuma, come accade invece per i Dioscuri, una dimensione totalizzante: Elena e Clitennestra manifestano due individualità distinte, sebbene unite da caratteristiche comuni. Entrambe diverranno le spose di uno dei due figli di Atreo, legando nuovamente il proprio destino ad un’altra coppia di celebri fratelli, ed entrambe si

6 Isocrate, Elogio di Elena, 16.

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dimostreranno mogli infedeli, ma per quanto le loro storie si richiamino, i due personaggi seguiranno tuttavia vicende distinte, e ognuna è dotata di una sua propria individualità.

Così non accade per i fratelli Castore e Polluce, che rimangono, al contrario, privi di una propria specificità, fino al punto di condividere non solo le stesse imprese in vita, ma anche un uguale destino dopo la morte, che originariamente sarebbe stato per loro unico motivo di distinzione7.

Questa peculiarità dei Dioscuri li distingue tra tutte le coppie di gemelli del mito e ne fa figure che si collocano “ai limiti della duplicità, o meglio figure nelle quali l’unicità della persona sembra convivere con il suo sdoppiamento”8.

Il forte legame che unisce i Dioscuri e che li rende incapaci di acquisire una propria autonomia anche nella morte, non può non incidere sul personaggio di Elena. In lei il ruolo della sorella gemella si ripropone di continuo: ella riveste tale ruolo tanto in rapporto all’intera coppia, quanto in rapporto al solo Polluce, e infine in rapporto a Clitennestra, anche se le versioni che vogliono le due sorelle nate dallo stesso uovo sembrano essere più tarde.

Quindi nella storia di Elena, su diversi livelli, il mito non fa che reiterare il tema dello sdoppiamento, rendendo abbastanza esplicito il peso di tale aspetto nel delineare la natura del personaggio. Data la debole presenza di Clitennestra nelle fonti, la tradizione sembrerebbe contrapporre la sola Elena alla coppia per eccellenza, come se in lei la duplicità fosse riunita in un unico corpo.

Altro elemento di spicco in questa vicenda è quello della nascita dall’uovo. Il fatto che la gestazione e il parto di Elena non avvengano secondo le procedure naturali, ma in un contesto alieno a quello del grembo materno, sancisce un deciso distacco dalla madre, mettendo in risalto la natura super-umana della figlia. Le particolari circostanze della sua nascita vengono spesso messe in relazione con le qualità fisiche della bellissima figlia di Zeus: “È bianca, come è naturale essendo nata da un cigno, morbida come può essere essendosi formata da un uovo”9.

7 Per amore del fratello Castore, ucciso durante una lite con gli Afaretidi, Polluce chiede al padre Zeus, di

poter rinunciare alla propria immortalità, per concederne almeno una parte al fratello mortale. Da allora i due fratelli parteciperanno di una stessa condizione di semi-immortalità, trascorrendo a turno un giorno presso il padre e uno negli inferi (Pindaro, Nemea X, in: Bettini M., Brillante C., 2002: p. 73).

8

Bettini M., Brillante C., 2002, p. 73.

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La pelle candida di Elena, che ella aveva ereditato dai geni di Zeus tramutato in cigno, era senza dubbio uno degli aspetti più emblematici della sua divina bellezza. Così anche l’uovo di cigno sembra avere la sua parte nel determinare le qualità della più bella delle donne: dal bianco piumaggio dell’uccello al biancore dell’uovo, quel carattere divino si imprime sulla pelle della principessa di Sparta.

Per i Greci l’uovo era un simbolo di fertilità e potenza sessuale, così che non deve stupire trovarlo associato alla figura di Elena, immagine stessa della sessualità e della seduzione. Da quanto apprendiamo da Pausania, i resti di quell’uovo erano rimasti a Sparta, dove si potevano vedere ancora al suo tempo, appesi con nastri al tetto del tempio dell’Acropoli10. Se la notizia è vera possiamo immaginare che tali reliquie fossero oggetto di devozione da parte dei seguaci di Elena, in una regione in cui il culto a lei tributato era fortemente sentito e praticato almeno a partire dal VII secolo a. C. in virtù di un sentimento di identità territoriale che legava Elena indissolubilmente alle radici della città11. Comunque da questa testimonianza possiamo ancora rilevare che l’episodio della nascita dall’uovo doveva avere un preciso valore simbolico in relazione al personaggio di Elena, in quanto ne ribadiva il carattere di inusuale e potente sessualità.

Nell’uovo è inoltre implicito un significato di genesi primordiale, che accomuna la figlia di Zeus ad alcune figure mitiche la cui origine risale alle origini del mondo (non a caso è proprio Eros, figura stessa dell’amore, il primo ad essere nato da un uovo)12.

Come fonte primordiale di vita, l’uovo racchiude in sé la vita, ma la nasconde sotto le sembianze della morte: le trasformazioni che avvengono al suo interno non sono visibili da fuori, tanto che dall’esterno potrebbe sembrare un oggetto inanimato. L’uovo ha così nella simbologia funeraria degli antichi un valore di primo piano, venendo spesso utilizzato negli arredi funebri, come importante elemento di transizione tra la vita e la morte, ed assumendo anche il valore di simbolo di rinascita e rigenerazione. Ancora una volta quindi Elena è messa in relazione con un simbolo di morte e non a caso il mito della nascita della figlia di Leda dall’uovo è un motivo che ricorre spesso in ambito funerario.

10 Pausania, Guida della Grecia, III. 11 Hughes B., 2007, p. 57.

12 Aristofane negli Uccelli descrive questa teogonia: “ …e nel grembo immenso dell’Erebo la Notte

nero-alata partorì dapprima un uovo senza germe, onde, col mutar delle stagioni, nacque l’amabile Eros”. (Wind E., 1971: p.207).

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L’uovo è l’elemento di raccordo tra condizioni opposte, così come opposte sono le condizioni dei due fratelli nell’aldilà, immortali per un giorno e ombre senza volto il giorno successivo. Il contraddittorio si rivela un elemento che è alla base del personaggio di Elena e bisognerà tenerne conto nell’analizzarne ogni aspetto del racconto.

LEDA E NEMESI

Nel VII dei Canti Cipri si racconta: “Allora egli [Zeus] generò Elena, meraviglia per i mortali, lei che un giorno, per colpa di una brutale necessità, fu partorita da Nemesi dalle belle chiome unitasi a Zeus, re degli dei. Lei fuggiva e non voleva l'unione carnale con il Padre, il dio figlio di Crono. Giacché nella sua anima era tormentata dalla vergogna e dall'indignazione (αιδό και νέµεσις)”13.

Secondo l’anonimo autore dei Canti Cipri cioè, Elena sarebbe la figlia generata dall’unione di Zeus con Nemesi, e non già con Leda: viene riportata qui una differente versione del mito relativa alla nascita di Elena sulla quale occorrerà soffermarsi.

Nemesi, giusta ripartizione ma anche e soprattutto nome della Vendetta, figlia della Notte, è preceduta nel catalogo esiodeo dalle Chere, le Vendicatrici e seguita da Philote, amore carnale, ed Apàte, inganno: appartiene a quella categoria di divinità femminili la cui natura sfugge ad una precisa determinazione14. In senso stretto non è una vera e propria divinità ma nemmeno una mortale; essa è, in definitiva, figura stessa della Necessità, ed appartiene ad un universo che trascende gli dei Olimpi, poiché esisteva già prima di loro: rappresenta una delle potenze primordiali che reggono e governano l’universo, amministrano le vicende del mondo, degli dei e degli uomini.

Approssimativamente tradotto col termine di vendetta, Nemesi sancisce “l’ineluttabile conseguenza dell’offesa” e si accompagna sempre con Aidòs (pudore), colei che trattiene dal compiere l’offesa15.

Poiché era bellissima, un giorno Zeus se ne invaghì e volle provare a sedurla, malgrado ella gli fuggisse per terra e per mare sino ai confini del mondo, assumendo di volta in volta sembianze di animali diversi per adattarsi agli elementi che incontrava. Il signore dell’Olimpo non desistette dall’inseguimento, assecondando quelle metamorfosi finché

13 Canti Cipri, fr. 6, in: Loraux N., 1991, p. 217. 14

Loraux N., 1991, p. 217.

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non riuscì a raggiungerla e, poiché in quel momento ella aveva assunto le sembianze di un’oca selvatica, si unì a lei in forma di cigno: “Si mescolò a lei per possente necessità”16.

Secondo un’altra versione, Zeus avrebbe chiesto aiuto ad Afrodite, che, tramutatasi in aquila, avrebbe finto di minacciare il cigno-Zeus. Nemesi, volendo proteggere l’animale braccato dal terribile predatore, accolse il cigno nel suo grembo e si addormentò tenendolo tra le cosce, dando modo così al dio di abusare di lei mentre ella ancora dormiva.

Se sia stato in virtù di tale astuzia, o dopo un lungo ed estenuante inseguimento che Zeus riuscì alla fine ad avere la meglio sulla Necessità, il frutto di questo violento, o fraudolento accoppiamento sarà anche stavolta un uovo, dal quale nascerà Elena: violenza e frode sono già inscritti nel suo destino, ma soprattutto, ella è il parto della Necessità, e infatti sarà attraverso la sua bellezza che si realizzeranno i disegni divini. L’uovo, prelevato dal ventre di Nemesi, sarà poi consegnato ad Ermes, con l’incarico di depositarlo nel ventre di Leda17.

Secondo altre versioni l’uovo fu deposto ai piedi del Taigeto (la collina che domina Sparta), nei boschi o in un’area paludosa, e fu Leda a trovarlo nascosto dai giacinti, o piuttosto un pastore, che lo consegnò poi a Leda perché lo custodisse fino alla schiusa18.

Vediamo quindi come in questo modo alla coppia di genitori mortali Leda-Tindaro si venga a sostituire del tutto una coppia divina: Nemesi-Zeus, sancendo il definitivo distacco di Elena dal mondo dei comuni mortali per assurgere alle sfere del divino.

Questa versione del mito incontrò particolare fortuna in Attica, dove a Nemesi era tributato un culto particolare nel santuario di Ramnunte. Qui nel V secolo fu commissionata ad uno degli allievi di Fidia una statua della divinità, che ci viene descritta come una figura femminile di incredibile beltà, tanto bella da poter essere scambiata per un’Afrodite. Sul suo basamento era raffigurato un momento particolare del mito di Elena: il momento in cui Leda accompagnava la figlia ormai adulta presso la sua vera madre, Nemesi19.

16

Canti Cipri, fr. 6, 3, in: Calasso R., 1991: p. 148.

17 Igino, Astronomia, II, 8.

18 Saffo, fr. 166: “ dicono che un tempo Leda trovasse un uovo avvolto in un giacinto” (in: Saffo, Liriche e

frammenti).

Apollodoro, Biblioteca III, 10, 7: “Dall’unione con Nemesi partorì un uovo che un pastore trovò nei boschi e portò in dono a Leda; Leda lo custodì e, a tempo debito, nacque Elena che lei allevò come sua figlia.”

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Venivano in questo modo celebrate le origini attiche di un personaggio che, per il resto, appartiene completamente alla tradizione spartana, testimoniando così l’incontro e la fusione tra due culti.

Ma il culto di Nemesi, prima che a Ramnunte, era celebrato a Smirne, in Asia minore, dove essa vi appare non più come una singola divinità, ma come coppia: le due Nemesi20. Anche in questa enigmatica figura sembra, quindi, di scorgere quei caratteri che saranno propri della figlia: una pericolosa quanto irresistibile bellezza, il marchio della Necessità che agisce attraverso l’offesa e la reazione all’offesa (ybris e nemesis), un’ambiguità di fondo che si manifesta nello sdoppiamento.

IL CULTO DI ELENA

A Sparta, sua città natale, Elena veniva venerata come divinità e il suo culto si celebrava in due luoghi diversi. Uno è il Platanistàs, il bosco di platani nelle cui vicinanze sorgeva il dromos (la pista in cui si allenavano i giovani spartani), lungo le sponde dell’Eurota: è il luogo dove si celebra l’adolescenza di Elena, quando, assieme alle compagne, si esercitava nella corsa e nell’esercizio fisico, come a Sparta erano solite fare le giovani al pari dei ragazzi. L’altro è il Menelaion di Terapne: qui si celebrava Elena non più come vergine danzante, ma in quanto giovane la cui maturità è giunta a compimento attraverso l’iniziazione ed è ormai pronta al matrimonio21.

Questi due aspetti della figura di Elena costituivano per la società spartana due momenti di passaggio fondamentali nel percorso delle adolescenti verso la loro integrazione sociale: pubertà e matrimonio. Possiamo immaginare che qui Elena fosse venerata in certo modo come protettrice delle giovani in questa delicata fase della loro vita e che tale culto comportasse particolari cerimonie iniziatiche per le ragazze che si accingevano, seguendo il suo esempio, ad abbandonare la condizione di fanciulle e i giochi con le compagne, per occupare il proprio posto nella società come donne mature, pronte per il ruolo di mogli e di madri.

L’Epitalamio di Elena, un componimento nuziale composto da Teocrito per celebrare le nozze tra Elena e Menelao, costituisce una testimonianza del ruolo che la figura di Elena doveva ricoprire nella società spartana, dove il poeta cerca di fornirci la spiegazione delle

20

Pausania, Guida della Grecia, VII, 5, 13.

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origini di una cerimonia che veniva svolta regolarmente a Sparta e che aveva Elena come protagonista.

Nell’idillio teocriteo un coro composto di 12 fanciulle intonano un canto in onore della coppia davanti alla stanza nuziale degli sposi: vengono lodate le qualità della sposa e viene esortato lo sposo con una punta di malizia a svolgere il proprio dovere coniugale. Poi le ragazze rievocano i tempi in cui Elena, non ancora iniziata al matrimonio, allietava le compagne della sua presenza e assieme alle altre vergini di Sparta si esercitava nella corsa e nella danza sulle sponde dell’Eurota22.

In onore della compagna perduta sarà questo coro di fanciulle ad istituire quei rituali, forse accompagnati da competizioni sportive, che diverranno momento centrale del culto praticato nel Platanistàs in onore di Elena Parthenos (fanciulla)23.

Attraverso l’espediente della rievocazione del tempo passato da parte delle ex-compagne di Elena, nell’Epitalamio troviamo riuniti quei due aspetti di Elena, vergine e sposa, che erano motivo di adorazione a Sparta, dove ella rappresenta il modello ideale della Nymphé, la giovane che avendo terminato il proprio percorso di maturazione è pronta per le nozze. Nell’esercitare questa funzione di modello per le adolescenti, la sua figura trova un suo corrispettivo nel ruolo ricoperto dai Dioscuri sul versante maschile, che, come modelli di gioventù dedita all’esercizio fisico e alla preparazione guerriera, svolgono per i giovani spartiati un analogo ruolo di riferimento.

La stretta relazione tra il culto di Elena e il rituale di passaggio da un’età pre-pubere ad una piena maturità sessuale, ci lascia immaginare che qui ella svolgesse le funzioni di una divinità protettrice e dispensatrice di bellezza grazia e sensualità femminile.

Se a Sparta dunque Elena era posta come modello di una felice unione matrimoniale accanto a Menelao, bisogna però accennare al fatto che non fu Menelao il suo primo sposo. Secondo una tradizione consolidata e a noi nota soprattutto attraverso Pausania (ma non

22

Teocrito, Epitalamio di Elena, in: Idilli ed epigrammi: “ E noi siam tutte le sue coetanee, noi che insieme corriamo Unte come uomini lungo le rive dell’Eurota,

Una schiera di giovani ragazze, tre volte sessanta,

Delle quali nessuna è senza difetto se paragonata a Elena” (vv. 22-26).

23 Teocrito, Epitalamio di Elena, in Idilli ed epigrammi:

“Noi per prime intrecceremo una corona di loto…

…e la porteremo sotto al platano. (…)

E sulla corteccia rimarranno scritte le lettere così che il passante Legga alla maniera dorica: adorami, sono l’albero di Elena.”

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sono rare le rappresentazioni pittoriche vascolari relative a questo episodio del mito), fu l’ateniese Teseo il primo a possedere Elena. L’eroe, attirato a Sparta dalla fama della sua bellezza, la rapì mentre ella, ancora bambina nella casa del padre Tindaro, si esercitava nella corsa sulle rive dell’Eurota, o, secondo altre fonti, mentre danzava nel santuario di Artemide Orthia24.

Riguardo all’età di Elena al momento del rapimento di Teseo, le fonti sono abbastanza discordi: alcune dicono che ella avesse dodici anni, altre dieci, altre addirittura sette, “ma già superava tutte le altre in bellezza” così che l’eroe ateniese, che invece era già un uomo sulla cinquantina, “stimò che per lui non potesse esserci felicità se non avesse posseduto tale bellezza”25.

Giunto a Sparta assieme all’inseparabile compagno Piritoo (che pare lo avesse istigato a compiere l’impresa per distoglierlo dal dolore per la perdita della moglie) rapì la bambina e la condusse con sé in Attica, nel villaggio di Afidna. Qui ella fu affidata alla custodia della madre di Teseo, Etra, in attesa delle nozze, mentre i due eroi si congedavano per correre dietro a nuove avventure. Ma Castore e Polluce, dopo aver invaso e devastato l’Attica alla ricerca della sorella, assediato ed espugnato la rocca di Afidna, la ricondurranno a Sparta assieme ad un cospicuo bottino di guerra; l’anziana Etra da allora diverrà l’ancella di Elena.

Questo episodio sembra porsi come una prefigurazione di quello che sarà alla base della guerra di Troia: il rapimento, ben più grave, di una donna sposata da parte di un ospite sleale, il barbaro Paride. Anche in questo caso, infatti, il ratto di una donna a seguito di un’irruzione in territorio altrui, per giunta di una bambina, o forse di una nobile vergine adolescente in età da marito (e quindi quanto più preziosa nell’ottica delle politiche matrimoniali del tempo), comportava per il gruppo sociale leso una grave offesa che esigeva riscatto.

Nella tradizione attica, in particolare nella città di Argo, come attesta Pausania, il ratto di Elena da parte di Teseo perdeva quei connotati di violenza e di stupro, per essere presentato come un vero e proprio matrimonio: Elena ad Argo era rappresentata già come una ragazza matura, mentre Teseo non poteva essere quell’uomo avanti negli anni in cerca

24 Pausania, III, 18, 10. Ma l’episodio ricorre anche in Plutarco (Vita di Teseo) ed era probabilmente noto

all’autore dei Canti Cipri, oltre ad essere menzionato in una composizione di Alcmane in onore dei Dioscuri (in: Lirici greci, 1991.)

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di avventure amorose ricordato da Pausania, ma assume i tratti del giovane innamorato26. Elena e Teseo rappresentavano ad Argo la coppia dei giovani sposi non meno di quanto a Sparta lo erano Elena e Menelao.

D’altro canto il ratto in sé non rivestiva in assoluto un significato violento e negativo: per alcuni gruppi sociali esso era un’usanza radicata nel costume e costituiva un momento fondamentale del rituale matrimoniale. In particolare a Sparta la pratica del rapimento si svolgeva secondo una prassi ben precisa e il suo valore in quanto atto cerimoniale era riconosciuto a livello istituzionale27.

Sempre secondo la tradizione argiva, quando Teseo si unì ad Elena, fondò presso Trezene il santuario di Afrodite Nynphia in ricordo di quelle nozze, mentre Elena ad Argo avrebbe fondato il santuario di Ilizia, protettrice delle partorienti: sarebbe infatti giunta in questa città in compagnia dei fratelli che la riconducevano a Sparta, e qui, colta dalle doglie, vi avrebbe partorito una figlia, Ifigenia, poi affidata alle cure della sorella Clitennestra, già sposa di Agamennone.

Vediamo quindi come la tradizione attica miri, attraverso la creazione di miti di fondazione, a giustificare e legittimare quel primo ratto, ritenendo necessario instaurare un legame prioritario tra il proprio eroe nazionale e l’eroina della tradizione spartana, riconosciuta come la più bella tra le donne.

Ad Atene si assiste ad una riconciliazione tra Teseo e i Dioscuri, che presiedono al matrimonio dell’eroe con Elena, ponendo in questa maniera le premesse necessarie a motivare il culto che ai fratelli figli di Zeus veniva tributato sull’acropoli della città28. Tutto ciò non spiegherebbe comunque perché poi i fratelli avrebbero dovuto ricondurre Elena a Sparta perché fosse promessa in sposa al migliore degli eroi greci, e smentirebbe tutti gli sviluppi della storia che da queste nozze sarebbero derivati. Tuttavia è importante notare come la figura di Elena fosse diversamente protagonista nelle varie città di storie connesse all’ambito nuziale e alla celebrazione della gioventù e del desiderio sessuale, di cui la bellezza femminile è origine e aspirazione.

LA CONTESA DEGLI EROI

26 Stesicoro, fr. 191, in: Lirici Greci, 1993. 27

Plutarco, Vite, Vita di Licurgo, XV, 4.

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Quando Elena fu in età da marito, secondo quanto ci racconta Esiodo, i migliori tra gli eroi della Grecia si ritrovarono a Sparta presso la casa di Tindaro per contendersi la mano della bella figlia del re29. Chi l’avesse ottenuta non solo sarebbe stato lo sposo della più bella donna mai esistita, ma avrebbe anche ottenuto il regno di Sparta. È logico quindi che il padre volesse destinare Elena solo a quello che tra i migliori si sarebbe dimostrato il migliore. Indisse così una competizione durante la quale gli eroi avrebbero gareggiato misurandosi in prove fisiche e offerte di ricchezze. Non abbiamo un racconto preciso della contesa, e non sappiamo esattamente in cosa consistessero queste prove, ma potremmo azzardare che più che alla valenza fisica fossero importanti la ricchezza e l’estrazione sociale, se il vincitore della contesa, Menelao, principe di Micene, poté permettersi di non presentarsi e di mandare in sua rappresentanza il fratello maggiore Agamennone.

Esiodo compila una lista dettagliata degli eroi che si recarono a Sparta per poter gareggiare per Elena (secondo la tradizione tutti i combattenti che avevano un’età compresa tra i ventinove e i novantanove anni), ma a causa dello stato frammentario del poema non ci è possibile ricostruirla per intero. Sappiamo che tra di essi vi era Odisseo, il quale, consapevole di non essere all’altezza della contesa, perché la modesta Itaca non avrebbe potuto competere con le potenti città della terraferma, pare avesse suggerito a Tindaro un modo per assicurarsi l’incolumità dal risentimento dei pretendenti scartati, una volta che fosse stato proclamato il nome del vincitore. In cambio l’eroe chiese al re di Sparta e ottenne l’aiuto per ottenere la mano di Penelope, cugina di Elena.

Fu così che, per consiglio dell’astuto Odisseo, Tindaro impose ai pretendenti di prestare un solenne giuramento di eterna lealtà al vincitore della contesa, vincolandosi a rispettare le scelte del re di Sparta in merito al futuro sposo, ma anche ad impegnarsi nella difesa di quell’unione contro chiunque l’avesse minacciata. A quegli stessi eroi un giorno Menelao, valendosi del giuramento da essi pronunciato, potrà chiedere aiuto nell’impresa di riconquistare, a Troia la sposa che gli era stata sottratta.

LE CAUSE DELLA GUERRA

Ritornando alle cause della guerra di Troia, abbiamo detto di come ebbe origine dal volere di Zeus e del Fato perché era giunto il tempo che la stirpe degli eroi si estinguesse. Nei Canti Cipri è Momos, il Biasimo, a suggerire al signore dell’Olimpo il piano per

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attuare questo disegno: egli avrebbe dovuto fare in modo che sulla Terra venisse generato il più forte degli eroi, e insieme la più bella di tutte le donne.

La presenza di Achille sul campo di battaglia avrebbe sancito la decisiva vittoria dei Greci nella guerra per Elena, e l’inizio del loro predominio sul mediterraneo.

Elena avrebbe fornito il pretesto, sarebbe stata il principio dell’offesa, causa scatenante del conflitto, e oggetto della contesa tra le due parti per dieci lunghi anni. Grazie a lei gli eventi che porteranno all’autodistruzione degli eroi diverranno degni di essere ricordati e cantati nei secoli futuri, ma perché il meccanismo della guerra potesse innescarsi, gli dèi predisposero un piano ben più articolato: la storia sembra affondare le sue radici in un altro conflitto, quello tra le tre dee che si contendono il primato della bellezza. Il momento cruciale, quello da cui tutti gli eventi sembrano prendere le mosse fu il matrimonio tra Peleo e Teti.

Zeus aveva saputo da Prometeo che dalla ninfa Teti, che egli desiderava, sarebbe nato “il figlio capace di spodestare il padre”, così, temendo per il proprio regno, poiché egli per primo sapeva che alle profezie non è possibile sottrarsi, impose alla nereide uno sposo mortale, e tra gli uomini scelse Peleo, re dei Mirmidoni della Tessaglia, considerato il più nobile e il più degno di tali nozze30.

Non fu facile per l’eroe conquistare l’amore della ninfa, poiché Teti gli fuggiva: egli dovette appostarsi sull’isoletta della Tessaglia dove sapeva che era solita recarsi, per poi sorprenderla mentre dormiva ed abusare di lei nel sonno. Teti si ribellò con tutte le sue forze alla violenza: tentando di sfuggire all’assalitore mutò il suo aspetto assumendo le più disparate sembianze, ciò nonostante non riuscì a sottrarsi all’impeto dell’eroe, e subì lo stupro sotto forma di seppia. Da questa unione ibrida, che ci ricorda la fuga precipitosa di Nemesi dall’assalto amoroso di Zeus, sarebbe nato Achille, il più forte di tutti gli eroi.

Alle nozze tra Peleo e Teti presero parte tutti gli dei dell’Olimpo ed inoltre vi furono invitate le Moire, le Muse, le Nereidi e i Centauri. Non fu invece invitata Eris, la Discordia, che, offesa per l’esclusione, volle imporre comunque la sua presenza tra i convitati e non perse l’occasione per seminare inimicizia tra loro: fece in modo che durante il banchetto venisse ritrovata una mela d’oro recante un’iscrizione che la destinava alla più

30 Eschilo, Prometeo incatenato, v. 768.

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bella31. Ne nacque una lite tra le tre dee più potenti dell’Olimpo, Era, Atena e Afrodite: ciascuna rivendicava per sé quel dono, e Zeus, che non voleva attribuirsi l’onere pericoloso di assegnare quel titolo, pensò di scaricare la responsabilità di tale giudizio ad un mortale. Fu scelto Paride.

Paride era forse il più giovane dei figli del re di Troia, Priamo e di sua moglie Ecuba. Le leggende che riguardano la sua nascita e l’infanzia non vengono menzionate da Omero e potrebbero essere più tarde32.

Poco prima della nascita la madre sognò di dare alla luce un tizzone ardente con cui la città veniva incendiata e distrutta, oppure un mostro centimane che distruggeva Troia33.

Un indovino avvisò Priamo che quel sogno annunciava il disastro e che perciò il bambino doveva morire. Il giorno in cui Paride nacque un’altra profezia impose che tutti i bambini venuti alla luce quel giorno fossero uccisi assieme alle proprie madri. Ma Priamo si rifiutò di eseguire la sentenza dell’oracolo e in segreto affidò il bambino a un pastore di nome Agelao che, non avendo cuore di ucciderlo, lo abbandonò sul monte Ida. Qui il piccolo venne allattato da un’orsa e il pastore, trovandolo ancora vivo dopo cinque giorni, ne ebbe pietà e lo tenne con sé.

Crescendo, si rivelò un giovane di straordinaria bellezza e a tempo debito ritornò in seno alla famiglia: fu in occasione dei giochi funebri indetti da Priamo per il figlio creduto morto anni prima. Il re mandò alcuni uomini sul monte Ida per catturare un toro da dare in premio al vincitore delle gare. Il toro scelto era il prediletto di Paride che seguì gli uomini mandati dal re, deciso a prendere parte ai giochi e a riconquistare l’animale. Si dimostrò tanto valoroso da suscitare la gelosia degli altri figli di Priamo: Deifobo cercò di colpirlo con la spada e Paride si rifugiò presso l’altare di Zeus, dove Cassandra lo vide e lo riconobbe. Priamo allora, dimentico del sogno di Ecuba, lo riaccolse tra i suoi figli.

Paride era allora sposato con una ninfa di nome Enone. Non si trasferì alla reggia di Troia ma continuò ad abitare con lei sul monte Ida, pascolando le greggi del padre.

31 Eris, come Nemesi, era una delle figlie della Notte: da Notte nacquero Etere ed Emera (la luce e il giorno)

oltre che Eris (la discordia), Ypno (il sonno) e il suo gemello Tànatos (la morte), Nemesi (la vendetta), Momo (il biasimo).

32 Le notizie che riguardano l’infanzia e la giovinezza di Paride sono riportate da Apollodoro nel libro III

della sua Biblioteca.

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Fu in questo luogo che il giovane venne raggiunto dall’ambasceria di Ermes, che, su incarico di Zeus, accompagnava da lui Era, Atena ed Afrodite perché egli potesse giudicare quale tra quelle divinità meritasse il titolo di più bella.

A Paride spettò dunque la decisione e le tre dee a turno cercarono di guadagnarsi il suo favore offrendogli ciascuna una ricompensa, qualora la sua scelta le si fosse dimostrata favorevole: Era, partecipe della sovranità dello sposo, promise il dominio dell’Asia; Atena, vergine guerriera, la vittoria nelle battaglie; Afrodite promise a Paride l’amore della più bella delle donne. Il giovane si lasciò sedurre da quest’ultima offerta e attribuì il premio ad Afrodite, e questa scelta gli valse la protezione della dea che da quel momento si preoccupò di predisporre i preparativi perché la sua promessa venisse adempita.

IL RAPIMENTO DI ELENA

Sembra che Paride partisse da Troia col pretesto di condurre a Sparta una spedizione diplomatica allo scopo di trattare la restituzione di un’altra donna rapita, la principessa troiana Esione, sorella del re Priamo34.

Altre fonti riportano che fu Menelao a recarsi per primo a Troia, per celebrare un sacrificio impostogli dall’oracolo delfico allo scopo di placare un’epidemia che affliggeva la sua terra. Qui sarebbe avvenuto il suo primo incontro con Paride, il quale avrebbe colto l’occasione per chiedere al re il permesso di recarsi come suo ospite a Sparta per adempiere a un rito di purificazione da una colpa commessa in passato. Menelao acconsentì e Paride affrettò i preparativi di allestimento della flotta messa a sua disposizione dal padre Priamo.

Con il favore di Afrodite le navi raggiunsero rapidamente Sparta e qui, ricevuti da Menelao, Paride e i suoi compagni furono intrattenuti per nove giorni con festeggiamenti e banchetti in loro onore.

Al momento dell’arrivo di Paride a Sparta, dovevano essere trascorsi già una decina d’anni dal matrimonio tra Elena e Menelao: da questa unione era nata una bambina di nome Ermione che al momento dei fatti aveva nove anni. Secondo la tradizione più

34 Draconzio, De raptu Helenae.

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affermata Ermione fu anche l’unica figlia di Elena: Omero stesso riferisce che ad Elena gli dei “non concessero altra stirpe”35.

La scarsa fecondità di Elena se la si confronta con l’incredibile prolificità di altre regine del mito (Ecuba ad esempio vantava una progenie di diciannove figli avuti da Priamo), è un aspetto piuttosto insolito, soprattutto se consideriamo la sua propensione per la sfera sensuale e la sua facilità all’amore.

D’altro canto anche nei confronti di quest’unica figlia, che in fin dei conti potrebbe rappresentare nient’altro che una replica dell’unicità materna, la regina di Sparta non dimostra grande attaccamento, tanto che non esita ad abbandonarla per seguire l’amante in terra straniera.

In Elena dunque la propensione all’amore sensuale e alla sfera di Afrodite predomina su tutte le altre passioni, anche su quelle, pure peculiari dell’universo femminile, legate alla maternità. L’intera vicenda di Elena si svolge sotto il segno di Afrodite, così che, ispirata da tale dea, non sembra strano a Saffo che la regina, di fronte all’offerta dei doni e dell’amore dell’ospite straniero, preferisca lui al marito e alla famiglia:

“ Colei che superava di molto tutti i mortali per bellezza, Elena, abbandonò lo sposo

-il più eccellente degli uomini- e fuggì a Troia per mare. Dimenticò la figlia, dimenticò i cari genitori.

Fu Afrodite a sviarla”36.

Anche nella versione del Ratto di Elena data nel VI secolo da Colluto di Licopoli, la donna partecipa volontariamente al proprio rapimento, perché presa dalla bellezza sconcertante di Paride e dall’attrazione fisica che il giovane straniero esercita su di lei37.

35 Odissea, IV, 12-14. Ma secondo altre fonti invece (Esiodo, Catalogo delle donne. Apollodoro, Biblioteca

III) Elena ebbe almeno un altro figlio da Menelao (Nicostrato), o addirittura un terzo (Eziolao), mentre da altre tradizioni risulta che ella generasse una numerosa prole a Paride, oltre alla versione che vuole Ifigenia nata dalla sua prima unione con Teseo.

36

Saffo, fr. 16 LP, in: Saffo, Liriche e Frammenti.

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Il potere erotico esercitato da Afrodite risulta essere per entrambi una forza incontrollabile, tanto che le fonti antiche indugiano sull’episodio nello stabilire chi dei due per primo abbia sedotto l’altro.

Elena e Paride saranno continuamente additati dalla letteratura successiva come responsabili di aver generato, a causa della propria incapacità di contenere le proprie passioni, una guerra senza precedenti. Entrambi i personaggi si rendono colpevoli di tradimento: Elena per essersi lasciata affascinare dall’ospite stranero al punto di abbandonare per lui il marito; Paride per aver oltraggiato e danneggiato chi gli aveva dimostrato benevolenza e ospitalità.

Nel momento in cui Paride sceglie Afrodite nella competizione delle dee per il possesso del pomo della Discordia, opera una scelta che influirà irrimediabilmente sul proprio destino, e lo renderà completamente soggetto alla volontà della dea.

Egli non spicca tra gli eroi per le sue doti di guerriero: sembra quasi che l’influenza di Afrodite si rifletta direttamente sulle attitudini del personaggio che viene detto più dedito agli amori che alle armi. Le qualità che gli vengono riconosciute e spesso rinfacciate dagli altri personaggi lo sottraggono all’ideale eroico e richiamano caratteri propri della natura femminile: la bellezza fisica, l’eleganza nel vestire, la propensione agli amori e l’eccessiva attenzione all’altro sesso, oltre che la facilità nel venir meno alla parola data, sono tutti aspetti che lo rendono in certo modo partecipe della natura femminile. Egli sembra racchiudere in se la negazione della virilità, intesa secondo il codice dell’ideale eroico e rimanere confinato entro la sfera di Eros.

Nell’Iliade sembra affiorare ogni tanto una seconda versione che presenterebbe la fuga di Elena con Paride come un ratto violento38. Ma questa ipotesi, che sembrerebbe più un espediente da parte dei capi achei per giustificare agli eroi greci una guerra combattuta in nome di una donna adultera, non sembra in fondo cambiare la sostanza delle cose. La sua bellezza, in quanto emanazione stessa di Afrodite, esercita un potere coercitivo sugli uomini costringendoli all’azione: Afrodite è una dea terribile, che porta con sé tanto il dolore quanto il piacere, così che anche Elena che può essere considerata il suo surrogato terreno (esiste addirittura una tradizione che le vuole madre e figlia), non può che portare, con la sua bellezza, alla perdizione.

38 Omero, Iliade, II, 354-356.

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La passione tra Elena e Paride rappresenta un momento di accecamento divino in cui domina incontrastata Afrodite. Secondo la versione della storia di Troia narrata da Darete Frigio nel VI secolo d. C., Paride trovò Elena mentre ella presenziava a dei riti in onore della dea nel suo santuario sull’isola di Citera, la prese e la portò via sulle sue navi verso Troia39. Il luogo in cui in questo caso viene ambientato il ratto conferisce un valore sacrale a quell’unione adulterina, che sotto la protezione della divinità assume il valore di una legittima unione matrimoniale. D’altra parte anche in Omero Elena non è mai presentata come una concubina o una schiava di Paride, ma come una sposa a tutti gli effetti, tanto da essere considerata nuora di Priamo e cognata di Ettore40.

Nei Canti Cipri le nozze tra Elena e Paride si celebravano a Troia dopo la fuga da Sparta, e l’episodio veniva ripreso in un dramma satiresco di Sofocle, Le nozze di Elena41.

Comunque, secondo la versione più accreditata, l’occasione per gli amanti di dar sfogo al loro reciproco desiderio si offrì loro quando Menelao si allontanò da Sparta, costretto a presenziare alla cerimonia funebre per il nonno Catreo a Creta, dopo aver raccomandato l’ospite alla moglie, perché se ne prendesse cura in sua assenza. Fu quella stessa notte che Paride convinse Elena a fuggire con lui verso Troia, portando via anche una gran parte del tesoro di Menelao. La coppia di fuggiaschi, secondo Omero, fece una prima sosta sulla vicina isola di Cranae, dove i due amanti si unirono per la prima volta42.

Non è chiaro quanto tempo impiegarono per raggiungere Troia. Secondo alcuni la nave venne spinta fino a Sidone, in Fenicia, a causa di una tempesta scatenata da Era, e Paride conquistò la città. Secondo un’altra versione raggiunsero Troia in tre giorni.

Secondo Erodoto, le navi furono sospinte dai venti fino in Egitto, ma la loro fuga si arrestò qui, dal momento che il giusto re Proteo, avvertito dai sacerdoti della colpa di cui Paride si era macchiato rapendo la moglie del suo ospite, che invece lo aveva accolto con fiducia, trattenne Elena alla sua corte in attesa che il marito venisse a riprenderla. Lasciò invece partire a mani vuote Paride e la flotta troiana, astenendosi dal punire l’adultero con la morte solo perché si sentiva costretto ad osservare nei riguardi dello straniero quei doveri di ospitalità che Paride stesso aveva violato nei confronti di Menelao43.

39 Darete Frigio, De excidio Troiae historia. 40 Omero, Iliade, III.

41 Bettini M., Brillante C., p. 112. 42

Omero, Iliade, III, v. 444.

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Menelao nel frattempo era stato avvertito dell’accaduto da Iris, inviata da Era, mentre si trovava ancora a Creta. Ritornato precipitosamente a Sparta e preso atto dell’accaduto, l’eroe si rivolse al fratello Agamennone, pregandolo di aiutarlo a vendicare l’offesa e a pretendere la restituzione della moglie e del tesoro.

Agamennone decise di tentare dapprima una strada diplomatica: vennero inviati messaggeri a Troia da Priamo per chiedere la restituzione di Elena, oltre ad un riscatto per l’offesa subita. Ma è probabile che in quel momento Paride, per evitare di essere inseguito, non avesse ancora fatto ritorno a Troia e che Priamo, all’oscuro della faccenda, rimandasse indietro i messaggeri a mani vuote. Secondo Erodoto poi, per il quale Elena non era mai giunta a Troia, per i troiani sarebbe stato impossibile anche in seguito restituire la donna al legittimo sposo, dal momento che ella non si trovava lì44.

Infine in una tragedia scomparsa di Sofocle, intitolata La richiesta di Elena, è un’ambasceria guidata dallo stesso Menelao e da Odisseo a negoziare la restituzione della donna, ma Paride non solo ignorò le rivendicazioni degli ambasciatori ma, senza riguardo alla loro veste di diplomatici, tentò addirittura di farli uccidere45.

Solo una volta che questi tentativi si furono rivelati infruttiferi, Agamennone e Menelao iniziarono i preparativi della spedizione che avrebbe visti riuniti contro Troia tutti i principi della Grecia, ognuno dei quali avrebbe contribuito alla causa schierando il proprio contingente di soldati.

LA GUERRA PER ELENA

Elena, sotto il segno di Afrodite, ci appare come una potenza portatrice di mali: la donna più bella promessa come premio al giudice della contesa divina viene definita come un flagello (πηµα)46. Elena compare come premio della Eris, della contesa, da cui deriva Ares, la guerra47.

Le sventure che essa attira sugli uomini che hanno a che fare con lei, non derivano dal suo agire, poiché ella non si pone mai come agente volontaria del proprio destino, ma è piuttosto la forza di attrazione suscitata dalla sua persona a far sì che gli altri agiscano in suo nome. Anche nel momento in cui sembra operare una scelta, quando decide di seguire

44 Erodoto, Storie II.

45 Canti Cipri; Sofocle, frr. 176-180, in: Bettini M., Brillante C., p. 112. 46

Omero, Iliade III, 156-160.

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Paride, abbandonando la casa del marito, la patria e la figlia, ella non agisce completamente per proprio volere. Il ruolo di Elena nell’intera vicenda viene presentato da Omero come un consenso passivo, dal momento che la donna soggiace completamente alla forza incontrollabile di Eros, che dispone anche della sua volontà.

Se in un primo momento questo desiderio la spinge verso Paride, a navigare verso una terra sconosciuta senza curarsi degli affetti che lascia nella città natale, una volta a Troia, sotto l’assedio dell’esercito greco e reclamata dal primo marito, sarà il desiderio di lui a spingerla sulle mura della città ad osservare l’esito del duello tra i suoi due sposi, e a farle sentire la nostalgia della patria abbandonata.

Durante i dieci (o, come afferma nell’Iliade, venti) anni che trascorre a Troia, ella dimora tra i figli e le figlie di Priamo ed è partecipe della loro vita inserendosi perfettamente nel nuovo tessuto sociale e familiare, ma nel contempo mantiene la consapevolezza di essere invisa alla maggior parte dei troiani, che la detestano a causa dei lutti provocati dalla sua presenza: eppure potrebbero liberarsene restituendola ai greci, e ponendo fine, in questo modo, al conflitto. Il fatto che ciò non accada è un’ulteriore manifestazione del fascino incontrollabile che emana dalla sua persona: ella non è solo una donna di inaudita bellezza, potrebbe essere considerata l’incarnazione stessa di quella potenza di Eros che è il desiderio sessuale, cui Afrodite sovrintende come divinità, ma di cui Elena è personificazione, emanazione essa stessa di Afrodite.

Dopo la morte di Paride per mano di Filottete, Elena diverrà, anche entro le mura di Troia, oggetto di nuova contesa, questa volta tra due figli di Priamo, fratelli di Paride: Deifobo ed Eleno48. Sarà Deifobo ad ottenere la mano di Elena, che rimarrà sua sposa fino alla notte della caduta della città. Durante l’incendio di Troia egli cadrà per mano di Menelao, il marito tradito deciso a vendicare il proprio onore.

Nell’Odissea Demodoco, l’aedo cieco che frequenta la corte di Alcinoo, durante un banchetto in onore di Odisseo, rievoca alcuni episodi relativi alla guerra di Troia, informandoci in questo modo degli avvenimenti connessi alla presa della città, eventi che non rientrano nella narrazione dell’Iliade. Secondo il racconto di Demodoco, i protagonisti

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dell’attacco al palazzo di Deifobo furono Menelao e Odisseo, i quali dovettero sostenere un duro scontro prima di uscirne vincitori49.

Stando ad altre fonti, però, pare che il principe troiano fosse sorpreso nel sonno e ucciso mentre ancora non aveva avuto il tempo d’imbracciare lo scudo e sfoderare la spada. Menelao inveì sul suo cadavere, mozzandogli le mani e le orecchie, e spaccandogli a metà la testa, prima di inoltrarsi nelle stanze più interne del palazzo in cerca della moglie fedifraga50. Secondo altre versioni ancora, fu Elena a condurre il primo marito negli appartamenti di Deifobo, a cui aveva preventivamente nascosto le armi per impedirgli di difendersi. L’eroe troiano sarebbe quindi stato ucciso a tradimento, per mano di quella stessa donna il cui primo tradimento aveva scatenato la guerra, che qui esibisce per l’ennesima volta la propria natura opportunista ed inaffidabile51.

Il possesso di Elena non fa che generare discordia, sventura e morte, eppure tutti vogliono possederla. Nel racconto di Elena c’è un elemento che ritorna in continuazione ed è quello dell’assenza dell’oggetto desiderato, che una volta ottenuto sfugge, o la sua proprietà viene messa in pericolo: Teseo l'ha sottratta giovanissima a Tindaro; Menelao a tanti pretendenti; Paride a Menelao; Menelao la sottrarrà al termine della guerra a Deifobo; ma tanti altri uomini sotto le mura di Troia si sono scontarti e sono morti per lei, pur sapendo che non l’avrebbero mai posseduta.

IL RICONGIUNGIMENTO CON MENELAO E LA FINE DI ELENA

L’episodio del ricongiungimento tra Elena e Menelao è oggetto di numerose rappresentazioni vascolari: in tali rappresentazioni la regina di Sparta è raffigurata spesso nell’atto di scoprirsi il volto di fronte allo sposo che impugna minaccioso la spada contro di lei. Questo gesto sarebbe bastato a placare l’ira dell’eroe, che, rapito dalla sua bellezza, rinuncia alla vendetta. Secondo la versione più riconosciuta dell’episodio, sarà la vista del bel seno di lei, offerto forse con calcolata malizia alla spada del marito perché la colpisse, a

49 Omero, Odissea, VIII, 517-520

50 È questa la versione del mito riportata da Trifiodoro (La caduta di Troia, v. 534).

51 Questa è la versione riportata da Igino, Fabulae, e Virgilio, nel libro VI dell’Eneide, quando Enea agli

inferi si imbatte nell’ombra di Deifobo: “Fu il mio destino e il delitto nefando di Elena a immergermi in queste sciagure. Mi lasciò la Spartana questi ricordi”.

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far sì che l’ira di Menelao cedesse il passo al desiderio, ed egli non riuscisse a ferirla, lasciando cadere la spada e riprendendo la moglie con sé52.

Stesicoro narrava invece che, dopo la presa di Troia, i guerrieri achei si accingevano a lapidare la donna, ma vennero dissuasi in tale proposito alla vista della sua persona, confusi e turbati da tanta bellezza53.

Secondo Quinto Smirneo infine, che nel suo poema di età tardo-antica riprende gli avvenimenti della guerra di Troia nel punto in cui la narrazione di Omero si era interrotta, è ancora una volta Afrodite ad intervenire in favore di Elena, mutando i sentimenti nell’animo di Menelao da una sanguinaria ira vendicativa ad un desiderio nostalgico della sposa, che fa cadere l’arma dalle sue mani e lo persuade al perdono54.

Comunque siano andate le cose, nell’Odissea scopriamo che Elena ha ripreso, quasi come se niente fosse accaduto, il proprio posto di regina accanto al marito, e che gli antichi rancori devono essere stati da tempo accantonati, dal momento che il rapporto tra i due sembra improntato ad una perfetta intesa coniugale55.

I due intrattengono l’ospite Telemaco alla loro corte allietandolo con i racconti della guerra cui entrambi furono testimoni e partecipi, e in questa occasione i coniugi non mostrano il minimo imbarazzo nel ricordare il coinvolgimento di Elena in alcuni dei momenti di più alta tragicità di quel conflitto.

Il prestigio e la posizione di Elena, insomma, non sembrano aver riportato grandi conseguenze dai dieci anni trascorsi a Troia, e pare che in seguito ella abbia regnato a lungo accanto allo sposo Menelao.

In un racconto di Pausania viene riportata la versione riconosciuta dalla tradizione rodia relativa alla fine di Elena: dopo la morte di Menelao, la donna, ormai avanti negli anni, perseguitata dai figli che il marito aveva avuto da una concubina, Nicostrato e Megapente, decide di lasciare Sparta. Trova ospitalità a Rodi presso un’amica d’infanzia, Polissò, moglie dell’eroe greco Tlepolemo morto sotto le mura di Troia56.

La donna, serbando rancore nei confronti dell’amica che riteneva responsabile della morte del marito, la accoglie in casa sua fingendo benevolenza, ma meditando in cuor suo

52 L’episodio è così riportato nella versione della Piccola Iliade di Lesche, ma viene anche ripresa in Euripide

(Andromaca) e in Aristofane (Lisistrata).

53 Stesicoro, fr. 201, in: Lirici Greci, 1993. 54 Quinto Smirneo, Posthomerica, XIII, 385-415 55

Omero, Odissea, IV.

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la vendetta. Un giorno, mentre Elena faceva il bagno, le sue ancelle, vestite da Erinni, l’afferrarono, la trascinarono fuori e la impiccarono ad un albero.

L’episodio veniva ricordato a Rodi attraverso una forma di culto a lei dedicato, nel santuario intitolato a Elena Dendritis, ossia dell’albero. Non è chiaro se l’albero fosse un platano, il che ci permetterebbe di riallacciarci al culto praticato a Sparta e descritto da Teocrito nell’Epitalamio, dove le fanciulle incidono sul platano le parole con cui l’albero stesso chiede di essere adorato in quanto albero di Elena. Sappiamo però che nella stessa Rodi un altro platano era messo in relazione a Menelao, che si diceva fosse passato nella città durante i preparativi per la spedizione contro Troia.

La presenza a Rodi della coppia di sposi, già oggetto di venerazione a Sparta, e il motivo ricorrente dell’albero, ci riportano nell’ambito di quelle divinità della vegetazione associate a culti di rinnovamento e di rinascita: la coppia come abbiamo già visto era considerata a Sparta l’emblema di felice unione matrimoniale e di fecondità.

Gli elementi sui quali possiamo basarci per supporre un tipo di culto analogo anche a Rodi sono pochi, tuttavia il racconto tramandato da Pausania sull’impiccagione di Elena, si inserisce entro una serie più vasta di racconti analoghi di giovani donne impiccate, che adombrano culti legati alla fertilità, dove l’impiccagione rappresenterebbe una sorta di iniziazione e di passaggio da uno stato ad un altro. Anche se in questo caso non si tratta più di una giovane vergine, ma di una donna ormai attempata, con trascorsi turbolenti alle spalle e una familiarità ormai acquisita con gli uomini, rimane pur sempre forte il valore emblematico di Elena in associazione a questo genere di culti: lei che nella sua stessa persona racchiudeva l’essenza della sensualità, nella sua storia replicava continuamente il proprio ruolo di sposa e di amante.

Nella tradizione rodia la vita di Elena si concludeva dunque con una morte violenta, con la quale la donna avrebbe pagato finalmente le morti degli eroi da lei provocate. In un certo modo questa morte per impiccagione sarebbe stata la premessa necessaria a far sì che Elena potesse passare ad una condizione superiore, per cui sarebbe stata venerata da allora come una divinità nel luogo stesso in cui era stata assassinata.

Se si osserva l’episodio dell’uccisione di Elena da questo punto di vista, bisogna prestare attenzione al fatto che le ancelle che misero in atto la sua esecuzione erano, non a caso, travestite da Erinni. Queste personificazioni femminili della vendetta, venivano chiamate in causa in situazioni precise: quando cioè qualcuno si rendeva colpevole di un

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delitto particolarmente efferato nei confronti di un proprio consanguineo. Chi si rendeva reo di un tale crimine, si macchiava di una colpa molto grave e scatenava contro di sé la loro ira.

Per quanto la responsabilità delle morti degli eroi sul campo troiano potesse essere a ben guardare attribuita ad Elena, tuttavia questa colpa non rientrerebbe tra quelle di coloro che agiscono contro il genos, e non giustificherebbe l’intervento delle Erinni. Ella però si rese colpevole di tradimento verso il proprio marito e non esitò ad abbandonare i propri doveri di moglie e di madre, recando disonore alla propria casa e disgrazia alla patria: era questa, forse, la colpa che giustamente le veniva fatta scontare.

Ma secondo altre versioni la bella figlia di Zeus non morì affatto: la sua esperienza terrena si concludeva infatti con una sorta di apoteosi.

Nell’Oreste di Euripide, dopo il suo ritorno a Sparta assieme al marito, Elena cade vittima di una congiura ordita dal nipote Oreste con la complicità dell’amico Pilade, che insieme vuole far pagare a Menelao l’ostilità nei suoi confronti, e vendicare le morte degli eroi greci caduti a Troia. Elena viene colpita mortalmente, ma per intervento di Apollo viene sottratta alla morte e condotta nelle dimore di Zeus; sarà tramutata in un astro e deificata per volere del padre, accanto ai fratelli Castore e Polluce57.

Infine, secondo un’altra tradizione riportata da Pausania, e forse già presente in Stesicoro, Elena non avrebbe raggiunto i fratelli in cielo, ma sarebbe andata a trascorrere l’eternità nell’Isola dei Beati, o Isola Bianca (Leukè), dove si sarebbe congiunta con il suo ultimo sposo: Achille58.

Questo luogo era la dimora destinata a quegli eroi che, per essersi distinti particolarmente in vita, non meritavano di finire nel limbo tra le ombre senza nome. Qui la più bella delle donne si sarebbe unita all’eroe più forte: non poteva esistere conclusione più degna per i due protagonisti indiscussi della guerra di Troia, poiché già nei Canti Cipri si narrava che Achille avesse desiderato Elena, e che Afrodite e Teti, agendo da mezzane, avessero favorito, una notte, un incontro tra i due già durante l’assedio della città59.

Come suo ultimo sposo dunque Achille veniva a suggellare la condizione di Elena quale perenne sposa, nell’Isola dei beati, luogo inaccessibile per i comuni mortali; le due

57 Euripide, Oreste, vv. 1683-1690. 58

Pausania, Guida della Grecia, III, 19, 12.

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massime espressioni dell’universo femminile e di quello maschile avrebbero trovato infine compimento l’una nell’altra, ed in questa maniera, dopo tanto contendere intorno alla sua persona, si sarebbe esaurita la parabola di Elena.

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