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Il Metodo di Monty Roberts

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Academic year: 2021

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IL METODO DI MONTY ROBERTS (Roberts, 2002)

Equus

“Non ho creato io i miei concetti di doma. Ho solo scoperto cosa avviene in natura” M.R.

Monty Roberts è uno dei maggiori esponenti della doma etologica. Il suo metodo di addestramento si basa sulla comprensione del mondo del cavallo e del suo linguaggio, che lui definisce “Equus”, e sull’approccio con il cavallo, detto “Join up”. Ogni cavallo è un individuo e come tale ha le sue necessità ed il proprio carattere, per tale ragione anche questo tipo di doma non è universale, ma l’addestratore deve saper distinguere le varie personalità dei soggetti, in modo da creare con ognuno il feeling adeguato.

Il Join up, o Associazione, si basa sul concetto che, per natura, il cavallo è una preda, perciò la sua prima difesa è la fuga, mentre l’attacco avviene soltanto quando non può fuggire e non ha un metodo alternativo per difendersi da una minaccia.

Nella scala alimentare, l’uomo ed il cavallo si trovano ai due poli opposti, quindi è naturale che il cavallo tema l’uomo. Roberts ha sviluppato i suoi metodi osservando branchi di cavalli selvaggi e, cercando di riprodurre i loro atteggiamenti, ha creato il linguaggio “Equus”. All’interno del branco ogni individuo occupa un livello nella scala gerarchica e quando interagiamo col cavallo per domarlo, dobbiamo per forza diventare noi i leader, non nel senso dittatoriale, ma nel senso che il cavallo ci deve riconoscere come compagno e come capobranco.

Le necessità primarie della vita di un cavallo sono sopravvivere e riprodursi, quindi è indispensabile per esso sapere se è o meno al sicuro e con chi a che fare.

Nel linguaggio “Equus” i gesti e la posizione del corpo lavorano insieme ed in sincronia. Il cavallo è in grado di percepire ogni nostro movimento, persino gli spostamenti degli occhi, non è in grado invece di interpretare un sorriso o un cipiglio perché nel suo mondo non sono un mezzo di comunicazione.

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- lo sguardo diretto, occhi negli occhi. Nel linguaggio del cavallo viene interpretato come una minaccia da parte di un predatore che avvista la sua preda;

- occhi negli occhi e asse delle spalle frontale rispetto al cavallo. Questo atteggiamento viene percepito come segnale di aggressione incipiente;

- occhi negli occhi, con braccia allargate e dita aperte. Ricordano al cavallo la zampa di un felino con gli artigli sfoderati, pronto all’attacco.

Gli occhi sono quindi molto importanti, poiché attraverso di essi possiamo comunicare le nostre intenzioni ed emozioni, come la determinazione, la frustrazione, la paura, la fiducia, ecc.

Avanzamento e ritirata

All’inizio dell’approccio l’addestratore si pone come un predatore, quando però il cavallo si rende conto che non sta correndo nessun pericolo, rivaluta la situazione e capisce che può socializzare. All’inizio l’uomo manda il cavallo lontano da lui e gli consente di fare due scelte: starsene da solo o riavvicinarsi, facendogli capire che quest’ultima scelta è quella che gli dà maggior protezione.

Costruire la fiducia

Nella specie equina, la fiducia negli altri membri del branco e la comunicazione sono le chiavi che hanno determinato il successo di questa specie. Secondo Roberts, se il cavallo si fida dell’uomo, il processo di apprendimento è più veloce. Il metodo Join up crea fiducia, ma

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lavoro dell’addestratore devono trasmettere fiducia e rassicurazione al cavallo, questo consentirà di ottenere la sua cooperazione.

Il tondino di lavoro

Questo tipo di doma può essere svolto in qualsiasi area, ma il tondino è lo spazio più adeguato. L’ideale ha un diametro di 16 metri ed è privo del giudice centrale, presente invece nella doma tradizionale. Queste dimensioni consentono al cavallo di galoppare e allo stesso tempo di mantenere l’attenzione su ciò che sta succedendo al centro, dove si trova l’uomo, che a sua volta cammina in circolo. Dimensioni maggiori del tondino rendono il lavoro più faticoso per l’addestratore, minori, non consentono un galoppo confortevole al cavallo. Un’area di quattro lati invece crea degli angoli dove il cavallo può rifugiarsi e dove è più difficile accedere. Il tondino consente di lavorare in sincronia, la chiave della comunicazione. Join up

Join up (associazione) è il nome che Roberts ha dato a quella parte del lavoro quando crea il legame col cavallo. Più precisamente è quel momento in cui il cavallo decide di stare con lui piuttosto che da solo, quando, spontaneamente, si avvicina alle sue spalle e lo annusa. È un obiettivo che può esser raggiunto con tutti i cavalli.

Il Join up è un processo di comunicazione tramite lo stesso linguaggio e consente di creare un legame basato sulla fiducia. Per ottenere il Join up occorre entrare nel mondo del cavallo, capire le sue esigenze e le leggi che regolano il suo ordine sociale. L’uomo deve imparare il linguaggio del cavallo, poiché non può accadere l’inverso. Anche Tesio aveva già capito il problema della comunicazione tra uomo e cavallo, perché sosteneva che esso interpreta il suono della parola dell’uomo, il significato di alcuni motivi musicali, le punizioni e le carezze, interpreta i più leggeri movimenti della mano di chi lo guida e sa giudicare assai bene la psiche del suo domatore. L’uomo, invece, non studia, non interpreta e quindi non conosce quasi mai la psiche del suo cavallo (Tesio1984).

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È fondamentale tener presente che nel Join up:

1- il tempo non è importante, infatti, dobbiamo considerare un tempo illimitato per raggiungere il nostro scopo, questo consentirà di ottenere i risultati voluti nel tempo più breve.

2- L’addestratore aspetta che il cavallo esegua qualcosa di giusto e poi lo premia, non aspetta che sbagli per punirlo.

Procedimento del Join up

Il cavallo viene fatto entrare nel tondino, nel caso di un cavallo già maneggiato, viene posto al centro (senza mai guardarlo negli occhi), si accarezza sulla testa, si ruota di 90° e si accarezza di nuovo, questa operazione viene ripetuta fino a compiere un giro completo, per dare al cavallo l’orientamento di dove si trova. Dopo ci si allontana dal cavallo, guardandolo negli occhi, in posizione di attacco, vale a dire con le spalle parallele ad esso ed un braccio allargato, e si lancia la longhina verso di lui come prolungamento del braccio. Il cavallo inizia ad allontanarsi ed a correre in circolo, non potendosi allontanare maggiormente. Viene fatta cambiare direzione al cavallo fronteggiandolo e facendolo correre nell’altro senso, per poi tornare di nuovo nella direzione iniziale. Si riduce poi la pressione assumendo un atteggiamento che fa rallentare il cavallo, come mostrato in figura.

Posizione per far rallentare il cavallo

In seguito viene di nuovo assunto un atteggiamento da predatore, con il braccio allargato e la mano aperta. A questo punto il cavallo di solito comincia a comunicare. Il primo segnale di

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comunicazione è l’orecchio interno rivolto verso l’addestratore, mentre l’altro è attento a ciò che succede nel resto dell’ambiente. Questo significa che il cavallo ha già rispetto dell’uomo.

Primo segnale di comunicazione

Il secondo segnale è la riduzione dell’andatura e del diametro dei cerchi compiuti dal cavallo, in genere accompagnato dalla rotazione del collo verso l’interno, questo atteggiamento significa che vuole smettere di fuggire ed avvicinarsi per negoziare un accordo che soddisfi entrambi.

Secondo segnale di comunicazione

Il terzo segnale è lo snapping (un segnale manifestato dai puledri verso gli adulti), il cavallo comunica che è un erbivoro e sta mangiando e quindi non è preoccupato della situazione in cui si trova.

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Il quarto ed ultimo gesto ricercato è l’abbassamento della testa al terreno: il naso è vicino a terra, il collo si muove oscillando in sincronia al resto del corpo.

Quarto segnale di comunicazione

Per far sollevare la testa al cavallo, possiamo alzare un braccio con le dita della mano aperte e poi portare il braccio vicino al corpo, altrimenti si continua a far correre il cavallo tenendo il braccio sollevato.

Atteggiamento per far sollevare la testa al cavallo o farlo correre

Quando il cavallo alza la testa e guarda verso l’addestratore è come se volesse ritrattare il rapporto ed accettarlo come leader, questo non è un indice di sottomissione, ma di associazione.

A questo punto, con movimenti lenti, senza guardare l’animale negli occhi, ci si volta di spalle, col braccio vicino al busto e le spalle abbassate, si muove un passo lontano dal cavallo e si aspetta.

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Atteggiamento per far avvicinare il cavallo

In genere il cavallo, si avvicina fino ad annusarci le spalle: questo è il momento del Join up.

Join up

Se esita ad avvicinarsi, si può camminare davanti al cavallo, sempre di spalle ad esso, facendo dei semicerchi; questo gli comunica che stare con l’uomo è un posto sicuro. Quando il cavallo si avvicina, bisogna voltarsi lentamente, sempre senza contatto visivo e accarezzarlo sulla testa, tra gli occhi. Nella fase successiva ci si volta piano e si fa qualche passo, lento ma deciso, camminando a serpentina, il cavallo quasi sicuramente ci seguirà; bisogna accarezzarlo ogni tanto per premiarlo. Questo è il secondo obiettivo raggiunto: il “Follow up”. Se il cavallo non vuole rimanere con noi bisogna ripetere tutto il procedimento finché non sceglierà la nostra compagnia. Questi primi due obiettivi rappresentano il 90% del lavoro e superata questa fase, il resto avviene in modo accademico.

Il passo successivo è quello di accarezzare il cavallo su tutto il corpo partendo dalla testa e procedendo verso il posteriore, su entrambi i lati. La fase seguente prevede di sollevare gli arti uno ad uno, partendo da un anteriore per volta e passando poi ai posteriori. Nel nostro esperimento l’obiettivo finale era di mettere la briglia e condurre il cavallo a redini lunghe da

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terra, perciò invece di mettere la sella è stato usato soltanto il fascione. All’inizio il nuovo oggetto viene messo per terra ed il cavallo può osservarlo ed annusarlo, poi gli si avvicina lentamente al corpo, posizionandolo sul garrese ed infine si affibbia. Ogni volta che il cavallo accetta quello che facciamo, dobbiamo accarezzarlo.

Una volta posizionato ed affibbiato il fascione, il cavallo viene allontanato e probabilmente manifesterà segni di insofferenza, come le sgroppate. Dopo qualche giro al tondino, si ripete il processo del Join up, fino ad ottenere nuovamente l’associazione con il cavallo, che dimostrerà, così, di aver accettato quello che abbiamo fatto.

La fase successiva è mettere la briglia: si cammina a semicerchi con la briglia in mano, il cavallo ci segue (se il Join up è avvenuto correttamente), poi ci si ferma e con movimenti lenti si fa annusare la briglia al cavallo e quando non mostra più sospetti, si procede alla sua applicazione. È importante fissare le redini, in questo caso al fascione, per evitare che siano d’intralcio al cavallo nella fase successiva, quando viene indotto a correre di nuovo. Durante questa fase, teniamo in mano le redini lunghe, rimanendo sempre al centro del tondino, tenendo la redine esterna in modo che tocchi i posteriori del cavallo subito sotto la coscia, come mostrato in figura.

Posizione delle redini lunghe

Quest’operazione deve essere eseguita in entrambe le direzioni. In seguito si procede col guidare il cavallo con le redini lunghe, dietro di lui, a distanza di sicurezza.

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Guidare il cavallo con le redini lunghe

La fase successiva consiste nel cavalcare il soggetto, fase che ometterò, poiché il nostro lavoro terminava a questo punto.

Creare un cavallo collaborativo

Per creare un rapporto di fiducia col cavallo non deve essere usata forza o violenza e non deve esserci risentimento, ma una cooperazione basata sulla disciplina e su un reciproco accordo. Il cavallo deve avere sempre la possibilità di scegliere la compagnia dell’uomo o meno, questo consentirà di costruire un’associazione valida e produttiva con esso. Se il cavallo non sceglie la nostra compagnia, non dobbiamo rifiutare la sua scelta reagendo in modo violento o con la forza, perché questo lo farà sentire in pericolo e non si potrà più creare quella fiducia che desideriamo ottenere.

Un altro fattore importante da considerare è il rilascio di adrenalina da parte dell’addestratore, in situazioni di rabbia o paura. Il cavallo è in grado di percepire questi stati d’animo e tutto ciò che cercheremo di insegnargli in questa condizione, sarà un fallimento. La sua capacità di percepire il nostro aumento d’adrenalina è dovuto al fatto che nei predatori, quando l’attacco è imminente, l’immissione in circolo di questo neurotrasmettitore sale, così come nel cavallo, che reagisce con la fuga e quindi si trova in uno stato di irrequietezza. Lo stesso vale per l’adrenalina che sale in seguito alla paura, perché, nel branco, questa è percepita come un segnale di allarme e di pericolo. Il risultato, quindi, sia che siamo aggressivi o timorosi, è sempre quello di mettere in agitazione il soggetto, che sarà pronto a fuggire e non avrà nessuna predisposizione ad apprendere. Se un cavallo sbaglia, dobbiamo sorridere, questo ci aiuterà a rimanere calmi ed a rendere istruttivo anche un errore. Un esercizio che può essere fatto per controllare i nostri battiti cardiaci, è la respirazione profonda, che aiuta a rilassarci ed

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a ridurre il livello d’adrenalina: bisogna abbassare il diaframma al momento dell’inspirazione e sollevarlo durante l’espirazione. Altri metodi di rilassamento sono: canticchiare, parlare con il cavallo e tutto ciò che può darci tranquillità.

Uno sguardo alla tradizione

Secondo Roberts i cavalli non nascono mai cattivi, quelli che lo diventano è a causa di un rapporto sbagliato con le persone. Lui ritiene inadeguate tre cose che hanno sempre fatto parte della doma tradizionale: la frusta, usare la longhina e dare il cibo come premio.

Secondo lui, la frusta è un mezzo inefficace per ottenere qualcosa dal cavallo, perché suscita risentimento ed impedisce la creazione del rapporto di cooperazione. Chiaramente Roberts si riferisce all’uso della frusta con lo scopo di provocare dolore all’animale e non quando è usata per inviare un messaggio, come nel dressage.

Gli obiettivi primari del cavallo sono sopravvivere e riprodursi, quando interagisce con l’uomo, non ha certo la preoccupazione di riprodursi, ma quella di sopravvivere o comunque salvaguardarsi. Il cavallo è un animale che per natura è timoroso e tende a rispondere alla pressione con la pressione, per cui se le prime volte può reagire all’uso della frusta correndo più velocemente, successivamente reagirà rallentando. Non è necessaria la frusta e, quindi, il dolore per ottenere dal cavallo ciò per cui è nato, cioè correre!

Spesso nella doma tradizionale viene usata una longhina, attaccata ad un anello del capezzone sopra al naso del cavallo. Durante il movimento, il cavallo va fuori equilibrio, per la trazione che viene fatta con la longhina, o anche col suo solo peso, in pratica tende a portare il collo e la testa verso l’esterno e la colonna vertebrale non segue il normale circolo del tondino, ma piuttosto una curvatura contraria.

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Curvatura del cavallo con l’uso di una sola longhina

Questo causa un movimento disarmonico e alla fine può provocare anche problemi muscolari e tendinei. Senza l’uso della longhina la curvatura della colonna vertebrale segue quella del tondino e tutto il corpo, rimanendo bilanciato, lavora in armonia.

Curvatura del cavallo in libertà

Roberts è contrario anche a premiare il cavallo offrendo il cibo con le mani. Il cavallo è un erbivoro ed una preda, per lui il cibo non è un premio, infatti, i membri del branco, tanto meno il capo, non lo offrono mai ad un compagno. Dar da mangiare come premio, inoltre, può provocare l’acquisizione del vizio di mordere, difficile poi da eliminare.

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La manipolazione precoce

Roberts è d’accordo con Miller (1989) nel dare un imprinting al puledro, per instaurare un rapporto positivo con l’uomo fin dalla nascita. Ritiene importante venire a contatto col puledro nella prima ora di vita, senza interferire con il legame che si instaura con la madre. Per ottenere i risultati desiderati, deve essere eseguita la procedura precisa (descritta accuratamente nel suo libro) senza condizionare eccessivamente il piccolo, cioè non deve essere antropomorfizzato, ma deve rimanere consapevole della sua natura equina e della nostra natura umana.

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