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3. STATO ATTUALE DELL’AREA La scelta di quest’area come oggetto di discussione della presente tesi è dovuta

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3. STATO ATTUALE DELL’AREA

La scelta di quest’area come oggetto di discussione della presente tesi è dovuta alle motivazioni di seguito elencate:

- prima di tutto l’avanzato stato di degrado in cui versano gli edifici, fino a una ventina d’anni fa destinati a laboratori artigiani: il loro recupero avrebbe un alto valore simbolico per la città, perché si tratterebbe di rievocare un’importante memoria storica, quella delle botteghe del marmo, che hanno reso grande il nome di Pietrasanta nel mondo, tanto da farle meritare il nomignolo di “Piccola Atene”;

- la collocazione dei manufatti, nel punto in cui la via Aurelia si biforca, cedendo il braccio della via Santini alla viabilità comunale: l’area rappresenta attualmente un vuoto funzionale e fornisce un’immagine decadente, che mal si addice a un luogo che è idealmente riconosciuto come uno degli ingressi al centro della città; - la condizione critica del traffico presente in questo importante nodo stradale, già

teatro di incidenti, uno dei quali ha anche rovinato la marginetta sacra.

A tutto questo va aggiunto la prossima approvazione del Regolamento Urbanistico, nel quale è prevista la possibilità di intervenire sull’area con un Piano di Recupero, stante il rispetto di certi parametri e con la possibilità di cambiare la destinazione d’uso dei singoli manufatti.

Si è quindi proceduto ad un rilievo a vista delle situazioni di degrado, dopodiché è stato effettuato il rilievo metrico degli edifici dell'area Pierotti.

Figure 18 e 19: immagini dello stato di abbandono in cui versano gli ex laboratori Pierotti

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4. STATO DI PROGETTO

4.1. Progetto urbanistico

4.1.1. Strumento urbanistico di attuazione

Nel nuovo Regolamento Urbanistico in fase di approvazione, come nel vecchio P.R.G.C., il lotto in esame è indicato come Unità di Recupero e Rigenerazione, dove è previsto che si possa intervenire con singoli interventi convenzionati o con la redazione di un Piano di Recupero come definito all’art. 73 della Legge Regionale 1/2005.

4.2. Progetto edilizio-architettonico

La fase progettuale si è evoluta in due fasi successive: la prima relativa alla definizione delle nuove destinazioni d’uso dei singoli edifici, in accordo con le proposte degli attuali proprietari; la seconda relativa ai tipi di intervento di cui necessitano i fabbricati, in relazione allo stato di fatto, a quanto previsto dalle norme e dai regolamenti e alle nuove funzioni stabilite in precedenza.

Nella redazione del progetto oltre a tener conto della proposta di nuova viabilità che interesserà il nodo stradale, sono state considerate le condizioni dei singoli edifici, mutate rispetto al momento in cui è stato redatto il Quadro Conoscitivo del Piano Strutturale, approvato nel 2008. Infatti, esclusa la marginetta sacra, per gli edifici in passato destinati a laboratori e uffici della ditta il nuovo Regolamento Urbanistico prevede interventi di ristrutturazione edilizia che escludano, salvo casi particolari, la demolizione e mirati a conservare la sagoma dell’esistente. Ma nel giro di pochi anni la situazione è decisamente peggiorata: un edificio è ormai privo della copertura, i serramenti sono in gran parte rotti, gli intonaci scrostati, gran parte delle gronde, dei coronamenti e dei carroponti sono crollati.

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44 Per questi motivi, poiché si è ancora in fase di discussione delle osservazioni al nuovo R. U., nella soluzione progettuale di seguito esposta si suggeriscono diverse ipotesi di intervento per ciascun edificio, che tengano conto di un quadro conoscitivo aggiornato.

Per semplicità, per indicare i manufatti e come si intende intervenire su ciascuno di essi, di seguito si farà riferimento alla figura 22.

Figura 21: vista interna dell’edificio un tempo adibito a uffici e appartamento del custode

Figura 22: schema planimetrico in scala 1:1000 con indicazione degli edifici differenziati per funzione e tipologia d’intervento

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4.2.1. Funzioni previste

- Fabbricato lato via del Castagno (A): n. 16 camere con funzione ricettiva – albergo – con annesso centro benessere al piano interrato;

- Fabbricato lato via Aurelia (B – B’): n. 5 case-atelier – studi artistici con appartamento di pertinenza – e un’unità a destinazione direzionale da cedere all’amministrazione comunale a scomputo oneri;

- Fabbricato lato via Santini (C): bar e ristorante ad uso dei clienti dell’albergo ed esterni.

- Marginetta sacra (D): la cappella verrà restaurata per recuperare la sua funzione storica.

Grazie al recupero di volumi attualmente esistenti e che si propone di demolire, e alle addizionali funzionali previste per gli interventi di ristrutturazione e sostituzione edilizia, si prevede la costruzione di due nuovi manufatti con le seguenti destinazioni d’uso:

- Nuovo fabbricato incrocio via Santini – via del Castagno (E): sala d’ingresso dell’albergo;

- Nuovo fabbricato lato via Santini (C’): 2 unità a destinazione commerciale – direzionale e 3 appartamenti.

L’intervento riguarderà anche la corte interna, che sarà sistemata come piazza pubblica, aperta a tutti, con ampie zone a verde; si prevede inoltre la realizzazione di ampio parcheggio interrato, in grado di soddisfare gli standard urbanistici richiesti. L’importanza del recupero dei laboratori del marmo

Abbiamo già detto dell’importanza che il marmo ha avuto nella storia di Pietrasanta, che è stata terminale di lavoro dei materiali delle cave delle Alpi Apuane, aperte già ai tempi di Giulio Cesare, e poi, grazie alla maestria acquisita dagli artigiani locali nel corso dei secoli, anche di quelli provenienti da ogni parte del mondo. Questa caratteristica fa della città il luogo che sembra avere la più estesa memoria storica oggi possibile sull'arte del marmo.

Il marmo bianco delle Apuane si è ritagliato una forte e precisa identità nell'immaginario collettivo mondiale; questa identità costituisce un patrimonio inestimabile da salvaguardare, difendere e valorizzare. Pietrasanta è un rarissimo caso di cittadina monoproduttiva, nel campo del lavoro artigiano, che ha saputo stare al passo coi tempi

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sul fronte dell’evoluzione della tecnica e della crescita della produzione, ma senza farsi travolgere dall’evoluzione dell’industria e del mercato. Infatti lo sviluppo industriale non ha investito il centro storico, anzi questo è stato via via abbandonato proprio dagli stessi soggetti che ne avevano sempre assicurato la fortuna; gli artisti e gli artigiani del marmo, che solo negli ultimi anni stanno tornando a popolare Pietrasanta e i suoi studi e laboratori. Per questo motivo si è iniziato a conservare e salvaguardare un patrimonio edilizio con una ben specifica tipologia, quella del laboratorio artigiano di discreta volumetria, altamente specializzato.

Progettare il risanamento ed il recupero edilizio in un centro storico come Pietrasanta è un processo che richiede una particolare attenzione alle problematiche che emergono quando si opera su impianti e tessuti storici con tracce evidenti dei processi di fondazione e di pianificazione urbana.

Nei secoli scorsi i laboratori di marmo, situati nel centro storico e nella prima periferia, hanno rappresentato il cuore pulsante della città, ma col passare del tempo sono stati abbandonati sotto l'incalzare dei nuovi procedimenti industriali. Negli ultimi anni ha avuto inizio un processo di rivalutazione del riuso di queste strutture, con l’obiettivo di reinserirle, in una nuova prospettiva, nell'ambito della tradizionale lavorazione del marmo o assegnando loro una nuova destinazione d’uso compatibile con la loro tipologia: è in questo contesto che si inserisce il progetto di recupero degli ex Laboratori A. Pierotti & Co.

Le problematiche del riuso e della ristrutturazione dei vecchi laboratori per la lavorazione del marmo nella città di Pietrasanta si risolvono studiando progetti di recupero edilizio e urbanistico e di riqualificazione funzionale.

La necessità di trasformare i laboratori in "atelier" per artisti e studenti disseminati nel tessuto storico, è dovuta alla già diffusa presenza dei primi (fra tutti basti citare Fernando Botero, Igor Mitoraj, Kan Yasuda, che hanno casa a Pietrasanta) e alla presenza del Centro Arti Visive, collocato presso l’ormai ex Convento dei Frati Francescani, una sorta di scuola di alta formazione nel campo dell’arte.

Pietrasanta potrebbe così assumere sempre più un ruolo di città-scuola e di centro di sperimentazione e ricerca, oltre a quello già noto in tutto il mondo di piazza espositiva. Vecchi laboratori del marmo si trovano ad ogni angolo del centro storico cittadino: abbandonati nel corso degli ultimi decenni, erano fonte di degrado urbano e, al tempo stesso, enorme risorsa per la città, in termini di aree e di spazi localizzati nei punti nevralgici: ad oggi alcuni di essi sono stati recuperati con nuove funzioni.

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Ma queste antiche “botteghe” non sono solo un patrimonio edilizio sottoutilizzato e per il quale devono essere cercate nuove funzioni: esse costituiscono un enorme patrimonio culturale. Al loro interno è contenuta la storia di Pietrasanta, esse sono intrise delle fatiche, della creatività e dell'esperienza di generazioni di artigiani del marmo; questi ambienti ormai in disuso sono l'ultimo segno tangibile di una storia secolare che ha attraversato tutte le espressioni della scultura e dell'architettura e che quindi sono l'essenza stessa della cultura del marmo e del rapporto tra la materia e la forma.

Il riuso dei laboratori per collocarvi atelier, sale espositive, musei, alloggi per studenti, non è solo un’operazione di recupero architettonico, ma anche di un patrimonio culturale.

Nel corso dei secoli il rapporto fra identità collettiva e architettura si è sempre espresso con gli interventi pubblici o di preminente interesse pubblico, e la forza di tale legame è andata di pari passo con la volontà di esprimere valori comuni entro i quali tutti potessero riconoscersi. A Pietrasanta, il rapporto diretto tra opere collettive ed immagine della città assume un valore notevole, vista la consistenza che l'attività artistica della lavorazione del marmo rappresenta, e non solo per coloro che vi abitano, ma anche della folta colonia di artisti stranieri ed "apprendisti artisti" che la popolano. Storicamente Pietrasanta si è formata, sviluppata ed è cresciuta con i suoi laboratori di marmo: mentre a Carrara, Seravezza o Stazzema si estraeva il prezioso marmo, a Pietrasanta ci si specializzava nel lavorarlo.

La consapevolezza della grande risorsa culturale rappresentato dalla lavorazione artistica del marmo ed il perseguimento della sua valorizzazione, richiede strutture adeguate, atte a sublimare i contenuti intrinseci di questa particolare attività sotto ogni punto di vista, e tali da determinare il salto di qualità che compete al retaggio storico-artistico di Pietrasanta. Per questo l'architettura dovrebbe aiutare la città a creare luoghi di interesse collettivo dove poter valorizzare l'arte del marmo.

Figura 23: un’immagine dell’interno di uno dei laboratori con artisti e artigiani all’opera

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4.2.2. Idea progettuale

L'area Pierotti rappresentava la chiusura dell'asse del marmo, una sorta di cerniera tra i molteplici laboratori che si collocano lungo la statale Aurelia e quelli “sopravvissuti” nel centro storico. Da qui, l'idea e la necessità di recuperare tale area inserendo funzioni compatibili con la propria vocazione storica, ma anche con le mutate esigenze di accoglienza turistica, che permettessero di valorizzare questi esempi, seppur semplici, di architettura industriale.

Destinare edifici vecchi a nuovi usi, mantenendo al contempo la loro identità è un processo che si è evoluto nel corso del tempo. Edifici costruiti per una determinata funzione sono stati inevitabilmente adattati alle circostanze mutate nel corso del tempo. In passato questo processo di cambiamento avveniva in modo quasi impercettibile.

Tuttavia, dalla metà del XX secolo, il ritmo dello sviluppo tecnico si è notevolmente intensificato, il che ha comportato una difficoltà sempre crescente nell'adattare strutture esistenti a nuovi usi. Le politiche di pianificazione sia degli enti locali che delle imprese commerciali si sono perciò sempre più dirette a spostare le industrie e il commercio dal

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centro delle città verso le aree suburbane. Il risultato di questa operazione fu una quasi completa separazione tra abitazione e lavoro. Col passare del tempo lo spazio nei centri urbani è diventato sempre più congestionato; inoltre, nel corso della loro espansione, le aree urbane hanno superato i loro originari confini, arrivando a inglobare molti magazzini e fabbriche, in precedenza costruiti in quella che un tempo era considerata la periferia. Di conseguenza, le imprese si trovarono strettamente inserite nel tessuto urbano e senza alcuna possibilità di espandersi.

Nella maggior parte dei casi non vi fu un ulteriore utilizzo degli edifici vuoti, ormai privati delle loro funzioni. L’attenzione nel cercare per essi nuove destinazioni d’uso, adeguate alla loro tipologia, è sempre stata scarsa, se non assente. I vecchi fabbricati erano percepiti solo come un ostacolo sulla strada del nuovo sviluppo. Nei rari casi in cui sorgeva la richiesta di mantenerli, era solamente in un’ottica storico-conservativa e in molti casi essa non andava oltre la conservazione dell'involucro esterno – le facciate – mentre l'interno veniva completamente ridisegnato in accordo con le nuove esigenze. Come risultato del processo di espansione urbana, i complessi abbandonati erano spesso situati nel mezzo di paesi e città, nei pressi dei centri storici. Anche il costante aumento dei prezzi dei terreni è stato un buon motivo per la demolizione di questi manufatti, per fare spazio a un più proficuo sfruttamento dei siti. Ciò che contava era la terra stessa: le strutture lì presenti erano considerate capitale inutilizzabile.

Fin dagli inizi degli anni '70 si mise in moto un processo di ripensamento, volto alla rivitalizzazione del tessuto edilizio esistente. Paesi e città si trovavano sempre più spesso a fare i conti con l’esodo di imprese commerciali e con gli edifici vuoti e inutilizzati che si lasciavano alle spalle. Nello stesso tempo una maggiore sensibilità verso gli edifici storici, che erano apparentemente divenuti superflui, cominciò a manifestarsi nella popolazione nel suo complesso, così come tra i pianificatori e negli enti locali.

Pian piano la gente si rese conto che la conservazione degli edifici di vecchie fabbriche, magazzini e officine non era solo un problema storico-conservativo, ma contestuale alla struttura urbana e al carattere e la qualità abitativa dei quartieri coinvolti. Prima degli anni '70, raramente veniva preso in esame un cambiamento di destinazione d’uso; successivamente, edifici che prima sarebbero stati condannati alla demolizione trovarono nuova vita grazie alle nuove funzioni loro assegnate.

Negli anni '70 la salvaguardia degli edifici storici era ancora materia dei cosiddetti “conservatori”; infatti, erano principalmente le "costruzioni monumentali classiche" a

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essere conservate, chiese e palazzi, piuttosto che esempi di architettura industriale che, dal punto di vista della storia dell'arte, non godevano del prestigio degli edifici di culto o di altri monumenti architettonici. Nel caso di edifici industriali e commerciali, i vincoli economici, che orientavano alla demolizione, erano una barriera insormontabile alla conservazione. Con il processo di ripensamento che iniziò ad aver luogo a favore del mantenimento e del riuso di impianti industriali, l'intero campo della conservazione assunse un nuovo significato.

Agli occhi degli enti preposti alla conservazione, un criterio determinante per stabilire se un edificio vada salvaguardato è che esso possa essere destinato ad un oculato uso a lungo termine: questa regola si applica specialmente a vecchie strutture industriali e commerciali. Deve perciò essere possibile apportare taluni cambiamenti dovuti alle nuove funzioni a cui i manufatti sono destinati; inoltre dovrebbe essere possibile eseguire queste variazioni in modo da favorire gli scopi della conservazione e non siano in contraddizione con essi.

In questo processo di ripensamento giocano un ruolo importante anche gli abitanti del luogo. Infatti, mentre in passato essi avevano poca o nessuna voce in capitolo per quanto riguardava la pianificazione urbana e i conseguenti cambiamenti cui erano soggetti i loro quartieri, i luoghi di vita quotidiana, recentemente la situazione è cambiata radicalmente. Oggi gruppi di azione di cittadini, movimenti e organizzazioni si battono per il mantenimento degli edifici storici ed esercitano una grande influenza sul processo decisionale. A ciò si aggiunge da una parte una crescente coscienza dell'ambiente, che va di pari passo col desiderio di riutilizzare le risorse degli edifici esistenti, piuttosto che veder consumare altro suolo; dall'altra vi è la crescita dell'identificazione dei residenti con il tessuto circostante in evoluzione.

L'attenzione delle amministrazioni locali si sta gradualmente spostando dall'espansione urbana verso la manutenzione e l'ampliamento di strutture insediative esistenti. L'obiettivo diventa quello di sostituire piani su larga scala, che provocano cambiamenti strutturali, con piani di sviluppo e di rinnovamento più limitati e accorti. Alla base di questo ragionamento vi è l'intuizione che una riuscita conversione e integrazione di edifici esistenti e dei loro nuovi utilizzi nel tessuto funzionale di paesi e città può avere un effetto positivo e stimolante sulla vita economica e sociale di un'area.

Alcuni dei fattori che hanno determinato lo spostamento dell'attenzione su interventi di piccola scala sono stati la riabilitazione e il riuso di vecchi edifici che erano stati privati delle loro funzioni, la bonifica di aree abbandonate e la loro reintegrazione nel tessuto

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strutturale delle città. Questa strategia è mirata ad aumentare nei cittadini l’attrattiva verso le zone interne del centro abitato, per conservare strutture urbane esistenti e riempirle di nuova vita; la reintegrazione degli edifici, dotati di nuovi usi, nel tessuto urbano significa che vecchi e familiari dintorni vengono mantenuti per gli abitanti locali. Il tessuto di città e paesi, che ha una sua naturale evoluzione, nei suoi aspetti abitativi, di lavoro e ricreazione, viene quindi preservato e può essere riorganizzato razionalmente.

L’obiettivo del riuso di edifici dall'immagine consolidata all'interno della città è quello di mantenere intatto un ambiente sociale e culturale che si è sviluppato nel corso di molti anni e di salvaguardarlo da gravi abusi esterni, reintegrando i manufatti nel tessuto funzionale della città.

In alcuni siti che si vogliono recuperare possono inoltre esistere spazi aperti, eventualmente con vecchi alberi o caratteristiche costruttive storiche come gradini e pavimentazioni: in tal caso questi possono formare il nucleo di un’oasi verde o un nuovo spazio pubblico, fruibile dalla popolazione.

Fra i vantaggi del riuso e della conversione degli edifici di vecchie fabbriche, magazzini e laboratori, uno dei principali è sicuramente, in accordo alle previsioni dei piani urbanistici, la vasta possibilità di scelta delle nuove destinazione d’uso; ma fondamentale è il concetto di compatibilità, che deve essere applicato a qualsiasi proposta di riutilizzo di un edificio, alla sua conversione o alla sua estensione per favorire una razionale rivitalizzazione delle strutture esistenti e per salvare vecchi e pregevoli materiali dalla distruzione. Infatti, alcuni di questi materiali oggi non possono essere ottenuti o comunque non è possibile produrli in maniera economica.

In molti casi sarà disponibile una superficie di piano più ampia di quanto non sia effettivamente richiesto dalle esigenze funzionali. Può essere quindi possibile incorporare più funzioni in uno stesso edificio, aumentando e diversificando la varietà di usi.

Gli ampi spazi e le superfici continue di piano offrono un maggior grado di libertà e flessibilità per gli usi proposti; l’altezza delle stanze, maggiore rispetto a quella degli edifici di nuova costruzione, permette un’ampia gamma di usi, in particolare nel caso di abitazioni. Si possono inserire nuovi piani – per esempio, sotto forma di gallerie – creando un'atmosfera estremamente interessante. Nella maggior parte dei casi, la condizione strutturale di un edificio permette il suo riutilizzo senza grossi cambiamenti, poiché la grande maggioranza degli edifici industriali da recuperare è stata costruita con

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una struttura a scheletro, dimensionata per sopportare grandi carichi.

Un altro aspetto positivo è talvolta rappresentato anche dalle proprietà fisiche dei vecchi fabbricati: costruiti in molti casi con massicci muri di mattoni, essi offrono un elevato grado di isolamento termico e un buon isolamento acustico.

Quando vecchi edifici devono essere riutilizzati, il progetto di riuso consiste nell'adattare la struttura esistente alle nuove funzioni. In termini di costruzioni e di progetto, l'assetto esistente dei vincoli offre l'opportunità di raggiungere soluzioni piuttosto diverse da quelle che sarebbero state possibili con una nuova costruzione. Anche se è previsto l’inserimento di nuovi tratti esteriori, che riflettano la nuova funzione, è necessario conservare l'aspetto globale: infatti un importante aspetto di ogni lavoro di conversione è quello di rispettare le strutture architettoniche di un edificio. Spesso queste si presentano come facciate riccamente articolate, colonne, muri e tetti, e anche gli interni possono essere stati eseguiti con grande maestria e abilità tecnica e artistica; inoltre, possono essere riportati alla luce anche dettagli che sono stati ampiamente celati dal vecchio uso.

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In generale si può dire che la proposta di convertire e riutilizzare fabbricati industriali meritevoli di essere salvaguardati ha dato un importante contributo al loro salvataggio; in ultima analisi, il fattore decisivo non è il vincolo esistente su un edificio, quanto piuttosto il desiderio di riempire vecchi muri di nuova vita.

Spesso il concetto di riuso, specialmente nel caso in cui la nuova funzione affidata al vecchio manufatto sarà quella residenziale, si associa al termine “loft”, vocabolo che, nel linguaggio corrente, indica la trasformazione d'uso di uno spazio industriale o commerciale in un ambiente rinnovato per fini domestici o commerciali-espositivi. Questa pratica ha iniziato a diffondersi all'interno delle dinamiche urbane, a causa della progressiva dismissione e allontanamento verso i margini urbani delle attività lavorative. Come già affermato, tale situazione ha comportato una ricollocazione delle aree industriali in posizioni non solo economicamente più vantaggiose, ma anche più strategiche, poiché più vicine alle infrastrutture di trasporto e comunicazione, innescando di contro l'immissione sul mercato immobiliare di molti fondi e capannoni industriali in disuso, alcuni dei quali di notevole qualità architettonica e spaziale. Di conseguenza si è diffuso un sempre maggiore apprezzamento per i resti di un'antica civiltà del lavoro, la cui conservazione risponde alla necessità di testimoniare, attraverso le tracce costruite, la memoria di una società evoluta e in continua trasformazione. Il concetto di restauro e riuso si è poi esteso anche alle aree industriali, dove per i manufatti più pregiati si è diffusa la nozione di "archeologia industriale".

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In molti casi la necessità e il desiderio di mantenere all'interno dei centri abitati la memoria dell'antico ha determinato il riuso a fini abitativi di questi spazi, che sono stati reinterpretati secondo nuove declinazioni della vita domestica, anch'essa in corso di revisione per effetto della trasformazione degli usi e dei costumi di una società che propone, oltre al modello tradizionale della famiglia, modelli più articolati e complessi dell'abitare.

Il loft trasforma il concetto tradizionale e consolidato di casa, articolato per stanze connesse non solo alla specializzazione delle varie attività, ma anche dei componenti della famiglia, in un luogo nuovo, uno spazio unitario, quello originario del lavoro, aperto, privo delle delimitazioni degli ambienti, autentico, con le strutture solitamente esibite e caratterizzato da un nuovo modus vivendi del proprietario, che esprime nell'abitare il proprio status colto ed evoluto.

Le prime forme di magazzini e spazi industriali dismessi riconvertiti a uso domestico si possono rintracciare a partire dalla fine dell'Ottocento, nell'occupazione dei sottotetti e delle mansarde parigine del quartiere latino, dove studenti e artisti ricercano spazi in cui vivere e lavorare, non potendosi permettere un’abitazione e uno studio separati. Come dice Anne-Marie Lecoq, nel suo saggio Altre vite nella città: atelier d’artisti nell'Ottocento contenuto nel catalogo della mostra Il progetto domestico. La casa dell'uomo: archetipi e prototipi, in occasione della XVII Triennale di Milano, molti artisti si insediarono nei pressi della capitale francese "[…] in edifici in disuso: scuderie, capannoni, laboratori artigianali, fabbriche, palestre, sale d'armi o sale per il gioco della palla corda. L'organizzazione poteva essere confortevole e pratica, come la vecchia palestra occupata da Delacroix in rue Notre-dame-de-Lorette dal 1845 al 1857, o del tutto indigente, come l'antico essiccatoio di tintore di quindici metri per dieci costruito con tavole e gesso in rue Tourlaque a Montmartre, a cui si ispirò Zola per l'ultimo atelier di Cloude Lantier: è un magazzino bohemien". Inoltre, sottolinea ancora la studiosa francese, con lo sviluppo dell'architettura industriale a ossatura metallica verso la fine del XIX secolo, con il materiale di recupero dei padiglioni delle grandi esposizioni universali, furono costruiti molti edifici in cui si insediarono artisti bohemiens che, rifiutando la vita attiva della società moderna, si rifugiarono per lo più in ritagli urbani, in cortili dove erano eretti edifici pseudoindustriali a basso costo. Tali artisti con i loro comportamenti e i loro stili di vita infransero le regole e gettarono il seme di un nuovo immaginario domestico che si diffuse anche oltre oceano. Nel Novecento, in Inghilterra e negli Stati Uniti, a partire dall'immediato dopoguerra e con maggiore frequenza dagli

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anni '60 a seguito della liberalizzazione dei costumi, e del desiderio di affermazione di stili di vita alternativi, gruppi di studenti alla ricerca di alloggi a basso costo, si adattano a vivere in ambienti dismessi, a recuperare costruzioni e destinazioni utilitarie che erano sufficientemente grandi e ben illuminate; immobili che per il loro carattere spoglio e la quasi totale assenza di comfort, non trovando un adeguato inserimento sul mercato, si prestavano ad essere trasformati senza eccessiva spesa. L'utilizzo spontaneo di questi ambienti, che preservava l'aspetto originario delle strutture, più per motivi contingenti ed economici, che per una coscienza della conservazione della spazialità e dei materiali dei manufatti, ha costituito un nuovo modo di abitare che nel tempo si è trasformato da necessità in fenomeno di moda, in status symbol.

I fondi, caratterizzati da ampi spazi aperti, vani unitari, illuminazione diffusa, definiscono per tanto la loro specificità attraverso la valorizzazione degli elementi che delimitano proprio l'involucro architettonico: dalle superfici omogenee della pavimentazione alla struttura verticale e di tamponamento, dotata il più delle volte di grandi aperture, sia per l'accesso dei mezzi pesanti, che per l'illuminazione naturale degli ambienti di lavoro, alla copertura costituita da strutture leggere, tipo sheds, grandi capriate lignee o metalliche, attraversata da ampi lucernari; tutti elementi che definiscono un carattere e una spazialità già presenti prima dell'intervento di riconversione dell'immobile.

Al giorno d’oggi simili tipi residenziali sono molto ricercati, poiché esprimono una scelta non tradizionale dell’abitare; l’assenza di suddivisione in stanze è accolta spesso non come un vincolo, quanto come ricerca di una tipologia che tenda alla magniloquenza. L’involucro privo di vincoli al suo interno può essere interpretato come uno spazio scenico, un ambiente libero, senza suddivisioni, organizzato per accogliere le varie zone che definiscono la casa come una grande scenografia in cui si rappresentano l’altezza, la scala, il ballatoio, le finestre, le strutture siano condotte verso un nuovo, diverso concetto di “domestico”.

L'abitazione nel suo complesso è vissuta con una percezione non introversa e costrittiva, dove le funzioni non specializzano vani definiti, ma porzioni particolari di uno spazio generale, che viene vissuto nel suo complesso.

La caratteristica spaziale del loft crea un’atmosfera carica di suggestioni in cui le notevoli altezze permettono spesso la creazione di zone soppalcate che aumentano i punti di osservazione dell'ambiente e degli oggetti in esso contenuti, consentendo la costruzione di un panorama interno che vive delle mutevoli condizioni d'uso degli spazi e delle attività.

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56 Figura 27: interno del reparto taglio delle lastre di pietra

Da questo punto di vista il loft rappresenta un luogo di ricerca e sperimentazione di un concetto di abitare diverso dal solito e in opposizione rispetto all’idea dell’estrema funzionalizzazione della casa, tipica dell'Existenz minimum; il loft deve mantenere la propria originale integrità.

Il modo di intervenire sui grandi spazi industriali dismessi tende pertanto a mettere in evidenza la struttura dell'ambiente, a conservare e valorizzare una dimensione architettonica che comprende il restauro, l'arredo, la scenografia come discipline mutuate verso una sorta di unicum operativo e abitativo che è appunto l'essenza dei loft.

Il loft rifugge la ridondanza decorativa, che non ha niente a che fare con l’originaria natura utilitaristica dell'antica destinazione. Pertanto, nell’abitare questo genere di alloggi, esiste un vero e proprio rifiuto dell'ostentazione opulenta, mentre appare evidente una costante ricerca della sofisticazione e del raffinato, anche con l'utilizzo di materiali poveri.

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che si concretizza spesso in un'attenta opera di ripulitura delle superfici naturali; così nel restauro molti elementi sono sottoposti al processo di sabbiatura e di rinaturalizzazione.

Sotto l’aspetto cromatico, la tendenza più diffusa è quella di riportare gli ambienti allo stato "grezzo", creando uno sfondo di un'unica tonalità; gli spazi possono essere resi uniformi da una colorazione neutra di tutte le superfici, per esempio utilizzando pavimenti in cemento industriale, o in legno, a volte rifiniti con resine chiare che riprendono i toni morbidi delle pareti e dei tamponamenti verticali realizzati senza intonaco con le superfici ammattonate o in blocchi di cemento completamente a vista. L'uso dei materiali, nella realizzazione degli spazi trasformati, assume un grande valore espressivo, reso suadente attraverso una accorta contrapposizione di elementi e finiture. L'utilizzo di profili e componenti in ferro usati a vista e trattati con vernici trasparenti che esaltano la reale essenza del materiale, o pavimenti in doghe di legno grezze lavorati e montati come nei vecchi solai di una casa contadina, o superfici in calcestruzzo lasciate nel loro aspetto originario semplicemente protette con un fissativo antispolvero, o ancora gli impianti e le canalizzazioni lasciati a vista, secondo la loro consistenza originaria, contribuiscono in maniera determinante a definire il carattere vagamente bohémien di questo tipo di soluzione abitativa.

Descrizione degli interventi

Dopo aver effettuato le indagini a vista dello stato di fatto dei singoli fabbricati, si è ritenuto opportuno procedere ad una classificazione degli interventi da realizzare su ciascun edificio in base al diverso stato di conservazione degli stessi.

Gli edifici che furono i laboratori veri e propri ad oggi versano in gravi condizioni di degrado (deterioramento degli intonaci, crollo di coperture, gronde, coronamenti, tramezzature e carroponti): per questo motivo nel presente studio si prevede la loro demolizione con successiva sostituzione edilizia. I nuovi volumi occuperanno la medesima superficie coperta dei precedenti e di questi saranno rispettate le caratteristiche tipologiche (serialità, dimensioni e aspetto delle aperture, cornici, materiali), intervenendo con soluzioni tecnologiche innovative (coperture ventilate, murature in blocchi, serramenti a taglio termico), che richiamino i canoni tipici dei manufatti esistenti, ma aggiornati ai tempi correnti. In accordo con le nuove normative edilizie comunali, si provvederà ad una contenuta sopraelevazione dei due edifici, che, sommata all’attuale altezza dei locali, già consistente, permetterà in entrambi i casi la

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58 creazione di un ulteriore piano abitabile.

Il fabbricato posto sul lato nord del lotto (indicato con la lettera A sulle tavole e in figura 22), sarà dedicato ad attività ricettiva; la serialità della costruzione attuale ha costituito lo spunto per la suddivisione della struttura del nuovo edificio in nove moduli di dimensioni più o meno uguali. Le grandi finestrature presenti sul lato corte hanno poi contribuito a far nascere l’idea di creare al piano terra otto ampie stanze dotate di soppalco, sullo stile dei cosiddetti loft, capaci di ospitare quattro-cinque persone e munite di doppi servizi; come già detto, grazie alla sopraelevazione sarà possibile ricavare un piano sottotetto in cui saranno collocate ulteriori otto comode camere per due o tre persone.

L’edificio situato sul lato ovest (edificio B, figura 22) sarà demolito solo parzialmente: infatti, come secondo la volontà della committenza, la porzione di edificio più a sud, per intendersi quella con muratura a vista sul fronte strada, dove è posta l’insegna degli ex laboratori, sarà ristrutturata e messa a disposizione dell’Amministrazione Comunale con destinazione musiva e turistica. La parte demolita sarà invece ricostruita con una piccola addizionale volumetrica e sarà suddivisa in cinque case-atelier di diverse dimensioni, con laboratori artigianali e studi artistici a piano terra e appartamento di pertinenza a quello superiore; il tutto nel rispetto degli attuali canoni architettonici che contraddistinguono il fabbricato.

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La palazzina che conteneva gli uffici della contabilità, la sala da disegno e la casa del custode (edificio C, figura 22) sarà conservato e ristrutturato per permettere una trasformazione d’uso a bar e attività ristorativa, comprese le cucine, i locali di servizio e deposito dimensionati secondo le normative igienico-sanitarie vigenti. Il ristorante, collocato al piano primo, sarà in grado di ospitare circa cento clienti, così da fornire servizio sia agli ospiti dell’attività ricettiva che a turisti e avventori di passaggio.

La piccola cappella posta al vertice sud del lotto (edificio D, figura 22) non fa parte del presente studio, ma per essa si prevede che sarà necessario un intervento di restauro, in accordo con la Sovrintendenza ai Beni Culturali di Lucca.

Oltre a questi interventi, grazie al recupero dei volumi demoliti e alle addizionali funzionali previste grazie al cambio di destinazione d’uso, si propone la costruzione di due nuovi edifici.

Il primo (edificio E, figura 22) è un fabbricato ad un solo piano, collocato fra l’attività ricettiva e il bar-ristorante e connesso ai due blocchi, progettato con le funzioni di ufficio, hall e reception alberghiera. Dal punto di vista costruttivo, la parete che si affaccia sulla corte interna sarà in acciaio e vetro, mentre sul fronte stradale sarà costituita dall’attuale muro di cinta del lotto. La hall sarà caratterizzata da una copertura a cupola ribassata trasparente. Al posto del cancello d’ingresso sul vertice nord-est, sarà collocata una parete vetrata non accessibile, delle stesse dimensioni e ingombro dell’odierna chiusura.

Il secondo fabbricato (edificio C’, figura 22) sarà collocato in linea a quello già presente su via Santini e avrà le stesse dimensioni planimetriche; la sua posizione è stata studiata in modo che le due costruzioni risultino simmetriche rispetto al portale di accesso all’area presente su questo fronte. In elevato la nuova costruzione andrà ad allinearsi alla linea di gronda di quella esistente e, grazie alla pendenza del terreno, degradante mano a mano che ci si avvicina alla via Aurelia, è stato possibile prevedere la Figura 29: schizzo di studio dell’edificio destinato

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realizzazione di tre piani, di cui il terreno sarà suddiviso in due ambienti destinati ad attività commerciali e i due superiori saranno occupati da tre appartamenti per quattro persone, con zona giorno al piano primo e zona notte al secondo. Dal punto di vista architettonico il nuovo edificio sarà a scheletro regolare in cemento armato e sarà dotato di un rivestimento modulare in lastre di botticino (?), con colore grigio in corrispondenza dello schema strutturale e delle aperture, e marrone chiaro nei campi interni, a richiamare il colore dell’intonaco e la muratura in pietra a facciavista degli ex laboratori. Il modulo delle lastre, cm 82x41 (cm 61,5x41 in corrispondenza degli spigoli e cm 41x41 nella suddivisone delle unità immobiliari), caratterizza anche la collocazione di porte, finestre e vetrine, ed è stato ricavato in base al rapporto proporzionale fra le dimensioni planimetriche dell’edificio.

In base ai parametri urbanistici è stato valutato anche il fabbisogno di posti auto dovuto alle nuove funzioni cui saranno destinati gli edifici; per questo motivo è stato progettato anche un piano interrato destinato a parcheggio sotterraneo, di superficie doppia rispetto al necessario e con un’elevata capacità di posti auto e moto, che potranno essere eventualmente venduti anche a privati. È stata inoltre progettata la riorganizzazione della corte interna, che diventerà pubblica e con prevalenza di aree a verde, contornate da percorsi pavimentati.

Nell’ambito del progetto si è inoltre provveduto ad uno studio preliminare sulla fruibilità all’area e ai diversi edifici da parte di persone con disabilità, e sulle misure di sicurezza antincendio del complesso.

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