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Capitolo quarto Gli anni Ottanta tra genocidio e terrorismo

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Academic year: 2021

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Capitolo quarto

Gli anni Ottanta tra genocidio e terrorismo

Il nostro destino

Ai nostri oppressori, tutta la ricchezza del petrolio. A noi, neppure quel poco che serve per alimentare la lampada nelle nostre notti oscure. Gli stranieri nel nostro paese si sono ingozzati, saziati del nostro patire. E noi, noi poveri, infelici, miserabili trasciniamo brevi esistenze di terrore. Vietata a noi la lingua materna. Vietato a noi respirare. Massacrati i nostri giovani, a migliaia e migliaia. Desiderare la libertà, chiedere la libertà è diventato un crimine per noi, i Curdi.

(XX secolo)

1. La questione delle risorse energetiche. La guerra dello Yom Kippur (1973)

L'ultimo atto del conflitto arabo-israeliano si era svolto nel 1967, con la sconfitta dell'Egitto nasseriano nella guerra dei sei giorni. Il nazionalismo arabo rivoluzionario, che aveva sottomesso l'Islam alla ragione di stato, aveva fallito, e questa sua débâcle iniziò a far crescere il sentimento jihadista1. Nasser morì tre anni dopo, e il paese passò sotto la guida di Anwar al-Sadat, che non si rassegnava alla precedente sconfitta. Così, il nuovo presidente egiziano iniziò a far trapelare la notizia di una nuova possibile offensiva ai danni di Israele, cercando ovunque possibili alleati. Il primo a mostrarsi disponibile fu Hafiz al-Asad, seguito dalla Lega Araba, dall'OUA e dal movimento dei non allineati. La strategia di Sadat, dopo il fallimento del negoziato di Gunnar Jarring, consisteva nella volontà di infliggere una sconfitta militare ad Israele, in modo da ottenere nuovi negoziati per far applicare la risoluzione 242 delle Nazioni Unite2. Asad,

1Nasser, fino a quel momento capo indiscusso del panarabismo laico, aveva instaurato in Egitto una

repubblica che, come quella Turca, era stata dichiarata laica, benché comunque l'islam fosse la religione di stato. Nel 1954 Nasser fu vittima di un attentato organizzato dai Fratelli Musulmani, sunniti radicali, che lamentavano l'opera di secolarizzazione che il nuovo presidente egiziano voleva mettere in atto. L'organizzazione venne sciolta e i suoi membri furono arrestati. Tuttavia, in seguito alla sconfitta contro Israele del 1967, gli scritti di Qutb e la dottrina dei Fratelli Musulmani iniziarono a diffondersi nuovamente e in modo molto più vasto, determinando il sorgere di molte critiche verso gli apparati della repubblica. In molti, infatti, considerarono la sconfitta della guerra dei sei giorni come una punizione divina per il tentativo di controllare l'islam entro uno stato secolarizzato. Cfr. M. Emiliani, op. cit., pp. 182-185.

2Gunnar Jarring fu nominato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite come inviato speciale per la

questione arabo-israeliana. A seguito della guerra dei sei giorni l'ONU promosse la risoluzione 242, che prevedeva lo sgombero dei territori che Israele aveva conquistato nel 1967, e Jarring diventò il responsabile della sua applicazione con i governi di Egitto ed Israele. Nel gennaio del 1971 presentò una

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al contrario, mirava esclusivamente ad uno scontro armato che mostrasse la potenza dell'esercito siriano, in modo tale da far acquisire alla Siria lo status di potenza regionale. Ad ogni modo, la guerra si concluse in meno di un mese con la sconfitta delle forze arabe, ma le pesanti perdite inflitte da Egitto e Siria alle milizie israeliane vennero considerate comunque come una vittoria importantissima.

Le implicazioni dello Yom Kippur, tuttavia, non furono limitate al campo militare. Prevedibilmente, nel conflitto entrarono anche Stati Uniti e Unione Sovietica. I primi si schierarono a fianco di Israele principalmente perché Nixon credeva fermamente nella potenza militare israeliana e nella sua capacità di tenere a bada gli stati arabi circostanti, e allo stesso modo lo stato ebraico avrebbe rappresentato un ostacolo alla penetrazione sovietica in Medio Oriente. Dal canto suo, l'URSS guardava con favore all'Egitto già dai tempi di Nasser, e si prestò volentieri a fornire armi a Sadat, soprattutto dopo il suo ruolo nella guerra del 1967, dove, dopo aver acceso la miccia del conflitto, non era stata in grado di fornire alcun aiuto concreto ai suoi alleati. Per entrambe le superpotenze si era aperto un altro teatro dove entrambi potevano cercare di imporre la loro supremazia, cercando nuovi alleati da attrarre nella propria orbita. Questo processo fu indiscutibilmente favorito dai due presidenti del tempo, vale a dire Nixon e Brežnev, due personalità piuttosto influenti al tempo, che stavano iniziando a porsi il problema delle risorse energetiche, altra questione fondamentale per iniziare a guardare con interesse al conflitto arabo-israeliano.

Alla guerra seguì l'embargo imposto dall'OPEC a tutti i paesi che avessero sostenuto Israele, che provocò il primo shock petrolifero del XX secolo3. La motivazione alla base di questa decisione era di natura politica. I paesi esportatori considerarono fondamentale sostenere i palestinesi in qualsiasi modo possibile, e lo fecero dimezzando la produzione petrolifera e aumentando consistentemente il prezzo al barile. L'Arabia Saudita, tradizionale nemica di Israele, dopo la richiesta di aiuto di Sadat alla vigilia della guerra fu bel lieta di riuscire a dare anche un aspetto religioso all'embargo, creando un fronte unito dei paesi musulmani dell'OPEC contro chiunque tra gli occidentali avesse sostenuto lo stato ebraico. Gli Stati Uniti, dalla destituzione di Mossadeq, importavano proposta di pace al Cairo e Tel Aviv, ma gli israeliani la rifiutarono. Sadat, invece, era pronto ad accettare il documento di Jarring, ma il veto da parte israeliana lo spinse a cercare una nuova soluzione militare. Testo della risoluzione ONU 242 del 22 novembre 1967 reperibile al sito

http://unispal.un.org/unispal.nsf/0/7D35E1F729DF491C85256EE700686136, data ultima consultazione 24 maggio 2015.

3Tra il 1973 e il 1974 i membri dell'OPEC erano Kuwait, Iran, Iraq, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti,

Qatar, Libia, Indonesia, Venezuela e Algeria. Essendo quasi tutti paesi a maggioranza musulmana era inevitabile che, nell'ambito del conflitto arabo-israeliano, le loro simpatie andassero verso i palestinesi e l'OLP.

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petrolio dall'Iran in cambio di armi, in modo da potenziare lo stato dello Shah e garantirsi un alleato in grado di resistere a qualsiasi tentativo di conquista di matrice araba o sovietica. Dall'imposizione del blocco dell'OPEC, tuttavia, per gli USA stava diventando difficile garantirsi gli approvvigionamenti petroliferi, e a Washington crescevano i timori di un possibile schieramento dei paesi musulmani con la fazione sovietica e di un possibile pericolo per l'Iran. L'URSS guardava invece con attenzione la situazione che si stava profilando, ma rimaneva molto attenta nei confronti dell'operato statunitense. Se già la guerra fredda era stata esportata nel Medio e Vicino Oriente quasi vent'anni prima, ormai gli attori in campo erano troppi, e il sistema bipolare, in qualche modo, stava iniziando a venire meno.

2. La prima Guerra del Golfo

2.1 L'Iran di Khomeini nel biennio 1979-1980

Nel febbraio 1979 l'ayatollah Khomeini faceva ritorno in Iran, ormai a rivoluzione compiuta. La crisi economica, la corruzione e il disappunto delle classi medie e dei nazionalisti a seguito delle politiche filostatunitensi di Mohammad Reza, fecero sì che la popolazione si rifugiasse in quel valore sicuro che l'islam sciita rappresentava. La rivoluzione iraniana fu, pertanto, una rivoluzione di popolo, nella quale Khomeini assunse il ruolo di guida, unificando una molteplicità di gruppi che altrimenti sarebbe rimasta eterogenea4. Vennero così istituiti i comitati rivoluzionari, Komiteh, i quali avevano il compito di eliminare ogni vestigia dei Pahlavi dal nuovo Iran khomeinista. Shahpur Bakhtiar, il capo dell'ultimo governo nominato dallo Shah, fu costretto a fuggire dal paese; tutti gli edifici che avessero qualsiasi legame con il regime, dalle stazioni di polizia alle prigioni, vennero assaltati e distrutti. I Komiteh lavorarono insieme ai disertori dell'esercito, al Tudeh e ai Fedayi per catturare e processare sommariamente tutti gli ex collaborazionisti della monarchia. Khomeini, attraverso l'operato dei comitati rivoluzionari, eliminò dal paese tutti coloro che si mostravano avversi alla sua teoria del giureconsulto. Tramite un referendum indetto nel marzo del 1979, con il 97% dei voti l'Iran diventava ufficialmente una repubblica islamica5.

A maggio dello stesso anno vennero fondati i Sepah-e pasdaran, Guardiani della

4Cfr. M. Axworthy, op. cit., pp. 275-276.

5E. Abrahamian, Iran between two revolutions, Princeton University Press, Princeton-New Jersey, 1982,

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rivoluzione, una forza armata sotto il comando dell'ayatollah creata appositamente per controbilanciare l'esercito, che insieme a Hezbollah (partito di Dio) garantivano la sicurezza del nuovo regime. Questi due corpi svolgevano il ruolo di polizia all'interno della repubblica, catturando tutti i membri dell'entourage dello Shah rimasti liberi che finivano per essere giustiziati dopo processi estremamente sommari. Secondo Khomeini, tutti coloro che avevano partecipato alla rivoluzione ma non condividevano i suoi principi non erano poi tanto diversi dai sostenitori di Mohammad Reza, e pertanto dovevano essere eliminati. Più o meno indirettamente questo ragionamento comprendeva gli appartenenti a qualsiasi gruppo politico-religioso, partendo dagli ulema che non approvavano l'eccessivo individualismo dell'ayatollah, fino ad arrivare alle minoranze etniche e religiose6. Il ripristino dell'applicazione della shari'a riavvicinò i religiosi a Khomeini, ma allontanò definitivamente i moderati e i liberali; nell'autunno del 1979 era stato fondato il Partito della Repubblica Islamica, che stava diventando il perno di tutte le decisioni governative. Il PRI aveva anche elaborato una bozza costituzionale, nella quale veniva esplicata la teoria khomeinista del velayat-e faqih, per alcuni versi ancora presente in Iran7. La costituzione permise all'ayatollah per legittimare le sue azioni, e laddove la carta non arrivava a garantire le sue conquiste potevano arrivare i Guardiani della rivoluzione, che con la violenza mantenevano l'ordine. La SAVAK, dopo essere stata epurata dai vertici filomonarchici, tornò ad essere lo strumento di controllo della vita del paese8.

A novembre del 1979 gli iraniani seppero che lo Shah era stato accolto negli Stati Uniti; gli studenti insorsero e si recarono all'ambasciata statunitense di Teheran, prendendo in ostaggio tutti i diplomatici ivi presenti. Sostenendo l'azione studentesca, Khomeini protrasse il più a lungo possibile questa crisi per mantenere una situazione semi rivoluzionaria che impedisse a qualsiasi oppositore di tentare di destituirlo. Utilizzando la questione degli ostaggi come facciata, continuò la sua opera di

6La classe degli ulema venne duramente colpita dal riformismo di khomeinista. Già dal tempo del suo

esilio, Khomeini risultava essere molto più celebre e amato di molte altre figure religiose di spicco in Iran, tra cui l'ayatollah Shariatmandari. Questi, al momento dell'instaurazione della repubblica islamica, si espresse a favore della creazione di un regime più moderato e meno repressivo, e non nascose i suoi dubbi in merito al velayat-e faqih, il governo del giureconsulto. Il risultato di queste sue esternazioni fu la privazione del titolo di marja, un'azione che mai nessun ulema sciita si sarebbe immaginato di fare, tranne chiaramente Khomeini.

7Presentazione e testo della Costituzione della Repubblica Islamica d'Iran reperibile al sito

http://www.iranchamber.com/government/laws/constitution.php.

8Venne anche ripristinato l'utilizzo del carcere di Evin, luogo tristemente conosciuto negli anni del regno

di Mohammad Reza per le torture e le violenze perpetrate nei confronti dei prigionieri. SAVAK, Guardiani della rivoluzione e Hezbollah costituivano una fitta rete che controllava qualsiasi settore della vita della repubblica islamica, dai lavoratori, alla stampa, ai contadini, alle cariche pubbliche.

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epurazione all'interno dello stato, questa volta contro il Tudeh e i Fedayi. Il partito comunista venne dichiarato colpevole di complottare con l'Unione Sovietica, pertanto fu sciolto.

I curdi, dal canto loro, continuavano a subire la repressione di Teheran. Se durante il regime di Mohammad Reza i curdi iraniani si erano trovati in una situazione di stallo a causa delle trattative tra Barzani e lo Shah, con Khomeini non si prefigurò in alcun modo un rischio simile. I curdi per l'ayatollah rappresentavano una pericolosissima fonte di instabilità, essendo essi sia una minoranza etnica che una minoranza religiosa. Il Kurdistan iraniano venne militarizzato, e i suoi abitanti furono controllati dal SAVAK. Durante la guerra contro l'Iraq la loro situazione peggiorerà ulteriormente.

2.2 L'Iraq e la necessità della guerra

Saddam Hussein sostituì al-Bakr alla guida della repubblica il 16 luglio 1979. Già da quando era vice capo del Consiglio del Comando della Rivoluzione, Saddam si era sperso per fare in modo che l'Iraq acquisisse una reale stabilità interna. Questa era legata a doppio filo con determinati fattori: la sicurezza economica, l'assenza di tensioni etnico-religiose, il controllo di eventuali movimenti insurrezionalisti. Sotto la sua presidenza ci fu un incremento della spesa per i settori della sicurezza, sia interna che internazionale, per garantire il proseguimento delle politiche di sviluppo e di stabilizzazione economica. In realtà, questa fu piuttosto una scusa per continuare a controllare il Kurdistan e cercare di sfruttare il più possibile i suoi giacimenti petroliferi. Il petrolio era il perno della politica di Saddam. Dopo l'ingresso iracheno nell'OPEC nel 1960 il conflitto con i curdi si era acuito considerevolmente. Dal 1961 fino al 1975 si erano verificate ben due guerre nel Kurdistan, la cui motivazione, almeno da parte di Baghdad, era la volontà di annientare i curdi per poter prendere effettivo possesso delle zone più ricche di risorse9. Lo shock petrolifero del 1973 dimostrò la corretta intuizione di Saddam, ovvero l'utilizzo del petrolio sia come bene commerciabile che come arma di scambio politica10. Alla fine degli anni Settanta, l'Iraq era un paese in crescita, con un

9Basti pensare all'utilizzo strumentale dei curdi che era stato fatto per la risoluzione della questione dello Shatt al-Arab. Con l'Accordo di Algeri del 1975 Barzani perde il sostegno di Mohammad Reza, che nel

frattempo era sceso a patti con al-Bakr e aveva così determinato la vittoria irachena nella seconda guerra contro i curdi.

10L'aumento del prezzo del petrolio al barile imposto dall'OPEC ebbe effetti più che benefici sulle

economie dei paesi esportatori. Inoltre, per continuare a garantirsi elevati guadagni, i paesi produttori decisero di mantenere alto il livello dei prezzi assegnandosi delle quote di produzione. Fino allo scoppio della guerra con l'Iran, pertanto, l'economia irachena era in costante crescita, e Saddam e al-Bakr potevano procedere con le politiche di welfare, la ristrutturazione degli impianti produttivi e la campagna

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ottimo sistema di assistenza sociale ed un'economia forte che stava lentamente uscendo dal sistema di sicurezza che gli Stati Uniti avevano creato nel Medio Oriente. Già dal 1968, al tempo del golpe che sancì l'ascesa di al-Bakr, il Ba'ath si avvicinò sempre di più all'Unione Sovietica, fino al punto da firmare un trattato di amicizia e cooperazione con Mosca nel 197211. Durante la guerra dello Yom Kippur l'Iraq non partecipò attivamente alle ostilità, ma si oppose a qualsiasi ipotesi di dialogo tra Sadat ed Israele per porre fine al conflitto, ed ancora fino al 1978 fu la guida del fronte del rifiuto del Vertice arabo di Algeri12.

Saddam indusse al-Bakr a dimettersi nel 1979, anche se già dalla metà degli anni Settanta era diventato il riferimento dell'Iraq per tutta la scena politica internazionale. Di fatto, era già come se la carica presidenziale fosse nelle sue mani, dal momento che nel 1976 diventò generale dell'esercito ed iniziò ad eliminare fisicamente qualsiasi ipotetica minaccia alla repubblica irachena. In quegli anni, questa presunta minaccia era riscontrabile tra Najaf e Karbala che, a seguito della breve residenza di Khomeini durante l'esilio, erano diventate centro di discussione sciita e di formazione filo-iraniana. Considerando che i rapporti tra Iraq e Iran non erano certo i più rosei, e la questione dello Shatt al-Arab ne era una prova lampante, Saddam iniziò a comandare all'esercito di monitorare le due città. Il controllo finì per diventare presto vera e propria repressione. Nel 1977 un corteo di sciiti in marcia da Najaf a Karbala viene massacrato dalle forze armate; nel 1979, a seguito dell'arresto dell'ayatollah al-Sadr, Najaf venne nuovamente colpita dall'esercito iracheno. In risposta alla violenza di Saddam, l'Organizzazione dell'azione islamica inizia a compiere attentati a Baghdad13. Il rientro di Khomeini in Iran non fece altro che alimentare una situazione già molto precaria, determinando i festeggiamenti degli ulema sciiti a seguito della nomina di al-Sadr come referente personale dell'ayatollah in Iraq. Questi si spinse addirittura ad emettere una

fatwa contro chiunque si fosse iscritto al Ba'ath; i religiosi iniziarono ad essere arrestati

in massa, deportati e talvolta uccisi. Pertanto, irritato e preoccupato dagli stretti legami tra clero iracheno e Teheran, Sadaam Hussein decise di muovere guerra alla Repubblica contro l'analfabetizzazione.

11J. P. Luizard, La questione irachena, Feltrinelli editore, Milano, 2003, p. 64. A condurre i negoziati fu lo

stesso Saddam Hussein, il quale poi procedette con la nazionalizzazione di tutto il sistema petrolifero e con la formazione del Fronte nazionale progressista, che porterà al governo la fazione del KDP di Talabani.

12Il Vertice arabo di Algeri si svolse dal 24 al 26 novembre 1973. Con esso venne riconosciuto il ruolo

centrale dell'OLP come solo rappresentante legittimo del popolo palestinese, ma durante questi tre giorni venne discussa anche la questione dei dialoghi che erano stati avviati tra Sadat e Begin e che, successivamente, avrebbero condotto agli Accordi di Camp David. L'Iraq e la Libia furono gli unici due paesi a non partecipare al Vertice.

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Islamica nel settembre del 198014.

2.3 Schieramenti internazionali nella Guerra del Golfo (1980-1983)

Con l'esecuzione di al-Sadr nell'aprile del 1980, Saddam Hussein aveva dato inizio al conflitto tra Iraq e Iran. La dichiarazione ufficiale giunse il 17 settembre 1980, con la proclamazione unilaterale della fine dell'accordo di Algeri del 1975. La guerra tra i due stati era indubbiamente accolta con estremo favore da Israele, il quale sperava in un indebolimento del fronte arabo a causa della divisione dell'OPEC in merito alla fazione da sostenere. In realtà, il primo effetto della dichiarazione di guerra dell'Iraq fu il sostegno politico che gli Stati Uniti fornirono immediatamente a Saddam Hussein. Dopo la rivoluzione di Khomeini, Washington si era trovata in una situazione di estrema difficoltà in merito agli approvvigionamenti di petrolio iraniano. Finito il tempo di Mohammad Reza, gli accordi economici tra Iran e USA vennero meno, a causa della totale chiusura verso il mondo occidentale operata dall'ayatollah. L'episodio dell'ambasciata di Teheran fu l'evento spinse il presidente Carter ad operare una consistente revisione della politica statunitense nei confronti iracheni. Saddam, dal canto suo, fu molto abile a far volgere a suo favore i timori occidentali verso la rivoluzione khomeinista e sul pericolo di instabilità che questa aveva creato in tutta la regione mediorientale. Dal 1982, quando l'esercito iracheno si trovava in una posizione di vantaggio militare, gli Stati Uniti passarono ad un reale sostegno militare dell'Iraq, inviando aiuti economici, armi e probabilmente anche coordinando le operazioni militari15. La presidenza di Reagan, timorosa di una possibile sconfitta irachena, si adoperò con ogni mezzo possibile per rendere possibile la vittoria di Baghdad. L'altro grande alleato iracheno fu il Consiglio di Cooperazione del Golfo, creato nel 1981, che si impegnò a garantire l'approvvigionamento petrolifero in Iraq.

L'Unione Sovietica, invece, non approvò l'operato iracheno, e smise di fornire armi all'Iraq. Non aiutò, almeno direttamente, la Repubblica Islamica, benché Mosca, insieme a Damasco, avesse fin da subito riconosciuto la sua nascita il 17 febbraio 1979. L'Iran nel frattempo aveva stretto un'alleanza con altri stati a maggioranza sciita, il Libano e la Siria. Asad, a seguito della rottura diplomatica con l'Egitto in merito al

14Ibidem, p. 80.

15Si veda in merito la testimonianza dell'ex ufficiale del National Security Council Howard Teicher,

reperibile al sito http://nsarchive.gwu.edu/NSAEBB/NSAEBB82/iraq61.pdf, data ultima consultazione 25 maggio 2015.

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trattato di pace con Israele, cercava di stipulare altre alleanze in funzione anti-israeliana, e l'occasione giunse al momento della dichiarazione di guerra irachena. La Siria era, dal momento dell'indipendenza, uno stato secolarizzato, anche se guidato da sciiti, pertanto Khomeini decise di accettare l'aiuto siriano solo nell'ottica di una convergenza politica nella regione, e non per motivazioni di tipo religioso. Ad ogni modo, Asad aiutò l'Iran nell'addestramento dei soldati iraniani e procurò loro ingenti forniture di missili Scud sovietici16.

Per quanto riguarda la questione curda, Iran e Iraq agirono esattamente come avevano fatto dieci anni prima, ovvero considerarono i curdi una sorta di merce di scambio. I primi ad agire furono gli iracheni, che decisero di armare le milizie del KDP iraniano a difesa delle città di Nowdesheh e Qasr-e Shin. Lo scopo di Saddam Hussein era quello di ritardare le operazioni dell'esercito iraniano lungo il confine e, soprattutto, non voleva che gli iraniani bloccassero l'autostrada tra Baghdad e Teheran, fondamentale per avere un rapido accesso ai territori della Repubblica Islamica. I curdi, nel frattempo, speravano di riuscire a creare delle zone libere nel Kurdistan iraniano grazie agli aiuti militari iracheni. Tuttavia, già alla fine del 1981 gli iracheni furono costretti a retrocedere perdendo molti territori conquistati, e vennero respinti dagli iraniani a ridosso del confine. A partire dal 1983 Saddam Hussein iniziò a temere che i curdi iracheni volessero attaccare l'oleodotto che da Kirkuk andava a Iskenderun in Turchia, fomentati dall'Iran. Onde evitare alleanze tra KDP, PUK e Iran, Baghdad decise di concedere ai curdi maggiore autonomia nella loro regione, e riuscì momentaneamente ad evitare dei danni alle forniture petrolifere17.

Dopo una prima fase in cui l'Iraq sembrava essere in grado di sconfiggere velocemente le truppe dell'ayatollah, Saddam Hussein vide il suo esercito retrocedere altrettanto rapidamente. La modalità conduzione della guerra che andava delineandosi ricordava sempre di più una sorta di moderna guerra di trincea, a tratti perfino simile alla guerriglia. Probabilmente l'errore iniziale venne commesso dagli iracheni, che consideravano l'esercito iraniano debole visto che Khomeini stava operando una vera e propria epurazione anche all'interno delle forze armate. Saddam Hussein propose un cessate il fuoco tra il 1982 e il 1983, il quale venne immediatamente rifiutato da Khomeini a causa della proposta di mantenimento di truppe irachene sul confine.

16W. Fulton, J. Holliday, S. Wyer, Iranian strategy in Syria, AEI's critical threats & Institute for the Study

of War, 2013, disponibile al sito http://nsarchive.gwu.edu/NSAEBB/NSAEBB82/iraq61.pdf, data ultima consultazione 25 maggio 2015.

17N. Entessar, The Kurdish factor in Iran-Iraq Relations, Middle East Insitute, 2009, reperibile al sito http://www.mei.edu/content/kurdish-factor-iran-iraq-relations, data ultima consultazione 25 maggio 2015.

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Piuttosto, l'ayatollah controbatté con una dichiarazione nella quale sosteneva che non avrebbe posto fine alle ostilità finché il regime del Ba'ath non fosse stato sostituito con una repubblica islamica.

2.4 Le fasi finali del conflitto (1984-1988)

Khomeini, di fatto, mantenne la promessa e cercò di invadere l'Iraq, ma l'unico effetto che quest'azione sortì fu solamente aumentare il numero delle vittime e diminuire le riserve di armi. La scarsità degli armamenti per i combattimenti di terra era un problema con il quale anche l'Iraq stava iniziando a fare i conti. La guerra si spostò così su un altro piano, quello del petrolio. Saddam si mosse per primo, bombardando le petroliere iraniane nel Golfo Persico e spingendo l'Iran a fare altrettanto. Ne risultò una vera e propria “guerra delle petroliere” nella quale, tuttavia, l'Iraq si dimostrò essere decisamente avvantaggiato. Grazie alle dotazioni di aerei da combattimento francesi, Saddam Hussein iniziò ad attaccare ogni tipo di nave mercantile, spingendosi anche nella parte meridionale del Golfo Persico. Presto l'offensiva aerea si concentrò sulle raffinerie e le installazioni petrolifere marittime; l'Iran controbatteva solamente con il lancio di missili in direzione Baghdad18.

Per quanto riguardava la guerra terrestre, invece, il fronte era ancora rappresentato dal confine tra Iraq e Iran, e pertanto l'esito era in mano ai curdi. Baghdad continuava ad inviare rifornimenti ai curdi iraniani, Teheran invece inviava aiuto economici, militari e logistici al KDP iracheno. Talabani, ancora a capo del PUK, si trovò in una situazione molto particolare. I peshmerga del PUK combattevano insieme al KDP iraniano contro l'esercito iracheno, favorendo l'avanzata delle truppe di Khomeini. Ma contemporaneamente Saddam Hussein stava cercando di intavolare delle trattative proprio con Talabani, per fare in modo che il PUK impedisse l'ingresso degli iraniani nel Kurdistan, permettendo alle truppe ba'athiste di avanzare. L'accordo non venne realmente raggiunto; piuttosto, i due leader stipularono un cessate il fuoco che durò qualche mese, permettendo lo scambio dei prigionieri e l'attacco al PCI iracheno da parte dei peshmerga19. Dalla fine di gennaio del 1984 la guerra riprese il suo corso, e la

18Archivio Disarmo, Unione scienziati per il disarmo (a cura di), Scenari di guerra e prospettive di pace. Rapporto Sipri 1987, Edizioni Dedalo, Bari, 1988, pp. 308-309.

19La situazione era decisamente confusionaria. I combattimenti sul confine diventarono presto una vera e

propria guerra per procura, a tratti persino fratricida. Durante il cessate il fuoco tra Talabani e Saddam Hussein, gli schieramenti nel Kurdistan erano così composti: Iran, KDP iracheno, PCI iracheno; Iraq, KDP iraniano, PUK. Il conflitto, pertanto, venne lasciato nelle mani dei curdi mentre Teheran e Baghdad si concentravano sugli attacchi alle navi e ai convogli dei rifornimenti. Cfr. M. Galletti, op. cit., pp.

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204-scelta di Talabani provocò l'allontanamento momentaneo dei peshmerga dal PUK, considerato come un'organizzazione traditrice della causa curda. Tuttavia la separazione era destinata ad avere breve durata. A causa delle eccessive pressioni di Saddam Hussein sul distretto petrolifero di Kirkuk, tutti i curdi ripresero i rapporti ed iniziarono a combattere insieme, ognuno sul suo fronte, contro l'Iraq20.

Vista la riunificazione curda, a partire dal 1985 Saddam Hussein decise di concentrarsi sulla popolazione, in modo tale da estirpare quanti più simpatizzanti (e futuri guerriglieri) possibile. Oltre agli arresti sistematici che condussero alla sparizione di quasi diecimila uomini, l'esercito iracheno si specializzò nella distruzione dei villaggi curdi, per fare in modo che non avessero più alcun posto dove tornare una volta conclusa la guerra. Iniziarono anche le deportazioni della popolazione verso il confine con la Giordania e il Kuwait, oltre all'arabizzazione forzata della provincia di Kirkuk. La vera svolta nella strategia di annientamento dei curdi avvenne nel 1987, quando le truppe irachene iniziarono a fare un uso massiccio di armi chimiche contro la popolazione. Vennero effettuati bombardamenti con gas nervino, tabun e sarin sulle città di Sulimaniyya, Haladin, Erbil, Sirwan, e molti altri.

Il cessate il fuoco venne firmato il 20 agosto 1988, quando dopo ripetuti interventi delle Nazioni Unite, Saddam Hussein accettò di interrompere le ostilità. Di fatto, nessuno dei due stati vinse la guerra, ma l'Iraq ne uscì indubbiamente come il vincitore morale.

2.5 La campagna di Al-Anfal (23 febbraio 1988 - 30 agosto 1988)

Ali Hassan al-Majid, cugino di Saddam e ministro della Difesa, iniziò ad organizzare un progetto di “soluzione finale” ai danni del popolo curdo già dal 1987. Il Kurdistan iracheno, oltre ad essere considerato la “quinta colonna” irredentista del paese, era ritenuto dalle gerarchie del Ba'ath come una zona estremamente vulnerabile nell'ambito della guerra contro l'Iran21. Così, sfruttando la questione della Guerra del Golfo, al-205

20Oltre alle pretese su Kirkuk, la minaccia stavolta arrivava dalla Turchia. Ankara era riuscita a far

rinnovare a Baghdad un accordo segreto del 1978, stipulato proprio in funzione anticurda, con il quale otteneva il permesso di effettuare operazioni militari fino a 18 miglia dal confine senza avvertire l'Iraq. La Turchia, in questo modo, poteva controllare qualsiasi mossa curda, e soprattutto poteva adottare qualsiasi misura repressiva volesse.

21J. Benvenuto, R. Jacobs, J. Lim, Al-Anfal and the Genocide of the Iraqi Kurds, 1988, Center for the

Study of Genocide and Human Rights, Newark College of Arts & Sciences and University College, Newark, 2013, http://www.ncas.rutgers.edu/center-study-genocide-conflict-resolution-and-humanrights/al - anfal -and-genocide-iraqi-kurds-1988, data ultima consultazione 12 giugno 2015.

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Majid promosse due decreti che di fatto instaurarono uno stato di polizia nella regione curda. Nel giugno del 1987 tutte le zone rurali del nord furono dichiarate aree proibite e tutti i loro abitanti vennero automaticamente cacciati o uccisi perché ritenuti aiutanti dei

peshmerga. Alla fine del mese il Ba'ath proibì qualsiasi tipo di insediamento nel

Kurdistan, pena la fucilazione. Al-Majid rafforzò ulteriormente le restrizioni con il decreto del 20 giugno 1987, nel quale veniva ordinato ai soldati di uccidere con ogni mezzo a loro disposizione la popolazione curda22. In realtà il genocidio curdo era già cominciato ad aprile dello stesso anno con il bombardamento chimico alla sede del PUK di Sulaimaniya e al quartier generale del KDP nel governatorato di Dohuk, ma l'inizio ufficiale fu il 23 febbraio 1988 con l'avvio della campagna di al-Anfal23. Il governo di Baghdad, per essere certo degli obiettivi da colpire, organizzò un censimento alla fine del 1987, e una volta ottenute le rilevazioni al-Majid dette un ultimatum ai curdi, intimando loro di rientrare nel territorio iracheno. A seguito della risposta negativa il ministero della Difesa inizò le operazioni militari.

La campagna di al-Anfal si caratterizzò per essere un vero e proprio genocidio pianificato, al punto tale da essere considerato la “soluzione finale” del popolo curdo24.

Il tentativo di sterminio dei curdi da parte di Saddam Hussein venne minuziosamente organizzato in sette operazioni, svolte da febbraio fino ad agosto, durante le quali tutte le province del Kurdistan vennero bombardate con agenti chimici.

22Testo della direttiva SF/4008 del 20 giugno 1987 in R. T. H. O'Keane, Terrorism, Routledge, New York,

2012, https://books.google.co.in/books/about/Terrorism.html?id=OXNqEhxl26QC, pp. 131-132, data ultima consultazione 12 giugno 2015.

23La scelta del nome rimandava all'ottavo capitolo del Corano, nel quale veniva raccontata la battaglia di

Badr; il titolo completo della sura era proprio Surātu al-Anfāl, le spoglie della guerra.

24Human Rights Watch, The Al-Anfal Campaign, http://www.hrw.org/reports/1993/iraqanfal /ANFALINT.htm, data ultima consultazione 12 giugno 2015.

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http://www.kurdishgenocide.com

Ci furono due casi estremamente emblematici della crudeltà con cui l'Iraq stava affrontando la sua “quinta colonna”. Il primo avvenne a Halabja, quando per cinque ore consecutive la città venne bombardata con armi chimiche, razzi e napalm. La motivazione ufficiale fu una rappresaglia nei confronti dei peshmerga di Talabani, che avevano occupato la città qualche ora prima. Venne lanciato un ordigno di circa venti metri di diametro, contenente un insieme di cianuro, iprite e derivati del gas nervino25. I morti arrivarono a dodicimila, tra coloro che persero la vita durante l'attacco e chi morì in seguito alle ferite riportate. Nella regione del Bahdinan, vicino al confine turco, a due giorni dalla fine delle ostilità, gli iracheni lanciarono bombe cariche di gas venefici, uccidendo migliaia di curdi e provocando una fuga di massa verso la Turchia. I

peshmerga cercarono di aiutare quante più persone nella fuga, talvolta anche

improvvisando combattimenti impari con le milizie di Saddam Hussein. I bombardamenti cessarono solamente il 30 agosto, quando ormai la guerra era

25L'iprite, o diclorodietilsolfuro, S(CH

2CH2Cl)2, è conosciuto comunemente come gas mostarda a causa del suo odore. Prende il nome dalla città di Ypres in Belgio, dove venne testato per la prima volta dai tedeschi durante la Prima Guerra Mondiale. Ha effetti particolarmente dannosi sul corpo umano: provoca vesciche, disturbi circolatori, necrosi. Inoltre può provocare mutamenti nel patrimonio genetico. CDC-NIOSH, Sulfur Mustard: Blister Agent, http://www.cdc.gov/niosh/ershdb/emergencyresponsecard_2975 0008.html, data ultima consultazione 12 giugno 2015.

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ufficialmente finita da otto giorni. Stando alle fonti curde, tra marzo e agosto morirono quasi ventimila persone26.

Le forniture di agenti chimici agli iracheni provenivano dai paesi occidentali e più precisamente da Singapore, Egitto, India, Germania ovest e Paesi Bassi27. Gli iracheni non esitarono a coinvolgere nella responsabilità dell'accaduto anche gli Stati Uniti, loro alleati durante la guerra. Rumsfeld, segretario della Difesa, negò il silenzio-assenso di Washinghton, mentre Osama Bin Laden accusò esplicitamente inglesi e statunitensi di complicità con gli iracheni28. L'utilizzo di armi di tale portata, in ogni caso, ebbe un profondo effetto dal lato psicologico sui curdi, soprattutto perché per la prima volta nella storia un regime aveva utilizzato munizioni chimiche contro abitanti del suo stesso paese. Le due stragi ebbero l'effetto di annullare qualsiasi divergenza all'interno del movimento di opposizione curdo, che nel 1988 formò il Fronte del Kurdistan Iracheno. A questo aderirono tutti i partiti curdi, sotto il patrocinio di Siria e Iran, ma la sua nascita fu sicuramente tardiva. Occorsero anni prima che l'azione di Saddam Hussein venisse giudicata, e nel frattempo i curdi continuarono a subire violenze da parte dell'esercito iracheno, che anche a guerra finita continuava a presidiare le zone di confine29.

http://www.kurdishgenocide.com

26Cfr. M. Galletti, op. cit., pp. 208-209.

27Winsconsin Project (a cura di), What Iraq admitted about its chemical weapons project, http://www.iraqwatch.org/suppliers/nyt-041303.gif, data ultima consultazione 25 maggio 2015.

28J. R. Hiltermann, A poisonus affair: America, Iraq and the gassing of Halabja, Cambridge University

Press, 2007, pp. 104-112.

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3. La terza repubblica turca

3.1 Gli anni Ottanta. Evren e Özal (1980-1989)

Il 12 settembre 1980 l'esercito portò a termine un nuovo colpo di stato. I vertici militari accusavano il governo di aver abbandonato lo stato all'anarchia, alla corruzione. Il generale Evren, in particolare, individuò nello scontro tra movimenti di destra e sinistra la ragione dell'instabilità della repubblica, ed accusò i partiti di aver fomentato gli scontri. Rispetto alle precedenti esperienze golpiste, i militari stavolta non si limitarono alla soppressione di tutte le formazioni politiche, ma arrivano persino a chiudere tutti i consigli municipali, a destituire tutti i sindaci e ad arrestare tutti i politici. Il governo venne momentaneamente sostituito con un Consiglio di Sicurezza Nazionale alla cui guida venne posto Evren, che assunse anche la carica di capo di stato. Una settimana dopo il colpo di stato, il CSN nominò un governo composto esclusivamente da ufficiali in pensione e burocrati legati all'ambiente militare, alla cui testa venne posto Bülent Ulusu, ex ammiraglio e uomo fidato di Evren. I militari, pertanto, operarono una vera e propria purificazione della repubblica da qualsiasi retaggio politico a loro precedente, perché, secondo loro, per mantenere la stabilità in Turchia era necessario eliminare qualsiasi figura politica del passato, di qualsiasi fazione essa fosse30.

Il CSN rimase al governo per circa tre anni, durante i quali mise in atto migliaia di arresti. Il meccanismo repressivo dell'esercito si concretizzò nella compilazione di liste di persone considerate indesiderabili, nelle quali comparivano nomi di politici, sospetti terroristi e semplici oppositori del nuovo regime. La campagna antiterroristica, a differenza della precedente degli anni Settanta, fu abbastanza imparziale, e non si concentrò esclusivamente sull'eliminazione dei movimenti di sinistra. Tra il 1981 e il 1983, infatti, vennero arrestati molti membri dei Lupi Grigi, che durante i governi di Demirel e Ecevit godevano di maggiore libertà31. I professori universitari furono profondamente colpiti dalla repressione, in quanto persero il diritto alla pensione e la

30Cfr. E. J. Zürcher, op. cit., pp. 337-339.

31Durante gli anni Settanta i bozkurtlar effettuarono numerosi attentati contro esponenti di sinistra e

minoranze etniche. Due episodi furono emblematici. Il primo fu il massacro degli aleviti di Maraş nel 1978, accusati di aver fatto esplodere il cinema, luogo di ritrovo nazionalista, nel quale rimasero coinvolti anche alcuni sunniti e curdi. Il secondo fu la strage di piazza Taksim del primo maggio 1977, durante il quale morirono 42 persone e 220 persone rimasero ferite.

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possibilità di conservare un impiego nel settore pubblico, oltre a subire licenziamenti di massa e, spesso, maltrattamenti. L'utilizzo della tortura durante gli interrogatori toccò apici mai raggiunti prima, al punto da sollevare le critiche della comunità internazionale, che dal 1983 cominciò a fare pressioni affinché le forze armate concedessero la formazione di un governo regolarmente eletto32.

Nel 1983 Evren fu costretto ad indire delle consultazioni, nelle quali emerse il Partito della Madrepatria (Anavatan Partisi - Anap), guidato da Özal, un ex ministro dell'ultimo governo Demirel. L'Anap si presentò come l'alternativa democratica alle elezioni del 1983, perciò riuscì ad ottenere le preferenze di tutti coloro i quali avevano subito la repressione degli anni precedenti, ottenendo oltre il 45% delle preferenze. Özal diventò primo ministro, Evren mantenne la carica di presidente della repubblica ed i membri del CSN rimasero in carica come suoi collaboratori. Le consultazioni furono un'apertura democratica solamente di facciata, messe in atto solo a causa delle pressioni di europei e statunitensi. Il timore degli occidentali era che la Turchia se fosse stata lasciata da sola si sarebbe allontanata dalle nazioni democratiche occidentali, e queste avrebbero così perso il loro punto di controllo dell'area sovietica. In particolare, gli Stati Uniti, benché fossero particolarmente preoccupati in merito al colpo di stato militare, non si intromisero nella politica interna turca, al contrario di quanto avevano fatto e stavano facendo in altri stati33.

Özal diventò il simbolo della transizione democratica, nonostante dovesse continuare a collaborare con la giunta militare. Il suo scopo era di ristabilire la prevalenza civile nell'ambito politico, e a questo proposito si adoperò nelle elezioni comunali del 1984, riabilitando alcuni partiti in modo che potessero partecipare alle consultazioni. Questa si rivelò una mossa molto abile, in quanto riuscì a dividere l'opposizione e mantenere la maggioranza in tutto il paese, rimanendo al governo fino al 1989. Il pluralismo, ristabilito nel 1984, determinò il ritorno sulla scena politica dei vecchi protagonisti,

32Nel 1982 il CSN aveva redatto una nuova costituzione, fortemente repressiva della libertà di

espressione. I poteri venivano concentrati nelle mani dell'esecutivo e il raggio d'azione del Consiglio di Sicurezza Nazionale era stato consistentemente aumentato. I sindacati furono esautorati, in quanto potevano essere sospesi o limitati per ragioni di ordine pubblico. La costituzione venne approvata con un referendum, anche se la popolazione fu costretta a presentarsi alle urne. Gli unici che votarono contro la carta furono i curdi.

33S. Aydin-Düzgit, International influences on the Turkish transition to democracy, CDDRL working

papers, Stanford University, 2007, pp. 3-4, http://cddrl.fsi.stanford.edu/sites/default/files/No_87 _YakrakSenemTurkey.pdf. Il regime militare fu la dimostrazione dell'inefficacia delle sanzioni, economiche o politiche che fossero, imposte per facilitare la transizione democratica, come altrettanto inutili si erano rivelati gli aiuti alle forze di opposizione ritenute moderate. Gli Stati Uniti, nonostante criticassero quanto stava accadendo nella repubblica turca, continuavano ad inviare aiuti militari nell'ambito NATO, mentre la Comunità Europea si limitò a criticare debolmente il deficit democratico.

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come la corrente di İnönü che unì il vecchio CHP al Partito Socialdemocratico (DSP), che ottenne un buon numero di seggi al parlamento.

3.2 Il movimento curdo negli anni Ottanta

La repressione dei militari chiaramente colpì profondamente il Kurdistan. Il CSN aumentò le pene per l'infrazione dei divieti già in vigore, quali l'utilizzo pubblico della lingua curda e l'imposizione forzata del turco. Per legittimare le proprie posizioni, Evren e Ulusu tennero i discorsi immediatamente successivi alla loro instaurazione nel Kurdistan, oltre ad incrementare la già elevata militarizzazione sul territorio. L'inizio del conflitto tra Iran e Iraq nel 1980 condusse alla definitiva ripresa della guerriglia curda su vasta scala, durante la quale le due fazioni del KDP sfruttarono il Kurdistan turco per il transito di uomini e mezzi. Le gerarchie militari ad Ankara iniziarono ad allarmarsi per quanto stava accadendo nel sud, e decisero di mantenersi neutrali nel conflitto. Ciò, tuttavia, non impedì il rinnovo degli accordi segreti del 1978 tra Turchia e Iraq in merito al controllo sulle frontiere per il controllo del transito e degli insediamenti dei curdi. Nel 1981 il CSN procedette con lo sgombero degli abitanti delle zone limitrofe all'Iraq, accompagnata da un pesante rastrellamento dei villaggi e da numerosi arresti e violenze. I processi sommari dei tribunali militari, a cui seguivano esecuzioni e torture, non passarono inosservati nel resto del mondo34. Anche la tanto attesa apertura democratica di Özal non portò alcun cambiamento.

Nel 1984 il PKK riprese le sue attività e si concentrò sulla guerriglia. In seguito al colpo di stato del 1980 molti militanti del partito si recarono in Europa, cooptando nelle loro fila molti giovani emigrati nei decenni precedenti. In relativamente poco tempo il PKK riuscì a creare una rete di comunicazione estremamente vasta, costituendo avamposti di propaganda per diffondere materiale politico e cercare solidarietà oltre i confini turchi. La strategia degli Apocular era cambiata nel corso degli anni: dall'iniziale lotta contro i latifondisti e gli sfruttatori dei lavori curdi, le loro rivendicazioni si erano estese all'emancipazione dalla Turchia e dalla violenza che essa perpetrava nel Kurdistan. Il PKK si avvicinò anche al movimento palestinese, partecipando alla guerra

34“There is a problem, however. Turkey is among the worst violator of human rights anywhere. It has

been persecuting its large Kurdish minority for decades. Moreover, freedom of speech, association, and religion are sharply curtailed for non-Kurdish Turks as well, especially for those who advocate a political rather than a military solution to the Kurdish problem. Among those countries routinely considered to be stalwart U.S. Allies, Turkey's human rights record ranks at the bottom”. J. Tirman, Improving Turkey's

“Bad Neighborhood”. Pressing Ankara for rights and democracy, http://www.jstor.org/stable/40209570? seq=1#page_scan_tab_contents, data ultima consultazione 26 maggio 2015.

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del 1982 in Libano35, e durante la Guerra del Golfo combatté insieme alla fazione di Barzani del KDP. La collaborazione tra i due partiti curdi spinse la Turchia ad effettuare un'operazione militare in territorio iracheno nel 1983, con il beneplacito di Saddam Hussein, per reprimere i guerriglieri di entrambe le fazioni. Gli scontri più sanguinosi, tuttavia, iniziarono a partire dal 1984 con la fondazione delle Brigate di liberazione del Kurdistan (HRK), che attaccarono fin da subito gli avamposti dell'esercito turco. Le forze armate di Özal, benché avessero prontamente risposto a queste azioni, non riuscirono a bloccare gli attentati che, oltre ad essere sempre più frequenti, iniziavano ad essere diretti su una scala sempre più vasta36.

Dalla sua vittoria elettorale nel 1983, Özal aumentò consistentemente il numero di agenti di polizia stanziati in Kurdistan, insieme alla capacità delle prigioni. La vera innovazione tuttavia consisteva nell'introduzione di speciali squadre antiterrorismo. Queste arrivarono a contare circa dieci mila uomini, e furono impiegate per il controllo dei villaggi e per l'addestramento di contadini locali fedeli ad Ankara, in modo da ampliare il più possibile il monitoraggio di possibili infiltrazioni del PKK. Questo sistema di “guardie dei villaggi” diventò immediatamente un bersaglio degli Apocular37. Chiunque si dimostrasse filoturco, o collaboratore delle forze di polizia di Özal, subì la repressione dei guerriglieri del PKK38. Tutto ciò non fece altro che innescare una reazione a catena, determinando un progressivo aumento della violenza da entrambe le parti fino al 1987, quando Ankara reintrodusse la legge marziale che diventò presto stato di emergenza. I curdi si ritrovarono schiacciati tra due schieramenti armati. Gli Apocular cercavano sempre più frequentemente di cooptare la popolazione nelle loro azioni, spesso minacciando anche donne e bambini, aumentando di fatto il numero delle vittime.

Con la fine della guerra tra Iraq e Iran e i continui scioperi della fame dei detenuti nelle carceri turche, il governo di Özal si convinse della necessità di una nuova soluzione per la questione curda. Dal carcere di Diyarbakir si levarono voci che chiedevano la sospensione della pena di morte, il miglioramento delle condizioni di

35Il PKK aveva dei campi di addestramento nella valle della Beqaa, il che consentì un rapido spostamento

di uomini e mezzi per l'intervento militare a fianco dell'OLP.

36M. van Bruinessen, Between guerrilla warfare and political murder. The Workers' Party of Kurdistan,

MERIP, 1986, http://www.merip.org/mer/mer153/between-guerrilla-warfare-political-murder, data ultima consultazione 26 maggio 2015.

37Cfr. M. Galletti, op. cit., p. 131.

38La rappresaglia del PKK ai danni dei contadini provocò al movimento violente condanne da parte della

popolazione, ed anche molti curdi mostrarono di non condividere la brutalità delle azioni dei guerriglieri. In molti paragonarono la “vendetta” degli Apocular alla repressione turca, contribuendo a fomentare l'immagine di puro movimento terroristico che veniva attribuita al PKK già dal momento dei suoi primi attentati.

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detenzione, la possibilità di parlare la lingua curda durante le visite dei familiari39. Alcuni membri curdi del Sosyaldemokrat Halkçi Parti, Turgut Atalay e Mehmet Ali Eren, presero posizioni molto audaci riguardo al Kurdistan. Il primo sostenne la necessità di tradurre in curdo il programma del partito, e venne immediatamente espulso, perché accusato di separatismo. Eren, che era un deputato appartenente al collegio di Istanbul, il 20 gennaio 1988 pronunciò un discorso di estremo rilievo. Nel suo intervento veniva affrontata la continua negazione turca dell'esistenza dei curdi, e di come questi costituissero effettivamente una minoranza nazionale. A differenza di Atalay, fortunatamente, Eren non subì attacchi dai membri del suo partito, e il suo discorso provocò la nascita di un fruttuoso dibattito negli ambienti politici curdi, specialmente nel PSKT. In particolare, il Partito socialista del Kurdistan-Turchia prese in esame l'operato del PKK, condannandone la violenza, ma non si dimostrò aperto ad una soluzione parlamentare del problema curdo. Il PSKT creò una coalizione delle forze moderate, formando il Movimento per la liberazione del Kurdistan (TEVGER), a cui aderirono quasi tutte le realtà politiche curde, ad eccezione, chiaramente, del PKK. L'obiettivo del TEVGER era la fondazione di una repubblica indipendente e democratica del Kurdistan, anche se presto le rivendicazioni si spostarono su una federazione turco-curda, che iniziò a sembrare l'unica alternativa realmente possibile40.

3.3 PKK: movimento terrorista o di liberazione nazionale?

In seguito alla fuga dalla Turchia di molti capi del PKK, tra cui lo stesso Öcalan, la strategia del partito cambiò. Grazie all'accoglienza di Siria e Libano, gli Apocular aprirono numerosi campi di addestramento, grazie ai quali si formò un piccolo esercito altamente addestrato. Queste truppe furono fondamentali per avviare il nuovo corso del PKK, che stava per inaugurare la stagione dell'insurrezione armata ai danni di Ankara, come deciso durante il secondo congresso del partito, svoltosi nel 1982. Pertanto, il 15 agosto 1984 le milizie del PKK attaccarono le caserme della polizia nei distretti di Siirt e Eruh, e proseguirono fino al 17 agosto con continui raid, lasciando le forze turche

39Per la prima volta in quasi quarant'anni la Turchia comprese che la questione della lingua curda non era

solamente una rivendicazione identitaria, ma era una vera e propria necessità per la popolazione. In molti villaggi, specialmente in quelli più piccoli, era molto frequente imbattersi in individui che conoscevano a malapena il turco, e che quindi erano totalmente impossibilitati a comunicare con gli impiegati di Ankara o con i soldati. Durante le proteste carcerarie del 1988, i curdi lamentavano difficoltà di comunicazione con i propri parenti in occasione delle visite, perché le guardie imponevano l'utilizzo del turco. La classe dirigente turca e tutti i partiti politici furono costretti ad affrontare questa problematica, soprattutto visto l'acutizzarsi del l'indipendentismo curdo durante la Guerra del Golfo. Cfr. M. Galletti, op. cit., p. 132.

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incapaci di reagire a tale velocità. Indubbiamente la speranza dei guerriglieri era una repentina sollevazione popolare, che avrebbe aumentato il consenso nei loro confronti e il numero dei loro seguaci. Tutto ciò però non avvenne, perché la violenza esercitata dal PKK spaventò molti curdi che, benché volessero anch'essi maggiori libertà e non approvassero il clima di repressione turco, si avvicinarono ad altri movimenti di liberazione.

I curdi si divisero in merito al PKK. Indubbiamente al nazionalismo curdo serviva un punto di svolta, in modo da poter esprimere con più forza le proprie rivendicazioni, ma l'esempio che la maggioranza dei curdi turchi aveva in mente era Barzani, e non di certo Öcalan e gli Apocular. Se il PKK non avesse cercato di costringere la popolazione ad unirsi alle proprie milizie con la forza, l'apprezzamento nei suoi confronti non si sarebbe limitato al solo programma politico41. I curdi della Turchia oltretutto, a differenza di quelli iraniani, non mostravano particolare diffidenza verso i movimenti tendenti ideologicamente ad una sinistra più radicale, come dimostrano il Partito dell'avanguardia operaia del Kurdistan o i Rivoluzionari del Kurdistan, successivamente confluiti nel TEVGER42. Öcalan si rese conto troppo tardi della gravità delle azioni del PKK nei confronti del popolo che intendeva liberare dall'oppressore turco, e si scusò ammettendo le colpe del partito solamente nel 1988 durante un'intervista, la “Apo interview”43.

Fino agli anni Novanta il PKK continuò a non essere considerato un partito funzionale al raggiungimento dell'autonomia curda in Turchia. Tuttavia, dalla Seconda Guerra del Golfo le opinioni della popolazione iniziarono a mutare, non tanto per una reale condivisione della prassi, ma perché il PKK era l'unica alternativa rimasta ai curdi dell'Anatolia.

41J. C. Peuch, Turkey: government under growing pressure to meet Kurdish demands, 2005, articolo

reperibile al sito http://www.rferl.org/content/article/1060741.html, data ultima consultazione 26 maggio 2015.

42Cfr. M. Galletti, op. cit., pp. 133-134.

43Öcalan si fece intervistare dal giornale turco indipendente Milliyet. Dichiarò che il PKK si assumeva la

responsabilità dell'accaduto, chiedendo il perdono della popolazione e promettendo un cambiamento nella tipologia della lotta contro il governo di Ankara. Öcalan si riferì espressamente alle violenze perpetrate verso i curdi parlando di organizational mistakes. C. Metelits, The transformation of rebel groups

behavior: a comparative analysis of groups in Sudan, Turkey and Colombia, p. 15, International Studies

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4. I rapporti tra la Siria e i paesi vicini negli anni Ottanta

4.1 La Grande Siria e le sollevazioni islamiche

I rapporti tra Siria e Libano erano storicamente molto forti. I due stati vennero formalmente divisi al termine della Prima Guerra Mondiale con la creazione dei mandati francesi, ma essendo stati uniti per secoli in un'unica provincia le loro affinità erano numerosissime. Pertanto, anche i legami di solidarietà tra Beirut e Damasco rimasero molto saldi, come dimostrò l'intervento siriano durante la guerra libanese del 1975. L'intervento di Asad, tuttavia, non era mosso solamente da un interesse di tipo solidaristico, ma era chiaramente diretto alla restaurazione della Grande Siria, e la difesa della popolazione libanese musulmana poteva essere una buona occasione per portare a compimento tale progetto44. Il presidente siriano mirava a ricostituire lo Sham, e voleva estendere la sua influenza ai territori di Libano, includendovi anche la penisola del Sinai e il Golfo di Aqaba. I siriani pertanto colsero l'occasione, ed entrarono nel territorio libanese nel 1976 unilateralmente, per poi unirsi in un momento successivo alla Forza Araba di Dissuasione (FAD)45. L'intervento di Damasco, tuttavia, aggravò le relazioni con Egitto e Iraq, perché la FAD si schierò a fianco della fazione cristiano-conservatrice che combatteva contro palestinesi e musulmani. Inoltre, poiché la missione stava incontrando molte opposizioni internamente alla Siria, a causa dei suoi elevati costi, entro la fine dell'anno le ostilità vennero interrotte. Le truppe siriane rimasero comunque stanziate in territorio libanese ben oltre la fine del 1976, dando vita ad una vera e propria occupazione, che durò fino al 2005.

Il 1976 segnò anche la ripresa delle ostilità sunnite contro il Ba'ath. I Fratelli Musulmani, repressi fino a quel momento, ricominciarono a mettere in atto attentati ai danni del regime alawita. Mentre la maggior parte delle forze armate siriane era occupata in Libano, le organizzazioni estremiste sunnite iniziarono ad organizzare attentati ai danni di membri del governo e sedi del Ba'ath. Dal 1979 gli attacchi si fecero più intensi; durante un attentato all'accademia militare di Aleppo vennero uccisi 83

44La teoria della Grande Siria venne rielaborata da Antun Sa'ada, esponente del Partito Nazionalista

Sociale Siriano e filosofo libanese. Sostanzialmente, il concetto alla base era il recupero dei territori della provincia ottomana dello Sham, e venne condiviso da tutto il movimento panarabo siro-libanese.

45La FAD venne ufficialmente istituita dalla Lega Araba nel 1976, composta quasi totalmente da milizie

siriane. Un consistente appoggio in termini economici e di armamenti venne fornito dall'Arabia Saudita, e in parte anche dalla Libia. Nonostante il comando fosse affidato ai libanesi, ben presto Damasco si pose alla guida della FAD, stravolgendone gli obiettivi. Se, infatti, questo corpo d'intervento era stato creato nell'ottica di una missione di peacekeeping, in realtà diventò un'estensione dell'esercito siriano, contribuendo all'occupazione del Libano.

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cadetti, la fratellanza iniziò a prendere di mira anche i docenti universitari e chiunque fosse alawita si trovava in una situazione di grave pericolo46. Gli attacchi terroristici dei Fratelli Musulmani furono l'estrema espressione del dissenso popolare nei confronti del regime di Asad, e i fatti di Hama furono emblematici del malcontento della popolazione sunnita. La guerra in Libano stava lentamente svuotando le casse dello stato, e la Siria era sull'orlo della crisi economica. L'inflazione continuava ad aumentare e, nonostante venissero promosse delle riforme per cercare di contenerla, queste continuavano a favorire i fedelissimi del regime. Pertanto, la borghesia sunnita, esclusa da qualsiasi processo legislativo, iniziò a protestare incontrando il sostegno di studenti e insegnanti che, a seguito del “movimento correttivo”, avevano percepito la riduzione del loro benessere e dei loro salari. Il malcontento venne canalizzato dai movimenti religiosi sunniti, che spostarono il terreno di confronto sul piano religioso. La città di Hama, già in passato terreno di tensioni, si trovava in profonde difficoltà economiche a causa di una pessima redistribuzione dei terreni agricoli operata da Damasco. I Fratelli Musulmani, pertanto, decisero di concentrarsi in quell'area, e riuscirono ad organizzare un fronte di opposizione islamica che arrivava fino ad Aleppo. Le campagne erano una roccaforte del Ba'ath, ed era inevitabile che le tensioni sarebbero scoppiate in tempi molto brevi. Il 16 febbraio 1976 l'Avanguardia Combattente della fratellanza uccise Muhammad al-Ghurra, capo locale dell'Ufficio della sicurezza nazionale. Asad inizialmente cercò il modo di non intervenire militarmente, e procedette con un rimpasto governativo cooptando nella compagine governativa Najar al-'Attar, vicina agli ambienti radicali sunniti47. Gli alawiti non effettuarono alcuna repressione massiva neppure a seguito dell'episodio della scuola militare di Aleppo del 1979, e piuttosto agirono in maniera diametralmente opposta, favorendo le politiche commerciali degli imprenditori sunniti. Inoltre, Asad procedette con la liberazione di alcuni detenuti politici vicini agli ambienti degli ulema, in modo tale da tenere calma anche la compagine religiosa. Questo atteggiamento iniziò a venire meno durante il 1980, quando il congresso del Ba'ath decise di dare inizio ad una vera e propria guerra contro l'Avanguardia Combattente, sperando che, con l'apertura politico-economica operata negli anni precedenti, le forze moderate sunnite non si schierassero insieme ai Fratelli

46A seguito del peggioramento dei rapporti tra Iraq e Siria a causa della questione libanese, il governo di

Baghdad iniziò ad inviare munizioni ed aiuti economici ai Fratelli Musulmani, che aumentarono durante i primi anni della Guerra del Golfo.

47Questa mossa sembrava una chiara apertura al dialogo, almeno con l'ala più moderata della fratellanza.

L'intento reale, ad ogni modo, era il tentativo di creare una frattura dentro al movimento, in modo da indebolirlo e da reprimerlo con più facilità. Il rimpasto governativo del 1976, pertanto, non deve essere letto in chiave democratica.

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Musulmani48.

L'8 marzo 1980, durante il discorso per l'anniversario della rivoluzione del Ba'ath, Asad dette ufficialmente inizio alle ostilità contro i terroristi sunniti. La campagna militare iniziò nella regione dell'Idlib, dove vennero uccisi quasi duecento avanguardisti, per poi spostarsi ad Aleppo, dove i combattimenti si protrassero fino a maggio49. Nel gennaio del 1981, successivamente ad una serie di incontri organizzativi tenutisi nell'autunno precedente, gli ulema siriani in esilio dettero vita ad un Comando congiunto insieme ai leader dei Fratelli Musulmani, cercando di organizzare una controffensiva. Venne scelta la città di Hama per dare inizio a quello che doveva essere un vero e proprio piano di sovversione del regime alawita; Giordania e Iraq, che guardavano con estremo favore al Comando congiunto, inviarono uomini e mezzi. Tuttavia, le forze di sicurezza siriane trovarono il covo di una cellula della fratellanza durante delle perquisizioni di controllo il 2 febbraio 1982. I tempi per mettere in atto la rivoluzione sunnita non erano ancora maturi, ma l'Avanguardia e il Comando congiunto reagirono immediatamente, mettendo a ferro e fuoco la città e riuscendo a cacciare le forze assadiste. Anche se sembrava che le forze della fratellanza fossero riuscite a liberare la città, in pochi giorni Asad applicò una strategia repressiva tanto violenta quanto efficace. Il 28 febbraio Hama era stata completamente distrutta, e il medesimo destino toccò alla sua popolazione50.

Il regime effettuò una vera e propria pulizia etnica ai danni della popolazione sunnita, usando la scusa della “caccia al terrorista”. Per giustificare l'altissimo numero di vittime, che chiaramente non potevano essere nella loro totalità collaborazioniste del Comando congiunto, Asad accusò i Fratelli Musulmani del massacro di donne e bambini, delle mutilazioni e delle torture. Gli alawiti, inoltre, attribuirono la responsabilità dell'escalation della violenza alle potenze occidentali e ad Israele, che, secondo il governo damasceno, avrebbero aiutato economicamente i terroristi sunniti perché ostili al regime di Asad51.

48Cfr. L. Trombetta, op. cit., pp. 116-123.

49Le gerarchie alawite, inoltre, a seguito del fallito attentato del 26 giugno contro Asad, uccisero tutti i

militanti della Fratellanza Musulmana detenuti nelle prigioni siriane. Le tensioni stavano dando vita ad una vera e propria strage della popolazione sunnita, tacciata indistintamente di collaborazionismo con i movimenti terroristi.

50Hama venne divisa in settori, ognuno dei quali venne ulteriormente frammentato in quartieri. Dopo che

l'elettricità e l'acqua corrente furono sospese, i soldati siriani procedettero con i rastrellamenti casa per casa. Successivamente iniziarono i bombardamenti nei quartieri residenziali. Il numero dei morti arrivò circa a 25000.

51Cfr. L. Trombetta, op. cit., p. 124. La propaganda assadista riconduceva i membri della fratellanza a CIA

(23)

4.2 La Siria durante la Guerra del Golfo e i rapporti con la Turchia

Durante la guerra tra Iraq e Iran, la Siria fornì il suo sostegno alla Repubblica Islamica. I già complessi rapporti con l'Egitto, pertanto, si inasprirono ulteriormente. Ci furono dei tentativi di corruzione del regime siriano, operati principalmente dall'Arabia Saudita, che sperava di attenuare la rigidità di Asad tramite l'invio di ingenti somme di denaro. L'Iran, a partire dal 1982, iniziò ad inviare rifornimenti petroliferi a Damasco per compensare le sue perdite a seguito della chiusura dell'oleodotto iracheno, in modo da mantenere viva l'alleanza tra i due stati sciiti52. Sempre nello stesso periodo, la Siria si trovò a fronteggiare nuovamente la minaccia israeliana. Nel 1981 Israele annetteva il Golan al suo territorio, atto che colpì profondamente il morale damasceno. Nel 1973, durante la guerra dello Yom Kippur, le truppe siriane avevano combattuto contro le IDF proprio nell'altopiano del Golan, riuscendo anche ad infliggere ingenti perdite a Tel Aviv e vendicando la sconfitta subita nella guerra dei sei giorni. L'anno successivo Israele procedette all'invasione del Libano, con l'attacco ai campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila e la totale distruzione dei depositi dei missili terra-aria siriani, e anche di 79 cacciabombardieri, situati nella valle della Beqaa. Le relazioni israelo-siriane, pertanto, si interruppero definitivamente. Inoltre, a seguito della ratifica del trattato di pace tra Egitto e Israele, e del conseguente riconoscimento dello stato ebraico da parte di Sadat, la Siria assunse un ruolo di primo piano nel conflitto arabo-israeliano.

Per quanto riguarda i rapporti con la Turchia, questi erano abbastanza tesi, nonostante un'apparente calma. Il confine tra i due stati era infatti luogo di traffici illegali, principalmente di droga e armi, e tra Ankara e Damasco erano ancora aperti dei contenziosi in merito alla gestione delle risorse idriche. La questione curda, e soprattutto il sostegno siriano al PKK, preoccupavano profondamente i turchi, che durante gli anni Ottanta procedettero alla costruzione di avamposti di spionaggio lungo tutta la frontiera. Il controllo, tuttavia, non fu abbastanza efficace. Il 20 giugno 1987, con l'aiuto logistico siriano, il PKK lanciò un bombardamento sulla città curda di Pınarcık, nella regione di Marsin, nel quale morirono trenta curdi. La Turchia, oltre a condannare la collusione del governo damasceno con il partito curdo dei lavoratori, sfruttò l'occasione per inasprire la repressione nel sud dell'Anatolia. Alla presa di

52Ovviamente la Siria continuò a accettare i finanziamenti sauditi senza cambiare minimamente il suo

atteggiamento. Per quanto riguarda invece l'oleodotto iracheno, la chiusura venne effettuata da Asad per mettere in difficoltà Baghdad durante le ostilità. Poiché un grande tratto dell'oleodotto passava in territorio siriano, la sua chiusura aveva provocato ingenti perdite economiche a Damasco, visto l'affitto che Baghdad doveva pagare per il transito del suo petrolio.

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posizione turca, seguì un esodo di massa di curdi, che trovarono rifugio in Siria. Damasco venne accusata dalla comunità internazionale di sostenere il terrorismo internazionale e, soprattutto, la Turchia lamentò il sostegno ai movimenti “irredentisti” curdi53.

Oltre alla questione curda, l'altra fonte di ostilità tra la Turchia e la Siria era data dai rapporti con l'Unione Sovietica. Mosca, nel corso della seconda metà del XX secolo, aveva fornito ingenti aiuti, soprattutto militari a Damasco. Data la pluriennale opposizione turca ai sovietici, e il ruolo fondamentale che la Turchia svolgeva nell'ambito NATO, la Siria non vedeva di buon occhio Ankara e i suoi stretti legami con gli Stati Uniti. Tuttavia, nonostante fossero stati lesi numerosi interessi di tipo economico, tra Ankara, Mosca e Damasco non scoppiò mai un vero e proprio conflitto54.

53D. Pipes, A. Garfinkle, The quiet crisis: Turkish-Syrian relations, 1989, http://www.danielpipes .org/8132 /cr isis- turkish-syrian-relations, data ultima consultazione 27 maggio 2015.

54Le politiche sovietiche verso la Turchia furono molto ambivalenti. La diplomazia si mantenne sempre su

un binario piuttosto amichevole, mentre le reazioni agli avvenimenti internazionali mostravano il contrario.

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Conclusioni

Nazionalismo o sentimento nazionale?

Sono curdo

Sfido povertà, privazioni, sofferenza. Resisto con forza a tempi d'oppressione. Ho coraggio. Non amo occhi d'angelo, carni bianche come il marmo. Amo le rocce, i monti, le vette perse tra le nubi. Sfido sventura, miseria, solitudine e mai sarò servo del nemico mai gli darò tregua! Sfido bastoni, catene, torture. E anche se il mio corpo è fatto a pezzi con tutte le mie forze griderò: io sono curdo.

(XX secolo)

Non è possibile stabilire una data precisa in merito alla nascita del sentimento nazionale curdo. Fin dalle prime testimonianze su questo affascinante e complesso popolo, che per noi europei risalgono al Milione, emerge un dato molto particolare. Le tribù curde, rispetto alle popolazioni loro vicine, mostravano un comportamento differente. Non sembravano mostrare velleità espansionistiche, come racconta Marco Polo, ed erano dediti principalmente al commercio. Non mostravano particolari attitudini verso le gerarchie. Certamente rispettavano i legami tribali, ma l'organizzazione della loro vita quotidiana veniva svolta su base assembleare. In poche parole, i curdi presentavano molte similitudini con gli spartani. Anche i loro rapporti con l'Impero Ottomano, sotto il cui dominio vissero per secoli non furono caratterizzati da tensioni, almeno fino all'avvento dei Giovani Turchi: basti pensate alla Sublime Porta, la quale aveva assunto nelle strutture istituzionali molti notabili curdi che avevano dimostrato grandi capacità governative e organizzative. Con il progredire dei commerci su scala mondiale l'Europa ebbe contatti sempre più frequenti con le tribù del Kurdistan. Se inizialmente questi furono decisamente casuali, soprattutto perché le città curde si trovavano lungo la via della seta, col passare del tempo diventarono più frequenti. Fino al XVIII secolo, pertanto, i curdi sembravano essersi integrati perfettamente nel tessuto sociale ottomano e persiano, riuscendo a conservare le loro

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