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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE VETERINARIE

Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria

“Valutazione del casco CPAP (Helmet®) nella

gestione dell’insufficienza respiratoria del cane”

I° Relatore: Prof.ssa Grazia Guidi

Candidato: Michela Pampanini

II° Relatore: Dott.ssa Gianila Ceccherini

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Alla mia famiglia e a tutte le persone che mi hanno sostenuto in questi anni

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INDICE

RIASSUNTO……….5

ABSTRACT………6

PARTE GENERALE

Capitolo 1: il polmone

1.1. Anatomia e fisiologia polmonare ………8

1.2. Fisiopatologia polmonare: alterazione degli scambi, ipossiemia e alterazione del rapporto perfusione/ventilazione ……… 27

1.3. Insufficienza respiratoria del cane: cause principali, manifestazioni cliniche, diagnosi e possibili approcci terapeutici……….32

1.4. Danno polmonare acuto (ALI) e Sindrome da Distress Respiratorio Acuto (ARDS)……….50

Capitolo 2: la ventilazione non invasiva

2.1 Cenni di metodiche di ventilazione non in invasiva in medicina umana………60

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2.3 Cpap: helmet e face mask, due metodiche a confronto ……….81

Capitolo 3: l’emogas arterioso

3.1 Metodica di esecuzione……….87

3.2 Interpretazione dell’emogas……….90

3.3 Alterazione dell’emogas in un paziente in corso di insufficienza respiratoria……….96

PARTE SPERIMENTALE

Capitolo 4: Studio clinico

4.1 Scopo della tesi………102

4.2 Materiali e metodi………...103

4.3 Risultati……….108

4.4 Discussioni e conclusioni ……….126

BIBLIOGRAFIA………..132

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Riassunto analitico

Obbiettivi: Valutare l’efficacia del casco CPAP (Helmet®) nella gestione dell’insufficienza

respiratoria in cani pervenuti presso il reparto di Terapia Intensiva dell’Ospedale didattico “Mario Modenato” dell'Università di Pisa, mediante la valutazione pre e post trattamento di alcuni parametri di funzionalità respiratoria ricavati dall’emogasanalisi arterioso (quali pH, PaO2, P[A-a]O2, SO2%, PaCO2 e PaO2/FiO2), parametri clinici (frequenza respiratoria) e

radiografici.

Materiali e metodi: è stata eseguita una ricerca retrospettiva mediante l’inserimento di

parole chiave nel database dell’ospedale veterinario e sono stati selezionati cani che sono stati sottoposti a trattamento con helmet CPAP, nei quali era stato eseguito un emogas arterioso pre-trattamento e almeno un emogas durante e/o post trattamento. Sono stati inoltre presi in considerazione i parametri clinici (frequenza respiratoria) e radiografie toraciche pre e post trattamento, quando presenti.

Risultati: dai test statistici effettuati è risultata una differenza statisticamente significativa

tra il gruppo pre e post trattamento CPAP per quanto riguarda i seguenti valori: PaO2

(p=0,004) P(A-a)O2 (p=0,02) PaO2/FiO2 (p=0,004) SO2 (p=0,002). Non è stata evidenziata

una differenza statisticamente significativa per i valori di pH, PaCO2 e frequenza

respiratoria. Non è risultata differenza statisticamente significativa tra outcome e numero di trattamenti (p >0,99).

Conclusioni: Il nostro lavoro ha dimostrato l’effetto benefico della CPAP nella gestione

delle emergenze respiratorie nel cane, in quanto ha mostrato un miglioramento significativo degli indici di funzionalità respiratoria.

Per gli altri risultati come: frequenza respiratoria, radiografie toraciche e outcome dei pazienti, gettano le basi per ulteriori futuri studi con una casistica più ampia, al fine di sviluppare un protocollo standardizzato di applicazione di tale metodica nell’ambito del pronto soccorso veterinario.

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Abstract

Aim of the study: Evaluate the efficacy of helmet CPAP in the management of respiratory failure in dogs admitted to the intensive care unit of the hospital “Mario Modenato” University of Pisa, by the evaluation of some arterial blood gas (pH, PaO2, P[A-a]O2, SO2%,

PaCO2 e PaO2/FiO2), clinical examination (respiratory rate) and X-rays, before and after

treatment.

Materials and methods: A retrospective study has been performed by entering keywords into the veterinary hospital database. We selected those animals that received one CPAP helmet treatment, and at least one blood gases during and / or post treatment. Clinical parameters (respiratory rate) and chest X-rays before and after treatment were also considered for selection criteria.

Results: A statistically significant difference between the pre and post CPAP treatment was found between groups: PaO2 (p = 0.004), P(A-a)O2 (p = 0.02), PaO2/FiO2 (p = 0.004), SO2 (p = 0.002). Any statistically significant difference for the pH, PaCO2 and respiratory rate was found. No significant differences between outcome and number of treatments was also found.

Conclusions: Our results demonstrate the beneficial effect of CPAP in the management of respiratory impairment emergencies in the dog, as shown by a significantly improved blood gas-analytical parameters before and after treatment.

Further studies with a great nuumber of patients are warrented. Keywords: blood gas, helmet, dog, CPAP, respiratory failure.

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Capitolo 1: Il polmone

1.1 Anatomia e fisiologia polmonare

Anatomia

I polmoni sono organi pari, di colorazione rosa-rossastra, situati nella cavità toracica, ciascuno nella propria loggia polmonare, che è delimitata dorso-ventralmente dalla parete costale, medialmente dal mediastino e posteriormente dal diaframma. Ogni polmone ha la forma di semi-cono con apice rivolto cranialmente e presenta due facce, una laterale ed una mediale, due margini (dorsale e ventrale) e una base apposta al diaframma [1]. La faccia laterale è convessa e presenta le impressioni costali, la faccia

mediale presenta invece l'ilo del polmone, in cui si trova il bronco corrispondente, l'arteria e vena polmonare, l’arteria e vena bronchiale, vasi linfatici che confluiscono nei linfonodi dell’ilo e in quelli tracheobronchiali e mediastinici; l’insieme di queste strutture, avvolte dalla pleura, è spesso indicato come peduncolo polmonare [1]. L’innervazione è

dovuta ai rami del nervo vago e del simpatico. Il polmone riceve apporto sanguigno per mezzo di 2 sistemi circolatori: la circolazione polmonare e la circolazione bronchiale; la prima riceve tutto il sangue che proviene dal cuore destro, i rami terminali dell’arteria polmonare danno origine ai capillari polmonari, che formano una rete ampliamente ramificata all’interno dei setti alveolari occupando quasi tutta la superfice: questo sangue partecipa agli scambi gassosi; dai capillari alveolari il sangue poi passa alle venule e successivamente alle vene polmonari che vanno a confluire nel cuore sinistro per andare successivamente nella circolazione sistemica. Negli animali a riposo non tutti i capillari alveolari sono perfusi, sono reclutati in caso in cui sia necessario (come in corso di esercizio fisico). La circolazione bronchiale invece, è una diramazione della circolazione sistemica e rappresenta circa il 2% della circolazione totale. È costituita dall’arteria bronco-esofagea e dall’arteria bronchiale e apporta sangue ricco di sostanze nutritive per il mantenimento metabolico alle vie respiratorie e ad altre strutture all’interno del polmone. La prima va a vascolarizzare le vie aeree e i setti inter-lobulari della maggior parte del polmone, la seconda irrora le vie aeree del lobo apicale destro. A livello dei

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bronchioli terminali i vasi polmonari e quelli bronchiolari creano delle anastomosi. Le vene bronchiali poi si immettono nella vena azigos per tornare poi al cuore destro.

Il polmone è suddiviso in lobi il cui numero e morfologia varia da specie a specie, queste suddivisioni sono basate sulla ramificazione dei bronchi. Il polmone destro ha volume generalmente superiore al sinistro, quest’ultimo infatti ha il lobo apicale meno esteso e accoglie in una profonda depressione gran parte del sacco pericardico con il cuore in esso contenuto. Il polmone destro è diviso in 4 lobi il cui nome deriva da quello del bronco da cui originano (lobo craniale, medio, caudale e accessorio di destra); la superficie costale del polmone di destra presenta due profonde incisure, l’incisura interlobare craniale (fra lobo craniale e medio) e l’incisura interlobare caudale (fra lobo medio e caudale) che diventano radiograficamente evidenti in caso di versamento pleurico, ispessimento della pleura o consolidamento del parenchima polmonare adiacente [2]. La struttura del

polmone di sinistra è più semplice, con la presenza di due soli lobi, craniale e caudale di sinistra divisi fra loro da una incisura (incisura interlobare caudale); a sua volta il lobo craniale viene suddiviso dall’incisura intralobare in una parte craniale e in una parte caudale [1, 2].

I singoli lobi sono aerati quindi da propri bronchi ed irrorati da propri vasi (che ne determina una notevole indipendenza anatomica e funzionale).

Nell’ambito di ciascun lobo s’identificano ulteriori suddivisioni: segmenti broncopolmonari, che a loro volta sono divisi in unità più piccole anatomicamente indipendenti, ovvero i lobuli polmonari, ognuno dei quali ha forma piramidale, ed è delimitato dai lobuli circostanti da un sottile strato di tessuto interlobulare. Il lobulo riceve al suo apice un bronco lobulare che si divide in 4-5 bronchi intralobulari per poi dar origine ai bronchioli terminali, ciascuno dei quali si suddivide in due bronchioli respiratori. Gli acini polmonari, dove avvengono scambi fra ossigeno e anidride carbonica, originano dalle diramazioni bronchiolari terminali; la maggior parte delle strutture acinari è composta quasi completamente da alveoli polmonari (in numero di svariati milioni) e in minima parte da dotti alveolari e sacchi alveolari, strutture di transizione fra bronchioli respiratori e alveoli, a carico delle quali iniziano gli scambi respiratori [1].

Nell’alveolo polmonare si riconoscono tre componenti: i capillari polmonari (costituiti da cellule epiteliali squamose), l’epitelio alveolare e lo spazio interstiziale. Addossati alla parete dei capillari sono presenti i periciti, cellule con capacità contrattile. L’epitelio

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alveolare è costituito da tre tipi di cellule dette pneumociti: i pneumociti di I tipo (cellule alveolari squamose che interessano il 90% della superfice alveolare), pneumociti di II tipo (cellule granulose, interessate alla produzione del fattore surfattante), pneumociti di III tipo (cellula alveolare a spazzola, sono cellule provviste di microvilli). La superficie alveolare dei pneumociti è ricoperta dal surfattante lipidico, un tensioattivo che abbassa la tensione superficiale e impedisce loro la chiusura. Lo spazio interstiziale è invece costituito da fasci di fibre connettivali e da numerose fibre elastiche, le quali conferiscono al polmone una grande elasticità, qui si raccoglie il liquido che trasuda dai capillari, il quale, in condizioni patologiche come nell’edema polmonare, può essere particolarmente abbondante.

Ogni polmone è avvolto esternamente da una sierosa, la pleura, si tratta di due foglietti di tessuto mesoteliale estremamente sottili e traslucidi, tenacemente adesi ai tessuti sottostanti, che ricoprono completamente sia la cavità toracica (pleura parietale) che tutti i lobi polmonari (pleura viscerale); Tra i due foglietti pleurici si trova uno spazio capillare, chiamato cavità pleurica, occupato da un sottile velo di liquido pleurico, all’interno della cavità è presente una pressione negativa che concorre a tenere espanso il polmone [1].

Questa particolare struttura delle pleure permette il libero scorrimento dei foglietti viscerali, e quindi dei polmoni, rispetto alla parete toracica durante le fasi respiratorie; con la penetrazione di aria nello spazio pleurico questa coesione viene vinta dall’elasticità polmonare per cui i polmoni collassano attorno all’ilo, situato in corrispondenza del III dorsale del IV spazio intercostale [1, 2].

Fisiologia

La funzione primaria del sistema respiratorio è quella di permettere all’ossigeno contenuto nell’aria di entrare nel sangue e viceversa di far uscire l’anidride carbonica dal sangue ed immetterla nell’aria espirata. Il consumo di O2 e la produzione di CO2 dipende

dall’indice metabolico che a sua volta dipende dal livello di attività dell’animale; oltre a questa primaria funzione il sistema respiratorio concorre alla comunicazione vocale (attraverso la laringe), alla termoregolazione e al metabolismo di sostanze esogene ed endogene.

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Durante l’ispirazione e l’espirazione l‘aria è condotta attraverso una serie di cavità, le vie aeree, distinte in vie aeree superiori (naso, fosse nasali e paranasali, faringe, laringe) e inferiori (trachea e bronchi) fino a raggiungere i polmoni, qui e insieme anche al sistema cardiovascolare, si realizzano 4 eventi respiratori:

1) Ventilazione: movimento dell’aria da dentro a fuori l’apparato respiratorio

2) Respirazione esterna: scambio di gas (O2 e CO2) tra aria e sangue attraverso la

membrana respiratoria

3) Respirazione interna: scambi di gas tra aria e tessuti 4) Trasporto dei gas attraverso il circolo sanguigno

Con ogni inspirazione l’aria arriva negli alveoli; l’alveolo, unità funzionale del polmone, come abbiamo detto è costituito da epitelio semplice squamoso circondato da capillari sanguigni, a questo livello l’O2 contenuta nell’aria passa nel circolo sanguigno e viceversa

la CO2 passa nell’aria che verrà successivamente espirata.

Il volume di aria totale ispirata per minuto è conosciuto come Ve, determinato dal volume tidalico (volume d’aria ad ogni atto respiratorio) e numero di atti per minuto ovvero la frequenza respiratoria (f) ne consegue che l’equazione è la seguente Ve= Vt x f

L’aria che entra, passa attraverso le vie respiratorie che costituiscono il cosiddetto “anatomic death space”, ovvero uno spazio morto in quanto non avvengono gli scambi gassosi, esiste anche un “alveolar dead space” ovvero quegli alveoli non perfettamente perfusi dove lo scambio di gas non avviene nella maniera ottimale; entrambi costituiscono quello che è chiamato “physiologic death space”, ne consegue che il Volume tidalico, non è tutto quel volume d’aria che arriva agli alveoli funzionali (Va) e che concorre quindi allo scambio di gas ma anche quell’aria che rimane nel cosiddetto spazio morto (Vd) [7a].

La frazione tra Vd/Vt varia con le specie, nel cane il rapporto è di circa 1/3;

Lo spazio morto anatomico non è privo di funzionalità in quanto è molto importante per la termoregolazione, l’aria mentre passa le vie respiratorie infatti viene riscaldata attraverso i capillari e umidificata per evaporazione dell’acqua dalla superficie mucosale, quando l’animale espira il calore viene quindi perso; il soggetto per termoregolarsi infatti abbassa il Volume tidalico e aumenta la frequenza, in pratica aumenta l’aria che arriva

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nello spazio morto andando a disperdere più calore possibile. Al contrario un animale che avrà bisogno di un elevato quantità di O2 (per lavoro metabolico) dovrà aumentare l’aria

che arriva agli alveoli (Va) e ridurre quella nello spazio morto che si concretizza in un aumento del volume tidalico e una diminuzione della frequenza. Questa regola di base vale anche nella scelta della strumentazione veterinaria sia in anestesia che nell’ossigeno-terapia, bisognerebbe scegliere strumenti che non aumentino lo spazio morto respiratorio (come tubi tracheali eccessivamente lunghi o maschere troppo grandi), altrimenti si avrebbe la necessità di volumi tidalici troppo grandi per ottenere lo stesso effetto.

Meccanismo della ventilazione polmonare

Durante l’ispirazione i mm inspiratori si contraggono determinando un’espansione del torace, causato dallo spostamento verso l’addome della cupola diaframmatica, questo determina un allungamento dei polmoni e un abbassamento della pressione alveolare al di sotto di quella atmosferica che richiama aria dall’esterno.

Questo meccanismo richiama alcune leggi della fisica come la “Legge Hagen-Poiseuille” la quale dice che un fluido (tra cui l’aria) si sposta da un punto di maggior pressione ad un punto di minor pressione, ovvero affinché l’aria si muova ha bisogno di un gradiente di pressione dato appunto dalla gabbia toracica.

Data la contrazione muscolare si evince che questo è un processo attivo con dispendio di ATP; l’espirazione invece si ha con il rilassamento dei mm respiratori precedentemente contratti, rilassamento che determina un aumento della pressione alveolare superiore a quella atmosferica con conseguente fuoriuscita di aria, è un processo passivo, quindi senza dispendio di ATP [3].

Tra i muscoli ispiratori senza dubbio dobbiamo ricordare il diaframma, innervato dal nervo frenico e i muscoli intercostali esterni che presentano fibre muscolari con direzione caudoventrale, queste prendono attacco dal margine caudale della costa precedente fino al margine craniale di quella successiva, la loro contrazione determina un movimento delle coste verso l’esterno e in maniera rostrale.

Sono presenti anche i mm espiratori, messi in uso durante l’esercizio o in presenza di patologie respiratorie, i più importanti sono quelli addominali come il retto e l’obliquo dell’addome, la contrazione addominale infatti aumenta la pressione all’interno

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dell’addome che spinge il diaframma cranialmente riducendo così lo spazio toracico; tra i muscoli espiratori sono presenti anche i muscoli intercostali esterni che si inseriscono con direzione cranioventrale dal margine craniale di una costa al margine caudale della costa precedente, la cui contrazione determina una riduzione del torace spostando le coste caudalmente e ventralmente. Alla fine dell’espirazione, permane comunque un certo quantitativo d’aria all’interno che corrisponde circa a 45ml/kg, indicata come FRC o “capacità funzionale residua”, a questo valore la pressione nella cavità pleurica (ppl) è 5 cm H2O, con l’inspirazione la pressione della cavità pleurica diminuisce determinando uno

stiramento polmonare che come abbiamo visto determina un aumento del volume con riduzione della pressione alveolare e quindi un ingresso di aria [7a].

Introduciamo ora un altro concetto ovvero quello della “compliance polmonare”. Per compliance polmonare si intende la misura dell’elasticità polmonare, questa è determinata da forze contrapposte, ovvero sia dalle fibre elastiche di cui il polmone ne è ricco negli interstizi del setto che dalla forza di tensione superficiale che tende a far collassare gli alveoli; questo in realtà non accade grazie alla produzione di surfactante, un tensioattivo costituito da mix di lipidi e proteine; lipidi come il dipalmitoylphosphatidylcholine e proteine, quest’ultime ne esistono di 4 tipi designate con lettere dalla A alla D: B e C sono idrofobiche e sono adese alla parte lipidica, A e D sono idrofiliche e hanno azione prevalentemente immunitaria (risposta innata antimicrobica). Il surfactante è prodotto dagli pneumociti di II tipo, e la sua produzione è favorita dal sospiro, infatti animali con dolore intercostale /toracico o soggetti anestetizzati che non possono fare un respiro profondo vanno maggiormente incontro ad una maggiore percentuale di atelettasia (in questi casi aiuta la ventilazione meccanica o l’ambu).

Oltre la compliance dobbiamo introdurre anche un altro concetto ovvero quello dell’”airway resistance” ovvero la resistenza di attrito delle vie aeree, ovvero l’ostacolo che trova l’aria all’interno delle vie aeree

ΔPpt= (VT/C) + RV

Dove: C= compliance polmonare R= airway resistance

V= airflow rate VT= volume tidalico

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Da questa equazione si evince che malattie polmonari che diminuiscono la compliance o patologie che aumentano la resistenza delle vie aeree, per mantenere un Vt normale e quindi un ΔPpt nei range, si necessita un aumento del lavoro muscolare [3].

Vascolarizzazione polmonare

La vascolarizzazione polmonare si può dividere funzionalmente in vasi alveolari (che sono i capillari) e in vasi extra alveolari che sono le arterie, arteriole, vene e venule, queste sono riunite in quelle che vengono definiti in fascio bronco-vascolare

La pressione dell’arteria polmonare è molto minore della pressione sistemica, e si stima sui 5mmHg, tenendo conto che la pressione a livello dell’auricola di sinistra è intorno ai 3-4 mmHg questo ci fa capire che la circolazione polmonare offre scarsa resistenza al flusso sanguigno. La resistenza vascolare polmonare (RVP) si calcola come:

RVP= (Pap-Pas) /Q

Dove Pap= pressione arteria polmonare Pas= pressione auricola sinistra

Q= gittata cardiaca

La resistenza può diminuire in caso in cui il flusso sanguigno polmonare o la pressione arteriosa polmonare aumenta come per esempio durante l’esercizio (il reclutamento di vasi non perfusi e la dilatazione di tutti i vasi provocala diminuzione del RVP) [7b].

La distribuzione del flusso sanguigno all’interno del polmone è varia e si distribuisce prevalentemente dorso-caudale, che si accentua durante l’esercizio. Le arterie polmonari hanno un importante strato di muscolatura liscia che reagisce a stimoli vari come l’ipossia, stimoli nervosi e umorali.

L’Ipossia innesca un importante meccanismo di vasocostrizione nelle arteriole presenti nell’alveolo poco ventilato, questo meccanismo riflesso, che si attiva quando la PaO2

scende al di sotto dei 60 mmHg, viene definito “Vasocostrizione polmonare ipossica” ed è di compensazione in quanto distribuisce il sangue verso alveoli più ventilati, meccanismo che funziona molto bene quando l’ipossia è localizzata, se l’ipossia è generale come ad esempio nelle altitudine elevate o una patologia polmonare diffusa, la vasocostrizione può avere conseguenze molto gravi, infatti determina un aumento dello sforzo cardiaco destro fino all’insufficienza cardiaca, patologia che viene definita “cor polmonare” [7b].

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Per quanto riguarda l’innervazione nervosa le fibre muscolari ricevono sia quella simpatica che quella parasimpatica, la simpatica determina vasocostrizione, la parasimpatica invece ha un effetto vasodilatatorio dovuto al rilascio di acetilcolina che a sua volta rilascia l’ossido nitrico (NO) dall’endotelio vasale.

Anche l’esercizio fisico fa variare il diametro arterioso in quanto è necessario più sangue al polmone per l’ossigenazione, questo determina una vasodilatazione che è in parte passiva, dato dall’aumento del flusso stesso e in parte è dato dal rilascio di NO il quale è esso stesso frutto dell’aumento del flusso.

Parlando della mm liscia delle arteriole non dobbiamo tralasciare quello che è il “Riflesso di Von Euler” che mette in evidenza la correlazione tra la muscolatura liscia dei bronchioli e la muscolatura liscia delle arteriole, in quanto ogni qualsiasi causa impedisca l’arrivo di aria a quel distretto bronchiolare si ha un riflesso per il quale si ha una vasocostrizione arteriolare e quindi una ripartizione del sangue arterioso che by-passa quel distretto, viceversa una mancata irrorazione di sangue in quel distretto per varie cause come un trombo o un coagulo ne scatenerà un riflesso che porterà alla broncocostrizione del bronchiolo corrispondente e quindi un mancato arrivo di aria in quel settore [6].

Gli scambi gassosi

L’aria ha un contenuto di O2 pari al 21%, che si può anche scrivere come FiO2=0,21,

ovvero la frazione di ossigeno nell’aria ispirata.

La composizione dell’aria non è la sola importante per gli scambi gassosi infatti interviene anche quella che viene definita “pressione parziale di ossigeno” o PO2, che si ricava

seguendo la seguente formula:

PO2=PB x FiO2

Dove PB sta per pressione barometrica al livello del mare, pari a 760 mmHg, ne deriva il seguente risultato: PO2= 760x 0,21=160 mmHg

Si deduce quindi che la PO2 diminuisce all’aumentare dell’altitudine proprio perché

diminuisce la pressione barometrica; la sensazione di “fame d’aria” che si avverte in montagna è infatti dovuta non alla diminuzione della FiO2 ma alla diminuzione della

pressione. Dobbiamo introdurre anche un altro parametro molto importante, come abbiamo detto l’aria all’ingresso delle vie respiratorie viene umidificata e riscaldata, e la presenza di ossigeno si riduce in presenza di vapore acqueo.

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La PO2 in presenza di gas umidificati è quindi la seguente:

PO2= (PB-PH2O) x FiO2 dove PH2O è uguale a 50 mmHg

Ne deriva che la formula di prima sarà PO2= (760-50) x 0,21= 149 mmHg

Se la pressione parziale di O2 nell’aria si riduce, il soggetto in acuto compensa con

un’iperventilazione, come risposta cronica avremo invece un aumento del n° dei globuli rossi, diminuzione dell’affinità con l’emoglobina per l’aumentare della concentrazione del 2,3-difosfoglicerato, un aumento dell’aria di scambio polmonare e un aumento della densità capillare nel muscolo.

Dato che la quantità di CO2 nell’aria inspirata è del tutto insignificante, la PACO2

(pressione parziale dell’anidride carbonica alveolare) è determinata dalla velocità di produzione di anidride carbonica (VCO2) in relazione con la quantità di ventilazione

alveolare (VA):

PACO2= K x VCO2/VA Dove K= PB-PH2O

Ovviamente se la VCO2, aumenta (come nell’esercizio fisico), la VA deve aumentare di

conseguenza affinché la PACO2 si mantenga costante, che sui valori di circa 40 mmHg.

La PAO2 (pressione di ossigeno alveolare) è minore dell’aria ispirata a causa del continuo

scambio che avviene con la CO2 a livello alveolare e varia nelle varie fasi della ventilazione

con un valore massimo nella inspirazione e un valore minimo durante l’espirazione; La tensione di ossigeno medio si può calcolare a partire dall’equazione del gas alveolare:

PAO2= [(PB-PH2O) x FiO2] - (PACO2/R)

Dove R= il quoziente respiratorio, è il rapporto tra la velocità di produzione di CO2 e il

consumo di O2, che generalmente è un valore che oscilla intorno a 0.8

Con questa equazione, tenendo conto un animale che vive sul livello del mare, la PAO2 è

approssimativamente di 100 mmHg [7c].

L’ipoventilazione alveolare è una ventilazione alveolare diminuita in relazione con la produzione di CO2, le cui cause possono essere molteplici come depressione del sistema

nervoso centrale, lesioni del nervo frenico, lesione toracica o dei muscoli respiratori, ostruzione delle vie respiratorie, malattie polmonari che riducono la distensibilità polmonare, tutte queste innalzano la PACO2 e diminuiscono la PAO2 , il fenomeno

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contrario è l’iperventilazione alveolare, che produce una diminuzione della PACO2 per un

aumento relativo della ventilazione rispetto alla produzione della CO2, quindi con una

diminuzione della PACO2 si ha un aumento della PAO2 [5].

Lo scambio dei gas a livello della membrana alveolare avviene per diffusione.

La diffusione è il movimento passivo dei gas a favore del gradiente di concentrazione (ovvero la pressione parziale); la velocità del movimento dei gas tra l’alveolo e il sangue, prendendo in esempio l’ossigeno (VO2) si calcola a partire dalla proprietà fisica dei gas

(D), l’area della superfice di scambio disponibile alla diffusione (A), lo spessore della barriera aria/sangue (x) e il gradiente di pressione del gas dentro l’alveolo e nel capillare sanguigno (PAO2- PcapO2):

VO2= D x A x (PAO2-PcapO2) / x

D= dipende da numerosi fattori, incluso il peso molecolare e la solubilità dei gas

A=la superficie per gli scambi è quella occupata dai capillari polmonari, con l’esercizio come detto questi aumentano e per tanto la superficie per gli scambi è maggiore

X= la barriera aria/sangue generalmente ha uno spessore < a 1 micron, benché molto sottile è costituita da un sottile strato di liquido e surfactante posto sulla superficie alveolare, uno strato epiteliale costituito per la maggior parte da pneumociti di tipo 1, una membrana basale, uno spazio interstiziale (il cui spessore può variare) e lo strato endoteliale [7c].

La “pressione di spinta” di diffusione di un gas è la differenza tra la pressione dell’ossigeno dentro l’alveolo (PAO2) e il sangue capillare; la PAO2 si è detto essere di circa

100mmHg, la pressione di O2 nel sangue capillare (PvO2) è di circa 40 mmHg, la differenza

di 60 mmHg determina il rapido scambio dell’ossigeno, fino al raggiungimento dell’equilibrio tra le due pressioni. In un animale sano l’equilibrio tra le due pressioni si instaura in circa 0,25 di secondo, un terzo del tempo in cui il sangue permane all’interno dei capillari; in animali con patologie che determinano un aumento della barriera aria/sangue (come edema) o patologie che riducono la superficie disponibile per lo scambio, la somministrazione di ossigeno mi va ad aumentare la PAO2 e quindi un

maggior gradiente per lo scambio gassoso [5].

La pressione della CO2 presente nei vasi venosi che entrano nel polmone è di 46 mmHg e

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gradiente di diffusione è solo di 6 mmHg, benché ci sia questa poca differenze la velocità di diffusione non si discosta molto da quella dell’O2, l’elevata solubilità dell’anidride

carbonica rispetto all’ossigeno (20 volte maggiore) permette di compensare il gradiente minore.

Questo processo di diffusione dei gas avviene anche a livello tra capillari e tessuti.

- il sangue dei capillari arteriosi contiene una PO2 di 97 mmHg e nei tessuti la PO2 è di 40

mmHg

- il sangue dei capillari arteriosi contiene una PCO2 di 40 mmHg e nei tessuti la PCO2 è di

46-50 mmHg

- nei capillari venosi invece di come detto la PO2 è di 40 e la CO2 di 46 mmHg [7c].

Per una buona diffusione di gas ci deve essere, quindi, una buona ventilazione (VA) e una buona perfusione (Q). Teoricamente ogni alveolo dovrebbe avere V e Q in equilibrio tra loro; in realtà anche nei soggetti sani esiste un certo disequilibrio tra le due, che si accentua negli animali malati e andando incontro ad ipossiemia; infatti benché si tende ad iperventilare, come azione riflessa, gli alveoli sani, data la curva di dissociazione dell’emoglobina, non riescono comunque a compensare gli alveoli malati, viceversa la CO2, essendo molto solubile, anche se alcuni alveoli non sono operanti, gli altri

iperventilati posso compensare in maniera corretta; per questo motivo non si va mai incontro a fenomeni di ipercapnia [7c]. Secondo il modello di Riley e Cournand ci possono

essere 3 possibili casi:

1) Un giusto rapporto tra la ventilazione e la perfusione, dove V’A/Q’ è pari a 1.

2) La mancanza di ventilazione di un alveolo nel quale il rapporto è 0.

3) La presenza di un alveolo ventilato ma non perfuso, dove il rapporto tende all’infinito.

In polmoni con polmoniti il rapporto è basso dato sia dall’ostruzione delle vie respiratorie che dalla scarsa compliance polmonare, viceversa quando il polmone è poco perfuso per ostruzioni vascolari (embolismo) o per ipotensione polmonare [5].

Per valutare lo scambio gassoso polmonare è necessario prelevare un campione di sangue arterioso, il sangue venoso non è attendibile in quanto riflette il metabolismo tissutale. Sul campione di sangue si vanno poi a valutare la PaO2 (pressione arteriosa di O2) e la

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coinvolgono lo scambio dei gas: dalla composizione dell’aria, alla ventilazione alveolare, al rapporto VA/Q e alla diffusione alveolo-capillare.

Cenni di trasporto dei gas nel sangue

L’O2 diffuso nel sangue si lega all’emoglobina, data la scarsa solubilità del gas per l’acqua

solo una piccola quantità è trasportata disciolta nel plasma. Una molecola di emoglobina contiene 4 gruppi eme ognuna con una propria globina che può legarsi con una molecola di ossigeno per un totale di 4. Un grammo di emoglobina saturata può contenere da 1,36 a 1,39 ml di O2, tenendo conto che il sangue dei mammiferi ha un contenuto di

emoglobina di circa 10-15 g/dL se ne deduce che ha una capacità di ossigeno da 13,6 a 21 ml di O2 per dL, quando l’emoglobina è saturata; quest’ultima quando cede l’O2 cambia il

suo colore da rosso brillante a rosso scuro, fenomeno che si conosce come cianosi e si può osservare nelle mucose quando l’apporto di sangue ai tessuti è ipossico [7d]. La cianosi

può dipendere dalla captazione deficiente dell’O2 nei polmoni, ma anche per trasporto

insufficiente di sangue ai tessuti come in animali con insufficienza cardiovascolare o in soggetti anemici.

Il cambiamento di colore sta alla base della tecnica dell’ossimetria. L’ossimetro è infatti uno strumento che viene posto a livello mucosale che capta la differenza di assorbimento della luce per differenziare l’emoglobina saturata da quella deossigenata.

A differenze della O2, l’anidride carbonica viene trasportata nel sangue in tre modi diversi,

la maggior parte di esso si combina con l’acqua creando l’acido carbonico (H2CO3) che

successivamente si dissocia in bicarbonato e ione idrogeno: H2CO3 <---> H+ + HCO3

-La seconda forma di trasporto è la CO2 legata come carbammato all’emoglobina negli

eritrociti o alle proteine plasmatiche, il 5 % è trasportato nel plasma in forma disciolta [8].

Controllo della ventilazione

Un respiro fisiologico è un respiro definito “ritmico” ovvero quando ogni atto respiratorio è separato dal precedente e dal seguente da un intervallo uguale di tempo;

La ritmicità respiratoria origina dal ponte e dal midollo allungato, generalmente il ritmo respiratorio consiste come detto in inspirazione ed espirazione con un rapporto tra le due di 1:1,35;

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Secondo il modello di Ngay l’inspirazione ha luogo quando il centro inspiratorio viene attivato, esso viene eccitato dalla scarica del centro apneustico (sempre attivo) posto nel ponte; si ha un aumento dell’attività dei neuroni inspiratori che si associa alla contrazione del diaframma e dei mm intercostali esterni. La fase inspiratoria cessa quando il centro apneustico dal quale è partito l’impulso viene inibito ad opera del centro pneumotassico e quello vagale proveniente dai meccanorecettori posti nella parete dei bronchioli, i neuroni ispiratori sono quindi inibiti e l’espirazione si ha per forma passiva, come il risultato del recupero elastico del polmone e della parete toracica [7e]. Nella fase iniziale

dell’espirazione alcuni neuroni inspiratori sono attivi e mantengono lievemente contratti i muscoli, questo meccanismo impedisce una brusca espirazione e contribuisce a regolare il flusso d’aria espirato, questo meccanismo cessa sul termine della espirazione. Talvolta a fine espirazione si possono attivare anche i neuroni espiratori che attivano i mm espiratori. L’espirazione è un processo passivo che determina il rilascio dell’azione del centro pneumotassico e quindi l’inspirazione può riprendere [5].

Il sistema nervoso centrale integra le informazioni periferiche provenienti circa la composizione del sangue e genera segnali che regolano l’attività dei muscoli respiratori. Queste informazioni provengono dai chemorecettori, meccanorecettori e dai propriocettori. I chemiorecettori come citati controllano la concentrazione di O2, di CO2 e

del pH e apportano una modificazione all’attività respiratoria quando la concentrazione non rientra più nei range fisiologici, essi sono posti nel corpo carotideo e aortico; il primo si trova alla biforcazione delle arterie carotidee interne ed esterne, innervato da un ramo del nervo glosso-faringeo, il secondo sta sull’arco aortico, quest’ultimo più importante nel feto e meno nell’adulto, innervato dal nervo vago. Quando il corpo carotideo rileva nel sangue una PO2 bassa, un aumento della CO2 o un pH basso, aumenta la frequenza delle

fibre afferenti del seno carotideo, di fronte ad un incremento della CO2 o ad una

diminuzione del pH l’aumento della ventilazione è lineare, non è la stessa cosa in caso in cui si ha O2 basso, in quanto quando la pressione dell’O2 disciolto nel sangue è a 70 mmHg

si produce solo un aumento moderato della frequenza, se la diminuzione prosegue la ventilazione aumenta ancora ed è molto pronunciata quando la PO2 scende a valori

inferiori a 60 mmHg, valore in cui l’emoglobina comincia a non essere più saturata [5].

La pressione parziale della CO2 (PaCO2) è sempre costantemente controllata, questo gas è

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alveolare o a livello cerebrale di 2 mmHg produce un aumento della ventilazione del 50%, l’aumento che avviene mediante uno stimolo chimico in quanto diffonde rapidamente attraverso la barriera ematoencefalica, determina un aumento della concentrazione degli ioni H+ nel liquido interstiziale del cervello, ciò porta ad una diminuzione del pH che

attiva i neuroni chemiosensibili, stessa cosa è data dall’acidosi metabolica che arriva a livello cerebrale. I meccanorecettori registrano invece il grado di stiramento dei polmoni, cambiamenti delle vie respiratorie e vasi polmonari. I recettori di stiramento (propriocettori) dei muscoli respiratori controllano invece lo sforzo della respirazione. I recettori periferici sono responsabili del 40/50% dell’attivazione della ventilazione, per questo motivo la somministrazione di ossigeno in animali sani diminuisce la ventilazione

[7e].

Funzione non respiratoria del polmone

Il polmone come ogni organo dispone di difese immunitarie sia innate che specifiche. Le difese aspecifiche chiamate anche immunità innata sono le cellule del sistema muco-ciliare, la tosse e le cellule fagocitarie presenti nell’alveolo, hanno la peculiarità di avere lo stesso meccanismo verso tutte quelle sostanze/particelle ritenute “non self”, si attivano immediatamente e non hanno memoria. Le difese specifiche, al contrario, richiedono un tempo di attivazione di alcuni giorni, agiscono in maniera selettiva per le varie noxae patogene e hanno una memoria immunitaria ovvero al ripresentarsi della stessa noxa, il sistema immunitario agisce in maniera tempestiva e mirata [4].

Le particelle estranee possono essere inalabili o respirabili, quelle inalabili sono quelle con un diametro medio o inferiore a 10 micron, quelle respirabili hanno un diametro invece uguale o inferiore ai 2,5 micron; la profondità a cui riescono ad arrivare dipende dalla loro dimensione, quelle più grandi con diametro superiore ai 5 micron, per inerzia nell’impatto si vanno a depositare nelle vie aeree superiori, dove si ha il tessuto linfoide come le tonsille e il tessuto linfoide associato a i bronchi; data la velocità ridotta che si ha nelle vie aeree più profonde le particelle più piccole da 1 a 5 micron si depositano mediante sedimentazione e possono entrare in contatto con gli alveoli o essere espulse con la espirazione, (per lo stesso motivo i farmaci che vengono somministrati attraverso il polmone devono avere piccolissime dimensioni); anche la modalità di respiro influisce molto, infatti un respiro lento e profondo favorisce l‘ingresso di particelle piccole e in

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profondità viceversa una respirazione rapida e superficiale determinerà un maggior impattamento del pulviscolo di grosse dimensioni [7f]. Le particelle depositate sulla

superficie epiteliale del tratto respiratorio vengono trasportate mediante il meccanismo di ascensione muco-ciliare fino alla faringe dove sono deglutite. Queste cellule sono ciliate e ricoperte da uno strato mucoso sia a bassa (molto fluido) che ad alta densità, il muco più liquido bagna le cellule cigliate e ne permette il movimento che ne determina a sua volta il movimento del muco più denso definito gel che sta sopra e che intrappola le particelle e ne permette il movimento. La velocità e la frequenza del movimento ciliare varia molto in base al tratto interessato, i bronchioli più lentamente rispetto ai bronchi che a loro volta sono più lenti rispetto alla trachea, questo per evitare un eccessivo ingorgo a livello tracheale che impedirebbe un efficace smaltimento. Il muco viene prodotto da diverse cellule a seconda del tratto interessato: nei bronchioli sono le “cellule di Clara”, nelle vie aeree superiori sono le cellule ciliate che loro stesse producono muco, nei bronchi sono presenti invece le ghiandole bronchiali della sottomucosa, la produzione di muco è regolata dal sistema autonomo.

La quantità, composizione e viscosità della secrezione mucosa cambia in funzione a numerosi stimoli, e può essere causa e conseguenza di malattie respiratorie. L’epitelio delle vie respiratorie fisiologicamente regola l’indice di assorbimento del Na+ e la

secrezione del Cl- che a loro volta controllano lo spessore dello strato mucoso affinché il

funzionamento ciliare sia ottimo, un cambio nello spessore o nella viscosità può impedire la funzione ciliare e il cambio delle proprietà viscoelastica modificare la velocità di eliminazione, un aumento di viscosità e una diminuzione dell’eliminazione può essere originato per l’aumento dell’acido desossiribonucleico che accade in corso di infezioni batteriche polmonari [4, 7f].

La tosse fa parte del meccanismo di pulizia, il processo inizia tramite la stimolazione dei recettori di irritazione sub-epiteliali il cui numero è maggiore nei grossi bronchi, i recettori possono stimolarsi per deformazione meccanica che si produce in presenza di corpi estranei o per un eccessivo deposito di muco sopra la superficie epiteliale, la tosse è efficace nella eliminazione delle secrezione mucosa presente nella trachea intratoracica e nei grandi bronchi, però non è efficace nella eliminazione di muco presente nei bronchi periferici o bronchioli.

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I macrofagi sono il tipo di cellule predominanti nelle secrezioni che ricoprono l’alveolo, essendo il principale fagocita presente nel polmone sano, la presenza di proteine del surfactante alveolare, fattori del complemento, cosi come le opsonine e lisozima della secrezione del tratto respiratorio aiutano il macrofago nella distruzione e nella eliminazione di agenti estranei come i batteri; possono sia distruggerli che trasportarli all’esterno del polmone, sono adattati ad un elevato livello di ossigeno e la sua funzione fagocita si riduce in caso di ipossia, cosi come in presenza di glicocorticoidi sia endogeni (liberati in caso di stress) che sintetici antiinfiammatori, anche le infezioni virali concorrono al ridurre l’attività del macrofago tutto questo fa aumentare la presenza di polmoniti batteriche [4].

Come altri organi il polmone ha un flusso continuo di acqua e soluti tra il letto capillare e l’interstizio polmonare. La forza idrostatica e osmotica responsabile del movimento dei liquidi è uguale a quella del resto degli organi, però data la bassa pressione della circolazione polmonare, la sua grandezza è molto differente; circa il 60 % della filtrazione di acqua avviene lungo i capillari alveolari, un 15 % nelle piccole arterie extra alveolari e un 20% nelle vene extra alveolari. Il liquido che trasuda dai capillari si interpone nello spazio interstiziale, l’epitelio alveolare è meno permeabile dell’endotelio capillare e per tanto il liquido non passa all’interno degli alveoli a meno che l’epitelio non è lesionato o se si ha una grande quantità di liquido interstiziale. Il movimento di liquido attraverso l’endotelio obbedisce alle forze descritte per l’equazione di Starling.

Qf= Kf* [(Pcap-Pif) – (πcap- πi)]

Qf= è il flusso del liquido per minuto Kf= coefficiente di filtrazione capillare Pcap= pressione idrostatica capillare

Pif= è la pressione idrostatica del liquido interstiziale

πcap e πi= sono la pressione oncotica rispettivamente del liquido capillare e di quello interstiziale

i valori fisiologici standard sono:

Pcap= 10 mmHg, πcap= 25 mmHg, Pif= -3 mmHg e πi= 19 mmHg

Si evince mettendo questi valori nell’equazione che la forza è positiva e favorisce la filtrazione del liquido dai capillari all’interstizio polmonare, questo liquido filtrato in forma

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continua non si accumula in verità, in quanto l’interstizio è poco distendibile, ma si muove verso i tessuti perivascolari e peribronchiali dove si localizzano i vasi linfatici [4].

La filtrazione del liquido dai capillari polmonari varia in funzione del cambio di permeabilità vascolare e con la pressione idrostatica e oncotica, un aumento pressione idrostatica capillare si ha per esempio negli animali durante l’esercizio fisico e in animali con insufficienza cardiaca sinistra, l’elevata pressione fa si che il liquido di accumuli. L’edema polmonare si ha infatti quando è superata la capacità linfatica e si rompono i ponti di proteoglicano (che tiene unito i setti alveolari), questo determina un aumento della distensibilità della zona e che può accumulare una quantità di liquido maggiore, il liquido poi passa nello spazio respiratorio attraverso le cellule alveolari epiteliali o attraverso i bronchioli.

Il liquido schiumoso tipico è dovuto alla presenza di sostanza acquosa (liquido dell’edema e del surfactante) miscelato con il gas fisiologicamente presente.

Un aumento della filtrazione del liquido può presentarsi nei casi in cui non solo la pressione idrostatica aumenta ma anche per la diminuzione della pressione oncotica plasmatica come per esempio in corso di ipoprotidemia, un’altra causa può essere dovuta ad un aumento della permeabilità vascolare come in corso di polmoniti, probabilmente per l’azione dei neutrofili che rilasciano radicali liberi, il liquido ricco di proteine entra nell’interstizio che fa aumentare la pressione oncotica interstiziale provocando un aumento dell’attrazione dell’ acqua nell’interstizio.

Nello spazio pleurico, come abbiamo detto trattando la parte anatomica è presente un sottile strato di liquido che si rinnova all’incirca ogni ora, l’assorbimento continuo del liquido pleurale da parte del sistema linfatico aiuta a mantenere le superficie viscerale e parietale in stretta apposizione, il contenuto di proteine nel liquido pleurale è molto basso ma la forza di Starling favorisce la filtrazione del liquido nello spazio pleurale attraverso i capillari della pleura parietale e viene eliminato dai vasi linfatici che comunicano direttamente con lo spazio pleurale attraverso stomi sulla superficie della pleura parietale; il liquido si accumula nella cavità pleurale quando la pressione dei capillari aumentano o quando la permeabilità vascolare si incrementa per l’infiammazione della pleura [7f].

Un’altra funzione molto importante del polmone è quella del metabolismo di sostanze e farmaci.

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Il polmone dato che riceve tutta la gittata cardiaca del cuore sinistro ha le cellule endoteliali attrezzate con un ampio repertorio di enzimi attivi nella captazione e nel metabolismo delle sostanze vasoattive, tutta la serotonina circolante è captata dalle cellule endoteliali, la noradrenalina viene metabolizzata parzialmente, tuttavia sull’acetilcolina, l’adrenalina e l’istamina non ha nessun processo di eliminazione.

La bradichinina e l’angiotensina viene metabolizzata tramite l’azione dell’enzima convertitore dell’angiotensina (ACE) localizzato a livello della superficie endoteliale, inoltre metabolizza anche la prostaglandina E2 e F2 ma non la I2.

Il polmone ha anche un ruolo fondamentale nell’equilibrio acido-base, in quanto i polmoni eliminano o trattengono la CO2 e in questa maniera compensano squilibri di pH

derivati dal comparto metabolico, come un’acidosi o un’alcalosi metabolica.

Acidosi metabolica - Le acidosi metaboliche derivano dalla formazione di un eccesso di acidi organici od inorganici che non vengono eliminati dai reni oppure da un eccesso di eliminazioni di basi. Eccessiva produzione di acidi si ha nell'acidosi diabetica, digiuno, anestesia, febbre elevata, tireotossicosi, acidosi lattica. In certe patologie renali si ha una ritenzione di H2SO4 e H3PO4 che non possono esser eliminati. A livello respiratorio si ha

una risposta iperventilatoria che tende a ridurre la PCO2 onde tamponare la perdita dei

bicarbonati e riequilibrare così il pH.

Alcalosi metabolica -Si ha quando nell'organismo è presente un eccesso di basi o si ha una grande eliminazione di radicali acidi. Le cause possono essere: perdita di K per vomito, iperaldosteroidismo, introduzione eccessiva di basi. Il polmone andrà a riequilibrare il pH con un ipoventilazione, trattenendo il più possibile quindi la CO2.

Viceversa il polmone può essere causa di squilibri di pH come nell’acidosi respiratoria o alcalosi respiratoria

Acidosi respiratoria - Questa si verifica quando si ha un accumulo di CO2, dovuto a lesioni

polmonari o toraciche o a livello del SNC che coinvolge i centri respiratori. Può esser acuta o cronica. A livello renale si verificano i seguenti interventi compensatori: eliminazione di H+, produzione ed eliminazione di ioni ammonio e riassorbimento di bicarbonato ed

escrezione di Cl- allo scopo di aumentare il pH, ioni sodio ed idrogeno entrano nelle cellule con fuoriuscita di K+ che aumenta a livello del liquido extracellulare.

Alcalosi respiratoria - È in rapporto alla diminuzione della PCO2 del sangue per

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eliminazione di Cl-, riassorbimento di bicarbonato. il K+ va dal LEC all'interno delle cellule

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1.2. Fisiopatologia polmonare: alterazione degli scambi, ipossiemia e

alterazione del rapporto perfusione/ventilazione

La funzione primaria del sistema respiratorio, come vista nel paragrafo precedente, è l’ossigenazione e l’eliminazione della CO2 dal sangue venoso. Le due maggiori componenti

sono i polmoni (l’organo deputato agli scambi gassosi) e i muscoli respiratori (la pompa meccanica che serve a ventilare i polmoni), entrambe contribuiscono a pari merito alla funzione degli scambi gassosi. Mentre un polmone sano scambia in maniera efficiente i gas respiratori, l’ipossiemia e ipercapnia indicano un fallimento da parte del polmone a provvedere ad un adeguato scambio di gas [17b]. Si definisce ipossiemia quando la

pressione parziale dell’ossigeno nel sangue arterioso scende sotto gli 80 mmHg o quando la saturazione emoglobinica del sangue arterioso (SaO2 o SpO2) è meno del 95%. Un

valore inferiore di PaO2 a 60 mmHg o di SaO2 al 90% è considerato come indice di grave

ipossiemia che richiede un immediato intervento terapeutico [16a]. Importante considerare

che la definizione si basa sulla pressione parziale di ossigeno che non riflette il contenuto totale di O2 o l’adeguatezza degli scambi con i tessuti; infatti un soggetto anemico con

scambi gassosi nella norma e una PaO2 normale (nel range tra 80- 110 mmHg) non viene

considerato ipossiemico, ma a causa della mancanza di eritrociti nel sangue si ha un basso contenuto totale di O2 e un insufficiente quantità dello stesso nei tessuti.

Convenzionalmente si definisce la “respiratory failure” quando la PaO2 è meno di 60

mmHg o quando la PaCO2 è superiore a 50 mmHg [17b].

Possono essere indicate, in generale, 5 cause di ipossiemia arteriosa:

1) Riduzione della FiO2

2) Ipoventilazione

3) Alterazione della perfusione/ventilazione polmonare (“V/Q mismatch”) 4) Shunt

5) Limitata diffusione

1. Diminuzione della pressione parziale dell’ossigeno inspirato (FiO2): l’esempio più classico è quello delle elevate altitudini, in questa situazione l’ipossiemia non è

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dovuta a problemi patologici, animali che vivono in questi ambienti compensano con un incremento della ventilazione alveolare da cui ne deriva una normale ossigenazione con una bassa pressione parziale di anidride carbonica. Un altro esempio si ritrova nel caso in cui il paziente sia connesso ad un circuito respiratorio, come nella macchina anestesiologica se l’erogazione di O2 viene

interrotta. L’ossigenoterapia è risolutiva [9, 16a, 17a].

2. Ipoventilazione: si presenta come una riduzione dei gas freschi che raggiungono l’alveolo (diminuzione della ventilazione alveolare), è causa di aumento della PCO2

che raggiunge valori > di 45 mmHg; come abbiamo visto la PAO2 (pressione di O2

alveolare) è influenzata dal rapporto tra l’apporto di O2 (V’a o ventilazione) e la

rimozione di O2 (Q’ o perfusione), nel caso dell’ipoventilazione ne risulta che si

avrà un rapporto V’a/Q’ basso in quanto la perfusione è mantenuta. Un abbassamento del rapporto ne consegue quindi una diminuzione della O2 e un

aumento della PACO2 che è anche caratteristica dell’ipoventilazione, un aumento

invece del rapporto determinerà un abbassamento della CO2, come nel caso dell’iperventilazione; poiché non c’è un’alterazione degli scambi gassosi attraverso la barriera alveolo-capillare il rapporto tra pressione di O2 all’interno nell’alveolo e

nel sangue è mantenuto linearmente, ovvero sono entrambe diminuite. Le cause più comuni sono riferibili a disfunzioni e malattie neuromuscolari, ostruzione delle vie aeree, distensione addominale alterazione della parete toracica e difetto di riempimento dello spazio pleurico, tra le cause dobbiamo ricordare anche l’anestesia generale e la sedazione profonda; la situazione si può migliorare con l’ossigenoterapia, importante determinare le cause per intervenire in maniera mirata come ad esempio con una toracocentesi o decompressione addominale [9, 16a].

3. V/Q mismatch: Come abbiamo detto la ventilazione e la perfusione non sono uniformi in tutto il polmone, quindi V’a/Q’ varia molto tra le varie regioni polmonari, nelle quali si avrà una differente PAO2 e PACO2, ne consegue che lo

scambio di gas sarà meno efficiente. Se regioni del polmone non sono ventilate ma sono perfuse (caso estremo di basso rapporto) il risultato funzionale è lo

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shunt; condizioni polmonari che causano un collasso alveolare incompleto come polmoniti, edema polmonare, emorragia sono tra le più comuni cause di basso rapporto V’a/Q, questo determina, come abbiamo visto anche per l’ipoventilazione, un abbassamento della O2 e aumento del la differenza tra PAO2

e la PaO2 con aumento della PACO2. A differenza dell’ipoventilazione però questa

condizione non interessa tutto il polmone. Esiste anche un riflesso compensatorio definito come “vasocostrizione polmonare ipossica”, vasocostrizione dei vasi polmonari in risposta ad una bassa pressione di ossigeno che serve a ridurre la perfusione nelle zone poco ventilate aumentando cosi il rapporto tra perfusione e ventilazione, ottimizzando così gli scambi gassosi [17a].

Esistono, viceversa, aree polmonari con un alto rapporto V/Q, sono unità che sono super ventilate in proporzione al flusso di sangue che vanno a creare il cosiddetto “dead space effect”, generalmente sono aree che hanno ventilazione normale e abbassamento del flusso sanguigno [9]. L’ embolismo polmonare è un esempio di

come si possa istaurare sullo stesso polmone sia aree V/Q elevato che aree con V/Q basso. È una condizione dove non c’è o è ridotto il flusso sanguigno in alcune regioni polmonari che determina quindi alto V’a/Q’, allo stesso tempo però la ridistribuzione sanguigna in altre zone fa si che queste siano iperperfuse rispetto alla ventilazione (che è fisiologica) e per il quale si istaura una condizione di V’a/Q’ basso creando ipossiemia e incrementando la differenza di O2 tra l’alveolo e il

capillare. È una condizione responsiva all’ossigenoterapia

4. Shunt: Una delle cause più importanti ma spesso sottovalutate di ipossiemia nei pazienti critici Lo shunt polmonare (Qs/Qt ) consiste in un passaggio di sangue dal distretto venoso a quello arterioso in assenza di una adeguata ossigenazione, ne consegue un “venous admixture” ovvero la presenza di sangue venoso misto a quello arterioso con un deficit del contenuto totale di ossigeno (CaO2)

responsabile di una diminuzione della disponibilità di ossigeno; L’ammontare dello shunt è quantificato come percentuale della gittata cardiaca composta da sangue venoso (Q’s/Q’t); la formula per calcolare lo shunt è quindi la seguente: QS/QT = (CcO2 - CvO2) / (CcO2 - CaO2),

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CvO2 è la quantità di ossigeno contenuta nel sangue venoso misto

CaO2 è la quantità di ossigeno contenuta nel sangue arterioso

Il contenuto di ossigeno è calcolato come (1,34 x Hb x SO2) + (0.003xPO2) dove SO2

è la percentuale di emoglobina saturata con l’ossigeno. Fisiologicamente Qs/Qt è inferiore al 5% della gittata cardiaca, valori superiori al 10% sono considerati patologici; valori superiori al 50% sono invece indice di grave ed esteso danno polmonare

Importante ricordare che in questo caso la somministrazione di O2 non migliora

poi di molto il quadro, in quanto di tutto l’O2 dato solo una parte arriverà agli

alveoli funzionali.

Importanti esempi sono le atelettasie estese, masse polmonari, polmoniti gravi, polmoniti ad ingestis, ARDS e l’edema polmonare (la presenza di zone polmonari ripiene di liquido è causa di shunt polmonare in quanto impediscono la normale ventilazione, causando uno shunt destro-sinistro). In questo caso il rapporto perfusione/ventilazione sarà 0 perché 0 è la ventilazione. Esistono anche shunt cardiaci che determinano lo stesso tipo di problema dati principalmente da malattie congenite come il dotto arterioso pervio, la tetralogia di Fallot, la stenosi tricuspidale, le fistole atrioventricolari, la trasposizione di grandi vasi e gli shunt vascolari intrapolmonari (es. anastomosi bronchiali). Questi ultimi sono più rari, gravi e conseguenti ad un’anomalia vascolare responsabile di aree dove il rapporto V/Q è gravemente compromesso. Questi pazienti manifestano ipossiemia anche in assenza di malattie dell’apparato respiratorio od interessanti gli altri apparati e manifestano un’ipossiemia generalmente refrattaria alla ossigenoterapia ma non alla PVV “positive pressure ventilation” ovvero alla ventilazione a pressione positiva. Per questa metodica vedere il capitolo 2 sulle metodiche non invasive [9, 21].

5. Limitata diffusione: si può manifestare in esercizi fisici intensi ed estremi, in questo caso viene captato molto più O2 dal sangue ai tessuti per far fronte allo

sforzo e questo già diminuisce la O2, in più viene aumentato il flusso di sangue

polmonare che riduce il tempo necessario per gli scambi gassosi. L’effetto combinato è che più ossigeno deve essere preso in un tempo minore. Questo

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evento si manifesta anche in soggetti con patologie polmonari quali la fibrosi interstiziale e l’enfisema cronico, questi determinano un incremento della resistenza alla diffusione attraverso la membrana alveolo-capillare con difficoltà quindi degli scambi gassosi, data l’alta permeabilità della CO2, che come visto nel

paragrafo precedente ha una capacità di diffusione 20 volte superiore dell’ossigeno, non si manifesta ipercapnia. L’ossigenoterapia è risolutiva [9, 16a, 17a].

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1.3 Insufficienza respiratoria del cane: cause principali, manifestazioni

cliniche, diagnosi e possibili approcci terapeutici

Il distress respiratorio può essere provocato da varie cause sia associate al tratto respiratorio così come cause esterne ad esso come patologie a carico del sistema nervoso centrale, anemia o insufficienza cardiaca, questi pazienti facilmente presentano una scarsa riserva respiratoria, ne consegue che un riconoscimento rapido dei problemi sottostanti e un appropriato intervento terapeutico sono essenziali per una buona prognosi. La disfunzione respiratoria può essere dovuta a patologie che impediscono il raggiungimento dell’ossigeno nei polmoni (come ostruzioni delle vie aeree, effusioni pleuriche, ecc.) o alla difficoltà nello scambio gassoso che si può presentare in corso di anomalie della membrana alveolo-capillare (come in corso di edema, neoplasia o emorragia) [24].

Il management di cani con distress respiratorio prevede innanzitutto la stabilizzazione del paziente ancor prima di determinare la diagnosi definitiva [22].

Stabilizzazione iniziale

1) Supplemento di ossigeno Senza dubbio la prima cosa da fare è implementare l’ossigeno, questa dovrebbe sempre avvenire quando la PaO2 è inferiore a

70mmHg o la SaO2 sia inferiore al 93% in aria ambiente [75]. Di fondamentale

importanza sarà la modalità con cui esso verrà somministrato a seconda del tipo di ipossiemia che presenta il paziente. Tra le metodiche non invasive di somministrazione dell’O2 riportiamo: la tecnica flow-by, maschera facciale, collare

di Tim Crowe, e la gabbia ad ossigeno. Tra quelle invasive riportiamo le cannule nasali, la sonda-nasofaringea, naso-tracheale, il catetere trans tracheale e l’intubazione oro-tracheale. Tra le metodiche non invasiva parleremo anche della metodica CPAP (Continuous Positive Airway Pressure) mediante maschera o caschetto [61,63].

Flow by: Tale metodica è molto semplice da attuare e può trovare riscontro in particolari situazioni di emergenza in cui lo stato di ansia e stress che accompagna l’animale in dispnea riduce la tollerabilità nei confronti di altre metodiche come

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l’utilizzo di una maschera o una sonda nasale. Consiste di avvicinare un tubo da cui fuoriesce ossigeno davanti al muso dell’animale con flusso pari a 100-200 ml/kg/m, con una frazione inspirata di ossigeno misurata variabile da 29,5% a 48%

[69]. L’immediatezza, la tollerabilità e la presenza di equipaggiamento minimo sono

i principali vantaggi di questa metodica.

Maschera: Molti animali posso non tollerarla e pertanto, la loro richiesta di ossigeno sarà aumentata a causa dei loro movimenti per rimuoverla [69]. Flussi tra

gli 8-12 l/min. possono garantire fino al 50-60% di FiO2 [76].

Catetere nasale: È una tecnica che offre elevato apporto di ossigeno con bassi sprechi. È indicata sia per le terapie a lungo termine sia per brevi tempi, è di facile applicazione e solitamente ben tollerato, anche se in alcuni casi può essere necessaria una leggera sedazione e l’applicazione di collare elisabettiano. Uno dei vantaggi che si ha con il catetere nasale è la possibilità di raggiungere una FiO2 del 40% con flussi di ossigeno erogato pari a 100 ml/kg/min., per flussi pari a 200ml/kg/min. è possibile raggiungere una FiO2 del 60%, mentre con flussi pari a 300-400 ml/kg/min. si arriva fino all’80-90% [77]. Un flusso di ossigeno di 50-100

ml/kg per più di 24 ore può portare alla cosiddetta tossicità da ossigeno [78].

Collare di Elisabetta a ossigeno o Collare di Crowe

Si tratta di un collare elisabettiano la cui parte anteriore viene coperta da un foglio di plastica, possibilmente trasparente, lasciando aperta la parte anteriore di circa un quarto per permettere la fuoriuscita dell’espirato caldo ed evitare l’eccessiva formazione di condensa e la rirespirazione. Per evitare infatti il ‘collasso’ della pellicola occorre garantire flussi pari almeno a 5-8 L/min. [79]. Flussi di 100-200

ml/kg/min. possono garantire una FiO2 di circa il 40-50% [80].

Camera ad ossigeno

La camera ad ossigeno può garantire una FiO2 definita in un ambiente controllato

[75]. È difficile mantenere una corretta umidità e temperatura senza una gabbia

ossigeno specializzata. Sono da preferire per l’ossigeno terapia in terapia intensiva piuttosto che per le procedure d’urgenza.

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Intubazione e ventilazione a pressione positiva (PPV)

Questa metodica è indicata in quei pazienti che non possono essere ventilati adeguatamente a causa di malattie neuromuscolari, patologie del parenchima polmonare, o quando il paziente non risponde in maniere adeguata all’ossigenoterapia. Le linee guida prevedono: una pressione di 10-20 cmH2O, un volume tidalico di 10ml/kg, un tempo di inspirazione di circa 1 secondo (o lungo abbastanza per somministrare tutto il volume tidalico), un numero di ventilazioni per minuto pari a 15, un volume di ventilazione tra 150 e 250 ml/kg/minuto e una pressione di fine espirazione che oscilla tra 0 e 2. La ventilazione meccanica rimuove il lavoro respiratorio del paziente aumentando molto la prognosi se la malattia è potenzialmente reversibile [24]

Metodiche di ventilazione non invasiva

La ventilazione non invasiva o NIV (non invasive ventilation) consiste nel somministrare un supporto ventilatorio al paziente senza l’utilizzo di strumenti invasivi come il tubo endotracheale o il tubo tracheostomico. L’utilizzo di queste metodiche è aumentato molto negli ultimi 20 anni, diventando uno strumento integrativo nel management di insufficienze respiratorie acute e croniche, nella gestione domestica come nel reparto di terapia intensiva. Nella ventilazione non invasiva a pressione positiva, dove il supporto ventilatorio viene dato attraverso un innumerevole varietà di interfacce (maschera facciale, nasale, orale o helmet) usando una varietà di modalità ventilatorie come volume ventilazione, pressione di supporto, BiPAP (bilevel positive airway pressure), PAV (proportional-assist ventilation), CPAP (continuous positive airway pressure).

Il termine CPAP sta per “Continuous Positive Airway Pressure” ovvero provvede ad una pressione positiva costante attraverso il ciclo respiratorio ed è somministrata ai pazienti per mantenere nelle vie aree una pressione stabilita (usualmente chiamata PEEP ovvero pressione positiva di fine espirazione) che è superiore di quella atmosferica. Attraverso la CPAP, si ha un incremento della la capacità funzionale residua e la compliance polmonare attraverso il reclutamento di alveoli atelettasici, aumentando lo scambio gassoso e l’ossigenazione e allo stesso tempo riducendo il lavoro respiratorio; tende ad aprire e prevenire il collasso delle vie aeree superiori. Questa metodica prevede che il paziente respiri attraverso un

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