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1 Ai miei familiari, la cui gioia mi ripaga di ogni fatica.

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Academic year: 2021

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Ai miei familiari, la cui gioia mi ripaga di ogni fatica.

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“Come un gioielliere che distende la sua gemma preziosa entro un astuccio di velluto sposando i colori in modo che acquisti risalto la nobiltà della linea e il gioco della luce, così volle la natura sdraiare Viareggio in un’ampia conca luminosa, limitata dalle dolci acque del Serchio e della Magra e vegliata dalle sinuose Apuane che l’abbracciano declinando verso il piano di Pisa e l’isoletta Palmaria. Conca varia che verso il mare ha un tappeto di sabbia soffice come il feltro, dove per lo sforzo si contorcono le viti e si drizzano i pini dalla fronda aguzza odorante di resina; che più all’interno è irrigata da ca-nali tranquilli che nutriscono il riso laborioso e sboccano nel lago di Massaciuccoli sacro al silenzio e all’ispirazione; che nelle colline più basse è inargentata dai più belli uliveti d’Italia e in alto, nei monti rudi e alpestri, ha un tesoro di marmi venati dove dormono le linee eterne che un artefice ardente sveglierà un giorno con lo scalpello seguace. […]

E davanti è il mare, il gran mare tirreno saturo di gloria e di azzurro dove nelle giornate chiare appaiono le isole che Dante invocò nel suo sdegno e quella Corsica che accese la più folle tra le ebbrezze impe-riali.

Questa terra che d’estate attira un pellegrinaggio tumultuoso di per-sone le quali amano la violenza del suo sole e la purità delle sue ac-que per temperarvi il carattere e rafforzarvi la salute, racchiude un’infinità di ricordi soavi che sfuggono alla storia grossolana e collet-tiva; ma formano la delizia di chi ama le cose rare e i profumi evane-scenti”1.

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U. Boni, Viareggio bella, in Numero speciale dei giornali Libeccio e Paranzella, set-tembre 1913.

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PREMESSA

Il porto di Viareggio è una realtà estrema-mente complessa. Ciò dipende da ragioni di natura storica, politica, economica, che nel corso dei secoli hanno concorso a deline-arne la configurazione attuale, in un intrec-cio fisico e funzionale inscindibile e quanto mai variegato. Cionondimeno, esso rappre-senta, come vedremo, un elemento fonda-mentale per la città, poiché per molto tem-po, sin dalla sua nascita, ne è stato il centro propulsore e il motore di sviluppo territoriale ed economico, e ancora oggi costituisce il cuore produttivo e l’immagine di un luogo che ha investito nel mare, facendone la propria ragione di vita. Ma se oggigiorno il porto di Viareggio è un tematica fortemente attuale, ciò si deve principalmente a moti-vazioni di carattere negativo, che ne evi-denziano una condizione precaria, quasi in-volutoria, sotto molti aspetti, da quello strut-turale a quello gestionale, in una situazione quasi paradossale che colloca in un porto carente, saturo di problematiche, la costru-zione di barche tra le più belle del mondo. La complessità del sistema porto, per la cit-tà di Viareggio, è comprovata anche dalla difficoltà con cui i tentativi di riforma e di re-visione elaborati dal Comune, tentano fati-cosamente di farsi strada, cercando di por-re rimedio e di sanapor-re gli aspetti più urgenti, ma con la consapevolezza che il porto è af-fetto da mancanze di natura cronica, e pro-babilmente avrebbe bisogno di un ripensa-mento generale, forse di ripartire da zero. Ciononostante, si ritiene che quella intra-presa, ormai da un paio di decenni, sia

co-munque la strada più giusta, nel tentativo quantomeno doveroso, da parte degli enti preposti, di restituire decoro e dignità ad un porto che alla città ha dato tanto, ad un luo-go che tanto ha contribuito al fascino e al successo di un’intera regione.

Da quanto accennato, risulta chiaro come intervenire sul porto di Viareggio, o peggio riprogettarlo, anche parzialmente, sarebbe qualcosa di estremamente imponente, che diventerebbe impensabile in un ambito limi-tato come quello di una tesi. Per questi mo-tivi, il presente lavoro non è una tesi sul porto. Esso prende le mosse da una spettiva più ampia, che vede il porto pro-priamente detto come punto di riferimento, ma all’interno di un sistema più esteso, una porzione di territorio che trova nell’arenile e nel bacino portuale solo il suo limite occi-dentale. Si tratta di un’area che presenta un carattere ibrido, in quanto punto di incontro di entità fisiche e funzionali fortemente dif-ferenti, e delimitata da elementi naturali ed antropici che la rendono una zona di confi-ne, asservita parzialmente alla città e al porto. La presente tesi si propone dunque di operare su questa porzione di territorio, analizzando ed elaborando una serie di in-terventi che giovino all’area in questione, in quanto parte della città, ma che siano an-che funzionali al porto, creando (o ricrean-do) un sistema omogeneo, un dialogo tra le varie entità che ribalti (o perlomeno arresti) la prospettiva di un porto non solo inadatto, ma sempre più lontano, avulso da una città che si espande verso altri lidi. In questo senso, indiretto ma consapevole, il presen-te lavoro è una presen-tesi sul porto.

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5 Si dice comunemente che Viareggio sia

una città nata dal mare, anche se sarebbe meglio dire nata nel mare, o meglio ancora

nella palude. Essa,infatti, affonda le proprie

radici in un territorio che un tempo era for-temente ostile, invaso dalla malaria, e come vedremo i primi abitanti della zona furono costretti a conquistarne con sudore ogni metro, tra la bonifica delle paludi e gli scampoli di costa lasciati dall’arretramento del mare. Se si considera poi che i primi co-loni vissero per secoli dei miseri frutti della pesca e dello scambio di merci sulle rive del loro canale, si capisce come l’espressione sia particolarmente appropria-ta, poiché il mare, per questa città, ha rap-presentato da sempre fonte di vita e di sus-sistenza.

La storia di Viareggio, però, non è solo questo; è la storia di un popolo, di una città, che ha saputo primeggiare per l’arte nella marineria e per l’abilità cantieristica, che è stata sede di re, con le sue regge, i suoi parchi, le tenute all’ombra della pineta, che è divenuta rinomato centro di svago e diver-timento per la nobiltà, con i locali della Pas-seggiata, e meta per i turisti, grazie agli stabilimenti balneari. Per non far torto a nessuno di questi aspetti, bisogna quindi precisare che Viareggio non è solo Mare, ma è soprattutto Porto, Città, Parco.

Sono proprio questi elementi, che, caratte-rizzando inscindibilmente la storia della cit-tà, hanno offerto l’occasione per lo sviluppo di questo lavoro. Essi infatti non hanno solo un legame storico con la città di Viareggio, ma anche fisico e funzionale, avendo orien-tato, con la loro presenza, le tendenze evo-lutive e le direzioni di sviluppo del centro abitato, che è nato con poche capanne sul-le sponde di un canasul-le e si è poi espanso a macchia d’olio su tutto il suolo disponibile. Ancora oggi, nonostante la saturazione edi-lizia e la cementificazione incontrollata, os-servando l’area di Viareggio, i tre elementi citati sono facilmente riconoscibili e costi-tuiscono i punti di riferimento dell’intero si-stema territoriale: il porto, con il corso sinu-oso della Burlamacca e le darsene storiche, la città, con la griglia di strade del centro storico e la raggiera dei quartieri periferici, il parco, con la pineta di ponente e quella di levante, che si allunga verso sud diventan-do Parco vero e proprio. Queste aree, che costituiscono grandi unità funzionali auto-nome, non sono del tutto isolate ma tendo-no ad avvicinarsi, a comunicare, ad instau-rare un dialogo un tempo molto stretto, oggi quasi impedito dalla saturazione degli spa-zi. E il teatro di questo dialogo era proprio la zona del porto (odierno quartiere Darse-na), che rappresenta il cuore produttivo del-la città e il motore deldel-la sua economia; esso

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6 è sempre stato luogo di incontro, di

conver-genza di plurime attività e funzioni, punto di approdo di navi provenienti da posti lontani, e per questo motivo risulta un’area di confi-ne, portatrice di fascino e sensazioni varie-gate. Oggi, però, questo carattere è andato perduto, e prevalgono occlusione e promi-scuità, che privano l’area del porto della sua bellezza, restituendo un’immagine di degrado e disordine, una percezione di ca-os e disorientamento.

Partendo da questi presupposti, la presente tesi tenta di indagare e comprendere le cause e le dinamiche di questi fenomeni, analizzando la zona del porto ed il contesto circostante, e propone delle risposte in for-ma progettuale che mirino a ripristinare la dimensione originaria del luogo, come zona di incontro, punto di aggregazione e non di disgregazione. Nello specifico, lo studio a-vrà sempre come sfondo la distinzione delle tre macroaree del Porto, della Città e del Parco, che rappresentano i punti di riferi-mento dell’intero sistema, e le chiavi di let-tura per comprenderne il funzionamento. Per questo motivo, le tre componenti ver-ranno indagate separatamente, per capirne lo sviluppo e la configurazione attuale, ma alla fine, gli interventi proposti cercheranno di valorizzare questi elementi, riunendoli in una dimensione globale omogenea, in mo-do da restituire coerenza e dignità all’insieme territoriale.

Il lavoro, come riportato e descritto nelle pagine successive, si articola in tre fasi di-stinte:

- una fase conoscitiva, nella quale si rac-colgono i dati necessari a comporre un background culturale che faccia da base per le considerazioni successive;

- una fase strategica, nella quale le cono-scenze acquisite vengono elaborate e sin-tetizzate a formare degli imput e degli obiet-tivi da perseguire;

- una fase progettuale, nella quale tali obiet-tivi vengono tradotti in proposte e scelte progettuali.

È tempo dunque di levare l’ancora, e partire per questo viaggio, con il vento in poppa e per acque, speriamo, tranquille.

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8 Il presente capitolo riporta la parte di studio

e di ricerca che ha permesso di costruire l’apparato informativo necessario per le fasi successive; essa è risultata fondamentale per il prosieguo del lavoro, in quanto ha fornito le basi per comprendere il Luogo, individuandone le caratteristiche fisiche, gli aspetti identitari, le dinamiche di sviluppo e trasformazione.

Questa fase si compone di diversi passag-gi, che corrispondono ad altrettanti aspetti via via considerati, ed essi, una volta messi assieme, hanno fornito un quadro generale di riferimento su cui elaborare le successive proposte.

La ricerca si articola infatti nei seguenti punti:

- analisi storica, con cui abbiamo indagato i processi di formazione e le fasi evolutive che hanno delineato attraverso i secoli lo stato attuale del territorio;

- analisi tematica, con cui sono stati appro-fonditi singolarmente alcuni aspetti del con-testo, riassunti, attraverso un’indagine set-toriale, con la redazione di alcune carte te-matiche;

- analisi normativa, ovvero consultazione e studio dei principali strumenti urbanistici e normativi a disposizione, al fine di meglio comprendere o corroborare le informazioni bibliografiche;

- analisi progettuale, ovvero la ricerca e l’indagine dei progetti più recenti che ri-guardino parti dell’area in oggetto, allo sco-po di espanderne la conoscenza con aspet-ti specificamente affrontaaspet-ti in altri studi e potersi quindi avvalere dei risultati da essi ottenuti.

Nelle pagine seguenti esponiamo singolar-mente i contenuti di queste indagini.

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2.1

. ANALISI STORICA

Il primo passo per conoscere l’area di inter-vento è quello di ricostruirne la storia, par-tendo dalla sua formazione e ripercorren-done lo sviluppo nel corso nel tempo. La si-tuazione attuale, infatti, è il risultato di un’evoluzione lenta e graduale, che deve essere compresa nei propri passaggi, in modo da capirne gli esiti e poter leggere con attenzione i segnali che ha tramandato. Questa parte di ricerca ha quindi una fun-zione diagnostica, perché solo interioriz-zando le dinamiche del passato, è possibile capire il presente e proiettarsi nel futuro. Nello specifico, l’analisi storica che ripor-tiamo nel seguito, si articola su due binari paralleli, che trattano singolarmente la sto-ria del porto, e quella del parco, dalle quali si evince anche la parte relativa alla città, che per ovvie ragioni non poteva esserne scorporata, in quanto permea e segue quel-la di entrambi. In effetti l’osservazione del contesto territoriale evidenzia in maniera netta la presenza di queste tre macroaree, che sono fortemente identitarie del sito di interesse ma anche dell’intero panorama della costa tirrenica. Per questo motivo ab-biamo scelto di trattarle singolarmente, an-che se come vedremo la storia delle varie unità si intreccia con regolarità.

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2.1.1. IL PORTO

“È un fatto incontrastabile che la Foce

no-stra non ha le qualità nautiche desiderabili. Il mare in tempo di burrasca vi infrange le onde tremendamente, le quali hanno una velocità grandissima di guisa che a poco giova di sovente il governo del Timone. La corrente litoranea fa derivare sensibilmente i bastimenti, che sono obbligati per entrare col libeccio di tenersi sopravento, come di-cesi in linguaggio marinaresco, o nella dire-zione di mezzogiorno-tramontana. La ne-cessaria ristrettezza della Foce rende so-vente problematico l’ingresso dei bastimen-ti, che spesso per evitare danni maggiori sono guidati ad investire lungo la spiag-gia”2.

2

C. Pezzini, Viareggio dall’ascia all’acciaio …, 1996, p. 136.

Le origini.

Il porto di Viareggio, come lo vediamo oggi, è il prodotto estremamente recente di una storia quasi millenaria, una storia “di lavoro

e di avventura, di imprese vittoriose e di sa-crifici, di dolori, di ansie e di morte, come ogni storia umana”3; lo scenario attuale rappresenta il punto di arrivo di una lunga evoluzione, che affonda le proprie radici nel XII secolo, in un territorio invaso dalla palu-de e avvolto nella stretta morsa palu-della mala-ria. Veniva chiamata “terra del diavolo”4, in quanto del tutto ostile e completamente av-versa alla presenza umana, eppure era de-stinata ad ospitare non solo un porto, ma addirittura una fiorente cittadina. Si può di-re, anzi, che la presenza del porto (dappri-ma un semplice approdo) abbia anticipato e favorito (forse provocato) la nascita dell’abitato, creando con esso un legame inscindibile, una dipendenza reciproca che li ha visti crescere e maturare di pari passo, nella strenua battaglia contro un luogo ino-spitale. Sono un simbolo di vittoria, di con-quista, ottenute con sudore e sacrificio; rappresentano il coraggio e la tenacia di un popolo fatto di contadini e marinai, che so-no riusciti a far prevalere il loro mestiere su una natura ingenerosa, primeggiando in pa-tria e fuori.

In questa sezione cercheremo di ricostruire le tappe fondamentali del percorso che ha condotto il porto di Viareggio, da semplice

3

A. Bargellini, A. Serafini (a cura di), La Versilia e il

mare, 2002, p. 14.

4

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11 approdo sulla foce di un canale, a rinomata

sede e punto di riferimento mondiale nel settore della costruzione navale, passando attraverso le difficoltà, i limiti e le problema-tiche che lo hanno contraddistinto e che tut-tora lo accompagnano. Perché il porto di Viareggio è anche questo, luogo di para-dossi e contraddizioni, accumulati nei secoli e tuttora parzialmente irrisolti, dove, ad e-sempio, nonostante gli sforzi degli enti pre-posti, strutture e spazi totalmente inadegua-ti ospitano la nascita delle barche più belle del mondo. Ma, come vedremo, il porto di Viareggio è afflitto da problemi atavici, già di per sé difficili da affrontare, che in segui-to a politiche sbagliate e decisioni poco lungimiranti (purtroppo del passato più re-cente), rischiano di assumere un carattere cronico e per certi versi irreversibile. Ad o-gni modo, se è vero che qualsiasi dilemma per risolverlo va conosciuto, ripercorriamo le vicende che hanno lentamente delineato la situazione attuale, tornando indietro di nove secoli, quando cioè sulle coste via-reggine non c’era ancora niente, se non una fitta boscaglia che separava la spiaggia dalla palude, ed uno stretto canale, l’unico tra i tanti, che dal vasto acquitrino si gettava nel mare, più di un chilometro a monte della foce attuale. E proprio questo canale, allora nominato Fossa Selice5, nel 1324 venne reso navigabile per i piccoli navicelli che trasportavano mercanzie6, ponendo le pre-messe per la nascita e lo sviluppo del futuro porto. “Di qui sono partiti i primi pescatori,

5

C. Pezzini, op. cit., 1996, p. 21.

6

Ivi, p. 22.

poi le navi a vela e partono oggi le navi da diporto. Qui arrivano e partono, nel porto turistico, i flussi crescenti di un traffico or-mai anch’esso largamente internazionale”7. Ma, come detto, questa storia ha origini an-cor più lontane, e precisamente nel 1169, quando i lucchesi, aspiranti al controllo del-la zona costiera, eressero nei pressi deldel-la foce una robusta torre lignea, sostituita tre anni dopo con un solido fortilizio in pietra. Esso fu chiamato ‘Turris de Via Regia’, dal nome della strada che, attraverso la palude, lo univa al castello di Montramito8. Fu, que-sto, il primo vero segno di interesse verso questi territori, che per lungo tempo furono contesi tra lucchesi e pisani, passando al-ternativamente da un dominio all’altro, fino al 1287, anno in cui Lucca acquistò i diritti feudali sui terreni della marina, mettendo un apparente punto fermo sul destino di quei luoghi9. Ma la pace non durò a lungo, il de-bole equilibrio raggiunto si ruppe ben presto per lo scoppio di nuovi conflitti, anche per-ché non molto tempo dopo, e siamo agli al-bori del XV secolo, ai pisani subentrarono i fiorentini, a contendere a Lucca non solo il ‘Castrum maris’, altro nome del castello via-reggino10, ma anche gli altri possedimenti, tra cui l’importantissimo porto di Motrone. E proprio quest’ultimo, dopo alterne vicende belliche, venne definitivamente conquistato dai fiorentini nel 1441, privando Lucca del

7

A. Bargellini, A. Serafini (a cura di), op. cit., 2002, p. 13.

8

F. Bergamini, op. cit., 1995, pp. 15-16.

9

T. Fanfani, Storia illustrata di Viareggio, 2005, p. 18.

10

C. Pezzini, op. cit., 1996, p. 22.

suo principale scalo fluviale. Da quel mo-mento, necessariamente, la Repubblica lucchese dovette investire su Viareggio, considerato non più solo un avamposto di-fensivo, ma l’unico sbocco al mare rimasto-le. Molte risorse furono spese per promuo-vere un effettivo progresso della zona, e molti provvedimenti attuati per favorire lo sviluppo ed il popolamento di una terra così ostile11. Nel 1446 furono intrapresi i primi tentativi di bonifica, che, come vedremo più avanti, impegnarono i coloni, senza suc-cesso, per almeno tre secoli a venire; nello stesso tempo iniziarono i lavori per il poten-ziamento dello scalo, a partire dal rifaci-mento della ‘via Regia’ (1468) e dalla nomi-na, nel 1480, del Commissario di spiaggia. Questi era un magistrato preposto alla di-sciplina del traffico marittimo che si svolge-va alla foce del Burlamacca, e sovrintende-va alle attività militari del piccolo borgo na-scente, sostituendo in questo il castellano ed i soldati di guarnigione. Ciò dimostra che Viareggio stava assumendo una certa im-portanza a livello commerciale, infatti

“pres-so il canale e lungo la riva del mare “pres-sono stati edificati ampi magazzini per la custo-dia delle mercanzie che i commercianti luc-chesi vi depositano, in attesa di essere tra-sportate a Lucca o di essere imbarcate per le diverse destinazioni”12. Contestualmente, nel 1488, il Governo istituì una società for-mata da cinquanta cittadini, detta ‘Maona’, con lo specifico compito di effettuare la bo-nifica delle terre, che quelli avrebbero poi

11

Ivi, p. 23.

12

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12 ottenuto divise in eguali appezzamenti per

poterle coltivare o cedere ad altri.

L’affermazione.

Verso la fine del XV secolo, vi fu una nuova serie di eventi politici, in seguito ai quali Lucca rientrò momentaneamente in pos-sesso di Pietrasanta e Motrone, fatto che sembrò quasi rendere superfluo l’aver di-chiarato Viareggio porto franco, nel 149613. Ma pochi anni dopo, e precisamente nel 1513, con lodo 29 settembre, il Papa Leone X assegnò definitivamente i due centri a Fi-renze, privando Lucca anche delle ultime speranze di riottenere il suo antico porto. Questo atto aprì una nuova pagina di storia per le località costiere, ed un nuovo e più consistente impegno di Lucca nei confronti di Viareggio, ormai rimasto l’unico possibile approdo nella marina in controllo del Duca-to14. E fu così che nel 1525 venne istituito l’Offizio sopra l’Abbondanza, con compe-tenze di sorveglianza e protezione dei ma-gazzini di Viareggio, e nel 1534 venne eret-ta una nuova fortezza: una torre, più idonea al mutamento dei tempi, in sostituzione all’antico castello, che, per il continuo ap-porto di detriti fluviali, era ormai troppo lon-tano (circa seicento metri) dalla linea di co-sta, che avanzava progressivamente verso il mare. La posizione della nuova torre, alla foce del canale, denunciava chiaramente le finalità di punto di osservazione e

13

A. Bargellini, A. Serafini (a cura di), op. cit., 2002, p. 20.

14

T. Fanfani, op. cit., 2005, p. 39.

zione militare a difesa dei magazzini e dell’ingresso dello scalo, troppo spesso soggetti alle incursioni di pirati e malfatto-ri15. I lavori terminarono nel 1541, anno in cui ebbe luogo un altro evento decisivo per il futuro sviluppo del porto: in data 11 set-tembre, con un seguito di cinquanta galere, sbarcò a Viareggio l’Imperatore Carlo V, che doveva recarsi a Lucca per incontrare il Pontefice16.

Questo episodio riveste un’importanza fon-damentale per il piccolo scalo viareggino, non solo a livello di immagine (quel giorno un borgo quasi sconosciuto salì alla ribalta della cronaca politica e civile del regno), ma anche e soprattutto perché in quell’occasione fu predisposto un prolun-gamento della banchina esistente, attraver-so la costruzione di un pontile di legno sporgente in mare per una lunghezza di sessanta braccia. Si tratta evidentemente del primo intervento di ampliamento dell’approdo al di fuori del confine costiero, anche se dettato da una contingenza ester-na, ovvero consentire all’ imperatore e al suo seguito un più comodo sbarco. Ed ef-fettivamente, agli occhi del Governo di Luc-ca, Viareggio dovette dimostrarsi all’altezza della situazione, visto che negli anni suc-cessivi le autorità centrali continuarono ad investire sullo scalo, decretando prima la costruzione di nuovi magazzini e l’edificazione della residenza del Commis-sario di spiaggia, e poi, nel 1546, su consi-glio del sacerdote Ingegnere Pietro della

15

Ivi, p. 41.

16

F. Bergamini, op. cit., 1995, p. 30.

Lena e di Vincenzo Cividali, il rafforzamento del pontile, che fu armato di muro17. A riba-dire il crescente affidamento della Repub-blica lucchese nei confronti del nascente porto, “modicus seu lucentibus

commo-dus”18, nel 1577 venne anche istituito l’Offizio sopra la Foce, con il compito di provvedere alla manutenzione dello scalo, preservando l’accessibilità della foce. Non a caso, era ben noto, già da allora, come quel tratto di spiaggia, compresa la bocca del canale, tendesse ad insabbiarsi, e con no-tevole prestezza, a causa dei detriti portati dai fiumi meridionali, e spinti dalle correnti e dai venti proprio verso Viareggio. Ad ogni modo, negli ultimi decenni del XVI secolo, si verificò una generale espansione, tanto del porto quanto del borgo, e il nuovo seco-lo si aprì con la dichiarazione di Viareggio come porto franco (1601), che ribadiva quella del 1496, con l’intento di incrementa-re le attività e il traffico marittimo alla foce del Burlamacca19.

Da qui in avanti, lo sviluppo del porto, pur con frequenti alti e bassi, seguì una parabo-la sommariamente ascendente, al punto che ben presto i miseri spazi del lungo ca-nale cominciarono a stare stretti agli impie-gati del settore, e nel 1612 “ sulla sponda

sinistra del Burlamacca, immediatamente dopo il punto dove sorgeranno le cateratte, viene costruito un piccolo darsenale, coper-to con una tetcoper-toia, per ricoverarvi i navicelli

17

A. Bargellini, A. Serafini (a cura di), op. cit., 2002, p. 21.

18

Ibidem.

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13

ed altre piccole imbarcazioni”20. La costru-zione, che rappresenta il primo prototipo di darsena in senso moderno, “rimarrà ad

as-solvere la sua funzione di punto di ripara-zione per ben 268 anni, fino al 1880, quan-do il ‘Capannone’, come veniva chiamato, che era stato venduto a Paolo Morescalchi, verrà distrutto”21. In generale, questo inter-vento dette un’ulteriore impulso al progres-so dello scalo, che da allora si proponeva non solo come luogo di transito e approdo malsicuro, ma anche come punto di ricove-ro e riparazione dei natanti, contribuendo allo sviluppo delle prime, elementari com-petenze tecniche sul funzionamento delle imbarcazioni.

I primi passi.

Su questa scia di innovazione, il periodo seguente, sino agli inizi del XVIII seco-lo,vide tutta una serie di progetti, promossi dal Governo lucchese, per l’ampliamento del porto e la sistemazione dei fondali, co-stantemente gravati dal pericolo dell’insabbiamento. L’idea guida di questa progettualità risiedeva nel prolungamento delle sponde, ovvero l’estensione del porto-canale verso il mare, indotto dalla crescita costante della spiaggia causata dalle cor-renti marine; l’incremento dell’arenile, infat-ti, minacciava la chiusura della foce, met-tendo a repentaglio l’approdo dei natanti, e la soluzione di questo problema orientò da subito gli autori dei progetti, che

20

Ivi, p. 40.

21

T. Fanfani, op. cit., 2005, pp. 56-57.

rono svariate indicazioni e congetture22. Tra queste si ricorda la proposta dell’ingegnere veneziano S. Roccatagliata, che nel 1638, al fine di regolare il regime delle acque pa-lustri e migliorare l’aria delle Marine, sugge-rì la costruzione di una cateratta nella fossa Burlamacca, per evitare anche che l’acqua salata sospinta dai venti risalisse il canale portandosi dietro i detriti in sospensione. Il progetto prevedeva inoltre il prolungamento delle sponde del canale in direzione nord-ovest, con un andamento quasi curvilineo, aperto a imbuto nel mare, allo scopo di o-stacolare l’insabbiamento e mantenere libe-ra la foce23. Il piano fu approvato l’anno se-guente, ma al momento della sua realizza-zione venne abbandonato, a causa di per-plessità sul suo funzionamento24.

In realtà, questo progetto non fu il primo in assoluto, poiché già qualche anno prima, all’inizio del secolo, tale L. Bartolomei a-vanzò la sua proposta per rendere sgombra la foce, ovvero “deviare il fiume Camaiore

nella Burlamacca in modo che, aumentan-do la portata delle acque, si scongiuri l’insabbiamento”25. Nel medesimo periodo, invece, Monsignor De Burdelles, ambascia-tore del re di Francia, rese nota l’ipotesi di realizzare un grande porto con una darsena a nord della foce, capace di ospitare dodici o quindici grosse navi. La realizzazione

“a-vrebbe dovuto sorgere sotto la protezione

22

F. Allegretti, A. Faccioli (a cura di), Viareggio Città

Porto…, 2007, p.18.

23

Ibidem.

24

F. Bergamini, op. cit., 1995, p. 45.

25

T. Fanfani, op. cit., 2005, p. 57.

del monarca francese, ma il progetto, pre-sentato nel 1604, non fu approvato dal go-verno lucchese, che lo riteneva dispendioso e pericoloso”26, poiché un porto di tali pro-porzioni avrebbe potuto mettere in crisi il neonato scalo mediceo di Livorno, creando i presupposti per nuovi scontri con il Gran-ducato. Seguirono altri progetti di fortifica-zioni ad opere esistenti promossi da vari autori, ma furono tutti scartati per la gravo-sità della spesa. Nel 1664 F. Cappelletti suggerì di nuovo l’allungamento dei moli, e ritornò su questo progetto nel 1689, propo-nendo almeno il prolungamento del solo molo di ponente, per mezzo di un ponte in legno, ma invano. Stessa sorte toccò alla proposta del genovese Ilario Gnecco, che nel 1665, oltre all’allungamento dei moli, ne previde una variazione di orientamento (verso libeccio) allo scopo di migliorarne l’efficacia27. In sostanza, alla fine del seco-lo, di tutta questa serie di progetti, pochi vennero presi in considerazione, pochissimi videro una (parziale) realizzazione, nessu-no fu effettivamente utile: “vengonessu-no spesi

migliaia di scudi, ma alla fine del Seicento l’efficienza dello scalo è ancora molto pre-caria, costantemente soggetta al fenomeno continuo dell’insabbiamento”28. La situazio-ne pareva irrisolvibile, ed il porto di Viareg-gio destinato ad un aborto sicuro; anche il nuovo secolo si aprì senza prospettive inco-raggianti, visto che l’unico progetto degno di nota fu quello di Padre Ambrosini, datato

26

Ibidem.

27

C. Pezzini, op. cit., 1996, pp. 58-59.

28

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14 1704, che riguardava peraltro la

costruzio-ne di un fortino, a pianta quadrata o a stel-la, da porre in mezzo al mare, sul prolun-gamento virtuale del molo nord del canale. La proposta rispecchiava chiaramente l’intento della Repubblica lucchese di difen-dere il tratto di spiaggia derivato dall’arretramento del mare, ma il progetto, rimasto poi sulla carta, presumibilmente per mancanza di fondi, non poneva nessun ri-medio ai problemi del porto, e anzi ne a-vrebbe ostacolato l’eventuale ampliamen-to29. Fatto sta che, all’inizio del ‘700, lo sca-lo viareggino era ancora molto sca-lontano dall’idea di porto, come testimoniano le pa-role del Martini, che descrive Viareggio co-me una piccola località formata da poche case, dove “fa le veci di porto un canale

dalle rive murate che viene condotto al ma-re”30: un modesto scalo che, nell’osservazione del visitatore, è visto solo come un tentativo di surrogato di porto. Eppure, “il XVIII secolo rappresenta per

molti aspetti il periodo della svolta, l’epoca in cui i progetti di bonifica e quelli di miglio-ramento dell’efficienza e capacità produttiva dello scalo raggiungono risultati fondamen-tali, premessa per il futuro sviluppo”31. Que-sta nuova fase è legata ad un nome, quello dell’ingegnere Bernardino Zendrini, chiama-to nel 1735 dalla Repubblica lucchese per provvedere alla bonifica del territorio costie-ro e allo studio di una migliore sistemazione

29

F. Allegretti, A. Faccioli (a cura di), op. cit., 2007, p.19.

30

T. Fanfani, op. cit., 2005, p. 68.

31

Ibidem.

del porto-canale. L’intervento del matemati-co bresciano riveste infatti una duplice im-portanza, perché da un lato indicò le misure decisive per risolvere il problema della ma-laria, e dall’altro portò avanti uno studio del-la costa senza precedenti, che inaugurò del-la stagione dei grandi progetti per l’espansione del porto. Egli, dopo mesi di ricerche sul campo, produsse un ampio do-cumento intitolato “Relazione che concerne il miglioramento dell’aria e la riforma del porto di Viareggio”, in cui analizzava sepa-ratamente i due aspetti fondamentali ed e-sponeva i provvedimenti per lui necessari. Tralasciando la prima parte, che affronte-remo successivamente, in questa sede trat-teremo la seconda, che si presenta come uno studio circostanziato, riguardante la costruzione a Viareggio di un porto efficien-te, e funzionale ai traffici commerciali di Lucca. Di seguito, esponiamo in sintesi i contenuti della sezione considerata.

Il progetto dello Zendrini32.

L’ingegnere veneziano affronta il problema della ristrutturazione del porto di Viareggio nel contesto generale del risanamento am-bientale del litorale. Dopo aver compiuto osservazioni e misurazioni accurate, oltre che sul canale e sul suo territorio, anche sul circondario del padule e sulla foce del Ser-chio, egli concentra la propria attenzione su

32

Le informazioni di questo paragrafo sono tratte in-tegralmente da A. Bargellini, A. Serafini (a cura di),

La Versilia e il mare, 2002, pp. 24-36.

due aspetti essenziali: lo stato attuale della foce e la possibile ristrutturazione del porto. Relativamente al primo punto, lo Zendrini esamina le condizioni della foce e le cause che ne determinano l’insabbiamento; quindi propone i modi di intervento per migliorarne l’efficienza e renderne più sicura la naviga-zione, sia nello stato presente, sia dopo l’eventuale ampliamento del porto. Egli af-fronta questi problemi concentrando in pri-mo luogo la sua attenzione sul funziona-mento dei moli. Essi, sostiene lo Zendrini, dovrebbero servire, da un lato, ad impedire l’insabbiamento della foce, dovuto all’azione dei venti di Libeccio e di Ponente, e dall’altro a fornire un riparo sicuro per le imbarcazioni. A questo proposito, egli rileva che la posizione dei due moli è soddisfa-cente, soprattutto quella del molo sopraven-to, “non lontano dalla inclinazione della

na-tura”. Osserva inoltre che per rendere la

fo-ce funzionante sono stati adottati diversi accorgimenti, quali coprirla con i moli, re-stringere la bocca del canale e mantenere il molo sud più lungo di alcune braccia rispet-to a quello nord. Tutrispet-to ciò allo scopo di pro-teggere la foce dal Libeccio, e di aumentare la velocità dell’acqua in uscita dal canale, liberandone la bocca dai sedimenti. Pur-troppo, però, tali accorgimenti si rivelano insufficienti, poiché quando soffia il Libeccio le onde urtano l’acqua calma della foce, fa-cendola sollevare e spingendola dentro il canale. In questo caso, i materiali trasporta-ti dalle acque fluviali vengono restrasporta-tituitrasporta-ti e sedimentati dal mare ed il restringimento della foce aggrava la situazione, invece di migliorarla. Aggiunge inoltre il matematico,

(15)
(16)

16 che il prolungamento del molo sud è

alta-mente congruo, ma per avere una copertu-ra adeguata della bocca del porto, andreb-be predisposto un ulteriore allungamento di almeno venticinque braccia, mantenendo la stessa curvatura e dirigendolo per Maestro, in modo da ottenere successivamente un’altra porzione di scogliera che continui quella esistente. Egli attribuisce a questa scogliera una notevole importanza, per una maggiore sicurezza delle imbarcazioni in entrata nella foce, e a tale proposito sugge-risce anche di accorciare il molo nord, co-me misura aggiuntiva. In conclusione, l’ingegnere ritiene che, nonostante i limiti oggettivi della situazione, regolando le ac-que interne e ac-quelle della foce con i moli, sia possibile mantenere il canale di Viareg-gio ad una congrua profondità, ferma re-stando la grande probabilità di insabbia-mento in caso di forti mareggiate.

Per quanto riguarda invece lo sviluppo del porto di Viareggio, lo Zendrini si pone il problema di individuare e superare le diffi-coltà peculiari della costa tirrenica, la quale non presenta le condizioni adatte alla co-struzione di porti, in quanto priva di insena-ture naturali a causa della scarsa intensità del moto ondoso, del flusso e riflusso delle acque, delle sabbie dei fiumi e della fre-quenza di scogli. Nonostante questi limiti, egli osserva come i Romani riuscirono a costruire porti (come Ostia e Civitavecchia) funzionali e sicuri, dimostrando di essere padroni di tecniche molto evolute. Per que-sto motivo, analizzando alcuni testi antichi, lo Zendrini ne studia i metodi, apprendendo come questi porti furono realizzati

co-struendo due moli e ponendo di fronte all’estremità del porto un isolotto. La pre-senza di questa barriera isolata con sco-gliere disposte sia al suo interno, di fronte all’imboccatura del porto, sia al suo esterno verso il mare aperto, si oppone all’azione dei venti, in particolare del Libeccio. Quindi, anche la costruzione del porto di Viareggio dovrebbe secondo lui rispondere a questa regola; nello specifico, analogamente a quanto facevano i Romani, ad una distanza di circa centoventi braccia dalla bocca del canale si dovrebbe collocare un molo a forma di isola, fatto di sassi e cassoni, in modo tale da coprire l’imboccatura del porto dai venti che spirano da venti gradi sud fino a ponente, e che essa sia investita dal li-beccio quasi nel mezzo. Tale isola dovreb-be consentire alle barche l’accesso al cana-le da due parti, sopra e sotto vento. Queste due bocche di accesso sarebbero sempre sottoposte all’azione delle correnti marine e quindi immuni all’insabbiamento. Inoltre, ta-le isola dovrebbe avere una forma curva, con una scogliera ordinaria, a ridosso della parte convessa, rivolta verso il mare, e con pochi sassi a ridosso della parte concava, rivolta verso il porto.

Questo, in sintesi, l’intervento proposto dal-lo Zendrini, il quale in conclusione tiene a precisare che comunque il porto di Viareg-gio non potrà mai essere adatto a grandi imbarcazioni, poiché il suo fondale è inte-ramente sabbioso, e quindi instabile e mal-sicuro. Per realizzare un porto adatto a grandi imbarcazioni, sarebbe infatti neces-sario eseguire lavori in mare molto più e-stesi ed impegnativi di quelli suggeriti. Per

completezza, l’ingegnere indica anche la possibilità di costruire una doppia palizzata riempita di sassi, da collocare ad una di-stanza di cento pertiche tra il molo di levan-te e il Serchio, con lo scopo di bloccare i sedimenti risalenti lungo la costa ed evitare il formarsi di una spiaggia a ridosso del mo-lo sud, che potrebbe portare all’interramento della nuova isola.

A corredo di questo breve resoconto, sor-gono alcune considerazioni spontanee, che portano in primo luogo a riconoscere al ma-tematico veneziano il grande merito di aver trattato con una attenzione inedita proble-matiche di carattere secolare, producendo uno studio imponente e coraggioso nelle proposte risolutive. E se il progetto non fu mai realizzato, ciò non dipese sicuramente da manchevolezze interne, quanto piuttosto da fattori contingenti, che portarono a privi-legiare gli aspetti più urgenti delle sue pro-poste, ovvero la bonifica dei paduli. Mentre questa ebbe immediata attuazione, la ri-strutturazione del porto rimase sempre in secondo piano, consegnando di fatto all’oblio un piano altamente innovativo e o-riginale, anche se fondato su argomenta-zioni di natura non proprio scientifica, ma frutto della fatica e della dedizione di un uomo che prese a cuore le sorti di un intero popolo.

Le vicende politiche.

Negli anni seguenti all’intervento dello Zen-drini, l’attenzione di Viareggio fu posta qua-si interamente sul problema della bonifica, al punto che già nel 1741 fu terminata la

(17)

17 costruzione delle cateratte, mentre la

que-stione del porto cadde momentaneamente in secondo piano. Bisogna infatti aspettare diversi decenni per registrare, nel 1778, il completamento di una prima opera di pro-lungamento dei moli, “con gettate di scogli

e la muratura delle sponde, al fine di rende-re più agevoli gli approdi delle imbarcazioni, il carico e lo scarico delle merci”33. Il risa-namento ambientale, peraltro, conferì alla cittadina costiera un’importanza crescente, che nella seconda metà del Settecento subì un’accelerata ulteriore, trasformando la re-altà abitativa, economica e civile. In ambito navale, ad esempio, “il movimento ed il

numero delle barche da pesca e da carico aumenta al punto che i proprietari delle ‘bi-lancelle’ e ‘navicelli’, nel 1791, sollecitano le competenti autorità per la costruzione di nuovi spazi nella darsena, destinati alla ri-parazione e manutenzione degli scafi delle loro imbarcazioni”34. Questo evento riveste una certa importanza, non tanto per il fatto in sé, quanto perché rappresenta un primo segnale della futura nascita dell’attività can-tieristica, che a partire dall’800 affiancherà dapprima quelle commerciale e marinara, e diverrà poi il fiore all’occhiello della nautica viareggina.

La strada dello sviluppo era ormai intrapre-sa, ma alla fine del secolo vide un parziale rallentamento a causa delle vicende politi-che: la Repubblica di Lucca, travolta dagli eventi internazionali, venne occupata dalle

33

F. Allegretti, A. Faccioli (a cura di), op. cit., 2007, p. 21.

34

T. Fanfani, op. cit., 2005, p. 79.

truppe francesi, e nel gennaio del 1799, venne proclamato un governo provvisorio. Seguì una stagione di riforme, in vari ambi-ti, tra cui l’abolizione dell’Offizio sopra la Foce, sostituito dal Comitato delle acque, fabbriche e strade35. Nello stesso anno, il 1801, Viareggio venne anche proclamata capoluogo del Circondario del Litorale e per ciò se ne previde un piano di sviluppo nel quale “si avverte l’esigenza di migliorare le

infrastrutture portuali: viene concesso a Frediano Lippi di approvvigionarsi delle pie-tre necessarie per le opere dello scalo da ciò che resta della costruzione, ormai fati-scente, del vecchio castello, chiamato ‘la torraccia’”36. Questa apparente ripresa ebbe però una brusca interruzione con la nascita del Principato di Lucca, governato da Elisa e Felice Baciocchi (1804-1815). Infatti, “la

sovrana ha nel suo dominio il porto di Li-vorno, ben più attrezzato e importante di quanto non sia il piccolo scalo sul Burla-macca, per cui non dedica a Viareggio at-tenzioni e scelte tese a valorizzarne l’assetto sociale ed economico. Neppure come luogo di villeggiatura la località co-stiera entra nelle grazie della sovrana, visto che preferisce l’eleganza e la quiete di Ba-gni di Lucca al sole e al mare di Viareg-gio”37. Non fu dello stesso avviso Paolina, sorella di Elisa, che, spinta dalla mitezza e dalla salubrità del clima viareggino, decise di costruirvi una villa destinata al riposo e

35

F. Allegretti, A. Faccioli (a cura di), op. cit., 2007, p. 21.

36

T. Fanfani, op. cit., 2005, p. 85.

37

Ivi, p. 91.

allo svago. Era il 1809, e questo fatto, so-prattutto a livello di immagine, dette una grande spinta alla crescita della città, in-sieme ad un altro avvenimento, dello stesso anno e di importanza ancora maggiore: V. Pasquinucci e P. Bargellini misero in cantie-re la tartana San Pietro, divenendo i primi costruttori navali di Viareggio, e gli iniziatori di un’attività economica capace di scrivere le più belle pagine nella storia delle costru-zioni navali in Italia e nel mondo. “Il varo

avvenne nei pressi della torre detta ‘Matil-de’ su una parte di banchina che immetteva direttamente nel canale ‘Burlamacca’ e che, fino a quel momento, aveva sopperito a qualsiasi struttura più avanzata e dove i maniscalchi e i calafati lavoravano alle ripa-razioni di piccole imbarcazioni. Fino a quel momento nessuno di loro si era assunto l’impegno tecnico e l’onere materiale di co-struire interamente un natante in legno a-datto al trasporto di merci”38. Il 1809 fu dun-que una data storica per entrambi gli ele-menti fondamentali della futura affermazio-ne di Viareggio, la vocazioaffermazio-ne turistica e la cantieristica navale, foriere entrambe di fa-ma, ricchezza e affermazione39.

Questi eventi ebbero conseguenze imme-diate, tanto che il principe Baciocchi, con-statando la crescita della marineria e la ne-cessità di nuovi spazi, nel 1813 donò alla comunità una vasta estensione di terreno sulla riva sud del Burlamacca40. Tuttavia, l’anno successivo, Viareggio fu trascinata

38

C. Pezzini, op. cit., 1996, p. 199.

39

Ivi, p. 94.

40

(18)

18 nel gorgo di nuovi conflitti, e il precipitare

degli eventi bellici portò alla caduta dell’Impero napoleonico e all’avvento di nuovi regnanti: il neonato Ducato di Lucca fu affidato al controllo di Maria Luisa di Bor-bone, che giunse in città nel 1817. Al con-trario di Elisa, la Duchessa apprezzava molto Viareggio e si adoperò da subito per incrementarne lo sviluppo. “Essa punta

su-bito ad accrescere l’importanza dello scalo di Viareggio, quale fulcro dell’attività eco-nomica dello Stato, quale centro della pro-duzione navale e quale punto strategico per la difesa e per la potenza del Ducato”41. A questo proposito, una decisione che incide-rà decisamente sul futuro della cittadina venne presa dalla sovrana nel 1819, allor-ché, in considerazione delle “molteplici

i-stanze stateci presentate per la costruzione dei bastimenti nel porto di Viareggio e per la facilità di vararli”, e convinta che “in quel porto mancano affatto i comodi che esige una mano d’opera sì rispettabile e di tanto interesse per quella numerosa popolazio-ne”42, decretò la costruzione della prima darsena, attualmente chiamata ‘Lucca’, con uno sviluppo di circa duecento metri di ban-chine. In realtà, questo provvedimento ave-va un duplice intento: non solo quello di in-crementare l’attività cantieristica, ma anche e soprattutto quello di permettere il ricovero della flotta reale, che disponeva allora di un bovo e di una goletta, e fu arricchita con la realizzazione, direttamente in loco, di un

41

T. Fanfani, op. cit., 2005, p. 103.

42

F. Bergamini, Le mille e una notizia …, 1995, p. 117.

tro bastimento. Si trattava di una tartana, opera del solito V. Pasquinucci, destinata a mezzo da diporto e rappresentanza, “un

ve-ro gioiello di ebanisteria e sagacia costrutti-va”43, nominata ‘Bargio Reale’, che, insieme

alle altre due, non fu mai impegnata in bat-taglia, ma contribuì ad accrescere la fama e la protezione del nascente porto. La darse-na Lucca fu completata nel 1823, sotto la direzione del Regio Architetto L. Nottolini; di forma rettangolare, “mentre i due lati

mag-giori, rivolti a nord e sud, erano indirizzati all’attracco di naviglio, i due minori, verso est ed ovest, avrebbero dovuto accogliere gli insediamenti dei primissimi cantieri na-vali di tutta la zona”44.

L’espansione.

La nuova darsena dette un grande impulso allo sviluppo dell’attività portuale, poiché ol-tre a permettere la costruzione di navi di un certo calibro, ottemperò all’impellente ne-cessità di avere un fondale sicuro per il ca-renaggio e l’ormeggio di barche di ogni tipo. Per tutto questo, la cittadina fu molto rico-noscente alla nuova sovrana, che mise in atto ulteriori provvedimenti, favorendo il po-polamento e l’espansione del centro abita-to, nonché la sua affermazione definitiva. Non stupisce, quindi, che la scomparsa del-la regina, avvenuta nel 1824, venne accolta con grande dolore in tutta la comunità, an-che perché il suo successore, il figlio Carlo Ludovico, non amava il mare, e non ebbe

43

T. Fanfani, op. cit., 2005, p. 113.

44

C. Pezzini, op. cit., 1996, p. 196.

dunque le stesse premure della madre nei confronti della città45. Durante la sua reg-genza, ad esempio, venne abolito il circon-dario marittimo, e Viareggio ne uscì sostan-zialmente declassata dal punto di vista amministrativo; tuttavia, l’affermazione eco-nomica e portuale era ormai ben avviata, e in virtù di questo, nonostante l’assenteismo del duca, il Governo statuì, nel 1838, che i moli venissero prolungati di quindici metri ogni anno, per migliorare le capacità ricetti-ve e contrastare l’inarrestabile insabbia-mento della foce46. “I marinai, che nel 1833

erano circa 300, nel 1840 sono 800; nello stesso anno la marineria di Viareggio iscri-ve 143 bastimenti, di cui la maggioranza con stazza da 6 a 30 tonnellate, impiegati prevalentemente per il trasporto di derrate come grani, cocomeri, riso e pinoli”47. Tuttavia, lo scenario di costante crescita in cui si trovava la città venne nuovamente turbato alla fine degli anni ’40: in piena e-poca risorgimentale, quando il movimento per l’unificazione nazionale si fece ampia-mente manifesto, Viareggio si schierò dalla parte dei Borbone, ma ciò non valse a pre-servare l’autonomia del Ducato. Infatti, il 5 ottobre 1847, al termine di lunghe trattative, lo Stato di Lucca fu annesso al Granducato di Toscana, e la notizia fu accolta con grande preoccupazione da parte di Viareg-gio, poiché da seconda città e primo porto dello Stato, si trovò ad essere una delle tante, e il suo porto fu adombrato da

45

T. Fanfani, op. cit., 2005, p. 118.

46

Ibidem.

47

(19)

19 no48. Ciò motiva il sostanziale disinteresse

del governo toscano per il porto-canale di Viareggio, le cui condizioni peggiorarono sensibilmente, e dal 1848 al 1866 venne realizzato un solo prolungamento del molo, che per di più, non essendo eseguito a re-gola d’arte, peggiorò la situazione dei fon-dali49. Nonostante tutto, però, la cantieristi-ca continuò a crescere, acquistando un po-sto sempre maggiore nella attività di co-struzione, e nella nuova realtà politica la marineria viareggina rappresentava circa il 20% della flotta del Granducato. “Nel 1865

la barche registrate allo scalo di Viareggio sono 230, e tutto il settore produce un in-dotto di crescente importanza per la produ-zione del reddito”50. Supportata da tale in-cremento economico, sin dal 1864 la Dire-zione dei Lavori Marittimi delle Provincie Toscane di Livorno presentò un progetto di sistemazione del porto di Viareggio, preve-dendo un nuovo prolungamento dei moli, ma la attuazione venne procrastinata per molto tempo, e lo scalo viareggino ne risul-tò penalizzato; non a caso, nel 1866 il Re-gio Decreto n.2828 lo classificò nella terza categoria dei Porti Marittimi Nazionali51. La situazione era quasi paradossale: “c’era

un aumento sia occupazionale che nella produzione della marineria locale, ma per contro lo scalo marittimo veniva abbassato di categoria. L’unica spiegazione plausibile

48

F. Lenci, Viareggio dal 1820 al 1920, 1920, p. 80.

49

R. Dini, Un borgo che diventa città …, 1968, p. 20.

50

T. Fanfani, op. cit., 2005, p. 114.

51

F. Allegretti, A. Faccioli (a cura di), op. cit., 2007, pp. 23-24.

di tale situazione, quanto mai anomala, po-trebbe essere vista in questa maniera: il porto non operava in termini di convenienza economica, non si sviluppava fino al punto da assumere una rilevanza provinciale o in-terprovinciale. Sicuramente però cresceva quanto bastava a far potenziare, entro certi limiti, l’industria navale locale”52. A confer-ma di ciò, infatti, nel 1871 una folta rappre-sentanza tra armatori, capitani marittimi e costruttori navali, rivolse al Ministro dei La-vori Pubblici una petizione in cui richiedeva l’intervento dello Stato per il miglioramento delle condizioni della foce e per “ottenere il

tanto sospirato scalo di varamento per le navi di grossa portata”53. All’interno della

petizione, che fu appoggiata dal Consiglio

Comunale “in considerazione

dell’importanza dei lavori richiesti”, si

leg-geva appunto che “il perdurare nel presente

stato di cose porta a cessare una delle principali industrie locali, e ne deriverebbe per necessaria conseguenza non solo lo immiserimento di alcune classi operaie, ma il decadimento della città, colpita in uno tra i principali rami da cui ha sin qui tratto vita e ricchezza”54. Stando così le cose, il Gover-no si attivò immediatamente per porre ri-medio alla situazione, promuovendo sin dal 1869 una serie di lavori di una certa consi-stenza: si parlò di prolungare il molo nord di circa 190 metri55, e contestualmente si

52

C. Pezzini, op. cit., 1996, p. 136.

53

P. Fornaciari (a cura di), I quaderni del Centro … Il

porto di Viareggio, 2xxx, p. 5.

54

Ibidem.

55

C. Pezzini, op. cit., 1996, p. 135.

ziò la costruzione di una nuova darsena, oggi ‘Toscana’, che fu ultimata nel 1873. In questo contesto, riveste una certa impor-tanza un documento redatto dall’ingegnere A. Giambastiani, e pubblicato nel 1872, dal titolo ‘Sulla costruzione del porto di Viareg-gio’, nel quale egli analizza le condizioni della costa viareggina, ricercando le cause delle attuali difficoltà e proponendo le misu-re necessarie per il futuro sviluppo. Di fatto, questo studio si colloca in diretta continuità con quello effettuato più di un secolo prima dallo Zendrini, offrendo peraltro contenuti molto simili per quanto riguarda sia la dia-gnosi dei problemi, che l’individuazione del-le soluzioni. Di seguito riportiamo un passo molto significativo della suddetta relazione, nel quale l’ingegnere enuncia i limiti princi-pali dello scalo viareggino:

“I difetti della Foce, o meglio del nostro

Lit-torale sono:

1. Traversia del Libeccio ed anche del Po-nente, rimanendo la spiaggia, e la Foce scoperte all’infuriare di questi venti.

2. Onde e flutti che in tempi burrascosi, so-spinti dai venti traversi eri suddetti infran-gonsi con forza enorme sui bassi fondi della nostra spiaggia, pronti a creare un certo naufragio, tanto alle navi che durante i tem-porali dovessero ancorare o rimanere in

panna al mare, come a quelle che

azzar-dassero entrare nella poco profonda e an-gusta Foce.

3. Interrimenti forti prodotti dalle onde du-rante le mareggiate di ogni forza, ed ali-mentati dalle sabbie depositate dai fiumi Arno e Serchio; e non mai dal fiume Magra, come tanti erroneamente supposero.

(20)

20

4. Mancanza di fondo adeguato nella Foce e nelle darsene in tutti i tempi, per cui è im-possibile il barcheggio delle grosse navi nell’interno del Canale e delle darsene at-tuali.

5. Necessità di entrare se spirano venti tra-versi eri colle navi obliquamente, e sopra-vento alla Foce, a motivo della deriva e del-la corrente litoranea, che diversamente oc-correrebbe fare sul Molo stesso una mano-vra brusca e contraria, che i marinai chia-mano a Orsa e che potrebbe frequente-mente riuscire perigliosa, e fatale”56.

Ciò detto, nella seconda parte del suo stu-dio il Giambastiani espone gli interventi che ritiene necessari per la sistemazione del porto e la sua eventuale espansione; nello specifico elabora un progetto che presenta notevoli somiglianze con quello dello Zen-drini, suggerendo la costruzione di due moli di estensione differente protetti da una sco-gliera artificiale curva posta di fronte all’ingresso57. In aggiunta, propone la collo-cazione di una terza darsena, aperta sul la-to mare, posta a sud del molo sopraflutla-to, destinata al varo e al ricovero delle imbar-cazioni.

Nonostante il suo impegno, anche il Giam-bastiani ebbe le stesse sorti del suo prede-cessore, visto che anche il suo progetto fu accantonato, probabilmente per ragioni e-conomiche, senza portare speranza di mi-glioramento alle condizioni del porto. Fu subito chiaro, infatti, che la nuova darsena

56

C. Pezzini, op. cit., 1996, p. 145.

57

A. Bargellini, A. Serafini (a cura di), op. cit., 2002, p. 41.

ultimata in quegli anni non poteva risolvere i problemi della marineria viareggina, che re-gistrava una continua crescita e che per questo richiedeva l’ampliamento verso ma-re degli spazi a disposizione58. “Negli anni

che seguirono, il porto-canale fu interessato da continui prolungamenti dei moli e da la-vori di escavazione dei fondali che, comun-que, non risposero positivamente alle esi-genze e alle richieste sempre più pressanti del mondo della marineria velica”59.

La strada verso la modernità.

L’ultimo ventennio del XIX secolo fu con-traddistinto dai costanti tentativi di riforma del porto di Viareggio, reclamati dalla co-munità e fomentati dalle richieste sempre più pressanti degli addetti del settore; ma la fine dell’800 fu anche periodo di nuove leg-gi. Nello Stato Unitario Italiano il primo im-portante provvedimento in materia di porti, spiagge e fari fu sicuramente il Testo Unico n.3095 del 1885, ma ancora più rilevante per le sorti di Viareggio risultò il Regio De-creto n.5053 del 1887, con il quale il suo porto venne classificato nella seconda ca-tegoria, seconda classe, seconda serie dei Porti Marittimi Nazionali, status che sarà poi confermato per tutto il corso del Novecen-to60. Tale decreto fu determinante per gli sviluppi futuri, non tanto perché lo scalo via-reggino riacquistava una classe più

58

P. Fornaciari (a cura di), op. cit., 2xxx, p. 5.

59

Ibidem.

60

F. Allegretti, A. Faccioli (a cura di), op. cit., 2007, p. 26.

sa, quanto perché il documento prevedeva la stesura di un elenco di Enti che avrebbe-ro dovuto contribuire al finanziamento dei prossimi lavori61. Questo aprì la strada a nuove possibilità di intervento, tanto che nel 1896 il Consiglio Superiore dei Lavori Pub-blici approvò un progetto per l’ampliamento della darsena di ponente e una serie di in-terventi per migliorare le capacità ricettive del porto, le cui spese erano appunto divise fra Stato, Provincia e vari Comuni. Nella re-lazione che accompagnava il progetto si leggeva: “La marina di Viareggio manca dei

necessari spazi acquei per il ricovero del numeroso naviglio che possiede, e spesso l’autorità marittima è costretta a dare avviso agli altri porti che non siano rilasciate par-tenze per Viareggio trovandosi occupati tutti gli spazi disponibili. In generale la barche approdano a Viareggio in certi periodi dell’anno per fare riparazioni o per stare in attesa di noleggi. La mancanza di spazi ac-quei proporzionali al naviglio che possiede quella marina è quindi di grave danno non solo agli armatori quanto alla numerosa classe dei carpentieri e maestri d’ascia di Viareggio”62. La soluzione a questi problemi sembrava finalmente vicina, ma i lavori fu-rono prima rimandati e poi definitivamente annullati per controversie sulla ripartizione delle spese.

Ma Viareggio non si arrese, e nel 1902 una apposita commissione nominata dall’assemblea dei rappresentanti delle as-sociazioni dei lavoratori delle darsene, degli

61

Ibidem.

62

(21)
(22)

22 armatori e dei capitani marittimi viareggini

approvò uno studio sulla sistemazione por-tuaria viareggina63 redatto da Luigi Ottina64. Questo progetto era soltanto l’ultimo di una serie di interventi che in quegli anni erano stati proposti per migliorare le condizioni ri-cettive del porto, tra cui ricordiamo, dopo quello del Giambastiani, le soluzioni elabo-rate da D. Del Prete nel 187265, da A. Bar-santi nel 190066 e da un ingegnere lucchese anonimo nel 190167. Ad ogni modo, in se-guito a notevoli pressioni dell’opinione pub-blica, nel 1903 il Ministero dei Lavori Pub-blici appaltò i lavori per la realizzazione di una nuova darsena, l’attuale darsena ‘Ita-lia’. Essa comunicava direttamente con il mare ed era destinata in modo specifico al-le barche di maggiori dimensioni; al-le sue banchine, costruite di poco sopra il pelo dell’acqua, furono studiate appositamente per l’esecuzione delle riparazioni, poiché permettevano, rispetto alle darsene prece-denti, un carenamento molto più agevole68. “La realizzazione della nuova darsena,

ter-minata nel 1907, rappresentò certamente un passo avanti, ma non la soluzione dei problemi che affliggevano la marineria di

63 Relazione della Commissione “Sulla sistemazione

portuaria di Viareggio”, tipografia “L’Ancora - C. Le-onzi”, Viareggio 1902.

64

A. Bargellini, A. Serafini (a cura di), op. cit., 2002, p. 37.

65 “Viareggio. Progetto di un nuovo porto o canale”,

Tipografia Giusti, Lucca 1872.

66 “Sul porto di Viareggio”, Tipografia Camilla e

Berto-lero, Torino 1900.

67

P. Fornaciari (a cura di), op. cit., 2xxx, p. 7.

68

C. Pezzini, op. cit., 1996, p. 196.

Viareggio”69. Per avere un ulteriore passo avanti, infatti, bisognerà attendere proprio il 1907, quando la Commissione locale dei porti elaborò una proposta di progetto di pi-ano regolatore del porto di Viareggio, poi presentato alla Commissione Centrale dei Porti e Fari. Ciò avvenne in seguito all’approvazione della Legge n.543 dello stesso anno, che autorizzava l’esecuzione di nuove opere marittime “finanziate con un

fondo di Lire 30 milioni” per i cosiddetti porti

minori70. La suddetta proposta di piano evi-denziava gli attuali problemi del porto, tra cui la bassezza dei fondali (massimo 3 me-tri di profondità), la tendenza della produ-zione navale orientata verso grandi velieri (che minacciava la scomparsa delle piccole navi prodotte a Viareggio), le difficoltà di in-gresso nel porto (che ostacolavano le attivi-tà commerciali), la crisi sociale e occupa-zionale (per le difficoltà ricettive, sia nella costruzione che nella riparazione)71.

A fronte di queste problematiche, si propo-neva una serie di interventi, ispirati ad uno studio presentato nel dicembre dello stesso anno alla Commissione per i Porti della Provincia di Lucca dall’on. G. Montauti, il quale prevedeva una ristrutturazione quasi totale del porto72. Nella relazione allegata73, si indicavano infatti le seguenti realizzazio-ni:

69

P. Fornaciari (a cura di), op. cit., 2xxx, p. 7.

70

F. Allegretti, A. Faccioli (a cura di), op. cit., 2007, p. 27.

71

Ibidem.

72

P. Fornaciari (a cura di), op. cit., 2xxx, p. 7.

73

Sulla sistemazione del porto di Viareggio, Tipogra-fia S. Dessena, Lucca 1907

“a) la creazione di un bacino di espansione

avanti la spiaggia, prolungando nella stessa direzione di latri 300 metri il molo guardiano Nord dell’attuale canale; e costruendo una scogliera di difesa, che staccandosi dalla spiaggia a Sud del detto molo, alla distanza di 530 metri con un raggio di 380, racchiuda uno specchio d’acqua di circa 11 ettari; b) la costruzione di un nuovo canale navi-gabile, lungo 1314 m. e largo 50, che dalla spiaggia, partendosi dall’angolo più ridossa-to della nuova scogliera, in direzione pres-soché parallela all’attuale canale Burlamac-ca, vada a terminare nei pressi della sta-zione ferroviaria;

c) l’allargamento di 20 metri del canale Bur-lamacca nel tratto compreso tra il Ponte di Pisa e quello della ferrovia, cove col proget-to della Commissione, si dovrebbero rifon-dare le banchine;

d) la costruzione di due canali secondari; dei quali uno largo 20 metri, per mettere in comunicazione il nuovo canale con la dar-sena in corso di costruzione; e l’altro della larghezza di 15 metri nel piazzale della sta-zione ferroviaria, per favorire le operazioni di carico e scarico presso la ferrovia, e per mettere in comunicazione il nuovo canale col proposto allargamento del Burlamacca sopramenzionato”74.

Si tratta evidentemente di una proposta del tutto originale, rispetto alle precedenti, e di un progetto fortemente innovativo sotto vari punti di vista, primi fra tutti la previsione di un avamporto a difesa e protezione della foce e degli ormeggi, e soprattutto

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