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CAPITOLO 2 Inquadramento nel contesto urbano

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 2

Inquadramento nel contesto urbano

L’ambito del nostro studio fa parte di una vasta area (figura 2.1), che nasce e si caratterizza a metà dell’800, dalla volontà dell’Architetto Pasquale Poccianti1 e dai progetti che aveva per la crescente città di Livorno. L’oggetto d’intervento, la ex Pirelli, pur non facendone parte, va a collocarsi proprio all’interno di quest’area (figura 2.2 e 2.3)

il Cisternone è solo il completamento dell’Acquedotto che nasce diciassette chilometri fuori dalla città, a Colognole. L’Architetto si occupa di tutti gli aspetti del progetto, fino all’inserimento del complesso nel tessuto cittadino. La sua volontà era quella di dare sfogo a una città ormai congestionata, fuori dalle antiche mura medicee e dalle ormai improduttive attività commerciali legate alla decadente attività portuale.

Acquista di persona molti terreni per dare respiro al Cisternone e sui quali nascerà il par del Parterre; vuole una piazza davanti al monumento perché non rimanga soffocato dalle costruzioni successive; disegna la nuova passeggiata di Livorno, il viale degli Acquedotti, in fondo al quale nel 1910 verrà costruita la Stazione ferroviaria.

Con l’avvento del fascismo, nel ‘900, l’ospedale troverà una collocazione in prossimità di questi spazi verdi.

1

Nasce a Bibbiena nel casentino. Dal 1791 studiò architettura all'Accademia di Belle Arti di Firenze e fu allievo di Gaspare Maria Paoletti. Nel 1806 ottenne la carica di ingegnere delle Regie Fabbriche e nel 1817 divenne "Primo architetto", ruolo che mantenne fino al 1835, anno in cui fu messo in pensione con la carica di "Architetto consultore", ruolo che gli permise tuttavia di seguire i lavori precedentemente iniziati.

Frattanto ricevette la carica di "Ingegnere della Guardia del Fuoco", mansione che mantenne fino alla morte, avvenuta nel 1858.

Appena ventenne, terminati gli studi, collaborò con Giuseppe Cacialli, architetto della corte granducale, nei lavori della Villa medicea di Poggio Imperiale; a Poccianti si deve essenzialmente la sistemazione della parte centrale della facciata, caratterizzata da un portico a cinque arcate sopra il quale è impostato un grande loggiato con colonne ioniche. Questo disegno ebbe notevole fortuna, tanto è vero che influenzò il giovane scenografo toscano Antonio Niccolini nella progettazione della nuova facciata del Teatro San Carlo di Napoli.

Ciò nonostante, pochi anni dopo Cacialli ottenne la carica di "Architetto dei Regi Palazzi e Possessioni", mentre Poccianti fu inviato a Livorno come assistente dell'"Architetto del Circondario". Quella che sembrò una bocciatura si rivelò però un'opportunità unica per l'architetto, che nella città labronica ebbe modo di eseguire i lavori migliori della sua carriera.

Giunto a Livorno, Poccianti lavorò al completamento dell'Acquedotto Leopoldino, iniziato da Giuseppe Salvetti a partire dalla fine del XVIII secolo per volontà del Granduca Ferdinando III di Toscana e teso al miglioramento del rifornimento idrico della città. Poccianti, subentrato a lavori già avviati, ideò il percorso dell'acquedotto come una monumentale passeggiata dalle sorgenti fino ai margini della città e lungo il tracciato ubicò alcuni casotti d'ispezione e tre grandi serbatoi: il Cisternino di Pian di Rota, la Gran Conserva e il Cisternino di città.

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25 AMBITO DI STUDIO

1. zona d’intervento fabbrica ex Pirelli 2. Cisternone

3. Parterre

4. Viale degli Acquedotti 5. Stazione

6. Ospedale

Fig. 2.1

Vista aerea della città di Livorno.

Immagini tratte da www.maps. google.com

6 5 4 3 2 1 1 2 6 5 4 3

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Fig.2.2

- - - - futura area ex Pirelli.

Studio per il viale degli Acquedotti e il “Parterre”, 1850 circa (Livorno, Biblioteca Labronica, Fondo Poccianti). Immagine tratta da D. Matteoni, Pasquale Poccianti e l'acquedotto di Livorno, Roma - Bari 1992.

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Fig. 2.3

- - - - futura area ex Pirelli.

Particolare del viale degli Acquedotti.

M. Chietti, “Pianta Geometrica della città di Livorno e progetto artistico della sua sistemazione generale”, 1849 (Livorno, Biblioteca Labronica, Raccolta Minutelli).

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2.1 Il Cisternone

Il Cisternone è un serbatoio per l'approvvigionamento idrico di Livorno, per immagazzinare e distribuire le acque sorgive provenienti da Colognole. Realizzato in stile neoclassico dall'architetto Pasquale Poccianti nella prima metà del XIX secolo, è situato ai margini della città ottocentesca, lungo quello che fu il viale degli Acquedotti oggi viale Giosuè Carducci.

Il Cisternone venne inaugurato nel 1853, ma erano secoli che a Livorno c’era il problema dell’approvvigionamento dell’acqua. Come soprascritto infatti, Livorno non nasce come una città naturale, lungo le rive di un fiume o in un luogo salubre, bensì sorge come villaggio di pescatori e si sviluppa per esigenze strategiche e commerciali in una zona malsana dove non ci sono acque bevibili. Frequenti sono le epidemie nel corso della sua storia.

Il primo acquedotto nasce per volere di Ferdinando III quando la crescita economica e demografica dovuta all’istituzione del Porto Franco raggiunge i massimi livelli, ma ancora divampano malattie infettive e l’acqua attinta dalle fonti sparse nei rioni e raccolta in barili, scarseggia.

Venne costruito tra il 1829 ed il 1842 e Pasquale Poccianti si occupa della progettazione e di sovraintendere alla realizzazione, dimostrando di essere un programmatore illuminato, coniugando i bisogni dei cittadini con l’architettura intesa come arte.

I lavori furono portati a termine non senza difficoltà, a causa dei continui ripensamenti che l'architetto apportò al progetto iniziale. Nel 1833, la struttura della cupola poteva dirsi compiuta, tanto che, nel giugno del medesimo anno, la Gran Conserva ospitò i festeggiamenti per le nozze del Granduca Leopoldo II con la principessa Maria Antonia. Ciò nonostante, i lavori per le finiture e per l'impianto tecnico dell'edificio impegnarono il cantiere fino al 1842, anno della sua entrata in funzione.

Il Cisternone è costituito essenzialmente da due corpi di fabbrica principali (figura 2.4): l'avancorpo, dove si apre la facciata affiancata da alcuni locali laterali e dall'appartamento dei custodi; la cisterna vera e propria, costituita da un volume a forma di T e spogliata di ogni decoro estetico.

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La facciata, come detto, è costituita da un portico tuscanico e, ai lati, è delimitata da due volumi aperti solo da alcune finestre a feritoia e semicircolari. Al piano superiore il portico definisce un ampio terrazzo sul quale si affacciano le finestre di alcuni locali; qui si apre la caratteristica semicupola che alcuni primi progetti del Poccianti mostrano priva persino della decorazione a lacunari, messa invece in opera nel 1837.

Non meno suggestivo è l'interno delle cisterna (figura 2.5), un’enorme vasca che accoglie fino a 11mila litri d’acqua, larga 38m e lunga 42m. 52 pilastri tuscanici sorreggono le volte a vela della copertura.

In origine, l'acqua sorgiva proveniente da Colognole, si portava nella parte posteriore della cisterna, dove veniva filtrata per mezzo di strati di ghiaia e carbone; in seguito, con l'introduzione del cloro per il trattamento delle acque, il sistema di filtraggio poté essere rimosso e la vasca fu pertanto utilizzata interamente come serbatoio, aumentando la capacità.

Il Cisternone si pone tra le principali architetture neoclassiche italiane e rappresenta certamente la realizzazione più significativa di Pasquale Poccianti. La semicupola, in particolare, come una grande conchiglia sottolinea la destinazione stessa dell'edificio, con una forte carica comunicativa è un simbolico riferimento all'interno, solitamente chiuso allo sguardo dei visitatori. Evidente è anche l'influenza dell'architettura romana, che non si esaurisce solo nella decorazione a lacunari della stessa nicchia, ma si estende anche alle grandi finestre a lunetta semicircolare, tipiche delle strutture termali dell'antichità.

Da segnalare infine l'importanza urbanistica del Cisternone che, ponendosi fuori dal centro storico, avrebbe attestato la presenza dell'autorità granducale anche nei sobborghi in continua crescita. Infatti, successivamente alla costruzione della grande cisterna, per dare respiro a questa opera architettonica, il Poccianti pagò di tasca propria i terreni circostanti, per permettere la realizzazione di un grande viale alberato (odierno viale Carducci) che avrebbe condotto i cittadini dalle sorgenti di Colognole sino alla Gran Conserva, nei pressi della quale ideò un grande parco pubblico, il Parterre (figura 2.6, 2.7 e 2.8).

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Fig. 2.4

Facciata e Pianta del piano terreno e del sottosuolo del Cisternone (Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizzi n. 7206 A, n.7211 A).

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Fig. 2.5

Vasca interna del Cisternone.

Immagine sciolta in bianco e nero, “Il Cisternone: interno”, Foto Arte, Livorno, esec. 19..?, 1 foto: gelatina a sviluppo; 180x240 mm.

Fig. 2.6

Veduta del Cisternone e dell’arrivo in città dal Viale degli Acquedotti, 1850 circa (Livorno, Biblioteca Labronica, Raccolta Minutelli).

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Fig. 2.7

Veduta del Cisternone, del Parterre e del viale degli Acquedotti dalla città (da P. Vigo,” Livorno”, Bergamo 1915). Immagine tratta da D. Matteoni, Pasquale Poccianti e l'acquedotto di Livorno, Roma - Bari 1992.

Fig. 2.8

Veduta del Cisternone, e del viale degli Acquedotti dalla città (da P. Vigo,” Livorno”, Bergamo 1915).

Immagine sciolta in bianco e nero, fototipia, “Livorno: il Cisternone: Viale Giosuè Carducci”, Anonimo, Editore Alberto Mei Livorno, stampa 1939, Milano: Stab. grafico Cesare Capello, 1 cartolina: fotoincisione; 90x140 mm.

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2.2 Il Parterre

Oggi Parco Sandro Pertini, venne inaugurato dopo ampliamenti e restauri nel 1995 ed è costituito da una parte delle aree ex-Pirelli, trasformate in nuovo spazio pubblico e, dall’ antico Parco del Parterre.

Il Parterre venne realizzato su progetto e direzione dell'architetto Pasquale Poccianti, tra il 1830 ed il 1854 nei pressi del Cisternone (figura 2.9), contemporaneamente e coerentemente con la sua opera principale in Livorno cioè la sistemazione degli acquedotti a partire dal Cisternone, al Viale, fino alle fonti di Colognole.

Dopo l’entrata in funzione del Cisternone, il 20 giugno del 1842, la “R. Deputazione per i lavori di pubblica utilità ed ornato”, stabilirono di intervenire sui terreni circostanti, chiedendo al Granduca di “ridurre ad uso di pubblico passaggio due appezzamenti di terreno situati presso il Cisternone e appartenenti al R. Architetto Pasquale Poccianti che aveva progettato e diretto i lavori dell’Acquedotto”. La definitiva formazione del giardino si ha nel 1848.

Nato quindi come giardino pubblico fu uno dei primi in Europa ad essere realizzato come tale. Tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento questo spazio era il simbolo del "decoro" borghese di Livorno, un luogo della città dove si materializzava una natura, se pur curata, rigogliosa e quasi selvaggia. Maria Sandonini Bobbiese2, descrive il parco con trasporto romantico “… una pace patriarcale regna nel Parterre, … ove ogni rumore della vita cittadina giunge smorzato dai soffici cuscinetti di acacie e di alloro”3. I recinti originari erano costituiti da pali incrociati e fissati con grossi chiodi. I vialetti erano coperti di ghiaia e alcuni di essi portavano ad un improvviso fitto di piante; altri invece erano maestosi e si affacciavano su radure aperte per i prati e le aiuole. “Pur non essendo immenso, sembra senza confini tanto i suoi limiti sono celati dall’opera sapiente degli architetti e dei giardinieri”4 (figura 2.10).

Durante gli anni del fascismo i viali vengono ampliati, la vegetazione più curata, e aiuole e le gabbie recintate, caratterizzate da “ … disegni più eleganti e più nuovi”5.

2

Maria Sandonini Bobbiese, Il Parterre, fa parte di Liburni civitas: rassegna di attività municipale, A.8, n.1 (1935), p. 51-62.

3 Maria Sandonini Bobbiese, Il Parterre, fa parte di Liburni civitas: rassegna di attività municipale, A.8, n.1 (1935),

p. 51-62. Citazione p.62

4 Maria Sandonini Bobbiese, Il Parterre, fa parte di Liburni civitas: rassegna di attività municipale, A.8, n.1 (1935),

p. 51-62. Citazione p.51

5

Maria Sandonini Bobbiese, Il Parterre, fa parte di Liburni civica: rassegna di attività municipale, A.8, n.1 (1935), p. 51-62. Citazione p.57

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Le prime donazioni di animali risalgono all’età post unitaria. La presenza degli animali, all’inizio radi e puramente decorativi, inseriti secondo le regole del giardino romantico, era circoscritta a qualche esemplare, ma in seguito, sempre più affollati impegnativi ed esotici, ci fu una progressiva trasformazione del Parterre in giardino zoologico, pur in assenza di strutture e competenze adeguate; la loro presenza, con la conseguente creazione di gabbie, vasche, recinti, reti, stufe, impianti di lavaggio, ha modificato il disegno del parco, accentuando enormemente la difficoltà di gestione e introducendo alcuni problemi di inquinamento.

Negli anni trenta, si vede come il mutamento funzionale sopra descritto, abbia influenzato il disegno complessivo del giardino: la preesistente grande vasca dei pesci venne prosciugata e adibita a recinto per gli orsi con una robusta difesa in ferro, i percorsi vennero cambiati e le aree frammentate e sempre più occupate da gabbie, recinti e voliere (figura 2.11).

Alla vigilia della seconda guerra mondiale la condizione per gli animali si fece sempre più critica e ingestibile, per cui nel 1940 vennero allontanati e trasferiti nel giardino zoologico di Salsomaggiore.

Durante la guerra, il passaggio del fronte portò alla requisizione del giardino da parte del comando alleato e, successivamente abbandonato, il Parterre si ridusse ad un arida zona priva di alberi, disseminato di baracche in cui trovavano rifugio i senzatetto.

Solo nel 1950 tornò alla sua funzione originaria di giardino pubblico. Non si tenne però conto dell'impianto verde preesistente, così il giardino subì un rimaneggiamento pressoché totale, sia nelle opere di giardinaggio che negli arredi. Negli anni che seguirono la preoccupazione degli amministratori fu fondamentalmente quella del ripopolamento delle gabbie.

Negli anni '80 il Nuovo Piano Regolatore Generale prevedeva di ampliare la superficie del Parterre di quasi tre volte, rendendo necessaria la ricerca di un nuovo e più corretto equilibrio tra disponibilità di spazi ed esigenze sociali di una città moderna: smantellare il giardino zoologico e trasformarlo in piccola "fattoria", utilizzando parte delle strutture esistenti. Furono eseguiti una serie di interventi che hanno portato alla demolizione delle gabbie ritenute inutili, incrementato i dispositivi di sicurezza nei confronti del pubblico e migliorato le condizioni di vita degli animali.

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Da questo momento la storia del Parterre si intreccia con quella dello Stabilimento ex Pirelli (Capitolo 3-La ex Pirelli, paragrafo 3.1-Storia ed evoluzione dello stabilimento). Nel 1974 infatti, il PRG individua per l’area occupata dalla fabbrica Pirelli confinante con il parco del Parterre, una destinazione a verde pubblico e, nel 1979, la Soc. Pirelli S.p.A. stipula una convenzione con il Comune di Livorno per la cessione di parte dell’area di sua proprietà, posta in viale Carducci, con superficie di circa mq 32.000. L’attuazione della previsione di PRG si concretizza nel 1983 con l’affidamento al prof. Arch. Guido Ferrara, di un progetto di Parco Pubblico in ampliamento dell’esistente giardino del Parterre e il restauro del giardino storico (figura 2.12).

“Oltre un secolo dopo il comune si accinge a triplicare la superficie del suo più importante giardino pubblico, con la parziale inclusione di un’area industriale dismessa e di una villa limitrofa.

Nasce subito un problema di ruoli e di diversificazione degli spazi aperti. Da un lato il recupero-restauro del parco esistente, dall’altro la creazione di un’area che integra le funzioni ricreative ludiche indoor, ottenibili con il recupero del 50% della superficie dei capannoni ex-Pirelli, dall’altro ancora i campi gioco e la fattoria-zoo per i ragazzi e i bambini.”6

Questo ambizioso progetto era caratterizzato dalla costruzione di una grande piazza pavimentata, senza bisogno di particolari manutenzioni, contornata da altri spazi gradonati pavimentati con cubetti di porfido, in parte recuperati dai piazzali della ex fabbrica. L’Arena, utilizzabile soprattutto dalle classi centrali d’età (18-65 anni), secondo il progetto, avrebbe dovuto comporsi di una serie di ambienti al coperto che avrebbero utilizzato alcuni degli ex fabbricati Pirelli (le cui destinazioni definitive non erano stabilite in questo progetto), e allo scoperto. Questi ultimi sarebbero stati impiantati sulle aree rese libere dalle demolizioni, e avrebbero dovuto integrare la funzione ricreativa del parco, che, strettamente connesso all’Arena avrebbe permesso l’organizzazione di spettacoli all’aperto, per esempio cinematografici, musicali, folkloristici, o all’interno di manifestazioni organizzate.

Le aree a verde, sistemate a prato con bordure fiorite, avrebbero compreso anche, lungo il confine con l’ospedale, un’ampia fascia a macchia mediterranea e alberature d’alto fusto, oltre 150, tra querce, mimose e cipressi. La presenza del parco avrebbe inoltre permesso la creazione di aree di gioco differenziate destinate ai ragazzi dai 3 ai 14 anni

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e, la tradizione cittadina della presenza di animali nel Parterre e il bisogno di affettività tipico dell’infanzia suggeriva la creazione in prossimità di queste aree di una “fattoria degli animali”, ubicata in un piccolo edificio preesistente e dotata di un ampio spazio cintato all’aperto, con propositi eminentemente educativi.

Di tutto questo progetto, quello esecutivo per l’area esterna della ex Pirelli è l’unico che verrà finanziato.

I lavori iniziano nel 1986 e vengono eseguiti: la demolizione delle pavimentazioni in cemento ad uso della fabbrica, la sistemazione delle quote di progetto mediante riporto di terreno vegetale, la delimitazione delle aiuole con le cordolature, la costruzione della rete di fognatura, la costruzione del parcheggio in masselli inerbanti e la relativa recinzione, le opere di fondazione dell’Arena, la posa a dimora degli alberi d’alto fusto. Ma dopo il collaudo dei lavori, avvenuto nel 1991, veri problemi impediscono l’apertura del parco: lo stato di degrado dei capannoni della ex-fabbrica; la barriera costituita dal muro di confine tra l’area Pirelli ed il parco del Parterre e anche il dislivello (circa 1 metro) tra i due appezzamenti di terreno.

I nuovi lavori iniziano alla fine del 1994, e consistono nel tamponare con lamiera grecata le facciate dei capannoni ex industriali rivolte verso il parco. La soluzione, indispensabile per motivi di sicurezza, era da considerarsi provvisoria, in attesa del doveroso restauro. Dopo l’abbattimento del muro di confine che divide le due aree, sono stati completati i vialetti pavimentati che servivano a collegare il parco Pirelli al giardino del Parterre.

Oltre al cancello d’ingresso al parco da Viale Carducci, vennero realizzati gazebi corredati da fioriere per i rampicanti e da panchine per creare zone d’ombra “artificiale” in attesa dello sviluppo della vegetazione da poco impiantata.

L’ampliamento del giardino del Parterre sull’area dell’ex fabbrica Pirelli, ha interessato infine un’area complessiva di circa 19.550 mq.

L’area dell’ex Parterre ha ad oggi una superficie totale 40.200 mq di cui: superficie a prato 17800 mq, macchia mediterranea 2630 mq, con 810 piante alto fusto7, piante a siepe 810 mq, parcheggio verde 1265 mq, superfici pavimentate 11406 mq.

L’inaugurazione del Parco Pertini ha avuto luogo il 22 maggio 1995.

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Le principali essenze arboree o arbustive sono: leccio, pino domestico, bagolaro, magnolia, tiglio, palma delle canarie, pioppo nero, ippocastano, platano, acacia rustica, acacia dealbata, canfora, cipresso, uscus, cotonaster, viburno, corbezzolo, mirto, alloro, plumbago.

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Negli anni successivi, fino ad oggi, numerosi interventi realizzati nel parco, hanno portato ad una sua completa riqualificazione: fontane, voliere, risistemazione del verde, abbattimento delle barriere architettoniche.

Importante è l’istituzione di un moderno “complesso giochi integrato”, accessibile anche ai bambini diversamente abili, collocato in un’area di circa 400 metri quadri tra l’ex Parterre e l’ex Pirelli.

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Fig. 2.9

Progetto per il viale degli Acquedotti e per il Parterre, 1845 circa (Scandicci, Firenze, Archivio Famiglia Poccianti). Immagine tratta da D. Matteoni, Pasquale Poccianti e l'acquedotto di Livorno, Roma - Bari 1992.

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Fig. 2.10

I vialetti e la vegetazione del Parterre, 1902.

Immagine sciolta in bianco e nero, fototipia, “Livorno: giardini pubblici”, Anonimo, Casa Editrice Belforte Livorno, ante 1905, 1 cartolina: collotipia; 90x140 mm.

Fig. 2.11

Gabbie e voliere all’interno del Parterre.

Immagine sciolta in bianco e nero, fototipia, “Livorno: giardini pubblici: gabbia dei leopardi”, Anonimo, Editore Tognoli Livorno, dopo 1905, 1 cartolina: collotipo; 90x140 mm.

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Fig. 2.12

Planimetria e sezioni del progetto Recupero del parco storico e ampliamento alle aree circostanti destinate a verde pubblico, progetto dell’architetto Guido Ferrara, 1985

Immagine tratta dall’articolo Spazi aperti urbani, Il Parterre di Livorno del Progettista arch. Guido Ferrara, disegni di Maria Concetta Cossa e Franco Micaelli.

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2.3 Il Viale degli Acquedotti

Il

viale, oggi chiamato Viale Giosuè Carducci, in origine era denominato Strada o Via dei Condotti poiché seguiva il percorso delle condutture sotterranee del primo acquedotto della città, costruito nel 1606 e proveniente dalla località di Limone. L'attuale viale si conforma dopo il 1826 con la costruzione dell'Acquedotto di Colognole, su disegno dell’architetto Pasquale Poccianti (figura 2.13).

Come soprascritto, la costruzione dell’acquedotto proiettava la città verso la campagna, prefigurando nuove direttrici per l’espansione urbanistica (figura 2.14): viene realizzato un lungo viale, una passeggiata alberata che accompagna il percorso dell’acquedotto, una striscia di terreno che serviva ad aprire uno stradone per il pubblico passeggio di cui Livorno era ancora sprovvista, ma indispensabile nelle città più popolose. Inoltre gli alberi avrebbero offerto protezione dai raggi solari all’acqua nel condotto.

L’intento di Poccianti sembra essere quello di proporre una continuità tra opera della natura e opera dell’uomo: i filari di alberi conducono alla campagna, ai boschi e all’acquedotto, con le sue attrezzature e cisterne.

Al percorso degli acquedotti si riconosceva quindi una potenzialità territoriale: la futura trasformazione in asse attrezzato, elemento portante del comprensorio che la città formava con gli abitati vicini.

Negli anni successivi alla sua realizzazione infatti, Livorno si sviluppò lungo la direttrice indicata da Poccianti e nel 1910 venne costruita la nuova Stazione Ferroviaria proprio infondo a questo via.

Oggi il Viale Carducci si presenta come uno stradone centrale, separato dalle due strade laterali da un doppio filare di alberi, un importante asse che attraversa la città collegando piazza della Repubblica, centro del nucleo storico, alla Stazione Ferroviaria, presso Porta a Terra, nuova area di espansione.

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Figura 2.13

- - - - futura area ex Pirelli. Progetto per il viale degli Acquedotti, 1820 circa (Livorno, Biblioteca Labronica, Fondo Poccianti).

Immagine tratta da D. Matteoni, Pasquale Poccianti e

l'acquedotto di Livorno, Roma - Bari 1992.

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Fig. 2.14

- - - - futura area ex Pirelli.

Pianta della città di Livorno, 1902, litografia, Tipografia Calafati.

Immagine tratta da F. Cagianelli, D. Matteoni, Livorno, la costruzione di un'immagine. Tradizione e modernità nel Novecento, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo (Milano), 2003.

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2.4 La Stazione

La Stazione di Livorno è il principale scalo ferroviario della città, realizzato in sostituzione della più antica Stazione San Marco. Si affaccia su piazza Dante al termine di quello che un tempo era il rettilineo del viale degli Acquedotti (figura 2.15 e 2.16). Sin dalla prima metà dell'Ottocento era attiva la linea ferroviaria tra Livorno San Marco e la Stazione Leopolda di Pisa. Nel 1867 Roma veniva unita a Livorno, ma il tracciato della ferrovia non seguiva la costa, bensì, dopo Cecina, entrava verso l'interno e proseguiva in direzione di Collesalvetti, da dove si ricollegava quindi a Livorno; pochi anni dopo, quando Collesalvetti fu unita direttamente a Pisa, la città labronica si trovò di fatto esclusa dalla linea principale, fino a quando, nel 1910, non fu completato il collegamento diretto costiero tra Cecina e Livorno. L'inaugurazione della Stazione di Livorno Centrale avvenne quindi il 3 luglio 1910 (figura 2.17).

La scelta del sito dove ubicare la nuova stazione segna le direttrici di crescita della città nei primi decenni del Novecento e i futuri assetti urbanistici.

Per l'ubicazione del nuovo scalo prevalse l'ipotesi dell’ingegner Angiolo Badaloni8 che ne indicava la costruzione sull’area dell’esistente Campo di Marte, relativamente lontana dal centro cittadino, presso le Acque della Salute e alla fine del Viale degli Acquedotti che rappresentava un comodo e rapido accesso alla città di levante, dato che era provvisto dal 1904 anche di tramvia.

Questa collocazione permetteva di non ostacolare lo sviluppo urbanistico della città, anzi proponeva una nuova zona di crescita edilizia proprio a est, tra il Viale degli Acquedotti e il sobborgo di Colline.

Infatti, nelle aree collocate al termine del Viale degli Acquedotti e in prossimità della nuova stazione ferroviaria, dal 1907 inizia l’attività dell’Istituto Case Popolari di

8

Nasce a Livorno nel 1849, dove morirà nel 1920.

Nominato Architetto Capo del Comune di Livorno progettò e diresse la costruzione di alcuni importanti edifici cittadini, pubblici e privati.

Intorno al 1880 seguì la costruzione dell'Accademia Navale, progettata però da Luigi Pestalozza e, successivamente costruì le scuole elementari Micheli nel 1889 e le Antonio Benci nel 1893, quest'ultima ricavata nell'area della piazza Poerio.

Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento realizzò le sue opere principali, derivate essenzialmente da impianti tradizionali, ma aggiornate in alcuni dettagli e nell'apparato ornamentale alle tematiche di stampo liberty: tra il 1889 ed il 1894 innalzò il grande Mercato delle vettovaglie, in cui si riflettono i temi dell'architettura del ferro e del vetro, nel biennio 1903-1905 edificò lo Stabilimento termale Acque della Salute, dove applicò alcuni innovativi elementi in calcestruzzo armato, mentre nel 1907 inaugurò l'Albergo Corallo, annesso proprio alla citata struttura termale e già dotato all'epoca di ascensori elettrici.

Si occupò anche dell'ubicazione della nuova stazione ferroviaria, per la quale prevalse la sua ipotesi di costruirla al termine del Viale degli Acquedotti al fine di non ostacolare col fascio di binari lo sviluppo della città, e al contempo studiò il piano urbanistico per il vicino quartiere di case popolari, oggi noto come quartiere della Stazione.

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Livorno (figura 2.18). Alla fine, affidata la direzione all’ingegner Badaloni, vengono costruiti dei fabbricati uniformi di quattro piani, caratterizzati negli esterni da un paramento a bugnato al piano terreno e da cornici di vago sapore liberty per le aperture.

Per quanto riguarda la Stazione Ferroviaria, lo stile dell’edificio è eclettico.

Il fabbricato viaggiatori fu progettato dall'ingegnere Mangini, anche se l'impostazione monumentale della facciata principale si deve all'ingegner Frullani, che vi inserì una grande vetrata semicircolare.

La stazione è costituita da tre grandi corpi di fabbrica, uniti tra loro per mezzo di due ali laterali più basse. Il corpo principale, dove ha sede la biglietteria, è caratterizzata da alti portoni sormontati da un arco vetrato e da ampie finestre verticali, mentre i volumi laterali presentano un susseguirsi di grandi aperture che alleggeriscono la cortina muraria in bugnato; le ali di collegamento invece sono assai semplici e all’esterno i numerosi portoni d'accesso ai corridoi sono protetti solo da una tettoia metallica.

All'interno domina per imponenza il volume della biglietteria, ornato di marmi e stucchi e dove dipartono i corridoi laterali e gli accessi ai binari; due sottopassaggi permettono di raggiungere i sette binari di transito per il movimento passeggeri, affiancati da raffinate pensiline sorrette da esili colonne.

Più a sud si trova la grande struttura del magazzino merci, caratterizzato da ampie falde aggettanti servito da un apposito fascio di binari.

Dopo recenti lavori è stato costruito il sottopassaggio che, a sud, consente di accedere al parcheggio sorto dopo la demolizione del suddetto magazzino, posto alle spalle della stazione, nella zona di espansione urbanistica di Porta a Terra.

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Fig. 2.15

Scorcio del Viale Carducci, sul fondo la Stazione Centrale, 1910.

Immagine tratta dalla raccolta Edita da “Il Tirreno”, Coop Libera Stampa, Livorno.

Fig. 2.16

Scorcio di Piazza Dante, al termine di Viale Carducci.

Immagine sciolta in bianco e nero, fototipia, “Livorno: giardini della stazione e Viale Emilio Zola” Anonimo, Editore Alberto Mei Livorno, dopo 1910, 1 cartolina: collotipo ; 90x140 mm.

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Fig. 2.17

Scorcio di Piazza Dante, al termine di Viale Carducci.

Immagine sciolta in bianco e nero, “ Foto con giardini di piazza Dante e Stazione”, Livorno, Anonimo, esec. dopo 1910, 1 foto: gelatina a sviluppo; 126x177 mm.

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Fig. 2.18

A. Badaloni, “Piano Regolatore della zona delle case popolari nei pressi della Stazione”,1911, (zona fra Viale Carducci e via di Salviano).

Immagine tratta da COMUNE di LIVORNO, Rivista del Comune di Livorno CN- Comune Notizie, luglio-settembre 1994 n.11, Pacini Editore, Ospedaletto (Pisa), 1994.

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2.5 L’Ospedale

Gli Spedali Riuniti sono la principale struttura ospedaliera di Livorno.

Per la costruzione del nuovo ospedale si scelse un’area allora semiperiferica nei pressi del Parterre, a ridosso delle mura doganali, ma comunque vicino alla stazione, su un terreno di prossima espansione edilizia. Attualmente occupano un vasto lotto compreso tra il viale Alfieri e il centro cittadino.

Gli Spedali Riuniti furono costruiti a partire dal 1929 per volontà del gerarca fascista Costanzo Ciano, al quale il complesso fu intitolato fino allo scoppio della seconda guerra mondiale e, che affidò il disegno all’architetto Ghino Venturi9.

L'inaugurazione avvenne nel novembre del 1931 alla presenza delle massime autorità e del re Vittorio Emanuele III e della regina Elena del Montenegro, pubblicizzata come opera modernista e all’avanguardia.

La realizzazione costò 32 milioni di lire, una cifra enorme per quei tempi, ma che testimonia la grandiosità dell'opera, che andava a sostituire un preesistente nosocomio. La struttura ospedaliera divenne subito centro di una sofisticata assistenza, cui si aggiunse un'attività di ricerca medica di primo livello.

L'ospedale è costituito da diversi padiglioni collegati tra loro da un corridoio coperto e disposti simmetricamente intorno ad una corte centrale con giardino, dove si trova la cappella (figura 2.19).

Dal punto di vista architettonico l'impianto non risulta in realtà particolarmente innovativo ripiegando su elementi della tradizione: il corpo principale, costituito dal palazzo dell'amministrazione, è sostanzialmente un grande blocco di matrice classica, con un basamento, trattato alla maniera dei palazzi rinascimentali ed un frontone alla sommità di stampo neoclassico; l'edificio è raccordato alla strada antistante mediante

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Nasce a Roma nel 1884, dove morirà nel 1970.

Architetto e urbanista di scuola romana, lavorò soprattutto a Roma e nella Livorno degli anni trenta dove realizzò un notevole numero di progetti anche legati ai nuovi quartieri popolari.

Tra il 1929 ed il 1931 costruì i nuovi faraonici Spedali Riuniti di Livorno che gli portarono grande fama.. Sponsorizzato dal gerarca livornese Costanzo Ciano, divenne architetto principale dell'Istituto Case Popolari di Livorno, disegnando la sede dello stesso istituto, i quartieri Garibaldi e Filzi, completando il quartiere della Stazione ed intervenendo in molte altre zone della città. Le esigenze della classe operaia, strumentalizzate dalla propaganda del regime, portarono però ad una mera lottizzazione del territorio, con la creazione di alloggi supereconomici in quartieri privi di qualsiasi servizio.

Prima del 1932 edificò il Gazebo per la musica della Terrazza Mascagni di Livorno (distrutto durante la seconda guerra mondiale e ricostruito nel 1998), mentre, nel 1936 fu autore della sede labronica del quotidiano Il Telegrafo (ora Il Tirreno).

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due ali curvilinee, che rimandano all'architettura barocca di Piazza San Pietro a Roma (figura 2.20). Nei padiglioni, l'apparato ornamentale è ridotto all'essenziale, mentre decisamente neoclassico appare l'ingresso al "Pronto Soccorso", posto all'angolo del lotto e realizzato nella forma di un tempio circolare sovrastato da una cupola.

Nel cortile interno, la cappella centrale, a tre navate, è caratterizzata da un alto timpano e da strette finestre a feritoia. Sul retro si innalza una sorta di campanile, alto oltre 40 metri: in realtà si tratta di una massiccia torre-serbatoio, sormontata da un orologio e da una struttura in ferro battuto che ricorda i coronamenti dei campanili barocchi di Roma. La struttura ospedaliera è stata notevolmente ampliata nel dopoguerra, con la costruzione di nuovi reparti. Negli ultimi anni sono stati realizzati importanti interventi di ammodernamento, che hanno portato ad esempio alla recente inaugurazione del nuovo polo dedicato al pronto soccorso e alla sopraelevazione di tutti i corridoi di collegamento tra i vari padiglioni, per differenziare i percorsi dei medici da quelli del pubblico.

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Fig. 2.19

- - - - futura area ex Pirelli. Veduta aerea sugli Spedali Riuniti.

Immagine sciolta in bianco e nero, “Ospedale Costanzo Ciano: veduta aerea”, Anonimo, esec. ca. 193.?, 1 foto: gelatina a sviluppo; 180x240 mm.

Fig. 2.20

Corpo principale degli Spedali Riuniti.

Immagine sciolta in bianco e nero, gelatina a sviluppo, “Livorno: ospedale Costanzo Ciano” Anonimo, Livorno: Forti, dopo 1932, 1 cartolina: gelatina a sviluppo ; 90x140mm.

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