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La saga della principessa cretese mostra come le favole antiche non abbiano

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Academic year: 2021

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3. FONTI MEDIEVALI

I miti greci non scompaiono con la fine del mondo antico e il trionfo della religione cristiana. Essi, al contrario, godono di una straordinaria longevità, arricchendo la letteratura per secoli ed offrendo un’ampissima gamma di tematiche, che possono essere sviluppate in molteplici varianti. I valori umani che essi veicolano sono eterni, per questo la mitologia classica entra a far parte della cultura delle epoche successive, tramite un processo che il cristianesimo non ha completamente interrotto e che gli umanisti hanno rinvigorito. Spesso, però, il senso originale dei racconti mitologici viene frainteso o alterato. Non fa eccezione la leggenda di Bacco e Arianna.

Già nella tarda antichità si riscontrano interpretazioni attualizzanti del mito di Arianna, sia di carattere politico che moralistico. Tale processo di allegorizzazione, che porta spesso a fondere la mitologia con la teologia, trova continuità nei secoli successivi e ha pieno sviluppo nel corso del Medioevo.

La saga della principessa cretese mostra come le favole antiche non abbiano

mai abbandonato la cultura europea: più o meno riscritte o reinterpretate

allegoricamente, e fortemente selezionate, sono comunque rese funzionali a

un sistema culturale e teologico completamente diverso da quello in cui

hanno avuto origine. Così, nonostante la condanna storica, morale e

religiosa della mitologia pagana, dovuta alla sua irriducibile incompatibilità

con la religione cristiana, la sua memoria si sedimenta nell’immaginario

occidentale e gli stessi autori cristiani contribuiscono a mantenerla viva. Le

favole antiche divengono uno straordinario repertorio di moralità e le

divinità pagane, con le loro svariate storie, sono rese pertinenti

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dall’allegoria, che riduce l’imprinting originario dei miti a semplice elemento ornamentale, per affermare invece il valore assoluto del loro senso nascosto.

A tali interpretazioni allegoriche erano soggette anche le opere di Ovidio, fonti letterarie di centrale importanza per la rappresentazione della vicenda mitica di Bacco e Arianna.

3.1. Allegoria della figura di Arianna.

Le Metamorfosi assumono un ruolo fondamentale per quanto concerne

la trasmissione della mitologia dall’antichità al Rinascimento. La loro

importanza in questo campo non si limita alla funzione di fonte testuale, ma

investe anche e soprattutto la dimensione iconografica, poiché sia i codici

manoscritti che le successive edizioni a stampa sono corredate da immagini

che illustrano le favole. Dopo un periodo di oblio nei primi secoli della

cristianità, probabilmente dovuto all’indissolubile legame della sua poesia

con la religiosità pagana, la fortuna di Ovidio ebbe un lento risveglio. Tra il

XII e il XIII secolo l’allegorizzazione della mitologia classica trova ampia

affermazione nelle versioni moralizzate delle Metamorfosi di Ovidio. Il

testo ovidiano non viene però recuperato in maniera fedele, ma si iniziano a

cercare in esso significati profondi, che si sarebbero celati dietro le

apparenti frivolezze. Nei commentari si fondono interpretazioni morali,

fisiche e storicizzanti Già le prime edizioni enfatizzano il contenuto morale

delle favole ovidiane e le rendono conformi alla teologia cristiana. Il grande

riscatto delle Metamorfosi passa, dunque, attraverso la lettura allegorica, in

linea con la sensibilità e la cultura medievale; essa permetteva la

moralizzazione di quanto era condannabile in un’ottica strettamente

cristiana, che non poteva tollerare né gli dei, né i loro amori promiscui, né

tanto meno la trasformazione dei corpi. La figura di Arianna non è immune

a nuove interpretazioni in chiave cristiana, con esiti talvolta singolari:

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nell’Ovidius Moralizans

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del monaco Pierre Bersuir, sulla base della diffusa identificazione tra Teseo e Cristo, Arianna viene assimilata ai Giudei, abbandonati dal Teseo-Cristo per andare incontro ai Gentili. La principessa cretese diviene così emblema degli ebrei e la sua vicenda un ammonimento per i cristiani che leggevano l’opera.

Un’interpretazione simile della vicenda è contenuta nell’Ovide moralisè:

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Arianna è accomunata agli ebrei per il peccato commesso, ma come questi viene salvata da Dio-Bacco.

3.2. Arianna all’inferno.

La Divina Commedia presenta alcune allusioni a donne abbandonate di memoria ovidiana e staziana, come Deidamia e Penelope; la figura di Arianna, la relicta per eccellenza, non viene però descritta in questo ruolo.

Il poema dantesco ricorda, infatti, un episodio precedente all’arrivo dell’eroina cretese sull’isola di Nasso:

[…] e ‘n su la punta de la rotta lacca l’infamia di Creti era distesa

che fu concetta nella falsa vacca;

e quando vide noi, se stesso morse, sì come quei cui l’ira dentro fiacca.

Lo savio mio inver lui gridò: “Forse tu credi che qui sia ‘l duca d’Atene, che su nel mondo la morte ti porse?

Pàrtiti, bestia: ché questi non vene ammaestrato da la tua sorella, ma vassi per veder le vostre pene.”

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45 Si tratta di un testo allegorico, in latino, preceduto da un breve resoconto dell’aspetto e degli attributi delle divinità pagane nelle raffigurazioni antiche. Insieme all’Ovide moralisè, è il testo in cui si coagula la lettura in chiave allegorica cristiana delle Metamorfosi.

46 Lunghissimo poema di autore incerto, scritto in francese. Riprende e riassume i miti delle Metamorfosi, ai quali fa seguire una parte più ponderosa e importante, con le allegorizzazioni in senso cristiano.

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Le parole che Virgilio rivolge al Minotauro, mentre sembrano volerlo rassicurare, in realtà richiamano alla memoria la sua cruenta uccisione per mano di Teseo (il “duca di Atene”). Arianna, fugacemente menzionata, viene ricordata come responsabile della tragica morte del fratello, avendo fornito all’eroe ateniese il famoso filo per uscire dal Labirinto. La principessa, dunque, si trova ancora a Creta, sebbene in procinto di fuggire con l’amato. E’ ancora inconsapevole della sorte che l’attende dopo che avrà abbandonato la famiglia e la terra natale. Sono ancora lontane le sofferenze per l’abbandono da parte di Teseo e il conseguente, disperato lamento sull’isola di Nasso; ma soprattutto deve ancora avvenire il prodigioso incontro con Bacco, che muterà radicalmente la sua esistenza: la donna troverà consolazione e beatitudine tra le braccia del dio e, una volta divenuta la sua sposa, sarà chiamata a condividerne l’immortalità.

Questo passo del poema dantesco è spesso soggetto ad un’interpretazione allegorica. In base al commento di Guido da Pisa, risalente all’inizio del XIV secolo, il Minotauro sarebbe l’immagine del Diavolo, Teseo la personificazione di Cristo e Arianna l’allegoria dello Spirito Santo; anche il Labirinto si carica di significati, in quanto evocherebbe il limbo o il mondo intero e il termine stesso designerebbe la sofferenza interiore, secondo un’interpretazione che avrà largo seguito.

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3.3. Il ritorno della vera Arianna.

Solo nell’ultima parte del Medioevo la figura di Arianna si svincola dalle restrizioni delle allegorie cristiane, riconquistando i ruoli che aveva ricoperto in epoca classica, primo fra tutti quello di donna abbandonata.

47 D. ALIGHIERI, La Divina Commedia, a cura di N. Sapegno, La Nuova Italia, Firenze 1972, Inferno, pp.122-123.

48 G. PADOAN, Il pio Enea, l’empio Ulisse. Tradizione classica e intendimento medievale in Dante, Longo, Ravenna 1977, pp. 140s.

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Arianna è colei che “a morte amando corse”,

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secondo quanto riferisce Petrarca nel suo Trionfo di amore. Esso costituisce il primo capitolo di un poema volto a descrivere una serie di sei visioni che si presentano al poeta addormentato, sotto forma di una sequenza di trionfi. Cinque di essi sono caratterizzati dalla presenza di figure allegoriche, ma il Trionfo di Amore include anche molti personaggi mitologici. Esso è l’unico ad essere descritto; agli occhi dell’autore il corteo ha un’apparenza irresistibile e la descrizione che ne fa è già di per sé un’immagine pittorica: Amore si mostra sul un carro di fuoco trainato da quattro cavalli bianchi come la neve e tiene in mano l’arco e le frecce; il suo seguito è composto da alcune celebri coppie di amanti, come Giasone e Medea o Elena e Paride; proprio tra questi si scorge Arianna, accompagnata però dall’eroe Teseo piuttosto che dal divino Bacco. Le rappresentazioni dei Trionfi petrarcheschi (fig.2) da un lato confermano il fatto che il ricordo storico del corteo trionfale romano si sia mantenuto vivo nell’iconografia medievale, anche se la traduzione in immagine corrisponde a un’invenzione arbitraria e fantastica;

dall’altro lato, dimostrano che l’astratta idea del soggetto trionfale non sia mai stata dimenticata e sia affiorata grazie allo stimolo delle opere letterarie ispirate all’antichità classica.

L’idea trionfale, sviluppatasi nell’antichità classica, si protrarrà, attraverso l’era cristiana, fino al Rinascimento, epoca in cui avrà un’espansione eccezionale e assumerà il più mutevole repertorio di significati; i precursori dell’Umanesimo furono proprio i personaggi dominanti la storia e la cultura medievale. I trionfi saranno tutti modellati su esempi antichi, ispirati sia agli eventi memorabili sia alle fonti letterarie. Per le origini del trionfo si è spesso risaliti al mito, indicandone in Dioniso il fondatore. Il dio, con la sua sfrenata schiera di baccanti e satiri, menadi e sileni, aveva percorso l’Ellade, si era spinto nell’Asia, fino in India. Dalle influenze orientali e frigie era derivato il carattere orgiastico del culto dionisiaco; forse dalle stesse influenze, più che dal vendemmiale richiamo realistico, derivò quel procedere del dio su di un carro, trionfante nell’ebbrezza, che è tipico delle

49 F. PETRARCA, Trionfi, a cura di P. Lecaldano, Rizzoli, Milano 1956, vv. 116-117.

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raffigurazioni classiche dei Baccanali. Vedremo in seguito come l’iconografia del trionfo bacchico si arricchisca talvolta della figura della sposa Arianna.

Fig. 2 Scuola fiorentina, Il Trionfo d’amore, I Trionfi di Petrarca, ms. Palat. 192, f. 1r, Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze.

3.4. Il mito di Bacco e Arianna secondo Boccaccio.

La leggendaria unione tra Bacco e Arianna viene ricordata più volte nelle opere di Boccaccio. Nel Filocolo l’eroina cretese viene citata molto velocemente tramite le parole della protagonista Biancifiore, la quale, costretta a stare lontana dall’amato Florio, invidia la fortuna di Arianna, che

“ingannata dal sonno e Teseo dopo poche lacrime meritò miglior

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marito!”.

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L’autore evoca dunque la tradizionale immagine della relicta piangente sulle sponde dell’isola di Nasso.

Nell’Amorosa visione Boccaccio riprende e approfondisce la leggenda dell’abbandono e del lamento di Arianna.

Io, che andava avanti riguardando, vidi quivi Teseo nel Labirinto al Minotauro pauroso andando.

Ma poi che quel con ingegno ebbe vinto che li diede Adriana, quindi uscire lui vedevo io di gioia dipinto;

al qual appresso Adriana venire e con lei Fedra, e salir nel suo legno e quindi forte a suo poter fuggire.

Nel quale, avendo già l’animo pregno del piacere di Adriana, lei lasciare vedea dormendo e girsene al suo regno.

Gridando desta la vedeva stare, e lui chiamava piangendo e soletta sopr’un diserto scoglio in mezzo mare:

Omè, dicendo, deh, perché s’afretta si di fuggir tua nave? Aggi pietate di me ingannata, lassa, giovinetta!

Segando se ne gia l’onde salate con Fedra quelli, e Fedra si tenea per vera sposa, per la sua biltate.

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L’immagine di Arianna stretta nel suo dolore si tramuta in questo caso in quella di una fanciulla animata da sentimenti differenti: affiora la rivalità con la sorella Fedra che, sorvolata dalle fonti classiche, sarà accentuata in epoca moderna e spesso sviluppata in senso romanzesco.

50 G. BOCCACCIO, Filocolo, a cura di A. E. Quaglio, Mondatori, Milano 1998, II, cap. 17.

51 G. BOCCACCIO, Amorosa visione, a cura di V. Branca, Mondatori, Milano 2000, XXII, vv. 4-24.

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La figura di Arianna compare anche nelle Genealogie deorum gentilium, capitale opera in latino e più importante manuale mitografico dell’epoca. Si tratta di un vasto e sistematico repertorio di mitologia, distinto da consimili opere per la precisa organizzazione degli argomenti (secondo un ordine in forma di genealogia), per la centralità dei protagonisti rispetto alla narrazione delle fabulae, per l’ideale di fedeltà ai testi classici, soprattutto latini, infine per la volontà di far emergere il senso riposto delle fabulae, ossia la forma del loro possibile riuso appropriato da parte dei Moderni.

Tale trattato sarà il testo mitografico più diffuso nell’esperienza culturale tra Quattro e Cinquecento, e costituirà un importante riferimento per tutti gli autori rinascimentali che vorranno comporre opere di questo tipo.

Ad Arianna è dedicato un paragrafo del XI capitolo, intitolato De Adriana filia Minois et coniuge Bachi. In esso viene esposta l’intera leggenda dell’eroina, dall’incontro con Teseo alla divinizzazione e mutamento in costellazione. La descrizione di Arianna e della sua vicenda è del tutto particolare:

Nasso e Chio sono isole abbondanti di ottimo vino e per esso credo Arianna sia stata presa e da Teseo abbandonata ebbra; e poiché si abbandonò al bere fu detta poi moglie di Bacco. In seguito, poiché l’onestà della donna è corrotta dal vino, le fu donata da Venere la corona, cioè un’insegna di libidine, che è portata fino in cielo, cioè a conoscenza di tutti; e non solo il detestabile disonore dell’infamia è portato sulla bocca degli uomini, ma per l’azione del vino, la donna si lascia andare agli amplessi di tutti.

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La narrazione di Boccaccio stravolge parzialmente l’immagine della principessa cretese e la canonica esposizione degli avvenimenti: Arianna, completamente ebbra, si abbandona alla libidine, tanto che la corona, in questo caso donatale da Venere, si tramuta nel simbolo della sua lussuria.

L’associazione con la figura di Bacco è dovuta allo stato di ebbrezza della

52 BOCCACCIO, Genealogie deorum gentilium, a cura di V. Romano, Laterza, Bari 1951, II, 29, 4.

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fanciulla; ella diviene la moglie del dio in virtù del proprio legame con la bevanda a lui consacrata.

Al “romanzo” boccaccesco di Bacco e Arianna si ispira, seppur con alcune varianti, la Leggenda delle donne eccellenti di Jeoffrey Chaucer. Si tratta di una raccolta di nove ritratti di virtuose donne del mito o dell’antichità, tra le quali è collocata Arianna. La storia della principessa di Creta è ricostruita quasi interamente: viene narrato l’incontro con Teseo e il sogno di Arianna di divenire regina di Atene, la fuga con l’amato e l’approdo sull’isola di Nasso, infine l’abbandono da parte dell’eroe ateniese, che fugge con Fedra.

Viene, quindi, descritta brevemente la canonica scena del lamento, ricalcando il passo ovidiano delle Eroidi; in seguito il riferimento a Ovidio si fa esplicito, poiché l’autore dichiara ironicamente che riportare l’intero lamento di Arianna sarebbe stato inutile in quanto già fatto dall’autore latino all’interno delle sue opere. La vicenda si conclude sull’isola di Nasso, senza alcun riferimento all’arrivo di Dioniso nè alla sua unione con la fanciulla cretese, divinizzata dal nuovo sposo.

Al termine del XIV secolo Arianna conquista un posto d’onore all’interno della galleria delle eroine antiche, ma assume scarso rilievo uno dei momenti chiave della sua leggenda, ovvero le nozze divine con Bacco. In epoca rinascimentale, al contrario, tale episodio diverrà centrale nella produzione artistica e letteraria; sarà celebrato in particolar modo il trionfo della principessa cretese, la quale diviene l’emblema della gioia dionisiaca.

La più celebre espressione di tale concezione di Arianna è quella contenuta

nei Canti Carnascialeschi composti da Lorenzo il Magnifico.

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