1. INTRODUZIONE
La perdita di sangue correlata con gli interventi di chirurgia ortopedica maggiore (interventi di artroplastica di anca e ginocchio ed interventi di chirurgia vetebro-midollare) è generalmente significativa; ciò è dovuto principalmente alla difficoltà di praticare una efficace emostasi sul tessuto osseo sanguinante ed alla necessità di eseguire in tutti i pazienti un'accurata profilassi farmacologica per la prevenzione della trombosi venosa profonda.
Pertanto in questo tipo di interventi è frequente la necessità di correggere l'anemizzazione post-operatoria somministrando sangue allogenico; tale procedura, nonostante gli odierni criteri di selezione e controllo dei donatori, è ancora lontana dall’essere considerata a rischio zero, è Infatti associata a un certo numero di rischi e complicanze quali trasmissione di agenti infettivi, reazioni allergiche, alterazioni elettrolitiche e down- modulation del sistema immunitario ed errori di somministrazione[2(1-3-4-7-8-9-12]. In relazione al possibile effetto di down regolation del sistema immunitario tre ampi studi che comprendevano più di 22000 pazienti sottoposti a chirurgia ortopedica maggiore, hanno messo in evidenza che nei soggetti in cui erano state eseguite trasfusioni di sangue allogenico vi era un aumento del rischio di sviluppare infezioni postoperatorie1[5-7] 2[13-14]. Come emerge dalla revisione della letteratura il sangue allogenico ed i suoi derivati devono essere sempre considerati presìdi potenzialmente pericolosi ed il loro utilizzo dovrebbe essere considerato alla stregua di un trapianto in quanto espone il ricevente ad una serie di proteine del donatore con effetti potenzialmente letali. La trasfusione di sangue allogenico incompatibile è potenzialmente fatale: può infatti scatenare una reazione emolitica acuta o a distanza di alcuni giorni, che si presenta con ipotensione, alterazioni del flusso ematico a livello renale e attivazione della cascata della coagulazione
che può evolvere nella CID. Le reazioni avverse possono essere anche di tipo non emolitico e sono dovute alla presenza di anticorpi contro i leucociti o le proteine plasmatiche del donatore. Gli anticorpi antileucociti sono causa di febbre con brividi, mentre quelli diretti contro le proteine plasmatiche provocano delle reazioni allergiche che si manifestano con orticaria o, nei casi più gravi, con shock anafilattico. Va inoltre ricordato che gli emocomponenti contengono linfociti vitali che possono provocare una reazione di rigetto, soprattutto in un ricevente immunocompromesso (graft versus host disease).
Un altro importante rischio è la trasmissione di infezioni virali e batteriche: HIV, HBV, HCV, EBV, Citomegalovirus, Plasmodium Falciparum, Treponema Pallidum, Yersinia enterocolica, Tripanosoma cruzi, Babesia microti, HTLV I e II. Quest’ultimo è uno dei motivi principali che rendono la trasfusione di sangue allogenico un trattamento indesiderato per un ampio numero di pazienti e medici5[6-7-8].
A tutto questo va aggiunto il problema della disponibilità del sangue: infatti più del 50%
delle unità di sangue trasfuso sono utilizzate in ambito chirurgico e più del 60% delle trasfusioni sono ad appannaggio di pazienti che hanno più di 65 anni, i quali oltretutto non sono idonei a donare il sangue1[1,2]. La conseguenza di queste considerazioni, associata al generale invecchiamento della popolazione, all’aumento della frequenza di patologie oncologiche, cardiovascolari e ortopediche e alle problematiche legate a i costi e alla conservazione delle unità di sangue, è che la domanda supera l’offerta.
Risulta quindi fondamentale sviluppare una serie di strategie che da una parte permettano di ridurre le perdite ematiche intra e post-operatorie e dall'altra propongano una valida alternativa all’utilizzo delle trasfusioni di sangue allogeniche.