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CAPITOLO 3 L’AREA DI RILEVAMENTO ED IL SUO CONTESTO 3.1 Il glacialismo apuano

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CAPITOLO 3

L’AREA DI RILEVAMENTO ED IL SUO CONTESTO

3.1 Il glacialismo apuano

Il glacialismo apuano è stato oggetto di ricerche a partire dal diciannovesimo secolo ed è proprio qui che, nel 1872, sono state rinvenute le prime tracce della glaciazione quaternaria di tutta la catena appenninica (Federici, 2005).

Da allora si sono succeduti numerosi studi che hanno fornito una discreta mole di conoscenze lasciando, però, incertezze, soprattutto in merito all’effettiva estensione ed alla cronologia del fenomeno glaciale apuano.

É necessario sottolineare la difficoltà di osservazione della morfologia glaciale di questo territorio, dovuta sia alla normale azione degli agenti geomorfici, sia al forte impatto delle opere di escavazione dei celeberrimi bacini marmiferi che hanno modificato o addirittura cancellato molte delle forme relitte del Pleistocene.

Secondo Federici (2005) per rendere completo lo studio del fenomeno

glaciale apuano sarebbero indispensabili la realizzazione di una carta

geomorfologica, che farebbe da sintesi alla discreta quantità di dati

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parallelo, a soli 10-15 Km dalla costa e con quote inferiori ai 2000 m s.l.m., sono state interessate dalle glaciazioni quaternarie, delle quali restano evidenti tracce riconducibili sia a processi erosivi, che deposizionali.

Le forme glaciali Apuane meritano attenzione a causa della loro importanza nelle ricostruzioni paleogeografiche e per lo studio dei processi glaciali appenninici (Bini, 2005), inoltre è su questa catena che sono presenti i depositi glaciali posti alle quote più basse dell’intero Appennino.

I fattori locali, che hanno reso possibile lo sviluppo glaciale pleistocenico sull’orogeno apuano, sono legati soprattutto alla morfologia della catena montuosa e alla sua forte energia di rilievo che ne determinano l’elevata piovosità.

La catena in questione, infatti, si allunga per circa 58 Km da Nord-Ovest a

Sud-Est formando, in conseguenza anche della notevole energia di rilievo

del tutto paragonabile a quella alpina, quasi una muraglia di fronte al Mar

Ligure. Tale muraglia, ostacolando le perturbazioni atmosferiche atlantiche

nella loro deriva occidentale, dà luogo ad una notevole quantità di

precipitazioni (anche 4000 mm/anno).

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Figura 3.1; Rappresentazione grafica delle Alpi Apuane; Si noti la posizione di Campocatino rispetto alla catena montuosa (riquadro rosso); è possibile osservare come l’orogeno si allunghi in direzione Nord Ovest-Sud Est e la sua posizione rispetto al Mar Ligure (tratta da Baroni et al, 2013).

Durante il periodo glaciale, le abbondanti precipitazioni nevose hanno reso

possibile lo sviluppo di diversi ghiacciai (secondo le stime almeno 12) dei

quali restano tracce soprattutto sul versante orientale, la cui esposizione (N-

E) unita alla minore energia di rilievo ha permesso inizialmente un

maggiore accumulo nevoso ed in seguito la conservazione e l’estensione

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(Federici, 2005), morfologicamente meno adatto all’accumulo nevoso ed esposto a mezzogiorno.

Dai numerosi lavori prodotti sul glacialismo apuano, è stata rilevata la presenza sia di forme di erosione che di accumulo.

Tra le forme di erosione la più conosciuta è sicuramente il circo glaciale.

Nell’area apuana si possono osservare sia circhi con la tipica forma a recinto con pareti ripide e fondo piatto o concavo, sia la fusione parziale di cavità diverse. Il circo glaciale di Campocatino, che ospitava il ghiacciaio del monte Roccandagia, è costituito da una sola cavità chiaramente distinta.

Per quanto riguarda le forme glaciali di erosione presenti nell’area apuana,

possiamo ricordare il profilo vallivo di forma parabolica osservabile in

diversi siti (in località Pianizza, sulla Pania Secca e in località Fatonero ad

Arni, per esempio) i gradini glaciali, le selle e le zone con rocce

montonate. Va sottolineato che la morfologia glaciale apuana ha risentito

della contemporanea e/o diacrona influenza di altri agenti geomorfici,

soprattutto il carsismo (Federici, 2005). Inoltre, non possiamo dimenticare

l’importanza dell’azione antropica nell’alterazione delle forme, soprattutto

lungo le selle glaciali, luoghi naturali di transito e quindi più facilmente

attaccate dalle attività marmifere.

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Figura 3.2; Visione panoramica dell’area di Campocatino dalla quale è possibile apprezzare la forma complessiva del sito: la cavità che ospitava il ghiacciaio, la parete rocciosa che la sovrasta e la morena frontale (tratta da Bartelletti et al., 2010).

Il censimento delle forme di deposito, soprattutto delle morene frontali,

rappresenta un oggetto di studio di primaria importanza per la ricostruzione

del paleoambiente e dell’estensione del fenomeno glaciale.

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Figura 3.3; Vista panoramica di Campocatino; morena frontale (linea rossa).

Per stabilire le dimensioni raggiunte da un ghiacciaio, infatti, si utilizzano come limiti superiori i recinti montuosi che delimitano il bacino collettore, per quelli inferiori, le morene frontali ritenute terminali.

Su queste ultime vi sono ancora delle incertezze, sia per la carenza di informazioni, sia per la trasformazione operata dell’uomo proprio in alcuni luoghi indiziati di aver ospitato le fronti glaciali (Federici, 2005).

È indubbio, comunque, che le quote delle fronti dei ghiacciai apuani furono straordinariamente basse: la fronte del ghiacciaio del Monte Contrario-Orto di Donna si trovava in località La Mandria a circa 600 m di altezza se non meno, quella del Ghiacciaio Pizzo D’Uccello-Solco di Equi addirittura a meno di 500 m, quella del Ghiacciaio M.Tambura-Acqua Bianca intorno a 600 m s.l.m. (Federici, 2005).

Stabiliti i limiti dei ghiacciai, è possibile fare una stima di quelle che

dovevano esserne la lunghezza e l’estensione. Per quanto riguarda le

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Apuane, le lunghezze raggiunte variano dagli oltre 6 Km del ghiacciaio del M. Contrario-Orto di Donna a circa 1,5 Km del ghiacciaio di M.

Roccandagia-Campocatino.

Le estensioni variavano dai circa 12 Km² del ghiacciaio di M.Contrario- Orto di Donna e gli 8 Km² del Ghiacciaio di M.Tambura-Acqua Bianca, alle piccolissime coperture del versante marittimo.

Essendo ritenuto da tutti che i ghiacciai apuani sono scesi più in basso rispetto a quelli della catena appenninica e delle Alpi, poste alla stessa latitudine, si comprende come il rilevamento geomorfologico degli apparati terminali potrà portare un interessantissimo dato all’attenzione degli studiosi di glacialismo e climatologia. Infatti, dai dati esposti consegue che il limite delle nevi permanenti fu veramente basso (Federici, 2005).

Per quanto riguarda la datazione delle forme di origine glaciale sulla catena

apuana, pur se basata su semplici deduzioni e non su datazioni

radiometriche, c’è unanimità tra i ricercatori nella attribuzione all’ultima

glaciazione (Würm), in particolare all’Ultimo Massimo Glaciale (circa

20000 anni fa). Poichè i ghiacciai in questa fase hanno prodotto la massima

avanzata, il materiale delle morene generate precedentemente, dovrebbe

essere stato preso in carico ed inglobato dalle lingue in avanzamento. La

fronte del ghiacciaio avrebbe quindi operato come un bull-dozer,

cancellando le forme di deposito risalenti alle fasi glaciali precedenti.

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3.2 Inquadramento dell’area di studio 3.2.1 Inquadramento geografico

L’area di Campocatino (figura 3.5) oggetto del presente lavoro, si trova nella parte centro-settentrionale delle Alpi Apuane ad quota di circa 1000 m s.l.m. e si estende su una superficie di circa 13 ha (130000 m², circa) esposta ad Est.

Dal punto di vista orografico, la zona è delimitata da due culminazioni topografiche: il Monte Roccandagia (1708 m) e il Monte Tombaccio (1372 m).

Figura 3.4; L’area di studio in scala 1:83000 (ingrandimento del foglio 96-Massa-

della Carta Topografica d’Italia- I.G.M.). Tratto da Bini (2005).

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La località fa parte del territorio del Comune di Vagli di Sotto, in provincia di Lucca.

3.2.2 Inquadramento geologico

Il complesso metamorfico delle Alpi Apuane costituisce uno dei livelli strutturali più profondi affioranti nelle porzioni interne dell’Appennino Settentrionale e per questo rappresenta un’area chiave nella comprensione dei meccanismi e dei processi geodinamici che hanno portato alla formazione della catena stessa (Carmignani et al, 2007). In particolare all’interno della finestra tettonica apuana, contornata dalle rocce della Falda Toscana, è possibile distinguere due unità metamorfiche distinte:

l’autoctono, in posizione geometricamente inferiore, e la sovrastante Unità di Massa che affiora solo nella porzione occidentale della catena (figura 3.6). All’interno delle sequenze metasedimentarie che caratterizzano le due unità sono presenti, a differenti livelli stratigrafici, marmi, metabrecce marmoree e calcescisti, largamente e tradizionalmente estratti per l’utilizzo come pietre ornamentali.

Per quanto riguarda i processi che hanno condotto alla formazione del

duomo metamorfico delle Alpi Apuane, a partire dagli anni ’70 del secolo

scorso, alcuni ricercatori hanno iniziato a parlare di tettonica polifasata

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metamorfico, mentre l’Autoctono e l’Unità di Massa, entrambe caratterizzate da un metamorfismo più elevato, rappresentano il lower plate.

Figura 3.5; schema tettonico dell’Appennino Settentrionale sezione schematica

interpretativa; tratto da Carmignani et al. (2007).

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Attualmente la comunità scientifica è pressoché concorde nell’interpretare le Alpi Apuane e l’Appennino settentrionale come il risultato complesso di due distinti e successivi processi deformativ i ( riproponendo la teoria della tettonica polifasata): il primo (D1) di tipo collisionale-compressivo responsabile dell’impilamento delle varie unità tettoniche, e il secondo (D2) distensivo-estensionale caratterizzata dallo sviluppo di zone di taglio a basso angolo e faglie normali, responsabili del sollevamento e dell’esumazione delle Unità Strutturali più profonde.

L’area di Campocatino presenta litologie appartenenti all’Unità Autoctona

Apuana (Mesozoico-Terziario, figura 3.7). In particolare sulle vette dei

monti Roccandagia e Tombaccio affiorano marmi risalenti al Lias inferiore.

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3.2.3 Inquadramento naturalistico

Campocatino è un gioiello all’interno del Parco Regionale delle Alpi Apuane, storicamente importante per le comunità locali e mèta di un certo numero di turisti ogni anno. L’area oggetto del presente lavoro ricade all’interno del S.I.R. 21 (Sito di Interesse Regionale, ai sensi della L.R.

56/2000) denominato “Monte Tambura-Monte Sella”, proposto come S.I.C.

(Sito di Interesse Comunitario, ai sensi della Direttiva Habitat) e compreso nella Rete Natura 2000. All’interno della scheda sintetica riguardante il S.I.R. 21, consultabile sul sito internet della Provincia di Lucca, è presente un’analisi dettagliata delle caratteristiche naturalistiche più rilevanti (Grazzini A., Sani A.).

Dal 1991, l’area è divenuta Riserva della L.I.P.U. (Lega Italiana per la Protezione degli Uccelli), poiché ospita specie ornitologiche di particolare interesse. La riserva occupa un territorio di circa 80 ettari e le ripide pareti rocciose che sovrastano la conca, un tempo occupata dal ghiacciaio, rappresentano l’habitat ideale per uccelli come il Gracchio alpino (Pyrrhocorax graculus L.) e il Picchio muraiolo (Tichodroma muraria L.).

Vi nidificano rapaci, sia diurni come la Poiana (Buteo buteo L.) e lo Sparviere (Accipiter nisus L.), sia notturni come il Gufo comune (Asio otus L.) e l’Allocco (Strix aluco L.). Nell’Oasi di Campocatino è possibile osservare anche la “Regina delle montagne”, l’Aquila reale (Aquila chrysaetos L.) che ogni tanto scende dalle cime più alte per ispezionare le praterie in cerca di prede.

Dal punto di vista vegetazionale, nella conca di Campocatino è possibile

osservare due aree ben distinte (figura 3.?): una parte prativa (punteggiata

da zone di brughiera a mirtillo, di ridotte estensioni) e un’area boschiva

posta alle pendici della falesia. Nella scheda relativa al S.I.R. 21 si cita

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anche la presenza, come fitocenosi di interesse, di un “castagneto da frutto su morena glaciale tra Vagli di Sopra e Campocatino” (osservabile lungo la strada carrabile di accesso al sito) e la cui conservazione è posta come obiettivo all’interno del medesimo documento.

Figura 3.7; Campocatino: area boschiva (a sinistra) e area prativa (a destra).

Il prato ricopre la porzione centrale della conca un tempo occupata dal

ghiacciaio e riveste i cordoni morenici. Nella sua porzione centrale si trova

una spianata idromorfa di chiara origine lacustre postglaciale. Le acque

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sinantropiche, ruderali e comunque a larghissima distribuzione, quindi di limitato interesse geobotanico (Bartelletti & Guazzi, 2001). Osservazioni personali durante l’attività di campagna mi hanno permesso di rilevare la presenza della genziana (Genziana asclapiadea L.) interessante per la fioritura vistosa e poiché l’Appenino Toscano e le Apuane rappresentano il limite meridionale della sua distribuzione in Italia.

Il bosco posto alla pendici della falesia del Monte Roccandagia è una

faggeta. Il suo sottobosco ombroso comprende poche specie erbacee. Come

l’area prativa, anche il bosco in passato ha sicuramente risentito dell’azione

antropica, in particolare per quanto riguarda la sua estensione,

probabilmente ridotta per lasciare il posto a zone coltivate e pascoli.

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3.2.3 Inquadramento geomorfologico

L’area di Campocatino può essere definita un geomorfosito, secondo la definizione del termine data da Panizza nel 2001 e ripresa nell’articolo di Reynard e Panizza (2005). Un geomorfosito è una caratteristica geomorfologica del terreno che ha acquisito un valore scientifico, culturale/storico, estetico e/o sociale/economico dovuto alla percezione umana o al suo sfruttamento. Essi possono essere singole forme geomorfologiche o più ampi paesaggi e possono essere modificati, danneggiati, o perfino distrutti dagli effetti delle attività umane. Il valore di un geomorfosito è scarsamente noto alla popolazione e agli scienziati di altre discipline.

Il geomorfosito di Campocatino si distingue soprattutto per le sue caratteristiche geomorfologiche e paesaggistiche. Il sito in questione è, nella catena apuana, uno dei rari esempi di paesaggio modellato dalle ultime glaciazioni e per questo è stato inserito da Bini (2005) nella lista degli elementi che meritano una particolare attenzione ed in quanto tali da valorizzare e conservare. La presenza a Campocatino di un caratteristico villaggio rurale utilizzato in passato per la pratica della transumanza e giunto ai giorni nostri in buono stato di conservazione, aggiunge al sito un alto valore storico-culturale.

Con il passare del tempo, sulla catena apuana molte delle forme glaciali

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glaciali: rimuovendo i massi erratici ed il materiale morenico. Per questa ragione, le poche forme rimaste devono essere salvaguardate con attenzione (Bini, 2005). In effetti, il complesso glaciale di Campocatino è ben conservato e le sue morfologie sono particolarmente adatte a scopi didattici.

L’area oggetto dello studio presenta un’evidente forma complessiva a conca (facilmente osservabile anche da chi non abbia competenze in Geomorfologia), dalla quale deriva il suo toponimo (figura 3.9).

Figura 3.8; Immagine satellitare di Campocatino con coordinate geografiche (DigitalGlobe, 2013).

La zona, nel Pleistocene, era occupata da un piccolo ghiacciaio lungo circa

1 Km che si originava dai monti Tombaccio e Roccandagia e si estendeva

all’interno di una piccola valle glaciale lunga circa 500 m e larga circa 250

m. Il modellamento del paesaggio è stato svolto da più agenti geomorfici.

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L’azione nei secoli di tali agenti ha condotto alla morfologia attuale. Sono presenti forme di origine gravitativa ben individuabili sotto la cresta del Monte Roccandagia e forme dovute al ruscellamento delle acque superficiali (figure 3.9 e 3.10); tuttavia il paesaggio deve la sua morfologia complessiva e caratteristica principalmente all’azione del ghiacciaio pleistocenico, pertanto verranno qui descritte soltanto le forme di erosione e di accumulo di origine glaciale. Per quanto riguarda l’erosione operata dai ghiacci, ben evidente è il circo glaciale scavato nel fianco montuoso (figure 3.9 e 3.10). Quello di Campocatino presenta la tipica forma “a poltrona con braccioli” con pareti a semicerchio, dorsale ripida a forma di cresta sottile e fondo pianeggiante a conca. Riguardo ai depositi, l’area è ricoperta di detrito glaciale, sia sparso che organizzato in cordoni morenici.

Le morene presenti, frutto di oscillazioni frontali hanno nel complesso la tipica forma ad anfiteatro con una cerchia più esterna ed una più interna;

sono alte circa una decina di metri e lunghe circa 500 m. Come osservato

durante il rilevamento geomorfologico, il deposito morenico è costituito

quasi esclusivamente da clasti eterometrici, di marmo, provenienti dal

monte Roccandagia con la presenza di scarsa matrice, a causa del limitato

trasporto. Sulle morene affiorano numerosi massi di trasporto glaciale

(massi erratici) di dimensioni variabili, la cui disposizione caotica è indice

del mancato spostamento ad opera dell’uomo .

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Figura 3.9; Principali geomorfologie rilevate a Campocatino; 2: cordone morenico; 3:

deposito glaciale; 5: deposito fluviale (fluvioglaciale); 6: cono di detrito di origine gravitativa, attivo(7: non attivo); 10: falda di detrito, non attiva (12: attiva); 13: orlo di circo; 16: nicchia di frana di colamento (tratto da Baroni et al, 2013).

Per l’area in questione possiamo ipotizzare la seguente storia evolutiva.

Dopo l’ultimo massimo glaciale di circa 18000 anni fa, i ghiacciai delle

Apuane e tra essi il piccolo ghiacciaio del Monte Roccandagia, che nella

sua massima estensione occupava la conca di Campocatino, hanno iniziato

la loro fase di ritiro. Durante le ultime fasi della glaciazione würmiana e nel

post glaciale si pensa che la massa di ghiaccio abbia subito delle pulsazioni

volumetriche dovute alla stagionalità e ai cambiamenti climatici in atto. Gli

effetti più evidenti di queste pulsazioni volumetriche sono visibili nella

forma del deposito morenico, con la morena esterna più antica di quella

interna. Altre pulsazioni del ghiacciaio, di minore entità, possono essere

registrate all’interno del deposito in maniera meno evidente, sottoforma di

sovrapposizioni del materiale. Tali accavallamenti, spesso non individuabili

ad occhio nudo possono essere investigati tramite l’uso del Georadar e la

loro ricerca all’interno delle morene di Campocatino (si veda capitolo 6) è

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uno degli obiettivi del presente lavoro. Al momento della sua formazione, l’anfiteatro doveva avere la classica forma chiusa, con il materiale morenico a costituire uno sbarramento continuo alla conca erosa dalla massa di ghiaccio. L’area retrostante il cordone morenico, depressa rispetto al territorio circostante, doveva presentare zone di ristagno dell’acqua di scioglimento del ghiacciaio. La progressiva riduzione della massa ghiacciata avrà dato origine alla formazione di veri e propri torrenti fluvioglaciali che, a causa della stretta vicinanza dei rilievi, probabilmente saranno stati caratterizzati da un’alta energia e pertanto da un forte potere erosivo. Nella zona pianeggiante i corsi d’acqua acquisivano probabilmente un andamento caratterizzato dalla presenza di più canali intrecciati tra loro (braided river), tipici di zone a pendenza e granulometria dei sedimenti ancora piuttosto elevate. I fiumi braided sono molto attivi, dotati di energia e capacità di trasporto piuttosto elevate, per cui distruggono e ricostruiscono frequentemente le loro strutture sedimentarie. Il continuo processo di costruzione e demolizione dei canali fa sì che i torrenti intrecciati (braided) siano interessati da ampi e frequenti spostamenti sia delle barre che dei canali con conseguente loro abbandono; tali processi in tempi lunghi possono portare a sostanziali modificazioni dell’alveo e a migrazioni laterali considerevoli.

La dinamica fluviale descritta può corrispondere ad una delle fasi

dell’evoluzione post glaciale di Campocatino. Nel presente lavoro, per dare

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interessato dalle azioni morfodinamiche successive; sopra questo si trovano: sia sedimenti erosi dal ghiacciaio e presi in carico dal torrente, sia sedimenti erosi direttamente dalle acque di ruscellamento e da esse depositati; ci saranno, inoltre, sedimenti di minori dimensioni di origine lacuo-palustre. Il deposito ghiaioso si trova pertanto intervallato a livelli siltosi di probabile origine palustre (meno permeabili all’acqua rispetto alle ghiaie). La conca in questione, anche a causa della presenza di strati di sedimenti impermeabili, viene periodicamente ricoperta da una lama sottile di acqua di ristagno al verificarsi del disgelo e di piogge particolarmente abbondanti.

Per quanto riguarda la costruzione della piana di Campocatino non è noto

se tra le fasi già illustrate si sia verificato anche un vero e proprio stadio

lacustre. Erano presenti le condizioni geomorfologiche e climatiche

(presenza di una depressione chiusa, grande quantità di acqua di disgelo)

adatte a consentire un ampio ristagno d’acqua per un lungo periodo, ma ad

oggi non abbiamo dati sufficienti ad avallare questa ipotesi. Per quanto

riguarda gli strati depositati dalle acque ferme delle pozze di ristagno o

dell’eventuale lago, va sottolineata l’importanza che tali depositi possono

assumere. Nelle fasi finali della vita di un lago, infatti, a causa del trasporto

di materiale si assiste al progressivo riempimento dello stesso, che si

trasforma prima in palude per finire poi completamente interrato. Durante

la fase palustre si possono sedimentare depositi più o meno estesi di torba,

formata da materiali carboniosi di prevalente origine vegetale, come

muschi e legname. Le torbiere sono di fondamentale importanza per le

ricostruzioni paleoambientali: la torba inglobando al suo interno parti

vegetali e granuli di polline può fornire informazioni sulla flora dell’area in

quel momento e sulle condizioni climatiche. La presenza di materiale

organico è inoltre di fondamentale importanza per la datazione dei depositi

attraverso i metodi radiometrici che si basano sull’emissione di radiazioni

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da parte degli isotopi chimici instabili di alcuni elementi. Agli eventuali depositi di torba di Campocatino potrebbe essere applicato il metodo del radiocarbonio che sfrutta il decadimento del C

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e che ha un impiego ottimale su materiale fossile non più antico di 50000 anni. L’uso del GPR sulla piana fluvioglaciale della località apuana potrebbe evidenziare la presenza di canali o pozze, magari riempiti da terreni torbosi ed aprire così la strada a studi più specifici mirati alla collocazione temporale delle fasi evolutive della piana stessa o ad una precisa ricostruzione paleoambientale della’area.

Nello stadio finale della costruzione della piana l’azione erosiva delle

acque di scorrimento ha prevalso sugli altri agenti geomorfici. L’erosione

operata dal torrente sulla fronte del cordone morenico ha portato, così, al

delinearsi della situazione attuale, per la quale Campocatino non è più una

conca chiusa.

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