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I Social Media nel settore bancario

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Marketing e Ricerche di Mercato

Tesi in Marketing dei Servizi

“I social media nel settore bancario”

Il Candidato

Il Relatore

Barnaba Zoffoli

Prof.ssa Antonella Angelini

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Sommario

Introduzione ... 4

Capitolo1 – I social media ... 6

1.1 Il fenomeno dei social media ... 6

1.1.1 Web 2.0 e social media ... 7

1.1.2 Le aree dei social media ... 12

1.1.3 L’ecosistema dei social media e gli utenti/consumatori ... 17

1.2 Marketing e social media ... 19

1.2.1 Il contributo dei social media al marketing e le implicazioni per la struttura organizzativa ... 23

1.2.2 Il miglioramento delle relazioni con il cliente grazie ai social media ... 26

Capitolo 2 – I social media e le banche ... 32

2.1 Il ruolo dei social media nel marketing bancario ... 32

2.1.1 La tecnologia nelle banche: self-service technology, Internet e social media34 2.1.2 Social media per le banche: opportunità e rischi ... 36

2.2 Applicazioni dei social media nel marketing bancario ... 38

2.2.1 Complementarità tra social media e canali tradizionali ... 42

2.3 Dati sull’utilizzo dei social media da parte delle banche in Italia ... 44

2.3.1 Implicazioni organizzative di una strategia di social media marketing... 46

2.3.2 Le banche native digitali ... 47

2.4 L’impatto dei social media sul rapporto tra banche e clienti ... 48

2.4.1 La crisi di fiducia nel sistema creditizio: i social media possono aiutare a recuperare la fiducia dei clienti? ... 53

2.5 Privacy e compliance nei canali digitali per le comunicazioni tra banche e clienti ... 57

Capitolo 3 - Le metriche per i social media ... 62

3.1 Metriche e sistemi di misurazione ... 62

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3.1.2 Sistemi di misurazione delle performance: partire dagli obiettivi ... 68

3.1.3 Ascolto, monitoraggio e misurazione ... 70

3.1.4 Metodologie di analisi ... 73

3.2 Metriche e indicatori ... 76

3.2.1 Metriche dei principali social networking sites ... 79

3.2.2 Engagement ... 85

3.2.3 Social Media ROI ... 88

Capitolo 4 – Analisi dell’attività delle banche nei social media ... 92

4.1 Monitoraggio dei profili social ... 92

4.2 Facebook ... 96

4.3 Twitter ... 105

4.4 Youtube ... 113

4.5 Risultati dell’analisi dei contenuti ... 118

4.6 Considerazioni conclusive ... 121

Conclusioni ... 123

Bibliografia ... 124

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Introduzione

La diffusione e la penetrazione del Web 2.0 e dei social media, nelle loro varie declinazioni, nella quotidianità della popolazione mondiale dimostrano che questi strumenti di socializzazione sono in grado influenzare profondamente molti aspetti della vita delle persone, primo fra tutti le pratiche di consumo, non soltanto di prodotti o servizi, ma anche di relazioni interpersonali; e, in vista di ciò, i social media hanno visto progressivamente aumentare il proprio peso nelle strategie di marketing delle aziende: il grado di pervasività nella vita delle persone raggiunto dai siti di social network, da blog e piattaforme di microblogging, applicazioni di messaggistica istantanea, piattaforme di photo/video sharing, spinge sempre più aziende, in settori e mercati diversi, a stabilire un proprio presidio in tali contesti, creando profili e pagine online. La finalità è cogliere le opportunità di business che questi strumenti sono in grado di offrire, soprattutto in termini di espansione del mercato raggiungibile, customer retention, senza dimenticare che rappresentano una preziosa fonte di informazioni sul comportamento e sulla mentalità dei consumatori.

Anche il settore dei servizi bancari ha visto un numero crescente di banche, in Italia e nel mondo, avvicinarsi ai canali social, utilizzandoli in diversi ambiti della comunicazione e per perseguire obiettivi di marketing in particolare nell’ambito del mercato retail. Le banche, danneggiate dalla perdita di fiducia delle persone nel sistema bancario, scatenata dalla crisi finanziaria del 2008 e alimentata nel corso degli ultimi anni dal susseguirsi di scandali giudiziari, si sono dimostrate particolarmente interessate dalla possibilità di usare i social media per ricostruire una relazione positiva con la collettività. Sotto questo aspetto, la comunicazione e le tecniche di social media marketing possono costituire validi strumenti per raggiungere diversi obiettivi, in termini di brand reputation, di conoscenza del sentiment dei consumatori, nonché di miglioramento dell’esperienza di servizio fornita ai clienti.

Questi elementi rendono interessante la possibilità di studiare in che modo avvenga l’implementazione dei social media nelle strategie di marketing delle banche operanti in Italia e quali siano le opportunità e i rischi connessi.

Il presente lavoro, pertanto, si propone di analizzare le modalità adottate dagli operatori del settore dei servizi bancari in Italia nell’utilizzare i social media per scopi di marketing e comunicazione, aprendo un focus in particolare sulle diverse metriche che descrivono le performance di social media marketing.

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Nel primo capitolo, si tenta di fornire un quadro il più chiaro e completo possibile delle caratteristiche tecniche delle piattaforme di social media e della “filosofia” alla base del Web 2.0, partendo dalle definizioni reperibili in letteratura; si espongono, inoltre, gli obiettivi cui possono contribuire e le funzioni principali che possono assolvere le diverse tipologie di social media nel quadro di una strategia di marketing, gli effetti che ne possono scaturire per l’attività aziendale e le implicazioni per la struttura organizzativa.

Nel secondo capitolo i concetti espressi nel capitolo precedente vengono calati nelle specificità del settore dei servizi bancari, prendendo come punto di partenza, insieme a diverse fonti offerte dalla letteratura, l’indagine svolta dall’ABI nell’ottobre del 2016, che ha avuto ad oggetto il rapporto tra i social media e le banche operanti in Italia. Si descrive, così, il ruolo del Web 2.0 e dei social media nel settore bancario, le applicazioni di marketing in questo particolare business, le necessità che possono spingere gli istituti di credito a far uso dei social media, le opportunità e i rischi collegati, soprattutto per quanto riguarda il rapporto con i clienti e la questione della fiducia (di particolare rilevanza in questo settore).

Il terzo capitolo si concentra sul tema delle metriche e degli indicatori utilizzabili, nell’ambito del social media marketing, per misurare l’andamento delle attività intraprese dall’organizzazione tramite le proprie pagine social. Partendo dalla letteratura di riferimento, si spiega l’importanza di strutturare un sistema di valutazione delle performance dei profili aziendali nei social network, con le relative metodologie di monitoraggio e analisi; inoltre vengono presentati un elenco e una descrizione delle principali metriche per diverse piattaforme, affrontando in particolare i temi dell’engagement degli utenti e del social media ROI.

Infine, nel quarto e ultimo capitolo, è descritta l’attività di monitoraggio delle pagine social di nove banche, nei tre social network principalmente utilizzati dalle banche italiane (Facebook, Twitter e Youtube), nel periodo intercorso tra il 1 maggio e il 30 giugno 2017: tale monitoraggio ha avuto l’obiettivo di studiare, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo, come vengono curate la presenza e la comunicazione degli istituti nelle piattaforme social in un’ottica di marketing. I dati raccolti e le metriche analizzate sono presentati suddivisi per social network; inoltre vengono presentati i risultati della content analysis condotta sui post, tweet e video pubblicati dalle banche selezionate durante il periodo considerato per il monitoraggio.

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Capitolo1 – I social media 1.1 Il fenomeno dei social media

Si può affermare, probabilmente senza dover temere di esagerare, che i social media rappresentano nelle loro applicazioni più recenti una vera rivoluzione nel modo di concepire la comunicazione e la condivisione di informazioni, che sempre più spesso assumono la forma di contenuti generati e modificabili dalla comunità di utenti. Già l’avvento del Web 1.0 aveva contribuito ad abbattere i vincoli spaziali e temporali del mondo fisico creando un mondo virtuale in cui è possibile comunicare liberamente con utenti connessi da ogni parte del mondo; ora il Web 2.0 e i social media, grazie anche alle innovazioni tecnologiche che hanno esteso a sempre più persone la possibilità di accedere a Internet dovunque e in qualunque momento, hanno ridotto ancora di più le distanze tra le persone, le hanno avvicinate come mai era stato possibile nella storia dell’uomo, pur essendo costantemente divise, filtrate da uno schermo e una tastiera. Si ha la sensazione che non siamo mai stati così vicini e allo stesso tempo così lontani. I social media hanno dimostrato di poter influenzare profondamente molti aspetti della vita delle persone, primo fra tutti le pratiche di consumo, non soltanto di prodotti o servizi, ma anche di relazioni interpersonali. Guardando all’uso che viene fatto quotidianamente da molti utenti degli strumenti e delle applicazioni dei social media, probabilmente un Aristotele di oggi direbbe che l’uomo è un animale “social”, mentre un Hobbes, sempre in omaggio a Plauto, potrebbe arrivare ad affermare che l’uomo è “leone da tastiera” per l’altro uomo. Non deve stupire comunque che un numero crescente di aziende e organizzazioni di diverse tipologie decida di aggiungere i social media al ventaglio di canali attraverso cui comunicare con il proprio pubblico obiettivo, oppure di adottarli come principale mezzo di comunicazione, di ascolto, persino di assistenza verso i clienti. Il livello di pervasività nella vita delle persone raggiunto dai siti di social network, da blog e piattaforme di microblogging, applicazioni di messaggistica istantanea, giustifica e, anzi, rende necessaria la presenza in questi contesti delle aziende che vogliano sviluppare le opportunità di business che questi strumenti potenzialmente o attualmente offrono. La questione diventa allora capire e misurare quale sia l’impatto delle attività di marketing svolte tramite questi mezzi sugli obiettivi generali che le imprese si prefiggono.

Per riuscire a padroneggiare i social media con finalità di marketing, le aziende devono conoscere le dinamiche che li caratterizzano, devono conoscere il contesto e le

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funzionalità che offrono, devono stabilire un piano di social media marketing basato su obiettivi chiari e misurabili che si rispecchino nelle direttrici impostate dagli obiettivi strategici di business. L’identificazione della piattaforma o dello strumento specifico nel panorama in continua evoluzione dei social media deve discendere da un’attenta preparazione organizzativa in cui rientrino i passi enunciati. Trattandosi di pratiche e mezzi relativamente nuovi per la maggior parte delle organizzazioni, spesso queste passano per una fase iniziale di sperimentazione, un processo trial and error, prima di approdare a metodologie di utilizzo consolidate e adatte alle proprie specifiche esigenze. Tuttavia, una volta superata questa prima fase sperimentale, niente può essere lasciato al caso: le aziende devono avere la piena consapevolezza che nei social media sono poste sullo stesso piano di tutti gli altri utenti e questi, nella veste di consumatori, hanno un potere molto superiore in termini di selezione di quali messaggi ascoltare o ignorare e di quali aziende punire o premiare sfruttando le funzionalità e la portata messe a loro disposizione dai social.

1.1.1 Web 2.0 e social media

Sono state date varie definizioni di social media, ma la più accreditata e citata è quella fornita da Kaplan e Haenlein (2010) secondo i quali “in base alla loro storia, alle loro origini, i social media possono essere definiti come un gruppo di applicazioni Internet-based costruite sulle fondamenta ideologiche e tecnologiche del Web 2.0, che consentono la creazione e lo scambio di contenuti generati dagli utenti”. Gli stessi autori sostengono che il trend attuale dei social media può essere visto come un’evoluzione che in parte recupera le origini di Internet, riportando il World Wide Web a ciò per cui era stato creato, ossia una piattaforma per facilitare lo scambio di informazioni tra utenti; l’idea alla base dei social media, quindi, non sarebbe innovativa, ma lo sarebbero le applicazioni e le tecnologie che le rendono possibili (Kaplan e Haenlein, 2010). Per comprendere meglio questa definizione è necessario definire i concetti di Web 2.0 e contenuti generati dagli utenti (UGC, user generated content). Tim O’Reilly (2005) per descrivere il Web 2.0 afferma che questo concetto “fa riferimento agli sviluppi della tecnologia online che consentono l’uso di funzionalità interattive in un ambiente caratterizzato da controllo dell’utente, libertà e dialogo”. Rifacendosi in parte a questa descrizione, Constantinides e Fountain nel 2008 scrivono che il Web 2.0 è “un insieme di applicazioni online opensource, interattive e controllate dall’utente che espandono le esperienze, la conoscenza e il potere di mercato degli utenti come partecipanti a processi

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di business e sociali. Le applicazioni del Web 2.0 supportano la creazione di reti informali di utenti, facilitando il flusso di idee e conoscenza, in modo tale da consentire una efficiente creazione, disseminazione, condivisione ed edizione dei contenuti e delle informazioni”. In sostanza si tratta di un nuovo modo in cui sviluppatori di software e utenti finali hanno iniziato a usare il World Wide Web, ossia come una piattaforma in cui contenuti e applicazioni non sono più solo creati e pubblicati da individui, ma sono continuamente modificati da tutti gli utenti in modo partecipato e collaborativo (Kaplan e Haenlein, 2010). Il Web 1.0 si caratterizzava per la pubblicazione di contenuti e informazioni da parte di una fonte autorevole ed esperta di un particolare tema o settore, a beneficio di un vasto pubblico di utenti confinati nel ruolo di destinatari passivi; invece nel Web 2.0 il fattore fondamentale è la partecipazione attiva dell’utente che diventa co-produttore dei contenuti. Ciò, unitamente alla moltiplicazione dei canali e dei format comunicativi, all’affermazione di social network e di comunità online di utenti connessi, alla riduzione dell’asimmetria nella comunicazione tra azienda e pubblico (Fraia, 2015), ha condotto all’evoluzione da un modello comunicativo con caratteristiche ancora simili a quelle della comunicazione nei media tradizionali (verticale, indirizzata da uno a molti, unidirezionale) verso un modello multidirezionale e multimodale (Tuten e Solomon, 2014). Grazie all’elevata interattività resa possibile dal Web 2.0, i consumatori possono assumere un ruolo attivo di co-creazione dei prodotti/servizi (Hanna et al., 2011); questo implica, dal punto di vista dei clienti, un modo nuovo di intendere le relazioni con i brand e con gli altri clienti: i consumatori, infatti, “usano sempre di più i media digitali non solo per cercare prodotti e servizi, ma per coinvolgere le imprese da cui acquistano, nonché altri consumatori che possono avere conoscenze di valore” (Garretson, 2008, p.12).

Il termine UGC indica, invece, le varie forme di contenuti mediali disponibili al pubblico e creati dagli utenti; in sostanza comprende tutti i modi in cui le persone usano i social media. Secondo l’OCSE (2007), per essere considerato tale, un contenuto generato dall’utente deve soddisfare tre requisiti: deve essere pubblicato su un sito web pubblicamente accessibile o su un sito di social network accessibile a un gruppo di persone; deve testimoniare l’esercizio di uno sforzo creativo; deve essere creato al di fuori del contesto delle pratiche e dei processi professionali. Il primo requisito esclude lo scambio di contenuti tramite email e messaggi istantanei; il secondo esclude la replicazione di contenuti già esistenti; il terzo esclude tutti i contenuti creati per scopi commerciali (Kaplan e Haenlein, 2010). I contenuti rappresentano l’unità di valore

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fondamentale nei social media (Tuten e Solomon, 2014), sono la linfa che alimenta il sistema di condivisione su cui poggia la struttura delle reti di relazioni tra gli utenti. Nel corso degli anni sono comparse numerose piattaforme riconducibili a diverse tipologie di social media, che Kaplan e Haenlein (2010) sostengono possano essere classificate attingendo a concetti delineati nelle teorie nel campo della ricerca sui media (social presence, media richness) e sulle dinamiche sociali (presentation, self-disclosure). Per quanto riguarda la dimensione mediatica dei social media, la social presence theory afferma che i media si differenziano in base al grado di presenza sociale che consentono di instaurare tra due soggetti comunicanti (dove la presenza sociale è il contatto a livello visivo, fisico e uditivo che può essere stabilito). La presenza sociale è influenzata dal grado di intimità (comunicazione interpersonale vs comunicazione mediata) e immediatezza (comunicazione asincrona vs comunicazione sincrona) della comunicazione consentito dal mezzo. In particolare, la presenza sociale si ritiene minore nelle comunicazioni mediate rispetto a quelle interpersonali, e nelle comunicazioni asincrone rispetto a quelle sincrone. Maggiore è il livello di presenza sociale, maggiore è l’influenza che i partecipanti alla comunicazione esercitano sul comportamento l’uno dell’altro.

Il concetto di ricchezza del mezzo di comunicazione esposto nella media richness theory è strettamente connesso alla presenza sociale. La media richness theory si basa sul presupposto che l’obiettivo di ogni comunicazione è la risoluzione dell’ambiguità e la riduzione dell’incertezza e i mezzi di comunicazione si differenziano rispetto alla loro ricchezza, ossia la quantità di informazioni che consentono di trasmettere in un intervallo di tempo determinato; pertanto esistono dei media più efficaci di altri nel ridurre ambiguità e incertezza.

Riguardo la dimensione sociale dei social media, il concetto di self-presentation afferma che, in ogni interazione sociale, le persone provano il desiderio di controllare l’idea che altri individui si fanno di loro. Questa presentazione (o rappresentazione) del sé nell’ambiente esterno, sia fisico che virtuale, a contatto con altre persone, avviene attraverso la conscia o inconscia rivelazione di informazioni personali coerenti con l’idea di sé stessi che si vuole trasmettere, ossia attraverso la self-disclosure.

Combinando questi diversi aspetti è possibile dividere i social media in diverse tipologie. I progetti collaborativi e i blog hanno un livello basso di social presence e media richness perché sono basati per lo più su contenuti testuali e quindi consentono scambi di informazioni relativamente semplici. A un livello medio vi sono le content

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communities e i social network, poiché consentono di pubblicare contenuti non solo testuali, ma anche foto, video e audio. A livello più elevato vi sono i virtual social world e i virtual game world, che cercano di replicare tutte le dimensioni delle interazioni faccia a faccia in un mondo virtuale. Dal punto di vista della presentation e self-disclosure, i blog consentono un grado maggiore di questi due aspetti rispetto ai progetti collaborativi, poiché questi ultimi si concentrano in genere su ambiti di contenuto specifici. In modo simile, i social network permettono una maggiore self-disclosure rispetto alle content community. Infine i virtual social world permettono un livello maggiore di self-disclosure rispetto ai virtual game world, poiché questi presentano in genere caratteristiche e regole più stringenti che indirizzano gli utenti ad assumere determinati ruoli e comportamenti.

Affrontando nello specifico le sei tipologie di social media, i progetti collaborativi fanno sì che gli utenti finali si uniscano e partecipino alla creazione simultanea di contenuti. L’idea di fondo è che uno sforzo congiunto di più soggetti possa condurre all’ottenimento di un risultato migliore di quello derivante da un’azione individuale. Nei progetti collaborativi si possono ricomprendere i wiki (siti che permettono agli utenti di aggiungere, modificare o rimuovere contenuti di testo) e applicazioni di social bookmarking (che consentono raggruppare e valutare con un punteggio link e contenuti mediatici).

I blog rappresentano la prima forma di social media e sono dei siti web in cui i contenuti (perlopiù di testo) pubblicati sono visualizzati in ordine cronologico, dal più recente al più datato. Sono generalmente gestiti da una sola persona, ma consentono ad altri utenti di interagire attraverso l’inserimento di commenti. I blog possono rappresentare un rischio per le aziende quando, ad esempio, clienti insoddisfatti o delusi decidono di esprimere le loro lamentele e proteste tramite questo tipo di siti web, danneggiando l’immagine e la reputazione dell’azienda nella spazio virtuale (e di conseguenza anche in quello reale). Inoltre, anche i dipendenti stessi dell’azienda possono danneggiare la reputazione aziendale se intervengono sui blog in risposta ai clienti in maniera sbagliata, oppure scrivendo loro in prima persona cose negative sull’azienda; questo è vero non solo per i blog, ma anche per altre piattaforme di social media, come i social network. Pertanto una delle priorità dell’impresa deve essere la definizione di una chiara social media policy, in cui si stabiliscono le modalità di intervento sulle piattaforme e chi ne ha la responsabilità.

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Le content community si incentrano sulla condivisione tra gli utenti di contenuti mediatici, che possono essere testuali, foto, video, audio. L’elevata popolarità delle content community le rende un canale di contatto con i clienti molto interessante per le aziende. Tuttavia queste piattaforme di condivisione presentano il rischio di facile diffusione non autorizzata di contenuti coperti da copy-right da parte di utenti o degli stessi dipendenti. Per quanto riguarda questi ultimi, anche qui una chiara social media policy gioca un ruolo determinante nello stabilire quali contenuti possono o non possono essere pubblicati e chi è autorizzato a farlo.

I social network sono siti che permettono agli utenti di creare profili personali, invitare altri utenti ad avere accesso ai loro profili (i cosiddetti amici), inviare email o messaggi istantanei. Le aziende possono sfruttare queste piattaforme, ad esempio, per promuovere la creazione di community intorno ai loro brand, raccogliere dati utili a completare ricerche di mercato, implementare un servizio di assistenza clienti.

I mondi virtuali sono piattaforme che riproducono un ambiente tridimensionale in cui gli utenti possono interagire con modalità simili alla vita reale utilizzando degli avatar. Si distinguono virtual game world, in cui gli utenti agiscono e assumono comportamenti sulla base di una serie di regole nel contesto dei giochi di ruolo multigiocatore di massa online (MMORPG, massive multiplayer online role-playing game); e virtual social world, dove gli utenti possono interagire più liberamente e in pratica vivere una vita virtuale simile alla vita reale. Non vi sono regole stringenti come nei virtual game world che limitano le possibilità di interazione, perciò gli utenti possono adottare un’ampia gamma di strategie di self-presentation, ed è stato dimostrato che con il crescere dell’intensità dell’esperienza virtuale, gli utenti mostrano comportamenti sempre più simili a quelli generalmente adottati in contesti reali.

I social media utilizzati dalle organizzazioni per attività di marketing possono essere classificati in owned media, earned media e paid media (Corcoran, 2009; Hanna et al., 2011; Tuten e Solomon, 2014). Gli owned media comprendono i canali posseduti e gestiti direttamente dall’azienda (ad esempio la pagina aziendale su Facebook, il canale YouTube, i profili su Twitter e Instagram); le attività promosse e i messaggi veicolati tramite questi strumenti sono sotto il controllo dell’organizzazione, che può creare e condividere contenuti, offrire promozioni, assistere i clienti, il tutto a costi molto ridotti. Si tratta degli spazi virtuali in cui i clienti attuali o potenziali possono raggiungere l’azienda ed entrarvi in contatto; spesso vi gravita intorno la community di ammiratori

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del brand (se l’azienda è riuscita a crearla) che possono interagire con l’azienda e con altri utenti.

Gli earned media sono costituiti da tutti quegli ambienti virtuali in cui l’azienda ha una presenza “indiretta” perché menzionata da altri utenti in contesti in cui l’azienda non ha pieno controllo, che anzi si trova nelle mani degli utenti stessi. In questi luoghi (ad esempio forum di discussione, gruppi di Facebook, blog e siti web, siti di e-commerce che comprendono le recensioni degli utenti) si sviluppa la parte in assoluto preponderante del passaparola online (eWOM, electronic Word Of Mouth), positivo e negativo. Come accennato, l’organizzazione non può esercitare un controllo diretto sui contenuti e i messaggi veicolati che la riguardano; tuttavia, può e deve attivare strumenti di monitoraggio e ascolto delle conversazioni in atto e intervenire, assumendo ovviamente una posizione paritetica rispetto agli altri utenti, per dire la sua o per rispondere alle istanze che le vengono presentate.

I paid media comprendono, invece, le pubblicità a pagamento effettuate dall’azienda per spingere la comunicazione aumentandone la portata. Si tratta, pertanto, non di contenuti generati in maniera organica o di menzioni degli utenti, ma di annunci sponsorizzati sui motori di ricerca e banner pubblicitari nei siti web (cosiddetti display ad), che hanno lo scopo di portare l’utente a cliccare per essere reindirizzato su una landing page appositamente creata e, auspicabilmente, condurlo a concludere un acquisto (conversione).

Tutti questi strumenti e piattaforme hanno modificato lo spazio di azione del marketing, rafforzando la capacità dei consumatori di connettersi, condividere, collaborare e creare nuove sfere di influenza su cui le aziende possono agire (Hanna et al., 2011).

1.1.2 Le aree dei social media

Alla classificazione proposta da Kaplan e Haenlein (2010), può essere accostato lo schema delineato da Tuten e Solomon (2014) per individuare le quattro aree principali dei social media. Ogni area si distingue per una serie di obiettivi specifici, che possono essere perseguiti al meglio sfruttando le peculiarità di diverse combinazioni degli strumenti precedentemente elencati. Le aree dei social media in cui è possibile mettere in campo le attività di marketing sono: social community, social publishing, social commerce e social entertainment.

Le social community sono canali di social media incentrati sulle relazioni: a ben vedere tutti i canali di social media si fondando sulle reti di relazioni, ma nelle social

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community in particolare, la costruzione e il mantenimento di relazioni sono i motivi principali che spingono gli utenti a partecipare attivamente. Pertanto, gli elementi fondamentali delle social community sono la condivisione di esperienze, la socializzazione tra i membri della comunità, le conversazioni (Tuten e Solomon, 2014). Muniz e O’Guinn (2001) le definiscono come “comunità specializzate, senza vincoli geografici, basate su un insieme strutturato di relazioni sociali tra ammiratori di una marca”. Una brand community consiste quindi in un gruppo di persone che mostrano e condividono interesse per una marca, creando così una sottocultura intorno alla marca stessa con i propri valori, miti, gerarchia, rituali e vocabolario (Tsimonis e Dimitriadis, 2014). Le aziende possono creare community intorno ai propri brand per coinvolgere maggiormente le persone, renderle partecipi nella co-creazione di prodotti e servizi e apprendere informazioni dalle interazioni con e tra i membri. Hanno inoltre la possibilità di monitorare, tramite attività di social media listening, le conversazioni che avvengono in social community nate al di fuori del controllo delle imprese e possono decidere di prendervi parte in maniera diretta. Le social community possono riguardare in generale il settore in cui opera un’organizzazione, ma più spesso ruotano attorno a determinati marchi, a proposito dei quali gli utenti si scambiano informazioni, condividono le proprie esperienze di acquisto e utilizzo/fruizione, riuscendo a influire sui processi decisionali di acquisto degli individui. Le social community nascono per diversi scopi, come sostenere o boicottare un’azienda, coinvolgendo appassionati sostenitori della marca o suoi detrattori. Bisogna sottolineare il fatto che i contenuti e le conversazioni all’interno delle community non sono necessariamente chiusi o limitati agli utenti che vi partecipano assiduamente e attivamente, ma, se gli amministratori della community non hanno previsto limitazioni in tal senso, possono raggiungere un vasto pubblico: ad esempio, grazie ai meccanismi di indicizzazione dei motori di ricerca, forum e pagine dei social network che racchiudono community di utenti possono comparire nelle SERP (Search Engine Results Page) risultanti per determinate parole chiave cercate dalle persone, che quindi possono entrare occasionalmente in contatto con una community e apprendere le informazioni ricercate.

Le attività di social publishing sono volte a diffondere contenuti a un pubblico tramite canali quali blog, piattaforme di microblogging, siti di media sharing, siti di bookmarking, aggregatori di news. Per gli operatori di marketing, il social publishing serve ad aumentare l’esposizione del pubblico obiettivo ai messaggi del brand e ad attrarre traffico sugli owned media (Tuten e Solomon, 2014). Per raggiungere questi

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obiettivi, gli operatori di marketing possono ricorre a tecniche SEO (Search Engine Optimization) di ottimizzazione dei contenuti pubblicati e delle caratteristiche del sito per consentire ai web crawler dei motori di ricerca di indicizzarli e categorizzarli nel modo desiderato, aumentando le probabilità che questi vengano presentati in posizioni migliori nelle SERP per specifiche query (chiavi di ricerca); inoltre, possono ricorrere a tecniche SMO (Social Media Optimization) finalizzate ad accrescere le probabilità che i contenuti pubblicati su una determinata piattaforma di social media ottengano più impression (cioè siano maggiormente visibili) e più link in entrata, favorendo anche una migliore indicizzazione sui motori di ricerca, in sinergia con le attività SEO. Tuttavia, alla base deve esserci un contenuto coinvolgente e di qualità, che attiri una sufficiente quantità di traffico in modo organico. Una tecnica di scrittura rivelatasi particolarmente efficace per la comunicazione aziendale nei social media è lo storytelling (Fraia, 2015). La veicolazione di un messaggio (anche relativo a un marchio) attraverso la narrazione di una storia in forma di racconto sfrutta una delle due particolari forme in cui si articola il pensiero umano, definita pensiero narrativo (Weick, 1995), dove l’altra è il pensiero paradigmatico o scientifico. Lo storytelling si connette al pensiero narrativo perché “mentre il pensiero scientifico si fonda su ragionamenti di tipo paradigmatico e razionale, tutto quanto riguarda le relazioni tra persone, la cultura e, più in generale, la dimensione sociale dell’esperienza, è organizzato, pensato ed espresso in forma narrativa” (Fraia, 2015, p. 86). Le storie hanno un profondo effetto sul pensiero umano perché consentono alle persone di immedesimarsi con i personaggi, di provare empatia, di attribuire significati personali agli eventi narrati e, inoltre, possono essere memorizzate più facilmente, soprattutto se hanno un forte contenuto emozionale. Costruire e narrare una storia intorno a un’azienda, un brand, un prodotto o un servizio, consente ai destinatari del racconto di attivare un processo di sensemaking (Weick, 1995), ossia di creare universi di senso riguardo all’oggetto del discorso e al rapporto tra la propria identità e l’oggetto stesso: “il consumo post-moderno è in gran parte consumo di storie acquistate per il contributo che possono dare ai nostri processi identitari. In questa accezione, le storie incorporate nei beni e nei servizi sono dispositivi portatori di significati che ci aiutano ad affrontare il complesso compito di costruzione delle nostre identità sempre più frammentate, incerte e costantemente in costruzione” (Fraia, 2015, p.88). nel contesto dei social media e del Web 2.0, gli operatori di marketing devono considerare che, rispetto al modello dell’interruption marketing, le aziende non hanno più i controllo totale sulle storie che le riguardano, le quali possono essere facilmente

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modificate dagli utenti, e non vi è più (o comunque è molto ridotta) l’asimmetria di potere a loro vantaggio rispetto al pubblico; al contempo, però, possono sfruttare la trans-medialità dei contenuti digitali e format diversificati che consentono tecniche innovative di narrazione, per coinvolgere in misura maggiore i destinatari della comunicazione.

Nell’area del social commerce rientrano applicazioni e strumenti che consentono di utilizzare i social media per favorire l’acquisto e la vendita online di prodotti e servizi. Il social commerce è un sottoinsieme dell’e-commerce, dove il venditore e l’acquirente, grazie alle applicazioni dei social media, possono interagire direttamente e collaborare durante l’esperienza di acquisto e di utilizzo. Un elemento importante è l’attivazione di comportamenti di social shopping: i consumatori sono invogliati a interagire e collaborare durante l’acquisto con gli altri utenti, attraverso sistemi di recensioni e valutazioni dei prodotti/servizi venduti in siti e aggregatori di occasioni, mercati di social shopping e vetrine social (Tuten e Solomon, 2014). Le valutazioni (punteggi attribuiti dagli acquirenti a un prodotto o servizio) e le recensioni (commenti che esprimono un giudizio sul prodotto/servizio e che spesso accompagnano le valutazioni) sono tra i contenuti generati dagli utenti in grado di esercitare la maggiore influenza sui processi di acquisto: costituiscono sia delle fonti nei momenti di ricerca di informazioni e valutazione delle alternative, sia elementi di rinforzo una volta presa la decisione di acquistare. Inoltre rappresentano una risorsa importante per gli operatori di marketing, in quanto forniscono dei feedback che possono essere analizzati per capire l’atteggiamento dei clienti nei confronti dell’azienda, della marca, del prodotto/servizio e per verificare l’efficacia delle strategie adottate; in particolare, le recensioni negative relative a un disservizio danno all’azienda l’opportunità di attivare azioni di service recovery che, se effettuate in modo eccellente, possono portare non solo al recupero della relazione con il cliente, ma anche a un aumento della sua soddisfazione persino maggiore rispetto all’eventualità di una prestazione soddisfacente fin dall’inizio: questo fenomeno nella teoria del marketing dei servizi viene definito paradosso del recupero (Zeithaml et al., 2012). Tuttavia non vi è in realtà garanzia che ciò si verifichi e alcune ricerche mostrano come, anche in caso di recupero eccellente, le intenzioni di riacquisto e la percezione che il cliente ha dell’immagine dell’azienda non migliorino necessariamente nel lungo periodo. Inoltre è necessario considerare il fatto che la maggior parte dei clienti insoddisfatti non espongono affatto le proprie rimostranze in

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maniera diretta all’azienda, ma semplicemente non ripetono l’acquisto; nel peggiore dei casi, diffondono anche passaparola negativo.

Infine, i canali di social entertainment comprendono i mondi virtuali descritti da Kaplan e Haenlein (2010), giochi social, console che supportano funzioni social e comunità di intrattenimento (Tuten e Solomon (2014). In questo campo, le aziende possono sviluppare diverse tattiche come, ad esempio, creare giochi branded o inserire display ad in giochi social. Un ulteriore caso interessante di applicazione del social entertainment può essere individuato nella Social TV (Monotti Graziadei, 2015), definita come “l’insieme di azioni e interazioni generate sui social network il cui tema è la programmazione televisiva” (Colletti e Materia, 2012). Gli aspetti più interessanti della Social TV sono le piattaforme tecnologiche che consentono le interazioni e le dinamiche comportamentali del pubblico. Le aziende possono sfruttare la popolarità dei programmi televisivi commentandoli in diretta sui social network, interagendo con gli account ufficiali dei programmi e, di conseguenza, raggiungendo un pubblico più vasto di destinatari del messaggio. Uno strumento molto efficace in tal senso è Twitter, come dimostra il caso emblematico del successo e la conseguente diffusione virale dei contenuti generati da Oreo durante il blackout del Super Bowl del 2013. A riprova del fatto che il collegamento tra intrattenimento e social media è sempre più forte e rappresenta una interessante fonte di opportunità, Facebook nel 2014 ha iniziato a investire nel campo della realtà virtuale acquisendo Oculus VR, la società che sviluppa e produce il visore Oculus Rift (DigitalTrends, 2016). I visori per la realtà virtuale sono una tecnologia concepita inizialmente per il mercato videoludico, ma che presente un’ampia varietà di possibilità applicative, non solo nell’entertainment, ma in molti campi diversi: ad esempio, in ambito medico si stanno sviluppando applicazioni della realtà virtuale per la chirurgia operatoria, terapie riabilitative, terapia del dolore (Wired, 2017). Mark Zuckerberg, parlando della nuova applicazione Facebook Spaces basata appunto sulla tecnologia Oculus Rift, ha affermato in un post sulla sua pagina personale di Facebook1 che “l’idea è che la realtà virtuale mette prima di tutto le persone. La cosa importante è con chi siete. Una volta dentro [Facebook Spaces], potete fare qualunque cosa insieme – viaggiare su Marte, giocare, combattere con le spade, guardare film o teletrasportarvi a casa per vedere la famiglia. Avete a disposizione un ambiente dove potete fare qualsiasi esperienza”(BusinessInsider, 2017).

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1.1.3 L’ecosistema dei social media e gli utenti/consumatori

Hanna et al. (2011) descrivono i social media come un ecosistema incentrato sull’esperienza dell’utente. Un momento fondamentale nella formulazione della strategia per i social media è la definizione da parte dell’azienda della propria versione di ecosistema dei social media, in funzione delle proprie esigenze e dei propri obiettivi. All’interno dell’ecosistema è necessario identificare i tre tipi di social media, owned, paid e earned (Corcoran, 2009) per adottare strategie specifiche in relazione all’area social di interesse, nonché classificare gli utenti attivi secondo i cinque comportamenti sociali descritti da Li e Bernoff (2008) basati sulle caratteristiche tecnografiche degli utenti, cioè con quali modalità utilizzano i social media: individuando così i creatori di contenuti (creators), i critici/commentatori (critics), i collezionatori di contenuti (collectors), i socievoli (joiners) e gli spettatori (spectators), gli operatori di marketing possono calibrare la strategia per i diversi tipi di utenti e ottimizzare la capacità di raggiungere i clienti target (Tuten e Solomon, 2014). Questo consente all’azienda di capire in che modo i diversi tipi di piattaforme interagiscano tra loro e quale debba essere il tipo di messaggi principale da mettere al centro dell’ecosistema.

In particolare, i creatori sono coloro che aggiungono valore alle comunità social e, più in generale, al social web, creando contenuti che possano essere condivisi e diffusi dagli altri utenti; i contenuti generati dagli utenti possono comprendere un ampio spettro di formati e strumenti: video, blog, podcast, foto, recensioni di prodotti o servizi.

Mentre i creatori generano contenuti originali, i critici reagiscono ai contenuti e portano avanti interazioni social basate su commenti, recensioni e valutazioni (spesso di altre recensioni), modifiche di wiki: il valore apportato dai critici consiste nell’arricchire il contenuto creato da altri utenti, portando ai consumer-fortified media (Tuten e Solomon, 2014), ossia contenuti che migliorano l’esperienza social e la capacità di pensiero critico degli altri utenti, i quali possono così attingere ai diversi contributi che potenziano la conoscenza collettiva e sono stimolati a interagire e contribuire a propria volta. È possibile ricollegarsi da qui al tema del crowdsourcing (Tsimonis e Dimitriadis, 2014), una risorsa preziosa per le imprese in quanto possono sfruttare l’intelligenza collettiva delle comunità social per identificare problemi relativi alle proprie attività/prodotti/servizi e per ottenere suggerimenti riguardo possibili soluzioni, nonché insight derivanti dal confronto di idee che proprio i consumatori critici riescono a generare.

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I collezionisti si caratterizzano per il fatto che non solo consumano regolarmente contenuti nei social media, ma li organizzano e li classificano, fornendo un considerevole valore aggiunto alle comunità social, poiché rendono più semplice ed efficiente il reperimento e la consultazione di tali contenuti per gli altri utenti. Questi consumatori di contenuti utilizzano aggregatori di contenuti, quali i feed RSS, per ottenere aggiornamenti regolari sulle informazioni di interesse, segnalano e condividono contenuti online, vi aggiungono tag, possono usare i siti di social bookmarking per conservarli e categorizzarli (Tuten e Solomon, 2014).

I socievoli e gli spettatori svolgono ruoli meno attivi all’interno dei social media rispetto alle precedenti fattispecie di utenti. I primi hanno in genere un profilo su una o più piattaforme (per lo più siti di social network) e li consultano regolarmente. I secondi tendono a restare ai margini delle comunità social e si limitano al mero consumo di contenuti, senza creare, condividere o partecipare, quindi senza aggiungere valore. Un’ulteriore metodologia adottata dagli operatori di marketing per definire verso chi indirizzare le attività aziendali nei social media e con quali modalità, è il Modello Personas, dove “con il concetto di Personas ci si riferisce a personaggi finzionali le cui caratteristiche descrivono specifiche tipologie di consumatori e utenti, effettivi e potenziali, di prodotti/servizi. Ogni Personas è costruita per sintetizzare in una personificazione quanto più realistica possibile, tutte le informazioni disponibili sui diversi pubblici di riferimento” (Fraia, 2015, p. 52). In concreto, questo modello prevede la costruzione di profili dettagliati dei segmenti di pubblico a cui l’azienda è interessata. Le informazioni contenute nei profili derivano dai processi di ricerca e ascolto dei social media attuati dagli operatori di marketing, ma possono variare a seconda delle esigenze conoscitive specifiche dell’azienda. Tuttavia le informazioni principali generalmente incluse sono (Fraia, 2015):

 nome della Personas;

 fotografia che ne rappresenti al meglio le caratteristiche fisiche;

 tratti socio-demografici quali età, sesso, reddito, area di residenza, livello d’istruzione, composizione familiare;

 descrizione della professione/ruolo lavorativo;

 obiettivi personali;

 sistema di valori, princìpi, nonché timori collegati alla relazione con il brand/prodotto/servizio dell’azienda;

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 ulteriori tratti caratterizzanti come hobby, sport, passioni, interessi;

 descrizione di quali media tradizionali e quali social media utilizza, con che frequenza e per quali contenuti, accompagnata da una descrizione del tipo di rapporto con la tecnologia, delle fonti informative e degli influencer di riferimento;

 verbatim di frasi significative potenzialmente utilizzate dalla Personas per presentarsi e descriversi.

È necessario tenere presente che il Modello Personas consente di costruire profili che, però, rappresentano pur sempre delle figure idealizzate, la cui funzione principale è quella di organizzare le conoscenze e i dati sui pubblici di interesse, utili agli operatori di marketing per definire e implementare le attività nei social media.

Per le aziende, l’ecosistema dei social media rappresenta un contesto in cui costruire relazioni interattive focalizzate sul cliente; l’esperienza del cliente è determinata anche dalla capacità degli operatori di marketing di incorporare portata, confidenza e coinvolgimento nella strategia di marketing delle aziende attraverso l’uso combinato di social media e media tradizionali (Hanna et al., 2011). Considerare queste diverse forme di mezzi di comunicazione come operanti separatamente e indipendentemente è un errore strategico. La decisione di adottare un approccio integrato nell’utilizzo di questi canali può prospettare opportunità interessanti. I social media espandono le possibilità delle attività di marketing di far muovere i consumatori lungo i diversi livelli di consapevolezza e tra i diversi tipi di atteggiamento che possono assumere nei confronti di un marchio nel corso della relazione: dalla brand awareness, al brand engagement, alla brand cosideration, all’acquisto, fino alla brand loyalty e brand advocacy o brand evangelism (Fraia, 2015; Hanna et al., 2011). Le attività di marketing non possono più essere finalizzate semplicemente a raggiungere la portata (reach) più vasta possibile per catturare l’attenzione di più consumatori possibile; devono piuttosto intervenire sulla generazione di engagement con lo scopo di mantenere l’attenzione dei consumatori, dopo averla attirata.

1.2 Marketing e social media

I principali obiettivi strategici che le aziende possono perseguire tramite i social media sono essenzialmente quattro (Tuten e Solomon, 2014): promozione e branding; gestione delle relazioni con i clienti e service recovery; ricerche di marketing; vendite ed e-commerce.

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Sfruttando le possibilità di comunicazione quotidiana e diretta offerte dai social media, le aziende mantengono gli utenti e potenziali clienti vicini al nome del marchio e hanno la grande opportunità di trasformare un utente in un fan e un cliente fedele; inoltre attività come sconti speciali, offerte, concorsi basati su contenuti generati dagli utenti, messaggi di marketing o addirittura l’utilizzo della pagina come canale di vendita diretta possono aumentare le vendite (Tsimonis e Dimitriadis, 2014).

Una caratteristica fondamentale dei social media sono le esternalità positive di rete, ossia attirano tante più persone quanti più sono gli utenti che già li utilizzano e ogni utente che si unisce alla rete produce valore per tutti gli altri; inoltre il Web 2.0 e i social media offrono la possibilità di creare sistemi scalabili, ossia “in grado di crescere e di espandere la propria capacità produttiva in base alle esigenze senza impatto negativo (o quanto meno con un impatto negativo minimo) sul margine di contribuzione dell’azienda” (Tuten e Solomon, 2014, p. 21).

I social media ruotano attorno alla partecipazione, collaborazione e condivisione piuttosto che alla pubblicità e alla vendita. Tuten e Solomon (2014), facendo riferimento alle 4P del marketing mix (product, price, promotion, place), suggeriscono l’inserimento di una quinta P, la partecipazione appunto, a voler sottolineare l’importanza di questo nuovo elemento. Gli utenti partecipano anche diffondendo, modificando e alterando i messaggi veicolati dalle aziende nei social media. La co-creazione del messaggio favorisce e facilita la co-co-creazione di valore; l’immagine e la reputazione aziendali derivano almeno in parte dal processo di co-creazione dei contenuti che costituisce uno dei pilastri dei social media. Tuttavia non è da escludere la possibilità di co-distruzione di valore (Tech e Jones, 2015).

Tuten e Solomon (2014) descrivono le differenze tra marketing tradizionale, tradigital marketing e social media marketing, definendo quest’ultimo come “l’utilizzo delle tecnologie, dei canali e dei software dei social media per creare, comunicare, distribuire e scambiare offerte che hanno un valore per gli stakeholder di un’impresa” (p. 26). Il marketing tradizionale sfrutta una comunicazione monodirezionale indirizzata al pubblico di riferimento, veicolandola tramite media tradizionali, adottando il modello interruption-disruption. Il tradigital marketing prevede l’impiego dell’IT, di Internet e di strumenti digitali che migliorano l’interattività; inoltre vengono adottati di metodi di misurazione più specifici per quantificare il contributo delle nuove tecnologie alle attività aziendali, che si concentrano sull’e-commerce. Tuttavia il modello di comunicazione ricalca ancora quello del marketing tradizionale, con flussi di

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comunicazione verticali, annunci pubblicitari online basati sul modello interruption-disruption e il controllo sui messaggi trasmessi totalmente nelle mani dell’azienda. Nel social media marketing, invece, gli elementi caratterizzanti sono l’accresciuto potere nelle mani dei consumatori, maggiori possibilità di interazione diretta e informale tra aziende e clienti attuali o potenziali, personalizzazione delle comunicazioni e opportunità di mettere in atto agevolmente marketing one-to-one; inoltre, le aziende nei social media sono poste sullo stesso piano dei consumatori e la comunicazione è più orizzontale che verticale; pertanto i consumatori, che hanno il potere di ignorare facilmente i messaggi di marketing delle imprese, non devono più essere interrotti nelle loro attività online da annunci pubblicitari, ma devono essere coinvolti con contenuti interessanti, con l’obiettivo di portarli a cercare un primo contatto con l’azienda che possa sfociare in una relazione collaborativa e reciprocamente vantaggiosa.

I budget di marketing stanziati per i social media sono in costante crescita, suggerendo che le aziende manifestano un interesse sempre maggiore a stabilire una presenza social, interagire con gli utenti, aiutarli a formare la propria esperienza con la marca, nonché sfruttare le loro voci per incrementare l’impatto di marketing (Tsimonis e Dimitriadis, 2014). Questo passaggio verso i social media può essere spiegato da diversi fattori:

 riduzione dei tassi di risposta dei consumatori che in misura sempre maggiore ignorano il tradizionale marketing online, come banner e messaggi di posta elettronica, a causa di disinteresse e spam;

 gli sviluppi tecnologici nel campo delle infrastrutture IT, le continue innovazioni e una crescente popolazione online contribuiscono all'attrattività dei social media;

 gli spostamenti demografici che hanno visto sempre più persone, specialmente i giovani, muoversi online e diminuire il consumo dei media tradizionali;

 significative riduzioni dei costi con la possibilità di creare campagne virali in grado di raggiungere in modo più mirato un numero maggiore di persone e di generare più engagement rispetto alle campagne tramite i mezzi di comunicazione tradizionali.

I risultati esposti nel rapporto “Digital in 2017”2

, pubblicato a Gennaio 2017 da Hootsuite e We Are Social, mostrano chiaramente come i trend relativi alla pervasiva diffusione dei social media tra la popolazione spingano sempre più organizzazioni di

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diverse tipologie (aziende, associazioni, pubbliche amministrazioni, ecc.) a utilizzare i social media come un canale imprescindibile per comunicare con le persone. Dal rapporto emerge che in Italia il numero di persone che utilizzano i social media ha raggiunto quota 31 milioni, mostrando un incremento dell’11% durante il 2016; gli utenti che vi accedevano da dispositivi mobile sono stati 28 milioni, il 17% in più. È interessante constatare che gli italiani preferiscono navigare su Internet e utilizzare le piattaforme social tramite dispositivi alternativi rispetto al computer: infatti sono aumentate le connessioni effettuate da smartphone (+44%), tablet (+8%) e altri dispositivi quali console o smart TV (+24%), mentre sono diminuite quelle da computer (-14%).

I dati del rapporto evidenziano, inoltre, che i video sono la tipologia di contenuto che viene fruita in modo crescente, con il 31% degli utenti che dichiara di guardare video online almeno una volta al giorno e il 61% dichiara di guardarli da un dispositivo mobile. Questo trend viene in qualche modo confermato dal fatto che le piattaforme e le applicazioni social permettono sempre più di creare, modificare e condividere contenuti video e video LIVE .

Altri dati rilevanti indicano che:

 in media gli utenti italiani trascorrono 2 ore al giorno sui social media;

 il 51% della popolazione online usa applicazioni di messaging dai propri dispositivi mobile, il 36% utilizza applicazioni di giochi, il 25% utilizza applicazioni di mobile banking;

 le 3 piattaforme più usate sono Youtube (57%), Facebook (55%) e Whatsapp (48%);

 il dato più interessante riguarda l'uso di Facebook: il 74% degli utenti italiani di Facebook lo usano ogni giorno.

Infine, secondo la ricerca “Italiani e social media”3

elaborata da Blogmeter intervistando 1500 residenti in Italia, al crescere dell’età diminuisce il numero di social utilizzati: nella fascia di età compresa tra i 18 e i 34 anni, la media di social e servizi di messaging usati è superiore a sette, dopo i 45 anni, invece, scende a tre canali.

Questi dati relativi al contesto italiano si inseriscono coerentemente nel più ampio panorama globale che vede una crescita costante del numero di persone che accedono a Internet e utilizzano applicazioni di social media da diversi tipi di dispositivi. Si tratta di

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numeri che le aziende non possono permettersi di ignorare e quindi sempre di più decidono di stabilire un proprio presidio social, magari in una pluralità di piattaforme. Tuttavia, è importante che le attività sui diversi social media siano allineate e coerenti tra loro: una strategia che prevede l’utilizzo di più canali nei social media può essere vantaggiosa e profittevole se rispetta l’obiettivo fondamentale della comunicazione di ridurre ambiguità e incertezza; allo stesso tempo, è fondamentale che ci sia coerenza e integrazione tra le attività di comunicazione sui social media e sui media tradizionali, perché entrambi questi tipi di media veicolano dei messaggi sull’immagine dell’azienda (Kaplan e Haenlein, 2010).

1.2.1 Il contributo dei social media al marketing e le implicazioni per la struttura organizzativa

Il Web 2.0 fornisce alle aziende nuove opportunità per entrare e rimanere in contatto con i mercati, per imparare a conoscere i bisogni e le opinioni dei clienti e per interagire con loro in modo diretto e personalizzato (marketing one-to-one). Le interazioni modificano i ruoli tradizionali di aziende e clienti all’interno della cornice delle relazioni di scambio. Infatti i clienti aggiungono valore all’interazione creando contenuti e possono influenzare le decisioni di acquisto di altri clienti in interazioni peer-to-peer (Tsimonis e Dimitriadis, 2014). Il Web 2.0 e i social media, pertanto, grazie alle loro caratteristiche e principi di fondo, forniscono strumenti potenti con cui le aziende possono iniziare e mantenere delle relazioni proficue con i propri pubblici di riferimento. Gummesson (2002) afferma che il marketing relazionale (RM, Relationship Marketing) “è basato sull’interazione in network di relazioni”. I concetti di interazione, network e relazioni costituiscono anche le fondamenta dei social media, non solo in qualità di canale attraverso cui svolgere attività di marketing, ma come mezzo per consentire alle persone di connettersi le une alle altre.

Così come il marketing relazionale deve essere un approccio generale. che pervade tutta l’organizzazione e la orienta alla focalizzazione totale sul cliente (Gummesson, 2002), anche i social media possono diventare un veicolo efficace per l’applicazione di questa attitudine mentale quando l’organizzazione adotta una struttura organizzativa adatta a supportare e gestire questi strumenti di interazione con i clienti attuali e potenziali. Tuten e Solomon (2014) individuano tre tipologie di struttura che un’azienda può adottare per implementare l’utilizzo strategico dei social media:

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 nella struttura centralizzata, vi è un reparto social media a livello senior che fa riferimento direttamente al CMO o al CEO ed è responsabile di tutte le iniziative sui social media, generando tuttavia una rappresentazione potenzialmente non ottimale di tutte le attività dell’azienda;

 la struttura distribuita non prevede un soggetto responsabile della gestione dei social media, ma tutti i dipendenti rappresentano l’azienda nei diversi ambienti social, con il rischio però che non vi sia una assoluta coerenza nei messaggi veicolati, pertanto è necessaria una formazione approfondita dei collaboratori;

 la struttura combinata, infine, prevede la definizione a livello centrale delle best practice, del posizionamento e del tono per guidare le attività nei social media svolte dalle varie divisioni aziendali in maniera decentralizzata, adottando specifiche politiche operative.

Keegan e Rowley (2017) studiano il fenomeno dell’adozione dei social media da parte delle aziende analizzando il rapporto tra le agenzie specializzate nel campo dei social media marketing e le imprese loro clienti, perché spesso molte attività di social media marketing sono gestite o comunque guidate da professionisti di questo tipo di agenzie, ed è un elemento generalmente non tenuto nella dovuta considerazione nelle ricerche accademiche.

Molte organizzazioni stanno investendo nella loro presenza sui social media perché percepiscono la necessità di presidiare queste piattaforme per aumentare il coinvolgimento dei clienti, per aumentare le vendite online, per monitorare le conversazioni riguardanti i loro brand, così da poter proteggere la reputazione aziendale. Aumentando le risorse destinate a potenziare la presenza sui social, diventa di vitale importanza per le aziende la capacità di misurare e valutare l’impatto che questi investimenti esercitano sul perseguimento degli obiettivi di marketing.

Quando le aziende approcciano i social media devono avere ben chiaro perché intendono creare pagine di brand, come intendono usarle e gestirle e quali risultati si aspettano e queste generino rispetto agli obiettivi di business, ma soprattutto quali benefici devono derivare ai clienti dall’uso di tali pagine nei social media (Tsimonis e Dimitriadis, 2014).

Nell’ambito del marketing, i social media sono visti come essenzialmente differenti rispetto agli altri media digitali, e potenzialmente sono portatori di un mutamento dei paradigmi del marketing. Diversi studi infatti dimostrano che la partecipazione degli utenti nelle attività sui social media promosse dalle azienda hanno un effetto positivo

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sulla redditività. Goh et al. (2013) hanno riscontrato che i contenuti generati dagli utenti hanno un impatto positivo maggiore sui profitti delle aziende rispetto ai contenuti creati dalle aziende stesse. Le conversazioni online producono grandi volumi di dati semantici che rappresentano oggettivamente una sfida in termini di analisi delle attività nei social media.

Tuttavia non bisogna confondere i canali con le strategie (Scott, 2016): i social media sono un canale, un mezzo, non un fine dell’attività digitale di un’azienda. I social media sono tecnologie poco costose, user-friendly, scalabili e basate su dispositivi mobili che consentono la condivisione di materiale generato dall'utente (Tsimonis e Dimitriadis, 2014).

I social media sono sempre più utilizzati da aziende e organizzazioni di diverse dimensioni e operanti in diversi settori per comunicare in materia di responsabilità sociale d’impresa (Tech e Jones, 2015). La responsabilità sociale d’impresa ha raggiunto uno stadio in cui si riconoscono l’impatto e i cambiamenti che l’attività aziendale può esercitare all’esterno sugli stakeholder a livello ambientale e sociale oltre che economico: coinvolgimento della comunità, questioni ambientali, etica e governance sono alcune delle tematiche che ricadono nella sfera della responsabilità sociale d’impresa. Aziende di diverse dimensioni e operanti in diversi settori sono chiamate a comunicare, spiegare e giustificare le proprie credenziali di responsabilità sociale d’impresa. Le questioni affrontate nell’ambito della responsabilità sociale d’impresa rappresentano delle opportunità di crescita per il futuro delle aziende maggiormente orientate in un’ottica proattiva e la comunicazione è lo strumento chiave per massimizzare tali opportunità di business. I social media, in questo senso, rappresentano una sfida ai vecchi metodi di comunicazione adottati tradizionalmente dalle aziende. La comunicazione e la discussione intorno ai temi della responsabilità sociale d’impresa subisce necessariamente i riflessi della natura globale di economie e società aperte e interconnesse. I social media possono aiutare le aziende a posizionare o riposizionare la propria offerta in termini di responsabilità sociale d’impresa, in quanto forniscono uno spazio per interazioni creative, collaborative e orientate alla creazione di valore. Tuttavia è necessario riconoscere che la cifra caratteristica della comunicazione all’interno dei social media sia la frammentazione, piuttosto che l’unità e l’integrazione. I social media offrono grandi possibilità in termini di costruzione di relazioni e gestione delle comunicazioni. Consentono di costruire, difendere, sostenere e sviluppare l’immagine, la reputazione, le relazioni, il brand e il valore di un’organizzazione.

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1.2.2 Il miglioramento delle relazioni con il cliente grazie ai social media

Sashi (2012) afferma che per le aziende il punto focale di ogni relazione di scambio è generare e mantenere nel tempo il coinvolgimento psicologico, emotivo e comportamentale del cliente; i social media, da questo punto di vista, sono uno strumento potente poiché rappresentano un canale aperto, continuo, immediato tramite cui comunicare a costi ridotti con clienti attuali e potenziali. Affinché possa stabilirsi una relazione tra consumatori e aziende, questi soggetti devono entrare in contatto e i social media consentono di connettere un numero elevato di individui e organizzazioni. Il Web 2.0 e i social media permettono di attivare interazioni più frequenti, veloci e ricche tra clienti e aziende, offrendo la possibilità a queste ultime di migliorare la comprensione dei bisogni delle persone e, soprattutto, come essi si modifichino nel corso del tempo. Ciò consente alle imprese di modificare l’offerta esistente o di sviluppare nuovi prodotti/servizi per soddisfare le esigenze dei clienti. Tsimonis e Dimitriadis (2014) sottolineano come la presenza di un’azienda nei social media tramite le proprie pagine o i propri profili possa favorire le relazioni tra i clienti, in quanto questi ultimi usufruiscono principalmente delle interazioni sociali con gli altri utenti e delle potenziali amicizie che potrebbero svilupparsi tra di loro.

La fiducia è un elemento fondamentale per costruire e sostenere una relazione proficua. Calefato et al. (2015), indagando il ruolo dei social media nella costruzione di fiducia nelle relazioni tra aziende e clienti, hanno dimostrato che i social media e i siti web possono essere utilizzati dalle aziende al fine di instaurare un rapporto di fiducia con i clienti, intervenendo sia nella fase della prima impressione, sia nel mantenimento della relazione, con effetti diversi a seconda dello strumento, sulla dimensione affettiva o sulla dimensione cognitiva. In particolare, i social media, essendo strumenti orientati all’interazione, consentono alle imprese di creare un canale più diretto e personale di comunicazione tramite cui alimentare il grado di impegno emotivo dei clienti; i siti web risultano efficaci nel comunicare il livello di competenza e di affidabilità di un’organizzazione, andando a fornire informazioni che sostengono la componente razionale della fiducia dei clienti.

La dimensione cognitiva e la dimensione affettiva della fiducia, nell’ambito delle relazioni commerciali, poggiano su componenti specifiche (Schumann et al., 2012), le quali influenzano la probabilità che il cliente reputi l’impresa degna di fiducia e decida di usufruire del bene/servizio da questa offerto per soddisfare i propri bisogni. La fiducia cognitiva si basa su prevedibilità e abilità: la prima consiste nella capacità

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dell’organizzazione di confermare le aspettative del cliente in termini di affidabilità e coerenza nel comportamento; la seconda riguarda il livello di competenza e conoscenza dell’impresa. La fiducia emotiva, invece, è fondata su integrità e cortesia: la prima concerne le norme, i principi morali che l’organizzazione adotta come guida delle sue azioni; la seconda, infine, si esplica nel livello percepito di attenzioni dedicate al cliente e nell’atteggiamento positivo assunto dall’azienda nei confronti di feedback negativi e lamentele. Il cliente può basare la decisione di affidarsi a un determinato fornitore sull’acquisizione delle informazioni disponibili che permettono di valutare la prevedibilità, l’abilità, l’integrità e la cortesia e di definire, conseguentemente, se l’impresa sia meritevole di fiducia o meno (Calefato et al., 2015).

Boateng e Narteh (2016) si concentrano sulla relazione tra banca e cliente attraverso Internet e applicazioni di social media, argomento che sarà affrontato più approfonditamente nel capitolo seguente. Qui interessa vedere come gli autori sottolineino che acquisisce sempre più importanza la possibilità di capire l’evoluzione dei comportamenti dei clienti nelle relazioni basate su Internet perché questi trascorrono sempre più tempo nel web, dove le loro intenzioni di acquisto vengono influenzate dalle interazioni che hanno con altri utenti; inoltre, è importante considerare come la fiducia (non solo nei confronti dell’azienda, ma anche dello strumento utilizzato per effettuare transazioni via Internet o scambiare documenti e informazioni con essa) abbia una funzione mediatrice tra le attività online e l’impegno emotivo dei clienti, perché la fiducia è un elemento fondamentale in ogni relazione di scambio e, dato che l’impegno implica un certo grado di vulnerabilità, le parti di ogni relazione di scambio cercheranno solo partner degni di fiducia. Secondo gli autori, nel Marketing Relazionale Online (ORM, Online Relationship Marketing) la relazione tra impresa e cliente poggia su engagement, interattività, advocacy, personalizzazione e collaborazione:

 l’engagement è il grado di partecipazione e coinvolgimento di un individuo nei confronti dei prodotti o servizi offerti da un’organizzazione e delle sue attività;

 il concetto di interattività concerne le caratteristiche delle piattaforme online che facilitano il consumo, la creazione e la condivisione di contenuti e messaggi;

 per advocacy si intende il comportamento attuato da clienti che condividono con altri utenti online le proprie esperienze positive con l’azienda in modo spontaneo e disinteressato, arrivando a consigliare i prodotti/servizi dell’impresa ad altri consumatori tramite, ad esempio, le recensioni;

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