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1. Universalità della giurisdizione nei crimini internazionali in generale

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ARTE

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A PROBLEMATICA GIURISDIZIONALE SULLA PERSECUZIONE DEL CRIMINE DI PIRATERIA

A) L

A PERSECUZIONE IN GENERALE DEI CRIMINI INTERNAZIONALI

1. Universalità della giurisdizione nei crimini internazionali in generale – 2. I tribunali internazionali da Norimberga alla CPI – 2.1. Norimberga e Tokyo – 2.2. Tribunali ad hoc – 2.2.1. Ex Jugoslavia – 2.2.2. Ruanda – 2.3. Tribunali misti – 2.3.1. Sierra Leone – 2.3.2.

Cambogia –2.3.3. Timor Est – 2.4. La Corte penale Internazionale

1. Universalità della giurisdizione nei crimini internazionali in generale

Il principio di universalità della giurisdizione è quel criterio secondo cui i giudici nazionali di ciascuno Stato possono processare e condannare qualsiasi individuo colpevole di reati internazionali, senza che vi sia nessun ulteriore collegamento.

Generalmente, perché i giudici abbiano giurisdizione, è necessario che vi sia un nesso con il reato consumato.

Il criterio di territorialità è l’esempio classico, ovvero si ha giurisdizione poiché il crimine internazionale è commesso all’interno del territorio Statale;

altro criterio è la cittadinanza del soggetto attivo del reato, in virtù di questo

ogni Stato può perseguire i comportamenti delittuosi dei propri cittadini e

viceversa il criterio del soggetto passivo, in base al quale gli Stati condannano i

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colpevoli di crimini contro propri cittadini, anche se quest’ultimo criterio non è riconosciuto da tutti gli Stati, è accolto prevalentemente dagli Stati Europei.

1

Il principio di universalità è anch’esso un criterio di competenza che ammette l’intervento degli Stati per la repressione di crimini internazionali.

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Questo principio pone le sue fondamenta sul carattere universale dei beni che il diritto internazionale intende proteggere, conviene però analizzare come questa norma internazionale sia nata e si sia affermata nel diritto internazionale e spiegarne quindi la sua natura.

Le caratteristiche dello jus cogens sono prescritte dall’articolo 53 della Convenzione di Vienna del 1969: una norma imperativa è una norma innanzitutto di diritto internazionale generale, ovvero deve essere riconosciuta da tutta la Comunità Internazionale, e le norme dello jus cogens hanno la caratteristica di essere in maniera assoluta inderogabili. L’articolo 64 della convenzione infatti recita: “Qualora sopravvenga una nuova norma imperativa di diritto internazionale generale, qualsiasi trattato esistente che contrasti tale norma diventa nullo ed ha termine”.

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Analizzati i tratti distintivi dello jus cogens adesso è possibile fare un raffronto con il principio di universalità della giurisdizione per vedere se quest’ultimo trae origine o no dal diritto imperativo.

Gli interessi protetti dal diritto cogente sono oggetto di universalità della giurisdizione, ma essa è spesso applicabile anche a reati meno gravi ed efferati che non sono regolati da norme di diritto imperativo.

1 Cfr. S. ZAPPALÀ, La giustizia penale internazionale. Crimini di guerra e contro l’umanità:

da Norimberga alla Corte penale internazionale, Società editrice il Mulino 2005, p 77.

2 Ibid., p. 78.

3 Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, Articolo 64, 23 maggio 1969 Vienna.

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Questa circostanza fa sì che si rompa l'omogeneità del principio. Non è infatti univoca la disciplina, poiché le fonti che prescrivono l’universalità sono diverse:

jus cogens, diritto consuetudinario, convenzioni e trattati.

Le quattro convenzioni di Ginevra approvate nel dopoguerra statuirono per la prima volta nero su bianco la facoltà di giurisdizione universale da parte degli Stati aderenti in base al principio dell’aut dedere aut iudicare; ovvero ogni Stato era obbligato a perseguire nei propri tribunali o ad estradare chiunque commettesse un delitto previsto dalle Convenzioni.

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L’universalità sarà presente in molti altri trattati multilaterali e convenzioni e tutto sommato oggi possiamo inquadrarlo come un principio consuetudinario fintantoché l’esercizio di esso non vada a scontrarsi con altre norme internazionali generali o pattizie.

Nella prassi è negli anni novanta che vi sono stati casi di esercizio di giurisdizione universale, e dal punto di vista pratico va detto che tale principio è stato motivo di dissidi diplomatici tra i vari Stati, soprattutto quando è stata esercitata giurisdizione nei confronti di alti rappresentanti Statali (per esempio il caso di Pinochet); tali tensioni hanno poi portato a un progressivo inutilizzo di tale principio.

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Per reagire alle critiche sull’utilizzo sproporzionato del principio di giurisdizione universale la maggior parte degli Stati che possedevano una legislazione per poterla esercitare l’hanno successivamente emendata

4 Cfr. M. A. PASCULLI, Una umanità una giustizia. Contributo allo studio sulla giurisdizione penale universale, CEDAM 2011, p 139.

5 Cfr. S. ZAPPALÀ, La giustizia penale internazionale. Crimini di guerra e contro l’umanità:

da Norimberga alla Corte penale internazionale, Società editrice il Mulino 2005, p. 79.

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aggiungendo determinate condizioni in modo tale da rendere più equilibrato tale principio.

Per esempio la Spagna nel 2009 impone alternativamente la presenza del colpevole in territorio spagnolo, o che le vittime siano cittadini spagnoli, o che vi sia l’esistenza di un qualsiasi relazione tra crimine e Spagna. Inoltre non deve essere partito già un altro processo in alcun tribunale nazionale o internazionale.

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La Francia nel 2010 impone che laddove vi sia competenza della Corte Penale Internazionale i tribunali statali possono intervenire laddove vi siano quattro condizioni: l’accusato abbia spostato la residenza in Francia dopo la commissione del reato, che lo stato territoriale riconosca tale condotte come reato o sia parte dello statuto di Roma, che il procedimento sia avviato di propria iniziativa dal Procuratore e che non vi sia altra giurisdizione nazionale o internazionale che abbia iniziato tale procedimento.

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La Germania nel 2002 ha dichiarato giurisdizione universale per i crimini internazionali menzionati nello Statuto della Corte Penale Internazionale.

Tuttavia vi è un’alta discrezionalità dell’organo inquirente dati dalla “clausola di opportunità” ai sensi dell’art 154 del codice di procedura penale, ovvero il Procuratore può valutare se la persecuzione di un crimine può pregiudicare gli interessi pubblici della Germania.

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6 Cfr. L. PROSPERI, Giurisdizione universale, corte penale internazionale e principio di complementarità: una triangolazione possibile?, Federalismi.it – focus Human rights n. 4/2013, p. 16.

7 Ivi.

8 Ibid., p. 17.

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Anche il Regno Unito dal 2001 ammette giurisdizione universale per i crimini di cui è competente la Corte Penale Internazionale, con le condizioni che l’accusato sia cittadino o risiedesse nel Regno al momento del crimine o dopo, e in tali casi sarà il Procuratore Generale a decidere se iniziare il procedimento.

Nel 2011 vi fu una modifica alla legge in cui si prevedeva che il mandato d’arresto fondato su tale giurisdizione doveva poi essere approvato dal Director of Public Prosecutions.

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In partenza la giurisdizione universale doveva essere un criterio che non avrebbe permesso l’impunità per i colpevoli di crimini internazionali, ma avendo visto i cambiamenti delle legislazioni di alcuni degli Stati sostenitori dell’universalità della giurisdizione (la Spagna è la prima e la Germania è la seconda nazione che hanno avviato più processi basati su tale principio) si nota come essi abbiano fatto un passo indietro e la prudenza dei giudici nazionali sia col tempo aumentata considerevolmente.

2. I tribunali internazionali da Norimberga alla CPI

In materia di repressione dei crimini internazionali la Comunità Internazionale ha pian piano introdotto forme di giustizia sovrannazionale tramite l’avvento dei tribunali internazionali.

È stata la nascita di quest’ultimi che ha permesso lo sviluppo del diritto internazionale penale.

9 Ibid., p. 18.

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2.1. Norimberga e Tokyo

A seguito delle atrocità dei campi di concentramento nazisti, le potenze alleate, una volta vinta la guerra, si sedettero a un tavolo per decidere come reagire al massacro degli ebrei e in quell’occasione per la prima volta si decise di punire i responsabili attraverso un processo di rilevanza internazionale istituendo così due tribunali militari, quello di Norimberga con l’Accordo di Londra del 1945 (IMT, Tribunale Militare Internazionale) e quello di Tokyo con la Carta di Tokyo del 1946 (IMTFE Tribunale Militare Internazionale per l’Estremo Oriente) per i crimini commessi dal Giappone.

Lo statuto del primo imponeva di processare gli accusati per “crimini contro la pace”, “crimini di guerra” e “crimini contro l’umanità”; il secondo era stato istituito dagli Stati Uniti e lo statuto ricalcava quello di Norimberga.

Vi erano però delle distinzioni sulla composizione del tribunale, inoltre quest’ultimo fu creato unicamente dagli Stati Uniti con l’approvazione successiva degli altri Stati vincitori.

10

Sia l’IMT che l’IMTFE erano due sistemi basati sul sistema accusatorio, nel primo caso vi fu un lungo confronto tra le quattro potenze vincitrici che avevano tradizioni giuridiche differenti.

Il giurista sovietico era per un sistema inquisitorio, dove la corte aveva una ruolo attivo, mentre il sistema angloamericano propendeva per un sistema in cui erano le parti ad attivare il processo. C’è da dire che le delegazioni francese e

10 Cfr. A. CASSESE, Lineamenti di diritto internazionale penale, Vol. II Diritto Processuale, Società editrice il Mulino 2006, p. 18.

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sovietica ottennero comunque che qualche tipicità del modello inquisitorio fosse utilizzabile, per esempio la corte poteva avere un ruolo attivo nel chiamare testimoni a deporre e porre loro e all’accusato delle domande.

Per quanto riguardava il Tribunale di Tokyo, essendo gli Stati Uniti ad istituirlo, è facile intuire che non vi furono diatribe sull’utilizzo del modello accusatorio.

Questo modello era fortemente voluto dagli americani poiché essi sostenevano che era il sistema che garantiva nel miglior modo il giusto processo. Tuttavia l’IMTFE fu teatro di uno sbilanciato equilibrio a favore dell’accusa, poiché tutti i documenti erano in mano a quest’ultima e la difesa non poteva esaminare il fascicolo dell’accusa. Inoltre il giudice australiano Webb condusse il processo in modo dispotico e autoritario nei confronti degli accusati, non permettendo per esempio agli altri colleghi della corte di poterli interrogare direttamente.

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L’istituzione di questi Tribunali Militari Internazionali fu una grande novità per il diritto internazionale: la giustizia penale internazionale fino ad allora era sempre stata una prerogativa dei giudici nazionali, invece da quel momento si superò la dimensione nazionale creando dei tribunali sovranazionali. Per la prima volta quindi furono degli organi internazionali ad avere giurisdizione sul diritto internazionale penale.

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11 Ibid., p. 16.

12 Ibid., p. 19.

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Altro aspetto importante fu che dal 1945 entrarono a far parte del diritto penale internazionale altre due fattispecie, ovvero i crimini contro la pace e contro l’umanità.

Infine la giurisprudenza dei due tribunali ha posto le basi evolutive per la nascita di un’organica giustizia penale internazionale permanente senza effettive influenze politiche.

2.2. Tribunali ad hoc

L’istituzione dei due tribunali ad hoc all’inizio degli anni novanta fu una conseguenza della fine della guerra fredda.

La separazione in blocchi per quasi cinquant’anni non rese minimamente possibile il dialogo e la realizzazione di progetti comuni per la Comunità Internazionale. Durante la guerra fredda vi era una sorta di stallo in cui Stati Uniti e URSS vegliavano sui vari Stati dei rispettivi blocchi. Accadde così che una volta smembrata la contrapposizione occidentale-sovietica gli equilibri del mondo cambiarono e ciò portò a nuovi disordini.

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In quegli anni cresceva la dottrina dei diritti umani, la rottura del bipolarismo della guerra fredda favorì violenti implosioni in vari Stati, ma nello stesso tempo si era ristabilito un clima pacifico tra le potenze della Comunità Internazionale per intervenire in modo sistematico; fu così che agli inizi degli anni novanta il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite istituì i due tribunali ad hoc.

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13 Ibid., p. 22.

14 Ivi.

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I tribunali penali ad hoc sono stati un passo importante per poter poi arrivare alla nascita della Corte Penale Internazionale permanente.

2.2.1. Ex Jugoslavia

Il Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia è stato istituito il 25 maggio 1993 con risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 827 ed è situata all’Aia.

La Corte è stata creata ad hoc ed è competente a giudicare le gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra del 1949, violazioni di leggi e costumi di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità compiute durante i conflitti avvenuti in Croazia, in Bosnia-Erzegovina, Kosovo e Macedonia a partire dal 1991.

I giudici permanenti sono sedici e sono eletti dall’Assemblea Generale dell’ONU. La Corte è divisa in due sezioni: il primo grado e l’appello. Le formazioni giudicanti sono dette Camere, ce ne sono tre in primo grado e una d’appello. A queste ultime possono essere assegnate, con decisione del presidente, giudici ad litem nel caso vi sia necessità. Questi giudici sono anch’essi eletti dall’Assemblea anche se hanno uno status diverso; attualmente i giudici ad litem sono 12.

15

Il presidente del Tribunale è inoltre incaricato di scrivere una relazione da presentare annualmente all’Assemblea Generale e al Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

15 Cfr. S. ZAPPALÀ, La giustizia penale internazionale. Crimini di guerra e contro l’umanità:

da Norimberga alla Corte penale internazionale, Società editrice il Mulino 2005, p. 56.

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Il Procuratore è nominato dal Consiglio di Sicurezza, su proposta del Segretario Generale delle Nazioni Unite. Il suo mandato è di quattro anni e può essere rieletto. La Procura guida l’attività investigativa, prepara gli atti di accusa per poi presentare i procedimenti innanzi alla Camera competente.

La Cancelleria è responsabile del lavoro amministrativo e giudiziario del Tribunale e ha il compito importante di essere il canale diplomatico di comunicazione tra il Tribunale e l’esterno.

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Il sistema utilizzato è sempre accusatorio ma rispetto al passato sono molte di più le influenze del sistema inquisitorio, la Corte ha molta più voce in capitolo nella conduzione del processo.

Il Tribunale ha giurisdizione concorrente con i tribunali di diritto interno, ma nello stesso tempo ha anche giurisdizione prioritaria, ovvero può avocare a sé in qualsiasi momento un processo che si sta svolgendo di fronte a un Tribunale interno.

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Il Tribunale è dotato anche di un carcere in Olanda, utilizzato solo per le misure cautelari degli imputati, mentre la pena detentiva viene scontata in un carcere di uno Stato membro che abbia dato la propria disponibilità.

La cooperazione degli Stati è un principio cardine di questa Corte, è presente infatti una norma all’articolo 29 dello Statuto del Tribunale che richiede di collaborare con il Tribunale per venire in contro a qualsiasi richiesta fatta da

16 Ibid., p. 57.

17 Cfr. N. RONZITTI, Introduzione al diritto internazionale, G. Giappichelli Editore 2009, p.

279.

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quest’ultimo. La norma prevede poi un potere sanzionatorio del Consiglio di Sicurezza in caso di non cooperazione.

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2.2.2. Ruanda

Il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda viene istituito dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con risoluzione 955 dell’8 novembre del 1994.

Rispetto all’altro Tribunale ad hoc questo ha competenza diversa sia a livello territoriale, si occupa dei crimini commessi all’interno del territorio del Ruanda

“ed al territorio degli Stati vicini in caso di violazioni gravi del diritto internazionale umanitario commesse da cittadini ruandesi”,

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e riguardo alla materia sono i crimini commessi durante la guerra civile contro l’umanità, genocidio e le violazioni gravi dell’articolo 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra e del II Protocollo addizionale.

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La giurisdizione ha anche un riferimento temporale preciso che riguarda quelli compiuti nel periodo compreso tra il 1° gennaio al 31 dicembre 1994, ai sensi dell’articolo 7 dello Statuto.

La Corte ha sede ad Arusha in Tanzania e ha tre Camere in primo grado, la Camera d’Appello è la stessa del Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia, e anche il Procuratore per molto tempo è stato condiviso con l’altro

18 Cfr. A. CASSESE, Lineamenti di diritto internazionale penale, Vol. II Diritto Processuale, Società editrice il Mulino 2006, pp. 49-50.

19 Statuto del Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda 1994, Articolo 7.

20 Cfr. N. RONZITTI, Introduzione al diritto internazionale, G. Giappichelli Editore 2009, p 276.

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Tribunale ad hoc, questo perché si voleva garantire una certa omogeneità nella giurisprudenza penale internazionale.

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Anche questa Corte ha una giurisdizione prioritaria, quindi possono decidere quando un caso possa essere giudicato da giudici nazionali e quando invece debba essere avocato a sé per far partire il procedimento internazionale.

Per quanto riguarda le procedure e le regole processuali il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda segue le stesse regole di quello per l’ex Jugoslavia.

Il processo si svolge simultaneamente in tre lingue: francese, inglese e la lingua dell’imputato,

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il Procuratore capo svolge le indagini coadiuvato da personale investigativo, questi ultimi si avvalgono della fondamentale cooperazione degli Stati (Articolo 28 per lo Statuto del Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda).

L’atto di accusa redatto dal Procuratore viene poi presentato al giudice d’esame che valuta in un’udienza a porte chiuse, con la presenza solo del Procuratore, se rigettare o no l’accusa, oppure chiedere al Procuratore un’integrazione di elementi di prova.

23

Nel caso il giudice d’esame accogliesse l’atto di accusa, a quel punto scattano le ordinanze indirizzate all’imputato, anche in questo caso la cooperazione degli Stati è fondamentale poiché saranno questi ultimi a dover collaborare per attuarle.

21 Cfr. A. CASSESE, Lineamenti di diritto internazionale penale, Vol. II Diritto Processuale, Società editrice il Mulino 2006, p 26.

22 Cfr. S. ZAPPALÀ, La giustizia penale internazionale. Crimini di guerra e contro l’umanità:

da Norimberga alla Corte penale internazionale, Società editrice il Mulino 2005, p. 58.

23 Ibid., p. 58.

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Inizia poi la fase predibattimentale con un’udienza pubblica in cui viene chiesto al soggetto se si dichiara colpevole o innocente e nello stesso tempo è il momento in cui l’accusa informa di tutte le imputazioni in modo tale che l’imputato possa organizzare la propria difesa.

24

La fase dibattimentale è il momento della presentazione delle prove e in questo caso la prova principale è la prova testimoniale.

Per l’esecuzione della pena detentiva anche in questo caso gli imputati sconteranno la pena negli Stati che si renderanno disponibile ad accoglierli.

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Concludendo l’analisi dei due tribunali ad hoc, è possibile compiere un confronto con le precedenti Corti Internazionali di Norimberga e di Tokyo.

Sicuramente i Tribunali ad hoc hanno dato una svolta per quanto riguarda la condizione del giusto processo e dei diritti degli accusati, questo è dovuto sia dalla forma processuale accusatoria e inquisitoria, sia dalla maggiore imparzialità della Corte; i processi del dopoguerra sono stati definiti un po’

come la giustizia dei vincitori. Dall’altra parte i Tribunali ad hoc non hanno mai avuto quella sveltezza e quel dominio del territorio che avevano le prime Corti.

Sia per l’ex Jugoslavia che per il Ruanda è da notare come la cooperazione degli Stati sia un fattore fondamentale su cui fa perno tutta la giurisdizione penale internazionale: o gli Stati collaborano o è effettivamente difficile realizzare la giustizia. I Tribunali ad hoc non hanno mai avuto il dominio dei territori come lo avevano gli alleati nel dopoguerra, questo deficit è stato il fianco più debole delle Corti ad hoc.

24 Ibid., p. 59.

25 Ibid., pp. 55-56.

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2.3. Tribunali misti

Per venire in contro ai difetti dei Tribunali ad hoc la Comunità Internazionale, prima di creare una Corte Penale Internazionale permanente, ha reagito istituendo i Tribunali misti.

Le suddette Corti sono denominate miste poiché la loro composizione è formata sia da giudici nazionali che da giudici internazionali e i propri Statuti ammettono caratteristiche proprie sia di diritto interno che di diritto internazionale.

I Tribunali misti possono essere di due specie a seconda che facciano parte dell’apparato giudiziario interno allo Stato, come avviene per i Tribunali della Cambogia e quello di Timor Est; l’altra categoria comprende i Tribunali che sono parte del sistema giudiziario nazionale ma hanno natura internazionale e sono nati grazie ad accordi tra lo Stato e le Nazioni Unite, questo è il caso del Tribunale Speciale per la Sierra Leone.

26

I Tribunali misti sono stati creati per varie ragioni più avanti esaminate, in ogni caso colpisce come ancora una volta la Comunità Internazionale con molta prudenza evita di far affidamento su un solo organo permanente che abbia giurisdizione penale internazionale.

26 Cfr. A. CASSESE, Lineamenti di diritto internazionale penale, Vol. II Diritto Processuale, Società editrice il Mulino 2006, pp. 30-31.

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Il primo dei motivi che ha indotto a istituire tali Corti è stata la connessione diretta di esse al luogo dei crimini commessi

27

. La presenza di un Tribunale misto nel luogo teatro di guerre civili e genocidi era il miglior modo per risollevare in primis il sistema statale a partire da quello giudiziario. Avere, inoltre, persone che lavorassero in tale Corte permetteva una più naturale ricostruzione dell’ordine e della pace, senza esser vista come un’imposizione dall’esterno di un organo internazionale.

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2.3.1. Sierra Leone

La risoluzione n. 1315 del 4 agosto 2000 prevedeva la stesura di un rapporto da parte del Segretario Generale per istituire la Corte Speciale per la Sierra Leone, tale risoluzione verrà poi attuata il 4 ottobre 2000 in cui il Segretario presentò tale rapporto al Consiglio di Sicurezza.

29

La Corte nasce dopo un confronto tra le Nazioni Unite, il governo della Sierra Leone, la società civile e le ONG operanti nel territorio. L’accordo, concluso tra governo e Nazioni Unite il 16 gennaio del 2001, sarà poi redatto in 20 articoli e integrato dallo Statuto della Corte, di 25 articoli.

Rispetto ai Tribunali ad hoc dell’ex Jugoslavia e Ruanda, che furono create con risoluzione del Consiglio di Sicurezza, in questo caso il Tribunale nasce da un accordo bilaterale tra le Nazioni Unite, rappresentato dal Segretario Generale, e il governo locale; la natura mista si evince già dalla sua

27 Ibid., p. 69.

28 Cfr. A. CASSESE, Lineamenti di diritto internazionale penale, Vol. II Diritto Processuale, Società editrice il Mulino 2006, p 32.

29 http://www.rscsl.org, visitato il 9 agosto 2014.

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giurisdizione che prevede fattispecie perseguibili sia dal diritto internazionale sia dal diritto penale interno.

Non è prevista stavolta una norma che imponga la cooperazione degli Stati con l’operato della Corte. All’articolo 16 vi è solo un obbligo di collaborare imposto al governo della Sierra Leone. Si è discusso se, anche senza un’esplicita clausola, vi sia in ogni caso il dovere di collaborare con la Corte da parte di ogni Stato membro delle Nazioni Unite.

Per quanto riguarda la sua competenza, essa ha giurisdizione per le violazioni di diritto internazionale umanitario dello Statuto e i crimini di guerra commessi in conflitti non internazionali e si fa riferimento all’articolo 3 comune alle quattro convenzioni di Ginevra e all’articolo 4 del II Protocollo addizionale del 1977 riguardanti il trattamento inumano e discriminatorio di persone che non prendono parte al combattimento, sono arresi, o fuori combattimento.

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All’articolo 1 dello Statuto si precisa che saranno perseguiti i maggiori responsabili di tali crimini commessi a partire dal 30 novembre 1996.

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Su questo punto sorgono inevitabilmente alcune problematiche: in primo luogo per quanto riguarda il limite temporale alcuni fanno notare che la guerra civile incominciò nel 1991,

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altri proponevano invece di far incominciare la perseguibilità dal 1999 quando vi fu l’accordo tra governo e RUF (Fronte Unito Rivoluzionario).

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Altro problema è legato a quest’ultimo accordo che previde un’amnistia generale rivolta a tutti i coinvolti nel conflitto fino al 1999. Tuttavia

30 Cfr. P. DE STEFANI, La Corte speciale per la Sierra Leone – Research Paper n. 3/2000, Centro di studi e formazione sui diritti della persona e dei popoli, Università di Padova, Novembre 2000, p. 14.

31 Ibid., p. 16.

32 Ivi.

33 Ivi.

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quest’ultima sarà raggirata dalla Corte Speciale proprio in virtù della sua natura ibrida, l’amnistia infatti ha rilevanza a livello di diritto interno ma non a livello di diritto internazionale e quindi saranno comunque punibili i responsabili di crimini internazionali nonostante l’accordo del 1999.

Per quanto riguarda invece l’inizio temporale l’organizzazione Human Rights Watch ha molto criticato la data del 30 novembre 1996 poiché ha dimostrato che alcuni dei maggiori responsabili sarebbero rimasti impuniti per atti commessi anteriormente, uno di questi è il caporale Sankoh, leader del Fronte Unito Rivoluzionario, che nonostante sia stato arrestato non è stato giudicato per tutti i crimini che ha commesso.

34

La natura mista della Corte emerge, come ricordato già prima, dalla composizione di quest’ultima: in tutto sono sedici i giudici, dieci nominati dal Segretario Generale delle Nazioni Unite e i restanti sei dal governo locale.

35

Essa ha due camere di primo grado e una di secondo grado. Anche il Procuratore è nominato dal Segretario, mentre il viceprocuratore è nominato dal governo dopo una consultazione con il Segretario.

2.3.2. Cambogia

Per punire i responsabili delle atrocità commesse durante il regime di Pol Pot avvenute negli anni 1975 – 1979 viene creato un organismo giurisdizionale frutto dell’accordo ancora una volta tra Nazioni Unite e governo locale.

34 Ibid., p. 17 nota 28.

35 http://www.rscsl.org, visitato il 9 agosto 2014.

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L'Accordo veniva firmato il 17 marzo 2003, esso istituiva le Camere straordinarie cambogiane, insediatesi nel 2006, un organo giurisdizionale misto con il compito di processare i crimini commessi dagli Khmer rossi.

36

Le Extraordinary Chambers in the Courts of Cambodia fanno parte del sistema giurisdizionale nazionale ed esercitano la loro potestà rispetto ai reati commessi tra il 17 aprile 1975 e il 6 gennaio 1979 da coloro che durante il regime erano i maggiori esponenti.

37

Vengono applicate le convenzioni quali la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio del 1948, le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 sulla protezione delle vittime dei conflitti armati e la Convenzione dell’Aja del 1954 per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato. Le Camere applicano inoltre anche il Codice penale cambogiano.

La Camera preliminare accoglie istanze e ricorsi emesse dagli inquirenti mentre un caso è ancora sotto inchiesta, essa è composta da tre giudici cambogiani e due internazionali e tutte le decisioni richiedono una maggioranza di quattro voti.

38

Se un caso viene rinviato a giudizio si passa alla Camera di primo grado che decide sulla colpevolezza dell’accusato basandosi sulle prove, prevalentemente testimoniali. La composizione della Camera è sempre di tre giudici cambogiani

36 http://www.eccc.gov.kh, visitato il 9 agosto 2014.

37 Law on the Establishment of the Extraordinary Chambers, with inclusion of amendments as

promulgated, Art. 2, 27 October 2004 (NS/RKM/1004/006),

http://www.eccc.gov.kh/sites/default/files/legal-documents/KR_Law asamended_27_Oct_200 4_Eng.pdf, visitato il 9 agosto 2014.

38 Ibid., Art. 20, 27.

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e due internazionali e per il verdetto di colpevolezza ci vogliono quattro voti su cinque.

La Suprema Corte ammette i ricorsi e gli appelli sulle decisioni di primo grado, è composta da sette giudici, quattro locali e tre internazionali. Per ogni decisione è necessaria la maggioranza di cinque voti su sette.

Una particolarità di questo tribunale rispetto agli altri è che essendosi il modello cambogiano ispirato a quello francese è presente la figura del gip che vengono chiamati Co-Investigating Judges, e sono due uno internazionale e uno nazionale.

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L’Ufficio della Procura invece è un organismo indipendente e autonomo rispetto alla Corte, vi sono due procuratori a capo di essa: uno nazionale e uno internazionale.

Una particolarità di questa Corte è quella di riconoscere alle vittime un ruolo fondamentale, esse possono presentare reclami e istanze ai procuratori, possono costituirsi come parte civile.

2.3.3. Timor Est

La UNTAET (United Nations Transitional Administration in East Timor) ovvero l’Amministrazione Transitoria delle Nazioni Unite a Timor Est ricostruì un completo sistema giurisdizionale nel Paese e parallelamente con risoluzione n. 11 del 2000 istituì una Corte Specializzata sui crimini internazionali perpetrati durante l’occupazione indonesiana.

39 Ibid., Art. 23, 27.

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La giurisdizione dei “Serious Crimes Panels” comprendeva il genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra, definiti nel Regolamento UNTAET, rispetto ai fatti commessi nel periodo tral’1gennaio e il 25 ottobre1999.

Il regolamento del 2000 prevedeva che nel distretto di Dili erano istituiti dei

“Serious Crimes Panels” composti da due giudici internazionali e uno locale, stessa composizione aveva la Corte d’Appello e la selezione dei giudici internazionali venne fatta privilegiando la provenienza di questi da un sistema civil law e che i candidati parlassero portoghese.

I giudici internazionale degli Specials Panels erano valutati tra il livello P3 e P5 della tabella di stipendi delle Nazioni Unite, questo fa intendere come il Segretario Generale abbia dato meno prestigio al personale chiamato a giudicare in Timor Est rispetto alla Sierra Leone.

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Inizialmente la presenza di giudici internazionali fu vista con ostilità dai giudici nazionali, inoltre il personale giudiziario nazionale fu molto infastidito dal fatto che la decisione fu presa senza nessuna preliminare consultazione.

Fino al 2003 solo un Panel era in funzione, successivamente poi furono operativi anche il secondo e il terzo.

I problemi di questa Corte sono stati la forte inesperienza dei giudici nazionali e oltretutto i pochi finanziamenti nazionali e delle Nazioni Unite: i giudici internazionali spesso erano assunti con contratti di 6 – 12 mesi e vi era un ritardo nel reintegro del personale.

41

40 C. REIGER e M. WIERDA, The Serious Crimes Process in Timor-Leste: In Retrospect, for the International Center for Transitional Justice March 2006, p. 14, www.ictj.org.

41 Ibid., p. 15, www.ictj.org, visitato il 10 agosto 2014.

(21)

La UNTAET creò nel 2000 una Serious Crimes Unit (SCU) che inizialmente era inserita all’interno del Human Rights Unit (HRU) ma poi fu trasferita sotto la Procura Generale.

Fino al 2002 la carica di sostituto Procuratore Generale non è stata ricoperta in modo permanente, dal 2002 fino alla sua chiusura nel 2005 il sostituto Procuratore per i “Serious Crimes”, nominato dal UNTAET, guidava la SCU riferendo puntualmente l’attività al Procuratore Generale.

Questo organismo era nettamente separato dalla Corte ed anch’esso fu protagonista di inesperienza sul campo e inadeguata preparazione forense.

Inoltre la maggiore difficoltà per la SCU fu quella della mancata collaborazione da parte dell’Indonesia nonostante il Memorandum of Understanding del 5 aprile 2000 tra la UNTAET e il governo Indonesiano. Esso infatti non ha mai avuto un’efficacia vera poiché le autorità indonesiane si giustificarono sostenendo che le procedura di ratifica non erano state portate a termine.

Il risultato scarso dovuto alla mancata collaborazione fu devastante: su 391 persone incriminate, 309 accusati rimangono al di fuori della giurisdizione di Timor Est.

42

2.4. La Corte Penale Internazionale

Dopo un primo progetto che la CDI presentò nel 1994 all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in cui si contemplava per la prima volta una Corte

42 Ibid., p. 21, www.ictj.org, visitato il 10 agosto 2014.

(22)

permanente, nel 1996 l’Assemblea nominò un Comitato preparatorio sull’istituzione della futura CPI.

Dopo vari incontri si arrivò alla conferenza diplomatica di Roma del 1998 durata cinque settimane (15 giugno – 17 luglio), in cui venne redatto un progetto di Statuto. Il Comitato plenario, presieduto da Philippe Kirsch, alla fine approvò con 120 voti a favore, 20 astenuti e 7 contrari, tra cui Stati Uniti e Cina, lo Statuto della Corte Penale Internazionale.

43

Il 1° luglio 2002, con la sessantesima ratifica, il Trattato di Roma entra in vigore ufficialmente e già nei due anni successivi oltre novanta Stati, compresi tutti i membri dell’Unione Europea, hanno aderito al sistema della Corte Penale Internazionale; nel maggio 2013 gli Stati membri sono 122. Nel 2003 sono stati eletti i diciotto giudici, il presidente e i due vicepresidenti, il primo procuratore e il cancelliere.

44

Principio cardine di questa Corte è il principio della complementarità, con cui si stabilisce che la Corte svolge una funzione sussidiaria rispetto alla giustizia nazionale degli Stati. Questa caratteristica è stata una novità se si pensa che nell’esperienza precedente rappresentata dai Tribunali ad hoc, la giustizia internazionale penale aveva priorità di giurisdizione rispetto ai tribunali nazionali.

45

La scelta di modellare la CPI sul principio della complementarità è data da due ragioni: la prima è che si voleva evitare un eccessivo carico di lavoro visti i

43 A. CASSESE, Lineamenti di diritto internazionale penale, Vol. II Diritto Processuale, Società editrice il Mulino 2006, pp. 29-30.

44 S. ZAPPALÀ, La giustizia penale internazionale. Crimini di guerra e contro l’umanità: da Norimberga alla Corte penale internazionale, Società editrice il Mulino 2005, p 91.

45 Cfr. N. RONZITTI, Introduzione al diritto internazionale, G. Giappichelli Editore 2009, p 279.

(23)

limitati mezzi e strutture che essa poteva disporre; il secondo motivo è di tipo concettuale, ovvero che non si voleva invadere eccessivamente la sovranità degli Stati ma piuttosto l’istituzione di una Corte permanente avrebbe controllato l’operato dei tribunali statali e imposto indirettamente un’adeguata legislazione penale in materia di crimini internazionali.

46

La complementarità è regolata dallo Statuto dagli articoli 15, 17, 18 e 19 e già menzionata nel paragrafo 10 del preambolo e all’articolo 1.

La Corte non può intervenire quando vi sia già in corso un’indagine sul caso da parte delle autorità nazionali o queste abbiano deciso di non procedere, oppure quando il fatto non abbia quei caratteri di gravità idonei a far iniziare il procedimento. Non può nemmeno agire nei confronti di chi sia già stato assolto o condannato da tribunali statali.

Viceversa la Corte può intervenire quando vi è mancanza di volontà o incapacità di uno Stato di perseguire un determinato soggetto o quando il fatto sia abbastanza grave da giustificare l’intervento della Corte.

Quindi la CPI interviene tutte le volte in cui lo Stato non conduce un procedimento imparziale, provoca un ritardo ingiustificato e sospetto, o le autorità assolvono l’imputato per poterlo poi proteggere dalla giurisdizione della Corte.

Quanto detto vale per la mancanza di volontà, mentre per l’incapacità si intende quando uno Stato non ha i mezzi per perseguire, raccogliere prove, svolgere il processo o arrestare l’imputato.

47

46 Cfr. A. CASSESE, Lineamenti di diritto internazionale penale, Vol. II Diritto Processuale, Società editrice il Mulino 2006, p.40.

47Ibid., pp. 40-43.

(24)

L’attivazione della Corte può avvenire in tre modi diversi: qualsiasi Stato membro può richiedere il suo intervento, altrimenti il Consiglio di Sicurezza può chiedere che la Corte si occupi di una determinata situazione, infine il procuratore ha il potere di attivare autonomamente la giurisdizione della CPI.

Quest’ultimo però ha un potere che incontra dei limiti: innanzitutto è il Consiglio di Sicurezza che ai sensi dell’articolo 16 dello Statuto può sospendere in ogni momento e stadio il procedimento di fronte ad essa, il procuratore ha invece l’obbligo, prima di iniziare le indagini, di informare gli Stati membri sui fatti a cui vuole porre la sua attenzione poiché in caso uno Stato volesse azionare la propria giustizia su di esso la Corte, in ossequio al principio di complementarità, dovrebbe fare un passo indietro.

Infine il Procuratore dovrà sottoporre il caso al controllo della Camera Preliminare (Pre-trial Chamber), composta da tre giudici

48

. Questo organo ha il compito di valutare se vi sono le condizioni per poter iniziare le indagini elencate agli articoli 17 e seguenti dello Statuto, e sono: che non vi siano già autorità Statali che abbiano avviato procedimenti su gli stessi fatti, in questo caso la Camera dovrà valutare che vi sia imparzialità e che il procedimento non sia stato avviato solo per evitare la giurisdizione della CPI; inoltre valuterà che l’accusato non sia già stato giudicato per gli stessi fatti, sempre in modo imparziale.

49

Il processo dinnanzi a questa Corte si basa sul sistema accusatorio anglo- americano anche se parallelamente ha accolto alcuni tratti del sistema

48 Cfr. S. ZAPPALÀ, La giustizia penale internazionale. Crimini di guerra e contro l’umanità:

da Norimberga alla Corte penale internazionale, Società editrice il Mulino 2005, pp. 95-97.

49 Ibid., pp. 97-98.

(25)

inquisitorio come per esempio la possibilità di raccogliere alcune prove anche prima del dibattimento, questo istituto, detto incidente probatorio, è tipico del sistema italiano; anche i giudici hanno un ruolo più attivo che si esplica nell’eventuale potere di chiamare a deporre testimoni. Inoltre è contemplata la presenza di una Pre-Trial Section, che richiama la figura del GIP, altra peculiarità del sistema inquisitorio.

In ogni caso lo schema del processo è quello di ricercare la verità con due parti che si confrontano di fronte ad un giudice terzo, e questo è il meccanismo proprio del processo accusatorio. È tipico del sistema anglosassone anche la divisione tra l’accertamento della responsabilità dell’imputato e la determinazione della pena.

La CPI ha tre sezioni: la Pre-Trial che si occupa del procedimento fino al rinvio a giudizio, la Trial Section che si occupa del dibattimento e la Appeals Section che si occupa delle impugnazioni, che lo Statuto della Corte ne prevede due: l’appello e la revisione.

50

Il procuratore è eletto dall’Assemblea degli Stati parte, egli ha a disposizione personale qualificato per le investigazioni, il capo del personale investigativo coordina le indagini insieme al procuratore.

51

Rispetto alla cooperazione giudiziaria lo Statuto all’articolo 86 impone un obbligo generale e con successive disposizioni quest’obbligo viene specificato in tutte le sue forme.

52

Rispetto ai Tribunali ad hoc, in cui la cooperazione giudiziaria era una norma severa per gli Stati, in questo caso la cooperazione è

50 Ibid., p 102.

51 Ivi.

52 Cfr. A. CASSESE, Lineamenti di diritto internazionale penale, Vol. II Diritto Processuale, Società editrice il Mulino 2006, p.51.

(26)

invece strutturata con varie garanzie a favore degli Stati. Per esempio in caso di

richieste concorrenti da parte della Corte e di uno Stato non membro uno Stato

non è obbligato a rispondere alle richieste della Corte, non è quindi prevista una

supremazia automatica.

(27)

B) L

A REPRESSIONE DELLA PIRATERIA

1. In generale – 1.1. Giurisdizione universale nella pirateria – 1.2. Quali tribunali per la pirateria? La risoluzione 1976/2011 del Consiglio di Sicurezza e la proposta di istituire tribunali speciali in Somalia o nei Paesi della regione – 2. La Convenzione di Montego Bay – 2.1. Intensità dei poteri conferiti agli Stati – 2.2. Azione degli organismi internazionali – 2.2.1.

Le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e la Convenzione di Roma del 1988 – 2.2.2. La base giuridica delle missioni militari – 2.2.3. I problemi legati alla detenzione a bordo – 2.2.4. La mancanza di forza deterrente: il fenomeno del catch and release

1. In generale

I crimini internazionali dell’individuo sono quelli che ledono particolari beni protetti dal diritto internazionale e vengono chiamati crimina juris jentium. Essi sono regolati da fonti consuetudinarie e traggono le loro origini dagli statuti di Norimberga e Tokyo del 1948.

Un’altra categoria di crimini internazionali è rappresentata da quelli di diritto interno internazionalmente previsti, sono crimini che nascono da fonti convenzionali poiché strutturalmente hanno elementi che richiamano la transnazionalità.

Riguardo alla pirateria la dottrina si divide sul punto e, mentre una parte la riconosce come crimine internazionale dell’individuo, un’altra la distingue da essa sotto vari aspetti per poi ricondurla in una terza categoria di crimini internazionali, quella dei delicta juris jentium

1

che si pone in posizione

1 Cfr. G. TELLARINI, La pirateria marittima, regime di repressione e misure di contrasto, Aracne Editrice 2012, p. 86.

(28)

intermedia tra i crimina juris jentium e i crimini di diritto interno internazionalmente previsti.

2

La pirateria non può rientrare nei crimini interni internazionalmente previsti poiché in questo caso essi vengono commessi all’interno della sovranità di uno Stato, al contrario gli atti di pirateria hanno la caratteristica di consumarsi in alto mare, perciò al di fuori di qualsiasi giurisdizione statale.

3

Per mettere a confronto invece la pirateria marittima dai crimini internazionali dell’individuo possiamo osservare che entrambi hanno le loro fonti nel diritto consuetudinario, ma per il resto sono molteplici i tratti che li differenziano.

Con riguardo al soggetto attivo del reato, per integrare la fattispecie di pirateria marittima il crimine deve necessariamente esser commesso da un privato, mentre per quanto riguarda i crimini internazionali dell’individuo i responsabili che vengono perseguiti devono necessariamente essere individui- organi.

Altra differenza si nota rispetto al fondamento giuridico del reato di pirateria rispetto ai crimina juris jentium. Alla base della repressione della pirateria vi è l’intento di dover proteggere e salvaguardare la libera e sicura navigazione in alto mare; mentre i crimini internazionali dell’individuo sono contrassegnati dal proteggere beni particolarmente preziosi all’umanità, e infatti si punta a

2 Cfr. F. GRAZIANI, Il contrasto alla pirateria marittima nel diritto internazionale, Editoriale Scientifica 2010, p. 108.

3 Cfr. G. TELLARINI, La pirateria marittima, regime di repressione e misure di contrasto, Aracne Editrice 2012, p. 91.

(29)

sopprimere ogni condotta che comprometta la pace, la sicurezza e violi i diritti fondamentali dell’uomo.

4

Infine quando uno Stato interviene per contrastare atti di pirateria lo Stato interviene non in nome della Comunità Internazionale ma mette in atto un potere, che deve essere tollerato dallo Stato bandiera dell’imbarcazione e dallo Stato di cui è cittadino il soggetto attivo del reato, riconosciuto dal diritto internazionale.

5

Per poter inquadrare bene il regime di repressione della pirateria marittima è necessario non solo inquadrare il crimine come delictum juris gentium con proprie peculiarità, ma è anche essenziale comprendere il principio di libera navigazione poiché la pirateria è una fattispecie che in deroga a detto principio conferisce poteri straordinari agli Stati per poterla contrastare.

Il principio di libertà in alto mare viene definito per la prima volta agli inizi del 1600 da Grozio nel suo scritto Mare liberum, in base ad esso tutti gli Stati nel cosiddetto alto mare, che viene definito in negativo ovvero il mare non compreso in quello territoriale, nella zona economica esclusiva e acque interne, godono di varie libertà che hanno come limiti quelle di non intralciare le libertà degli altri Stati. Una di queste, e la più importante, è la libera navigazione.

Queste norme, di provenienza consuetudinaria e poi codificate nell’1982, sono fondamentali per comprendere il regolamentazione di contrasto alla pirateria.

Le eccezioni alla libertà in alto mare sono dovute da esigenze di tutelare interessi dell’intera Comunità Internazionale, la pirateria è uno di quei crimini

4 Cfr. F. GRAZIANI, Il contrasto alla pirateria marittima nel diritto internazionale, Editoriale Scientifica 2010, p. 107.

5 Ivi.

(30)

che permette a qualsiasi Stato di intervenire per contrastare e punire i responsabili di atti pirateschi.

1.1. Giurisdizione universale nella pirateria

In alto mare non è presente un’autorità superiore che vigila sul rispetto delle norme internazionali. Il rispetto delle norme nell’alto mare è affidato infatti agli Stati che avranno esclusiva giurisdizione per le imbarcazioni di bandiera, questo principio è espresso all’articolo 92 della Convenzioni delle Nazioni Unite sui Diritti del Mare del 1982.

L’esclusività della giurisdizione incontra però dei limiti, nel caso della pirateria all’articolo 105 della Convenzione di Montego Bay è difatti stabilito che ogni Stato è legittimato ad intervenire nei confronti di una nave pirata a prescindere dallo Stato bandiera. È riconosciuto quindi a tutti gli Stati il potere di perseguire i responsabili del crimine in base alla giurisdizione universale ammessa nel caso di pirateria marittima.

È doveroso analizzare il fondamento giuridico della repressione universale in materia di pirateria marittima.

Ricordiamo innanzitutto che l’universalità della giurisdizione in materia di

crimini internazionali, come già riportato prima, è un criterio di competenza che

permette a giudici nazionali di avere giurisdizione anche quando non vi sia

nessun nesso territoriale e nessun nesso tra soggetto attivo e passivo del reato.

(31)

Tutto questo è giustificato dal fatto che il diritto internazionale utilizza il criterio dell’universalità per evitare che coloro che si macchiano di crimini molto gravi non rimangano poi impuniti.

Fatta questa premessa possiamo analizzare che nel caso della pirateria marittima non è applicabile tale ragionamento, gli atti pirateschi commessi in acque territoriali infatti sono esclusivamente di giurisdizione dello Stato territoriale e quindi non possiamo paragonare la giurisdizione universale applicabile ai crimini internazionali a quella applicabile alla pirateria marittima.

In caso di crimina juris gentium a prescindere dal locus commissi delicti sarebbe attivabile la giurisdizione universale da parte di un qualsiasi Stato.

Inoltre per il crimine di pirateria marittima la giurisdizione universale non è giustificata dalla gravità di tale delitto, come invece parte della dottrina sostiene.

6

Non essendo l’efferatezza del delitto a giustificare l’universalità repressiva si considera che essa sia uno strumento necessario per rendere possibile e facilitare il contrasto alla pirateria, senza giurisdizione universale sarebbe materialmente impossibile opporsi alla pirateria in alto mare; altra ragione che giustifica l’universalità è l’interesse dell’intera comunità nel proteggere i commerci marittimi, gli atti di pirateria non danneggiano soltanto i soggetti passivi di una determinata condotta messa in atto, ma è interesse economico di tutti gli Stati poter garantire i commerci sicuri in mare.

6 Cfr. F. GRAZIANI, Il contrasto alla pirateria marittima nel diritto internazionale, Editoriale Scientifica 2010, p. 172.

(32)

È possibile quindi constatare che in diritto internazionale sono presenti due modelli di giurisdizione universale, uno applicabile ai crimina juris gentium e il secondo alla pirateria marittima.

7

Il primo si applica a prescindere del locus commissi delicti e si ha in caso di crimini particolarmente gravi commessi da individui-organi, quindi nasce poiché vuole tutelare la pace e la salvaguardia dei diritti umani; il secondo opera in zone dove non c’è giurisdizione da parte di nessuno Stato, i responsabili sono soggetti privati e l’universalità della giurisdizione punta a tutelare la salvaguardia della libera navigazione in alto mare e la sicurezza dei traffici marittimi. La giurisdizione universale in materia di pirateria si è consolidata in fretta poiché vi era un forte sostegno da parte di tutti gli Stati della Comunità Internazionale, per i crimina juris gentium invece la repressione universale si è sviluppata molto più tardi, questo perché in questi casi è più facile che la sovranità statale viene a scontrarsi con la giustizia penale internazionale.

8

La giurisdizione universale in materia di pirateria presenta quindi meno problemi rispetto a quella applicabile ai crimini internazionali dell’individuo poiché non vi è, nel primo caso, conflitto con la sovranità statale.

Se a livello teorico non sono presenti grossi problemi a livello pratico invece la giurisdizione per i colpevoli di pirateria mostra non poche difficoltà. A livello concettuale la via è semplice e ogni Stato ha legittimamente la possibilità di intervenire contro i pirati, in concreto sono tanti gli inconvenienti, per esempio i

7 Ibid., p. 182.

8 Ibid., p. 183.

(33)

tempi e soprattutto il costo di trasporto dei sospettati dai luoghi di cattura al Paese che vuole esercitare la propria giurisdizione.

Peri i crimina juris gentium la repressione universale deve fare i conti anche con ostacoli diplomatici e concettuali.

1.2. Quali tribunali per la pirateria? La risoluzione 1976/2011 del Consiglio di Sicurezza e la proposta di istituire tribunali speciali in Somalia o nei Paesi della regione

Come è stato precedentemente affermato, a livello teorico si ha ormai un ritratto completo del reato di pirateria ed è consolidato il parere che è sempre applicabile il principio di universalità della giurisdizione.

Parallelamente si sottolinea che negli ultimi anni il fenomeno della pirateria imperversa e questo a causa principalmente dell’inadeguata azione di contrasto.

Quasi tutte le potenze mondiali e tutti i Paesi occidentali sono impegnati nella lotta alla pirateria, ma nonostante questo ancora non si riesce a bloccare questo dilagante fenomeno criminoso, anche se nel 2013 per la prima volta è stata registrata una drastica diminuzione degli attacchi proprio grazie alle nuove misure adottate con una forte cooperazione da parte di tutti gli Stati.

9

Il picco più alto degli attacchi di pirateria in tutto il mondo risale al 2009 con 240

9http://www.iccitalia.org/imb.htm, visitato il 10 agosto 2014. Rapporto dell’ICC

dell’International Maritime Bureau (IMB) del novembre 2013 in cui si registrano 188 episodi di pirateria nei primi nove mesi del 2013, in calo rispetto ai 233 relativi allo stesso periodo del 2012, con 10 navi dirottate, 140 abbordate e 17 su cui è stato aperto il fuoco, 266 membri di equipaggio presi in ostaggio e 34 rapiti, visitato il 10 agosto 2014.

(34)

attacchi e solo nel 2010 inizia una piccola abbassamento del numero arrivando a 196.

10

La lotta alla pirateria chiama in causa le più grandi Organizzazioni Internazionali, in prima fila tra queste l’Unione Europea e le Nazioni Unite che più volte è intervenuto con numerose risoluzioni del Consiglio di Sicurezza in materia di pirateria.

La risoluzione 1976 dell’11 aprile 2011 non è la prima che verte sulla problematica situazione nel golfo dell’Aden, ma senz’altro è la prima che propone come soluzione quella di istituire delle Corti Speciali anti-pirateria in Somalia e negli Stati limitrofi.

Al paragrafo 26 di tale risoluzione si statuisce che il Consiglio di Sicurezza

“Decides to urgently consider the establishment of specialized Somali courts to try suspected pirates both in Somalia and in the region, including an extraterritorial Somali specialized anti-piracy court, as referred to in the recommendations contained in the report of the Special Adviser to the Secretary General on Legal Issues Related to Piracy off the Coast of Somalia Mr. Jack Lang (annex to document S/2011/30), consistent with applicable human rights law, and requests the Secretary-General to report within two months on the modalities of such prosecution mechanisms, including on the participation of international personnel and on other international support and assistance, taking into account the work of the CGPCS and in consultation with concerned regional States and expresses its intention to take further decisions on this

10 Rapporto pubblicato il 15 luglio 2010 dal Piracy Reporting Centre dell’International Maritime Bureau (IMB), http://www.icc-ccs.org/piracy-reporting-centre visitato il 10 agosto 2014.

(35)

matter”.

11

Il Consiglio fa riferimento a un report fatto il 25 gennaio del 2011 dallo Special Adviser to the Secretary General che proponeva appunto di istituire delle corti specializzate. Sempre quanto scritto nel citato paragrafo della risoluzione 1976 viene stabilito che nel giro di due mesi il Segretario Generale dovrà redigere un ulteriore report che indicherà quali saranno le possibili modalità di istituzione di determinate corti, il loro funzionamento, il sistema di supporto internazionale.

Verrà così redatto il 15 giugno 2011 il “Report of the Secretary-General on the modalities for the establishment of specialized Somali anti-piracy courts”.

12

Questa relazione pone come obbiettivi primari innanzitutto la formazione professionale dei giudici locali somali, la realizzazione di strutture adeguate, e quindi la costruzione di un sistema legale solido adatto a contrastare la pirateria nelle regioni di Somaliland e Puntland, affermando che le autorità somale saranno aiutate dal Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP), dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC) e dall’United Nations Political Office for Somalia (UNPOS).

Altro progetto presentato è quello poi di istituire una corte specializzata fuori dal territorio somalo.

L’idea è quindi da una parte di assistere le corti regionali somale specializzandole e facendole arrivare ad avere standard professionali adeguati, dall’altra istituire una corte federale territorialmente fuori dalla Somalia anch’essa specializzata per crimini di pirateria. Il presidente della Tanzania

11U.N. Doc. S/Res/1976, 11 April 2011, para 26, http://www.un.org/, visitato il 10 agosto 2014.

12 UN Doc. S/2008/360, 15 June 2011.

(36)

aveva accettato la proposta del Segretario Generale di istituire questa corte utilizzando i locali già presenti ad Arusha del Tribunale Internazionale Penale per il Ruanda.

La specializzazione dei tribunali somali, e l’eventuale tribunale extraterritoriale, si concentra anche nella persecuzione non solo di atti pirateschi tipici, ma di ogni atto che faciliti o finanzi la pirateria anche indirettamente.

È la risoluzione numero 2015 adottata il 24 ottobre del 2011 a mettere in luce l’importanza di tali strumenti legislativi per un incisivo contrasto alla pirateria.

I passaggi necessari per arrivare alla portata a termine di questo progetto sarebbero vari e complessi: un negoziato tra la Somalia e lo Stato ospitante per l’istituzione della Corte extraterritoriale, una base costituzionale-legislativa che fondi la Corte somala extraterritoriale, un sistema penale solido e appropriato per la persecuzione dei crimini di pirateria, negoziati tra con i vari Stati impegnati nella lotta alla pirateria per regolamentare lo spostamento degli imputati presso la Corte, necessità di formare giudici e personale esperto nazionale e internazionale, costruire le idonee strutture della Corte e le strutture carcerarie.

Nel 2011 durante una consultazione tenutasi a Dubai le autorità del Governo

Transitorio Federale della Somalia si sono espresse negativamente rispetto alla

proposta di istituire una Corte fuori dal territorio somalo. Anche il Presidente

del Galmudugh, il Ministro dei Trasporti di Puntland si sono espressi con parere

contrario a tale proposta, mentre il Ministro degli Esteri di Somaliland chiarì che

Somaliland non era contraria a una Corte extraterritoriale ma nello stesso tempo

non la ritenevano una buona soluzione.

(37)

Anche l’Unione Europea condivide le soluzioni proposte dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La risoluzione approvata dal Parlamento Europeo il 10 maggio 2012 si esprime invitando “il Consiglio e la Commissione a continuare a valutare le possibilità di celebrare i processi nei Paesi della regione e ad adoperarsi per l'istituzione di un tribunale internazionale per la pirateria in Somalia e in altri paesi della regione, tribunale che rappresenterebbe una soluzione giudiziaria stabile alla questione dei processi a carico dei pirati in Somalia”.

13

Per ora la creazione di una Corte anti-pirateria somala è un’idea difficile da realizzare, nonostante il Consiglio di Sicurezza dimostri di voler portare avanti tale progetto, lo ha ribadito in successive risoluzioni, oltre ad essere tanti i passaggi da fare sarebbe impegnativo il costo di una tale struttura, tale che sarebbe necessario il consenso e l’aiuto della maggior parte degli Stati. Inoltre parte della dottrina sostiene che una corte extraterritoriale specializzata remi contro un processo di miglioramento dei sistemi giurisdizionali locali.

14

2. La convenzione di Montego Bay

Come abbiamo già detto le fonti normative del diritto internazionale che regolano la pirateria sono fonti consuetudinarie. La Convenzione di Ginevra del 1958 sull’alto mare e poi la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del

13 Risoluzione del Parlamento europeo del 10 maggio 2012 sulla pirateria marittima (2011/2962(RSP)),

http://www.europarl.europa.eu/RegData/seance_pleniere/textes_adoptes/provisoire/2012/05- 10/0203/P7_TA-PROV(2012)0203_IT.pdf.

14 Cfr. H. IQBAL, A. MARTIN, M. VISAN, A Multi-Prong strategy to ensure pirate human rights through transfer, Public International Law & Policy Group, novembre 2011, pp. 20-21.

(38)

mare del 1982 sono in parte dichiarative del diritto internazionale consuetudinario e quindi sono norme vincolanti per tutti gli Stati, anche per quelli che non sono firmatari delle convenzioni. Le disposizioni che regolano la pirateria marittima sono ormai considerate diritto consuetudinario.

Con risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1970 fu convocata la Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare. Il processo di elaborazione fu lungo, servirono undici sessioni, tenutesi dal 1973 al 1982, ad arrivare il 10 dicembre 1982 all’approvazione a Montego Bay, in Giamaica, della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare di 320 articoli e 9 allegati.

15

La Convenzione di Montego Bay non abroga la precedente Convenzione di Ginevra del 1958, ma viene stabilito che in caso due Stati siano entrambi firmatari di suddette convenzioni prevarrà la Convenzione del 1982.

Prima di andare ad analizzare le norme codificate dalla Convenzione di Montego Bay, che essenzialmente sono le stesse della Convenzione del 1958 di Ginevra, è importante soffermarci sulle novità più importanti che la Convenzione del 1982 introduce e che avranno una grossa influenza sulla repressione della pirateria marittima.

Essendo infatti evidente ormai che il crimine di pirateria è strettamente legato al concetto di alto mare, nella Convenzione del 1982 rivede tale definizione creando nuovi istituti e nuove norme.

In primo luogo viene stabilito per la prima volta il limite esterno del mare

15 Cfr. N. RONZITTI, Introduzione al diritto internazionale, G. Giappichelli Editore 2009, p.

105.

(39)

territoriale, quantificato in 12 miglia, la Convenzione di Ginevra infatti prevedeva solo la definizione del limite interno.

L’articolo 1 della Convenzione di Ginevra del 1958 sull’alto mare definisce alto mare “tutte le parti del mare non comprese nel mare territoriale o nelle acque interne di uno Stato.” Questa determinazione di alto mare viene rivista nella Convenzione di 1982, infatti l’articolo 86 definisce le zone di alto mare quelle che non sono comprese nel mare territoriale o nelle acque interne, nella ZEE o nelle acque arcipelagiche.

16

La Convenzione di Montego Bay poi introduce la ZEE, acronimo di zona economica esclusiva (articoli 55 – 75), stabilendo che essa può avere una estensione massima fino a 200 miglia. La Zona economica esclusiva deve essere proclamata dallo Stato costiero, questo perché non è una prerogativa necessaria, come nel caso della zona contigua e al contrario del mare territoriale per esempio. Lo Stato costiero ha poteri più limitati rispetto a quelli che esercita nel mare territoriale, egli infatti ha poteri di polizia solo in relazione all’attività produttiva economica che svolge in quell’area marina. Tuttavia autorevole dottrina sostiene che nella ZEE è comunque consentita la repressione della pirateria da parte degli Stati poiché nella ZEE continuano ad esserci alcune libertà presenti nell’alto mare come la libertà di navigazione (articolo 58) e all’interno di essa lo Stato costiero ha giurisdizione funzionale e non territoriale.

La Convenzione di Montego Bay è entrata in vigore il 16 novembre 1994, un anno dopo la firma del sessantesimo Stato, e dopo un primo periodo in cui alcuni Stati molto influenti sono rimasti scettici nel ratificarla, finalmente si

16 Ibid., p 125.

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