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2.1. la repressione della pirateria marittima nel diritto internazionale.

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45 CAPITOLO 2

La normativa e il sistema di repressione della pirateria marittima

SOMMARIO:_2.1. La repressione della pirateria marittima nel diritto internazionale_2.2. La repressione della pirateria marittima nel diritto interno_2.3. La cooperazione internazionale come strumento essenziale per il contrasto alla pirateria marittima_2.3.1. La rilevanza del Sea Monitoring e dell’Information Sharing_2.4. Le missioni navali antipirateria al largo del Corno d’Africa.

2.1. la repressione della pirateria marittima nel diritto internazionale.

Con la pubblicazione dell'opera “Mare Liberum”, avvenuta nel XVIII secolo ad opera di Ugo Grozio

1

, si è confermato il principio della libertà dei mari. Tale principio sancisce che gli Stati non hanno la legittimazione ad assoggettare le acque internazionali.

La Convenzione di Montego Bay del 1982 interpreta “l'alto mare”

come la zona di mare non rientrante nelle acque territoriali, nelle acque interne degli Stati, nella zona economica esclusiva e riconosce anche, alcune zone speciali sottratte all'alto mare, entro le quali gli

1

Lo scritto in questione corrisponde al capitolo XII dell’ opera De jure praedae

commentarius, stampato nel 1609, con il titolo Mare liberum sive de jure, quod

Batavis competit ad Indicana commercia, dissertatio.

(2)

46 Stati costieri possono esercitare determinati diritti.

Gli articoli della convenzione relativa al principio della libertà dell'alto mare sono dall'art. 86 a all’art. 90

2

. Tale libertà deve essere intesa come assenza di qualsiasi sovranità territoriale, ma non come assenza di qualsiasi limite giuridico; infatti, vi è la previsione di un apposito regime giuridico che stabilisce le attività esplicabili e le relative modalità di esercizio.

Tra i diritti previsti dall'alto mare e riconosciuti in egual misura a tutti gli Stati, troviamo la libertà di navigazione e il fatto che ciascuno Stato può esercitare il potere di governo sulle navi che battono la propria bandiera. Tale libertà è condizionata dalla immatricolazione del veicolo; a questo proposito l'art. 92 della Convenzione di Montego Bay afferma che:

2

Convenzione di Montego Bay, 1982, recante norme che attribuiscono agli stati i diritti e le responsabilità nell’utilizzo dei mari e degli oceani;

Art. 86: «Le disposizioni della presente parte si applicano a tutte le aree marine non incluse nella zona economica esclusiva, nel mare territoriale o nelle acque interne di uno Stato, o nelle acque arcipelagiche di uno Stato-arcipelago. Il presente articolo non limita in alcun modo le libertà di cui tutti gli Stati godono nella zona economica esclusiva, conformemente all’articolo 58».

Art. 87: «1. L’alto mare è aperto a tutti gli Stati, sia costieri sia privi di litorale. La libertà dell’alto mare viene esercitata secondo le condizioni sancite dalla presente convenzione e da altre norme del diritto internazionale. Essa include, tra l’altro, sia per gli Stati costieri sia per gli Stati privi di litorale, le seguenti libertà: a) libertà di navigazione; b) libertà di sorvolo; c) libertà di posa di cavi sottomarini e condotte alle condizioni della parte VI; d) libertà di costruite isole artificiali ed altre installazioni consentite dal diritto internazionale alle condizioni della parte VI; e) libertà di pesca secondo le condizioni stabilite dalla sezione 2; f) libertà di ricerca scientifica, alle condizioni delle parti VI e XIII. 2. Tali libertà vengono esercitate da parte di tutti gli Stati, tenendo in debito conto sia gli interessi degli altri Stati che esercitano la libertà dell’alto mare, sia i diritti sanciti dalla presente Convenzione relativamente alle attività nell’Area».

Art. 88: «L’alto mare deve essere usato esclusivamente per fini pacifici». Art. 89:

«Nessuno Stato può legittimamente pretendere di assoggettare alla propria

sovranità alcuna parte dell’alto mare». Art. 90: «Ogni Stato, sia costiero sia privo

di litorale, ha il diritto di far navigare nell’alto mare navi battenti la sua bandiera».

(3)

47

“Ogni Stato esercita efficacemente la propria giurisdizione ed il proprio controllo su questioni di carattere amministrativo, tecnico e sociale sulle navi che battono la sua bandiera.

Ogni Stato, in particolare, ha un registro delle navi che contiene i nomi e le caratteristiche delle navi che battono la bandiera nazionale, ad esclusione di quelle che, in virtù di norme internazionali generalmente accettate, per effetto delle loro modeste dimensioni ne sono esenti.

Ogni Stato esercita la propria giurisdizione secondo il proprio ordinamento interno su ogni nave che batte la sua bandiera e sui rispettivi comandanti, ufficiali, equipaggi.

Tutti gli Stati adottano per le navi battenti la propria bandiera ogni misura necessaria a salvaguardare la sicurezza in mare, con particolare riferimento a costruzione, attrezzature e navigabilità;

composizione, condizioni di lavoro e addestramento degli equipaggi;

impiego dei segnali, buon funzionamento delle comunicazioni e prevenzione degli abbordi”.

In base a tale articolo ogni Stato ha l'obbligo di effettuare la registrazione delle navi che intendano navigare nelle acque internazionali e comporta una serie di obblighi in capo alle navi stesse.

3

3

Convenzione di Montego Bay, 1982, recante norme che attribuiscono agli stati i

diritti e le responsabilità nell’utilizzo dei mari e degli oceani, art 92.

(4)

48 Secondo le norme previste all'interno della Convezione, esclusi i casi in cui lo Stato di bandiera o il comandante consentano la visita e il controllo di imbarcazioni, nessuno Stato ha la possibilità di esercitare la propria autorità in caso di natanti battenti diversa bandiera; infatti, qualora ve ne sia la necessita`, le navi al servizio di uno Stato, hanno la legittimazione di interferire nei confronti di una imbarcazione battente bandiera straniera che navighi in alto mare, ponendo in essere una deroga al principio della libertà dell'alto mare.

Una di queste situazioni è la pirateria marittima, la quale, rispetto ad altri crimini commessi in mare, si caratterizza sia per la natura consuetudinaria delle norme che prevedono il relativo regime di contrasto, sia per la peculiarità dei poteri riconosciuti agli Stati. La figura della bandiera legata ad una nave sottintende un importante concetto, ovvero quello di sovranità.

Il rapporto di reciprocità tra Stato e nave battente la bandiera nazionale, viene comunemente denominato “genuine link”. Si può vedere che, sia la Convenzione di Ginevra del 1958 che la Convenzione di Montego Bay del 1982, fanno esplicito riferimento a questo concetto, ma non ne delineano in alcun modo il profilo; infatti, l'art. 5 della Convenzione di Ginevra del 1958 attesta che:

“1. Ogni Stato stabilisce le condizioni per concedere la propria

nazionalità alle navi, come anche quelle concernenti

l’immatricolazione e il diritto di battere bandiera. Le navi hanno la

(5)

49 nazionalità dello Stato della bandiera. Fra lo Stato e la nave ha da esserci un vincolo sostanziale; segnatamente, lo Stato deve esercitare la giurisdizione e il controllo sul settore tecnico, amministrativo e sociale delle navi battenti la propria bandiera.

2. Lo Stato della bandiera rilascia alle navi i documenti attestanti il diritto di battere bandiera”

4

,

mentre, l'art. 91 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare dispone che:

“1. Ogni Stato stabilisce le condizioni che regolamentano la concessione alle navi della sua nazionalità, dell’immatricolazione nel suo territorio, del diritto di battere la sua bandiera. Le navi hanno la nazionalità dello Stato di cui sono autorizzate a battere la bandiera. Fra lo Stato e la nave deve esistere un legame effettivo.

2. Ogni Stato rilasci alle navi alle quali ha concesso il diritto di battere la sua bandiera, i relativi documenti”.

5

Attraverso una prima lettura del disposto normativo delle due Convenzioni si ricava che, oltre ad essere lasciata piena autonomia agli Stati nello stabilire i requisiti per il rilascio della nazionalità, gli stessi possono dimostrare che il legame con le imbarcazioni è autentico attraverso un attento esercizio della giurisdizione su queste ultime. In conseguenza a ciò venne a diffondersi il fenomeno delle

4

Convenzione di Ginevra sull’alto mare, 1958, Art 5.

5

Convenzione di Montego Bay, 1982, recante norme che attribuiscono agli stati i

diritti e le responsabilità nell’utilizzo dei mari e degli oceani; Art. 91.

(6)

50

“flags of convenience”, ossia “Bandiere di Comodo”, consistente nel fatto che le navi issano una bandiera che però non è quella di appartenenza della nave.

Le imbarcazioni che utilizzano queste bandiere non hanno un riconoscimento giuridico e sono soggette in alto mare al controllo di tutti gli Stati. Nel caso in cui poi venisse accertata la mancanza di nazionalità, gli Stati membri hanno il potere di sottoporre queste navi ai dovuti controlli conoscitivi. Se poi la nave fosse pirata, la stessa verrebbe valutata secondo le norme previste dal regime di contrasto proprio della pirateria marittima.

6

La repressione della pirateria viene affidata agli ordinamenti statali e ciò comporta che sia proporzionata alla capacità dello Stato costiero di contrastarla. Ciò comporta, come conseguenza, la classificazione degli Stati in Stati Forti, caratterizzati da un apparato normativo ampio e completo in grado di contrastare e condannare i pirati, e Stati Deboli, caratterizzati da un apparato normativo debole e non esauriente.

7

Otre a ciò, la mancanza di previsioni normative dettagliate relative all’esercizio della giurisdizione comporta che i giudici non possono perseguire in modo concreto il reato di pirateria.

Appare in questo modo evidente come la discrezionalità riconosciuta

6

F. GRAZIANI, Il contrasto alla pirateria marittima nel diritto internazionale, Napoli, 2009.

7

M:BRIGNARDELLO, Nozione di pirateria marittima e sue implicazioni, in

scritti in onore di F. Berlingieri, n. spec. Il Diritto Marittimo, 2010, p. 224 ss.

(7)

51 agli ordinamenti interni degli Stati di decidere gli strumenti di contrasto al reato, possa condurre ad una difformità tra i vari Stati, e inoltre, come la facoltà concessa a questi ultimi di perseguire o meno i rei colpevoli di pirateria conduca ad un regime di contrasto scarsamente effettivo

8

.

8

F. GRAZIANI, Il contrasto alla pirateria marittima nel diritto internazionale,

Napoli, 2009.

(8)

52 2.2. La repressione della pirateria marittima nel diritto interno Nel precedente capitolo si è già fatto riferimento al fatto che il codice della navigazione nella parte III, dove vi sono le disposizioni in materia penale e disciplinare, al capo VI del titolo II del libro I, disciplina all’art. 1135 il reato di pirateria ed all’art. 1136 il reato di pirateria presunta.

Per quanto detto nella Relazione al codice della navigazione, questi due articoli non fanno alcun riferimento al criterio del luogo in cui è stato commesso il reato e di conseguenza derogano all'art. 1080 dello stesso codice, in materia di sfera di applicazione delle norme penali del codice della navigazione, che dispone:

“Il cittadino o lo straniero, che, essendo al servizio di una nave o di un aeromobile nazionale, commette in territorio estero un delitto previsto dal presente codice, è punito a norma del medesimo.

Il colpevole che sia stato giudicato all’estero è giudicato nuovamente nello Stato, qualora il Ministro della giustizia ne faccia richiesta.

Le disposizioni penali di questo codice non si applicano ai componenti dell’equipaggio e ai passeggeri di nave o di aeromobili stranieri, salvo che sia diversamente stabilito”.

9

Motivo per cui tali articoli godono di una sfera di applicazione autonoma e si fondano sul principio dell'universalità della giurisdizione.

9

Codice della navigazione, Art 1080.

(9)

53 Parte della dottrina ha anche ritenuto che gli articoli 1135 e 1136 figurano come eccezione all'art. 1080, in forza del fatto che oggetto della tutela penale è l'interesse pubblico all'integrità del patrimonio

10

. La legge italiana, in deroga al principio della territorialità del diritto e in linea a quanto disposto dall'art. 7, n. 5 del Codice Penale che dispone:

“È punito secondo la legge italiana il cittadino o lo straniero che commette in territorio estero taluno dei seguenti resti: 1) delitti contro la personalità dello Stato italiano; 2) delitti di contraffazione del sigillo dello Stato e di uso di tale sigillo contraffatto; 3) delitti di falsità in monete aventi corso legale nel territorio dello Stato, o in valori di bollo o in carte di pubblico credito italiano; 4) delitti commessi da pubblici ufficiali a servizio dello Stato, abusando dei poteri o violando i doveri inerenti alle loro funzioni; 5) ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscono l’applicabilità della legge penale italiana”

11

e all'art. 1080 comma 2 del Codice della Navigazione, si applica al reo, ovunque esso abbia commesso il fatto, nel territorio italiano o all'estero.

Nel caso in cui le condotte criminose siano state poste in essere

10

N. RONZITTI, voce “Pirateria”, in Enciclopedia del Diritto, Tomo XXXIII, p.

928.

11

Codice Penale, Art 7, numero 5.

(10)

54 all’estero da stranieri al servizio di nave straniera, ma comunque a danno di un’ imbarcazione italiana e del relativo equipaggio, proprio in forza del principio dell’universalità del diritto, il disposto di cui agli artt. 1135-1136 trova applicazione ai sensi dell’art. 10 del Codice Penale che afferma:

“Lo straniero, che, fuori dei casi indicati negli articoli 7 e 8, commette in territorio estero, a danno dello Stato o di un cittadino, un delitto per il quale la legge italiana stabilisce la pena di morte o l’ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a un anno, è punito secondo la legge medesima, sempre che si trovi nel territorio dello Stato, e vi sia richiesta del Ministro della giustizia, ovvero istanza o querela della persona offesa.

Se il delitto è commesso a danno delle Comunità Europee, di uno Stato estero o di uno straniero, il colpevole è punito secondo la legge italiana, a richiesta del Ministro della giustizia, sempre che: 1) si trovi nel territorio dello Stato; 2) si tratti di delitto per il quale è stabilita la pena di morte o dell’ergastolo, ovvero della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni; 3) l’estradizione di lui non sia stata conceduta, ovvero non sia stata accettata dal Governo dello Stato in cui egli ha commesso il delitto, o dallo Stato a cui egli appartiene”

12

Andando ad analizzare l'adeguamento dell'ordinamento italiano alla

12

Codice Penale, Art. 10.

(11)

55 convenzione del 1958, questo è stato stabilito con la legge dell' 8 Dicembre 1961, n. 1658.

La nozione di pirateria adottata dal Codice della Navigazione è da una parte più ampia e da un'altra parte più ristretta rispetto alla nozione fornita dalla Convenzione. Viene considerata più ampia in quanto qualifica come atti di pirateria anche quelli commessi nelle acque territoriali, e quindi non solo quelli posti in essere in alto mare.

Viene considerata più ristretta in quanto il codice ritiene l'animus furandi, ossia l'intento e la volontà di depredare l'imbarcazione vittima dell'attacco ed i beni e le persone a bordo della stessa, un elemento essenziale per la configurazione del reato di pirateria;

infatti, la Convenzione di Ginevra dispone che costituiscono atti di pirateria anche i semplici atti di violenza o detenzione purchè siano commessi per fini privati

13

.

L'ordine di esecuzione non ha abrogato e ha lasciato in vigore le norme che qualificano come pirateschi atti che la convenzione non prevede in conseguenza del fatto che ogni Stato può ampliare la nozione di pirateria, contrastando attività piratesche che si verificano nelle proprie acque territoriali, senza per questo creare situazioni di incompatibilità con l’art. 15 della Convenzione di Ginevra. In senso contrario, qualora l’ordinamento interno di uno Stato non

13

N. RONZITTI, voce “Pirateria”, in Enciclopedia del Diritto, Tomo XXXIII, p.

929,

M. DEL CHICCA, La pirateria marittima di fronte ai giudici di stati membri

dell’Unione Europea, in Rivista di diritto internazionale, 2012, XCV, p.108 ss.

(12)

56 qualificasse come pirateschi atti che convenzionalmente sono ritenuti tali, si verrebbe a creare una situazione problematica. In tale caso pero`, il giudice potrà rilevare la figura di reato da perseguire dalla norma convenzionale e la sanzione da applicare dalla disciplina interna ovvero dall'art 1135 e 1136 del codice della Navigazione.

Otre a ciò, nel caso in cui colpevole di atti di pirateria fosse l’equipaggio nei confronti di persone o beni in un luogo non soggetto alla sovranità di alcuno Stato, il reato sarà giudicato come se si trattasse di rapina o di estorsione commessa nello Stato costiero, ai sensi dell’art. 1137 del Codice della Navigazione.

La legge dell' 8 dicembre 1981, n. 1958, ha dato anche attuazione agli articoli 19, 20 e 21 della Convenzione di Ginevra che concedono allo Stato di catturare e visitare navi sospette di pirateria. Tali articoli hanno integrato gli articoli 200 e 202 del Codice della Navigazione in modo tale che ora le navi italiane da guerra possono procedere alla visita o alla cattura della nave pirata o comunque sospettata di pirateria anche qualora quest’ultima fosse straniera.

Passiamo ad analizzare, infine, l'esercizio della giurisdizione e la normativa speciale per le missioni internazionali.

Il decreto legge del 30 Dicembre 2008, n. 209, contenente norme che stabiliscono la proroga della partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali, è stato convertito nella legge del 24 Febbraio 2009, n.

12, contenete anche disposizioni riguardo alla giurisdizione per gli

(13)

57 atti di pirateria. Nel dettaglio, l’art. 5 comma 4, come modificato dall’art. 1 del Decreto Legge 15 giugno 2009, n. 61, prevede che:

“1. Al personale militare che partecipa alle missioni internazionali di cui al presente decreto si applicano il codice penale militare di pace e l’art. 9, commi 3 e 4, lettere a), b), c) e d), 5e 6, del decreto 1°

dicembre 2001, n. 421, convertito con la l. 31 gennaio 2002, n. 6.

2. I reati commessi dallo straniero nei territori o nell’alto mare in cui si svolgono gli interventi e le missioni internazionali di cui al presente decreto, a danno dello Stato o di cittadini italiani partecipanti agli interventi e alle missioni stessi, sono puniti sempre a richiesta del Ministro della giustizia e sentito il Ministro della difesa per i reati commessi a danno di appartenenti alle Forze armate.

3. Per i reati di cui al comma 2 e per i reati attribuiti alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria commessi, nel territorio e per il periodo in cui si svolgono gli interventi e le missioni internazionali di cui al presente decreto, dal cittadino che partecipa agli interventi e alle missioni medesimi, la competenza è attribuita al tribunale di Roma.

4. I reati previsti dagli artt. 1135 e 1136 del codice della navigazione

e quelli ad essi connessi ai sensi dell’articolo 12 del codice di

procedura penale, inclusi i reati a danno dello Stato o dei cittadini

italiani che partecipano alla missione di cui all’art. 3, comma14,

(14)

58 commessi in alto mare o in acque territoriali altrui e accertati durante la medesima missione sono puniti ai sensi dell’articolo 7 del codice penale e la competenza è attribuita al tribunale di Roma.

5. Nei casi di arresto in flagranza o fermo ovvero di interrogatorio di persona sottoposta alla misura coercitiva della custodia cautelare in carcere per i reati di cui al comma 4,qualora esigenze operative non consentano di porre tempestivamente l’arrestato o il fermato a disposizione dell’autorità giudiziaria, si applica l’articolo 9, commi 5 e 6, del decreto legge 1° dicembre 2001, n. 241, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 gennaio 2002, n. 6. Negli stessi casi l’arrestato o il fermato possono essere ristretti in appositi locali del vettore militare.

6. A seguito del sequestro, l’autorità giudiziaria può disporre l’affidamento in custodia all’armatore, all’esercente ovvero al proprietario della nave o aeromobile catturati con atti di pirateria”,

14

ovvero che i reati previsti agli articoli 1135 e 1136 del Codice della Navigazione e i reati ad essi connessi ai sensi dell'articolo 12 del Codice di Procedura Penale, se commessi nei confronti dello Stato o di cittadini o beni italiani, in alto mare o in acque territoriali altrui e venuti a conoscenza durante la missione internazionale Atalanta,

14

Legge del 24 Febbraio 2009, n. 12, contenente norme che stabiliscono la proroga

della partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali, Art. 5 comma 4, in

normattiva.it.

(15)

59 vengono puniti secondo la legge italiana ai sensi dell’art. 7 Codice Penale e non è richiesta alcuna condizione di procedibilità. La competenza a giudicare tali reati viene attribuita al tribunale di Roma.

Nella sostanza la legge italiana ha stabilito una riserva di giurisdizione per i reati commessi nei confronti di cittadini e beni italiani. Non ha, invece, stabilito una riserva di giurisdizione per i danni arrecati a persone o beni stranieri. Tuttavia, i responsabili dei reati possono essere trasferiti in un altro Stato che abbia concluso un accordo con l'Unione Europea, nel quale si accetta di perseguire e giudicare i responsabili detenuti a bordo di imbarcazioni militari italiani

15

.

Il decreto legge del 15 Giugno 2009, n. 61, convertito nella legge del 22 Luglio 2009, n. 100, ha stabilito la facoltà di catturare e detenere i colpevoli di atti di pirateria per il tempo necessario per procedere al trasferimento degli stessi nello Stato che possa esercitare la sua giurisdizione in forza degli accordi stretti con l'Unione Europea.

Su questo punto, la posizione italiana è diversa rispetto a quella degli altri Stati europei che hanno parte nella missione navale internazionale definita come Missione Atalanta. A differenza dell'Italia, questi Stati qualificano la detenzione dei responsabili di atti di pirateria durante il tempo necessario per il trasferimento come un'attività sui generis e come atto a loro non imputabile. Infatti,

15

C. TELESCA, Recenti misure internazionali di contrasto alla pirateria, sulla

Rivista on line Giureta, VII, 2009, p. 14 ss.

(16)

60 considerano tale attività come disposta direttamente dalla legge in forza della quale gli Stati effettuano una detenzione amministrativa di cui è imputabile soltanto l'Unione Europea e viene escluso qualsiasi coinvolgimento sul piano della responsabilità dello Stato procedente

16

.

Il disposto normativo di cui all’art. 9, comma 5, del decreto legge del 1 Dicembre 2001, convertito nella legge del 31 Gennaio 2002, n.6, si applica anche nel caso di arresto in flagranza o di fermo per i reati di pirateria e per i reati connessi ai sensi dell’art. 12 Codice di Procedura Civile, commessi a danno di cittadini o beni italiani, nel caso in cui non sia possibile procedere nell’immediato al trasferimento dei colpevoli.

Le stesse misure si applicano nel caso di interrogatorio di soggetto colpevole di atti di pirateria sottoposto a custodia cautelare in carcere.

L’arrestato può restare a bordo del vettore militare nel caso in cui ci sia un’ impossibilità nel trasferimento.

Al momento in cui termina il sequestro, l'imbarcazione pirata potrà essere consegnata all'armatore o al proprietario della nave catturati per mezzo di attività piratesche. Questa disposizione riesce a soddisfare al contempo due esigenze:

1) limita i costi di un eventuale trasporto in Italia dei mezzi catturati dai pirati e sequestrati durante l'operazione in questione;

16

F. GRAZIANI, Il contrasto alla pirateria marittima nel diritto internazionale,

Napoli, 2009.

(17)

61 2) restituisce i veicoli agli interessati nel più breve tempo possibile.

17

17

Decreto legge 1.12.01, n. 6, recante disposizioni urgenti per la partecipazione di

personale militare all’operazione multinazionale denominata “Enduring Freedom”,

art. 9.

(18)

62 2.3. La cooperazione internazionale come strumento essenziale per il contrasto alla pirateria marittima

L'art. 100 della Convenzione di Montego Bay del 1982 afferma che:

“ Tutti gli Stati esercitano la massima collaborazione per reprimere la pirateria nell'alto mare o in qualunque altra area che si trovi fuori della giurisdizione di qualunque Stato”.

Il contenuto di tale articolo ha un taglio più deciso rispetto a quanto contenuto nell'art. 14 della Convenzione di Ginevra del 1958 secondo il quale:

“Ogni stato deve cooperare, nei limiti del possibile, alla repressione della pirateria sia in alto mare sia in altri posti privi di giurisdizione”.

18

Tale norma delinea il carattere internazionale del reato di pirateria e la sua perseguibilità da parte di ogni Stato, quale che sia la zona geografica in cui esso risulta commesso

19

. Come conseguenza ne deriva che si viene a qualificare la cooperazione internazionale come strumento essenziale per il contrasto alla pirateria, considerata come crimine che pone in essere un danno universale.

Considerando che l'efficacia della cooperazione dipende dalle misure che gli Stati adottano al loro interno, la stessa può essere adattata alle caratteristiche che il fenomeno della pirateria presenta in un

18

Convenzione di Montago Bay, recante norme che attribuiscono agli stati i diritti e le responsabilità nell’utilizzo dei mari e degli oceani, Art. 100.

19

G.REALE, La pirateria del XXI secolo, in Diritto dei Trasporti, 2009, p. 742 ss.

(19)

63 determinato momento storico ed in una specifica area geografica.

Oltre a ciò, porre in essere un sistema di cooperazione tra gli Stati membri consente di colmare la definizione di pirateria marittima che il diritto internazionale dispone grazie ad una più dettagliata normativa interna, indirizzando il potere di contrasto non solo verso gli atti di pirateria generalmente qualificati come pirateria iuris gentium ma anche quegli atti più comunemente conosciuti come armed robbery.

In questo modo la comunità internazionale ha creato delle forme di controllo dirette a ridurre il rischio di andare verso una tolleranza del crimine di pirateria da parte di tutti gli Stati che pongo in essere azioni per contrastarla e reprimerla.

Questa cooperazione internazionale tra gli Stati di riviera implica un loro specifico interesse ad impegnarsi nel contrasto alla pirateria. Gli Stati che hanno un maggiore interesse a reprimere la pirateria sono quelli la cui Marina Mercantile è minacciata da attacchi di tale genere ovvero il cui commercio è pregiudicato da azioni piratesche.

Inoltre, possono partecipare a queste attività di contrasto anche gli

Stati che, nell’intento di esercitare attività di polizia internazionale

con lo scopo di tutelare interessi universali, inviano le proprie forze

armate in quelle aree geografiche più critiche e che più

frequentemente sono minacciate da atti pirateschi.

(20)

64 2.3.1. La rilevanza del Sea Monitoring e dell’Information

Sharing

Il fenomeno della pirateria viene costantemente monitorato da due organizzazioni internazionali: il Maritime Safety Comittee dell’IMO

20

(International Maritime Organization) ed il Piracy Reporting Centre dell’IMB

21

(International Maritime Bureau).

Gli strumenti principali per la prevenzione della pirateria marittima sono il Sea Monitoring e l’Information Sharing, ossia il monitoraggio del traffico marittimo e la raccolta, elaborazione e condivisione di informazioni in merito e sull’andamento del fenomeno della pirateria.

Tali strumenti vengono attuati da organismi appositi che sono il Maritime Safety Comittee dell’IMO, e il Piracy Reporting Centre dell’IMB; entrambi si riuniscono periodicamente per discutere le informazioni acquisite durante le loro attività di investigazione del problema

22

.

Con un tale sistema, i privati che navigano in aree geografiche particolarmente esposte al rischio di pirateria possono comunicare scambiandosi informazioni; in particolare:

20

L’ IMO L’Organizzazione Marittima Internazionale è un’Agenzia specializzata delle Nazioni Unite, istituita a seguito dell’adozione della Convenzione

internazionale marittima di Ginevra del 1948, volta a promuovere la cooperazione

21

L’IMB è un organo specializzato della Camera di Commercio Internazionale.

Fondato nel 1981 con il compito di prevenire e limitare le frodi ed altre pratiche sospette nei traffici marittimi internazionali, nonché di ridurre i rischi di pirateria marittima, disponendo di un sistema satellitare attraverso il quale le compagnie di navigazione possono monitorare la localizzazione delle proprie navi.

22

F. M. TORRESI, La pirateria marittima del XXI secolo, in Diritto marittimo,

2006, p. 617.

(21)

65 1. a) comunicando le proprie rotte qualora interessassero zone a

rischio;

2. b) denunciando ogni tentativo di attacco, in modo da assicurare una reale mappatura delle zone a più elevata percentuale di rischio;

3. c) adottando sistemi di identificazione, che consentano la rintracciabilità delle navi allorquando siano in navigazione in alto mare

Vi è da precisare che in capo ai privati non vi è uno specifico obbligo

ma una mera facoltà di condividere informazioni con questi

organizzazioni, ma è bene che gli operatori marittimi siano

consapevoli dell’importanza che questo strumento rappresenta sia per

la loro attività in mare sia per il concreto contrasto dell’attività

piratesca.

(22)

66 2.4. Le missioni navali antipirateria al largo del Corno d’Africa La Pirateria marittima è un fenomeno che nasce in Somalia, territorio in guerra permanente dal 1991, dove le organizzazioni dedite alla pirateria hanno prosperato approfittando anche della debolezza delle istituzioni governative somale.

Le indagini che sono state effettate consentono di rilevare che la

pirateria riscontra un aumento a partire dal 2006, ovvero l'anno in cui

le Corti Islamiche furono estromesse dal potere governativo; infatti,

tra il Dicembre 2006 e la prima metà di Gennaio 2007, l’Unione

delle Corti Islamiche, detentrice del controllo della capitale somala e

di aree adiacenti (Somalia meridionale centrale), ha subito una serie

di sconfitte militari che hanno consentito al governo federale

transitorio di insediarsi a Mogadiscio. A seguito di tale avvenimento,

anche le milizie dei “signori della guerra”, riunite nell’ “Alleanza per

la Restaurazione della Pace contro il Terrorismo” (ARPCT), hanno

deposto le armi consegnandole formalmente al governo federale di

transizione (GFT). Il 28 Dicembre 2006, le forze del governo

transitorio affiancate dai reparti etiopici, dopo aver liberato la città di

Jowar, hanno occupato Mogadiscio. In realtà, la caduta della capitale

ha costituito l’ultimo elemento di un’avanzata improvvisa che si è

sviluppata nell’arco di circa dieci giorni, anche col decisivo supporto

dell’aviazione etiopica, costringendo le Corti Islamiche a ripiegare

nell’area di confine Somalia-Kenya. È seguita quindi una dispersione

(23)

67 delle tante e variegate milizie dei “signori della guerra”, riuniti nella

“Alleanza per la Restaurazione della Pace e contro il Terrorismo”, alcune dei quali, a metà Gennaio 2007 hanno formalmente deposto le armi, consegnandole al governo transitorio. Infine, tra il 7 e l’8 Gennaio, la Somalia è stata l’obiettivo di un attacco aereo degli Stati Uniti, volto a demolire la sospetta presenza di esponenti di Al-Qaeda nel Paese, al seguito delle Corti Islamiche.

In tale contesto, il Consiglio di sicurezza ha adottato, come prima specifica iniziativa, la Risoluzione 1172 (2007) del 20 agosto 2007 con la quale si sono incoraggiati gli Stati membri, i mezzi militari dei quali operavano nelle acque e negli spazi aerei internazionali adiacenti la Somalia a cooperare e ad adottare le misure idonee a proteggere navi mercantili, in modo particolare quelle adibite al trasporto di aiuti umanitari.

Tuttavia, nei mesi successivi, le condizioni di sicurezza della navigazione non hanno fatto registrare alcun miglioramento, nonostante la disponibilità mostrata da alcuni Stati a scortare le navi del programma alimentare mondiale, ed il reiterato invito alla cooperazione internazionale operato dal Consiglio di sicurezza con la Risoluzione 1801 (2008) del 20 febbraio 2008.

Di fronte all’ incapacità del governo transitorio somalo e di regimi de

facto ormai da tempo formatisi sul territorio di quel Paese (come

quello del Puntland) per garantire la sicurezza della navigazione ed il

(24)

68 trasporto degli aiuti umanitari, furono aumentate le pressioni affinchè il governo provvisorio desse il proprio consenso, e il Consiglio di sicurezza la propria autorizzazione, affinchè navi militari straniere operanti nell'Oceano indiano entrassero nelle acque territoriali per fini di contrasto della pirateria e di cattura dei responsabili di atti di rapina armata.

Si è così giunti, il 2 Giugno 2008, all'adozione all’ unanimità da parte del Consiglio di sicurezza della Risoluzione 1816 (2008). Attraverso il paragrafo 7 della Risoluzione 1816 (2008), il Consiglio di sicurezza ha autorizzato per sei mesi gli Stati che manifestino la loro intenzione di cooperare col governo transitorio somalo (e dei quali lo stesso governo dia preventiva comunicazione al Segretario generale dell'ONU) ad entrare nelle acque territoriali della Somalia ed ad usare tutti i mezzi necessari per reprimere atti di pirateria e rapina armata, in modo conforme alle misure che possono essere assunte contro la pirateria in acque internazionali; infatti, è consentito sia l'inseguimento in flagranza che abbia inizio nell'alto mare e prosegua nelle acque territoriali somale, sia attività di polizia marittima destinata a svolgersi unicamente in quelle stesse acque. Il paragrafo 9 della sopracitata Risoluzione specifica che l'autorizzazione si applica solo alla situazione somala.

In una successiva Risoluzione ONU, la n. 1838/2008, il Consiglio di

sicurezza ha poi chiesto agli Stati di continuare a proteggere le navi

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69 che trasportano carichi umanitari diretti alle popolazioni somale (il World Food Programme) e che sono gravemente minacciate dagli atti di pirateria.

Sono poi seguite due risoluzioni, ovvero la Risoluzione n. 1846, che ha autorizzato gli Stati e le organizzazioni regionali ad impiegare tutti i mezzi necessari a contrastare il fenomeno della pirateria per un ulteriore periodo, e la Risoluzione n. 1851 del 2008 che autorizza gli Stati e le organizzazioni regionali ad intervenire sul territorio somalo, considerando le operazioni a terra come strumento di lotta alla pirateria nei mari somali.

Infine è stata adottata la Risoluzione n. 1863/2009, in cui il Consiglio di sicurezza ha rinnovato il proprio impegno a sostegno della precaria situazione somala e nella lotta alla pirateria.

Rilevante è la circostanza che l'Unione Europea, primo caso della storia, ha deciso una missione comune per gestire questa operazione militare ai sensi del capitolo V del TUE, mediante l’azione comune 2008/851/PESC del 10 novembre 2008, denominata Atalanta (EUNAVFOR).

Secondo l'articolo 1 della sopradetta azione comune, la missione

Atalanta si pone a sostegno delle risoluzioni 1814 (2008), 1816

(2008) e 1838 (2008) del Consiglio di sicurezza e in conformità al

contenuto delle stesse, nonché alle norme della Convenzione di

Montego Bay, al fine di contribuire alla protezione delle navi del

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70 Programma Alimentare Mondiale (PAM) che indirizzano l’aiuto umanitario alle popolazioni sfollate della Somalia, conformemente al mandato della Risoluzione 1814 (2008) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, nonché alla protezione delle navi vulnerabili che navigano al largo della Somalia, nonché alla dissuasione, alla prevenzione e alla repressione degli atti di pirateria e delle rapine a mano armata al largo della Somalia, conformemente al mandato definito nella Risoluzione 1816 (2008) del Consiglio di sicurezza.

L’art. 2 della citata azione comune attribuisce alla missione Atalanta i seguenti compiti:

• a) fornire protezione alle navi noleggiate dal PAM, anche con la presenza di elementi armati di Atalanta a bordo delle navi interessate;

• b) proteggere le navi mercantili che navigano nelle zone in cui essa è spiegata sulla base di una valutazione della necessità effettuata caso per caso;

• c) sorvegliare le zone al largo della Somalia, comprese le sue acque territoriali, che presentano rischi per le attività marittime, in particolare per il traffico marittimo;

• d) prendere le misure necessarie, compreso l’uso della forza,

per dissuadere, prevenire ed intervenire per porre fine agli atti di

pirateria o alle rapine a mano armata che potrebbero essere commessi

nelle zone in cui essa è presente;

(27)

71

• e) al fine dell’eventuale esercizio di azioni giudiziarie da parte degli Stati competenti alle condizioni previste all’articolo 12, arrestare, fermare e trasferire le persone che hanno commesso o che si sospetta abbiano commesso atti di pirateria o rapine a mano armata nelle zone in cui essa è presente e sequestrare le navi di pirati o rapinatori o le navi catturate a seguito di un atto di pirateria o di rapina a mano armata e che sono sotto il controllo dei pirati, nonché requisire i beni che si trovano a bordo;

• f) stabilire un collegamento con le organizzazioni e gli organismi, nonché con gli Stati che operano nella regione per lottare contro gli atti di pirateria e le rapine a mano armata al largo della Somalia, in particolare la forza marittima denominata Combined Task Force 150, che opera nel quadro dell’ operazione Libertà duratura

23

.

La decisione 2009/907/PESC del Consiglio dell’8 dicembre 2009, integrando il contenuto dell’art. 1 dell’ Azione comune 2008/851/PESC, estende la competenza della missione Atalanta anche alle attività di pesca al largo delle coste somale.

La decisione 2010/907/PESC del Consiglio del 7 dicembre 2010, fa rientrare tra i compiti della missione, anche quello di raccogliere e trasmettere informazioni personali dei sospettati al fine di procedere

23

Azione Comune 2008/851 PESC, relativa all’operazione militare dell’Unione

Europea volta a contribuire alla dissuasione, alla prevenzione e alla repressione

degli atti di pirateria e delle rapine a mano armata al largo della Somalia, in EUR-

Lex, Art 2.

(28)

72 ad una identificazioni più dettagliata.

La recente decisione 2012/174/PESC del Consiglio del 23 marzo 2012, estende l’ambito spaziale della missione, comprendendo il territorio costiero, le acque interne della Somalia, le acque marine al largo delle coste somale e i paesi vicini nella regione dell’Oceano Indiano; la decisione in questione inoltre proroga la conclusione della missione Atalanta al 12 Dicembre 2014.

L’Unione europea ha istituito il Centro di Sicurezza Marittima per il Corno d’Africa (MSCHOA), di cui EUNAVFOR è l’autorità di coordinamento che lo gestisce. Tale centro ha il compito di raccogliere le segnalazioni degli Stati, seguire le loro rotte, fornire consulenza per ridurre il pericolo di assalti pirateschi, e suggerire in considerazione del rischio mezzi di prevenzione, proponendo anche il ricorso alla scorta armata individuale.

Il MSCHO nel febbraio del 2009 ha promosso l’iniziativa di creare un corridoio di transito sorvegliato dalle forze armate, l’Internationally Recommended Transit Corridor (IRTC), andando così a cercare di ridurre gli attacchi alle navi in transito in una zona molto esposta a tale rischio. Il transito attraverso il corridoio non è obbligatorio ma è consigliato, in quanto fa si che le navi mercantili siano monitorate e protette dalle forze di coalizione impegnate nell'operazione.

La decisione 2012/389/PESC del Consiglio del 16 luglio 2012, ha

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73 istituito la missione EUCAP NESTOR, rivolta allo sviluppo delle capacità marittime regionali nel Corno d’Africa, per il costante rafforzamento della loro sicurezza marittima, e per contribuire quindi al contrasto del fenomeno della pirateria.

All’articolo 3 della sopradetta decisone vengono elencati i compiti attribuiti alla missione EUCAP NESTOR:

• a) aiutare le autorità della regione a conseguire l’efficiente organizzazione delle agenzie per la sicurezza marittima che svolgono la funzione di guardia costiera;

• b) fornire corsi di formazione e competenze di formazione per rafforzare le capacità marittime degli Stati nella regione, inizialmente Gibuti, Kenya e Seychelles, al fine di conseguire l’autosufficienza in materia di formazione;

• c) aiutare la Somalia a sviluppare una propria capacità di polizia costiera di terra sostenuta da un quadro giuridico e normativo completo;

• d) individuare le principali carenze di capacità delle attrezzature e fornire assistenza nell’affrontarle, se del caso, per raggiungere l’obiettivo dell’EUCAP NESTOR;

• e) fornire assistenza nel rafforzare la legislazione nazionale e

lo stato di diritto tramite un programma di consulenza giuridica a

livello regionale e di consulenza giuridica per sostenere la redazione

(30)

74 della normativa sulla sicurezza marittima e della legislazione nazionale connessa;

• f) promuovere la cooperazione regionale fra le autorità nazionali preposte alla sicurezza marittima;

• g) rafforzare il coordinamento regionale nel settore dello sviluppo delle capacità marittime;

• h) fornire consulenza strategica tramite l’assegnazione di esperti nelle amministrazioni chiave;

• i) attuare i progetti della missione e coordinare le donazioni;

• j) elaborare e attuare una strategia di informazione e comunicazione a livello regionale.

Nel territorio somalo vi sono in atto alcune missioni complementari e coordinate, attraverso le quali gli Stati sperano di poter arrivare ad una situazione di maggior controllo e sicurezza.

24

24

M. C. CICIRIELLO, F. MUCCI, La moderna pirateria al largo delle coste della Somalia: un banco di prova per vecchi e nuovi strumenti internazionali di

prevenzione e repressione, in Rivista del Diritto alla Navigazione, 2010, p. 91 ss.;

F. MUNARI, La nuova pirateria e il diritto internazionale, in Rivista di Diritto Internazionale, 2009, p. 349 ss.,

C. SEVERONI, La pirateria fra fonti normative di regolamentazione e strumenti

contrattuali di gestione del rischio, in Diritto dei Trasporti,2010 p. 36 ss..

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