INTRODUZIONE
Danno da gravidanza indesiderata, danno da nascita indesiderata in senso stretto e danno da vita non voluta costituiscono tre ipotesi distinte che, tuttavia, confluiscono nel medesimo settore della responsabilità civile, definito più genericamente “danno da nascita indesiderata”.
La fattispecie si inserisce nel quadro più ampio della responsabilità medica che ha conosciuto in tempi recenti una profonda evoluzione, di matrice soprattutto giurisprudenziale, la quale, in un’ottica di favor nei confronti del paziente, ha determinato una pancontrattualizzazione del settore sia attraverso l’applicazione della teoria del c.d. contatto sociale, sia attraverso la sempre maggiore valorizzazione dei c.d. obblighi di protezione gravanti sul sanitario, accessori rispetto all’obbligazione principale.
Avendo come sfondo il quadro complesso della responsabilità medica, lo scopo della trattazione è quello di analizzare il settore delle nascite indesiderate attraverso un’indagine di tipo sistematico.
In ambito sanitario, come accennato, la responsabilità aquiliana ha perso terreno in favore del rimedio contrattuale; il presente lavoro, invece, intende ricercare e dare rilievo alle categorie del rimedio extracontrattuale che sono particolarmente idonee a disciplinare il fenomeno senza provocare duplicazioni risarcitorie.
Per questo motivo, si è scelto di dedicare un capitolo a ciascun
elemento dell’illecito civile in modo da analizzare lo stato dell’arte
attraverso la ricostruzione dell’evoluzione giurisprudenziale, con
particolare riguardo alle pronunce di legittimità, per poi tentare di
fornire una lettura alternativa della fattispecie, valorizzando il
modello della responsabilità aquiliana, in primis, l’ingiustizia del danno.
Il primo capitolo è dedicato all’ evento e si propone di analizzare il sostrato fattuale delle tre distinte ipotesi di danno da nascita indesiderata e di mettere in luce gli obblighi, soprattutto informativi, che gravano sul sanitario durante la fase della gestazione e in occasione di delicati interventi quali la sterilizzazione volontaria e l’interruzione della gravidanza.
Il secondo capitolo, dedicato ai soggetti legittimati, esamina le situazioni dei vari soggetti coinvolti nella vicenda risarcitoria, la gestante, il padre, il nascituro e i fratelli e le sorelle: l’analisi della situazione del nascituro si intreccia, nelle sentenze della Suprema Corte, con l’annosa questione del riconoscimento della soggettività al concepito.
Il terzo capitolo è dedicato all’ingiustizia del danno: si tratta di un profilo fondamentale nella ricostruzione della fattispecie sul terreno aquiliano della responsabilità. Alla luce di ciò, si è ritenuto necessario dedicare un approfondimento al settore generale della responsabilità sanitaria, evidenziando quanto minimi siano gli spazi in cui attualmente si ricorre al modello extracontrattuale e viceversa come siano notevoli le potenzialità del “filtro”
dell’ingiustizia nella ricerca degli interessi realmente meritevoli di tutela.
Il quarto capitolo prende in considerazione le conseguenze risarcitorie con particolare attenzione alla descrizione del danno non patrimoniale: quello delle nascite indesiderate, infatti, per la sua complessità, è un settore in cui è possibile rintracciare tutte le componenti del danno alla persona.
Il quinto capitolo si occupa del profilo dell’elemento soggettivo e
dell’onere della prova che, in ambito sanitario, ha conosciuto
importanti sviluppi giurisprudenziali, sempre volti a perseguire
l’obiettivo di alleggerire la posizione del paziente: un segnale in senso contrario proviene da un testo legislativo di recente emanazione che, in modo non del tutto scevro da ambiguità, valorizza il riferimento alla colpa professionale disegnando un sistema “a doppio binario” di responsabilità.
L’ultimo capitolo è dedicato all’elemento eziologico che, specialmente nei casi di vita non voluta, rappresenta uno dei profili più discussi: anche da questo punto di vista, rispetto ad una tendenza giurisprudenziale sempre più propensa ad agevolare la situazione processuale della gestante, una recente sentenza sembra propendere per una ricostruzione più rigorosa dei carichi probatori.
Nello sviluppo della trattazione, è stato riservato maggiore spazio alla fattispecie del danno da vita non voluta sia perché la vicenda risarcitoria è resa più articolata dal maggior numero di soggetti, il nascituro ed i collaterali, sia per le recenti novità giurisprudenziali che l’hanno interessata, sia, soprattutto, perché si tratta dell’ipotesi più complessa: se gli altri due casi possono essere per molti aspetti avvicinati ad altre ipotesi di responsabilità del sanitario, la drammaticità della nascita di un bambino gravemente malformato e della difficile scelta che i genitori lamentano di non aver potuto compiere suggeriscono di analizzare nel profondo il danno da wrongful life per coglierne tutti gli aspetti caratterizzanti.
Alla luce dei molti aspetti problematici che caratterizzano la
fattispecie del danno da vita non voluta, la terza Sezione Civile
della Corte di Cassazione con ordinanza 3569 del 23 febbraio 2015
ha rimesso al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione a
Sezioni Unite, le questioni riguardanti la distribuzione dell’onere
della prova e la legittimazione del nato.
Il problema delle nascite indesiderate rimanda, prima che ad una questione di diritto, a drammi umani e dilemmi etici rispetto ai quali ciascuno può trovare un proprio punto di equilibrio; alla luce di ciò, è opinione di chi scrive che il ragionamento giuridico sulla fattispecie debba essere condotto con il dovuto rigore, servendosi in modo corretto degli strumenti che il diritto fornisce, per quanto, spesso, possano apparire limitati rispetto alle grandi domande che da sempre si pone l’umanità.
L’EVENTO
Definizioni introduttive
Il tema del danno da nascita indesiderata si colloca all’interno del più ampio quadro costituito dalla responsabilità del medico, settore cruciale della responsabilità civile, ma ne costituisce un ambito peculiare.
Con la perifrasi “danno da nascita indesiderata” si indicano in realtà tre fattispecie distinte
1che è opportuno preliminarmente mettere a fuoco, mutuando la terminologia utilizzata nel contesto anglosassone: in particolare si distingue l’ipotesi del danno dovuto a wrongful pregnancy, ovvero il danno da gravidanza indesiderata, dal caso di wrongful birth, danno da nascita indesiderata in senso stretto, ed infine l’ipotesi del danno da wrongful life ovvero derivante da vita non voluta
2.
Le prime due fattispecie sono accomunate dall’accadimento della nascita di un bambino sano, ma non voluto dai genitori: nel primo caso, il danno da gravidanza indesiderata, il bambino è venuto alla luce nonostante i genitori si fossero sottoposti ad un intervento di sterilizzazione o avessero richiesto la prescrizione di un metodo contraccettivo, proprio per scongiurare la nascita di un figlio.
1
G. Facci in I nuovi danni nella famiglia che cambia nella collana Nuovi percorsi di diritto di famiglia, diretta da M. Sesta, 2004, pag.
208 e ss. Edizioni IPSOA.
2
Per maggior chiarezza espositiva si adotta la terminologia fatta
propria tra gli altri da E. Navarretta in Diritto Civile, Volume IV
Attuazione e tutela dei diritti, III La responsabilità e il danno, 2009,
pag. 171 e ss. Giuffrè Editore. Altri autori, invece, dilatano
ulteriormente il significato dell’espressione wrongful birth sino a
comprendere l’azione promossa dai genitori in caso di nascita di
un bambino malformato e indicano con la perifrasi wrongful life
solo l’azione in nome del nato. Fra questi vedi C. Favilli in Il danno
non patrimoniale da c.d. nascita indesiderata in Il danno non
patrimoniale. Principi, regole e tabelle per la liquidazione a cura di
E.Navarretta, 2008, pag. 493 e ss., Giuffrè Editore.
In questo caso oggetto della loro doglianza è l’inadempimento del medico che non ha eseguito correttamente la prestazione oppure che non li ha informati adeguatamente dei residui margini di fertilità, pur avendo eseguito a regola d’arte le operazioni di sua competenza.
La seconda ipotesi è rappresentata dal danno da nascita indesiderata (in senso stretto), vale a dire dal caso in cui un intervento di interruzione della gravidanza non sia andato a buon fine e la gravidanza sia stata portata a termine o perché il sanitario non ha eseguito in modo corretto le operazioni di sua competenza o, ancora, perché è rimasto inadempiente rispetto ad obblighi di informazione cui avrebbe dovuto ottemperare, ad esempio non ha informato la paziente della necessità di controlli successivi all’intervento o delle possibilità di insuccesso dello stesso.
L’ultima ipotesi, il danno da wrongful life, è sicuramente caratterizzata da maggiore drammaticità: in questo caso, infatti, a venire alla luce è non un bambino sano, ma un bambino disabile o gravemente malformato e oggetto della richiesta di danni nei confronti del medico è l’errore effettuato dal sanitario durante la diagnosi prenatale, ad esempio per non aver consigliato esami diagnostici che si sarebbero rivelati utili a scoprire la malformazione o la disabilità, oppure per aver interpretato in modo scorretto i risultati degli accertamenti svolti.
33
Si tratta di fattispecie che traggono origine dalla vicenda procreativa. Riguardo al significato che il termine “procreazione”
assume nel contesto giuridico si possono considerare tre distinti
momenti: “ 1) il gesto procreativo in sé considerato, che coinvolge i
genitori, in via esclusiva se avviene senza l’ausilio delle tecnologie
per la riproduzione assistita, ma anche soggetti diversi, comunque
causalmente legati allo stesso (…). 2) La gestazione, ovvero il
periodo in cui alla donna e al feto possono essere inferte delle
lesioni. Pensiamo ai bambini nati focomelici a causa del talidomide
prescritto alla donna in gravidanza; oppure al medico che,
nonostante i controlli regolari, non diagnostica malformazioni
Wrongful pregnancy
È opportuno a questo punto analizzare in modo più ravvicinato le tre fattispecie di danno da nascita indesiderata, prendendo le mosse dall’analisi del sostrato fattuale, quindi dalle tipologie di evento da cui queste scaturiscono.
Come accennato sopra, il danno da gravidanza indesiderata è un’ipotesi che trova il suo fondamento nell’instaurarsi di una gravidanza e nella conseguente nascita di un bambino, benché i genitori avessero scongiurato un simile evento attraverso un intervento di sterilizzazione, femminile o maschile, oppure mediante il ricorso ad un metodo contraccettivo che, loro malgrado, non si è rivelato efficace; il medico dunque è ritenuto responsabile per non aver eseguito a regola d’arte le operazioni di sua competenza e, in alternativa o congiuntamente a questo, per non aver ottemperato al dovere di informazione che grava su di lui riguardo alla necessità di successivi accertamenti, la possibilità di margini residui di fertilità ecc…
Per analizzare in modo corretto la fattispecie è imprescindibile in questa sede muovere da una breve descrizione delle procedure mediche in questione.
La sterilizzazione femminile è un intervento chirurgico eseguito per chiudere le tube di Falloppio, in modo tale da evitare l’incontro sulle quali si sarebbe potuto intervenire prima della nascita, evitando successivamente più gravi conseguenze. 3) Il parto:
pensiamo alla rilevanza di questo momento per il sorgere di una
responsabilità civile, a seguito di un trattamento ostetrico.” Vedi
Bilotta in La nascita di un figlio ti cambia la vita: profili del danno
esistenziale nella procreazione in Il danno esistenziale a cura di
Cendon, Ziviz, Milano, 2000, pag. 229 e ss.. Il crescente rilievo di
queste fattispecie nell’ordinamento è dovuto al progresso
scientifico avvenuto in campo medico che permette di prevedere la
nascita di un soggetto affetto da grave malformazione. Vedi Zeno
Zencovich in La responsabilità da procreazione in Giurisprudenza
Italiana, 1986, IV, pag. 113 e ss..
tra la cellula uovo e gli spermatozoi ed impedire così il concepimento, può essere praticata anche in occasione di altri interventi, ad es. un parto cesareo, e le tube possono essere chiuse con diverse modalità (taglio, coagulazione, legatura, ecc.).
La sterilizzazione è il metodo più efficace per evitare gravidanze, ma non ha efficacia assoluta, in quanto in rarissimi casi è possibile che si instauri una gravidanza in seguito a ricanalizzazione o riaccostamento dei monconi di tuba dopo legatura, sezione o coagulazione.
4Nel caso della sterilizzazione maschile, invece, i pazienti devono essere informati che la condizione di azoospermia non interviene subito dopo l’operazione, ma sono richieste almeno 8 settimane e che, inoltre, è necessario effettuare ulteriori accertamenti prima di abbandonare eventuali tecniche contraccettive.
Questo intervento, denominato vasectomia, permette una contraccezione altamente affidabile.
5In passato si è assistito ad un dibattito dottrinale in merito alla liceità dell’intervento di sterilizzazione di cui alcuni autori dubitavano alla luce dei principi generali dell’ordinamento.
È opportuno preliminarmente operare una distinzione tra il concetto di “sterilizzazione terapeutica” e quello di “sterilizzazione di comodo”
6: sono entrambe ipotesi di sterilizzazione volontaria, ma nel primo caso la sterilizzazione è un intervento necessario per scongiurare ulteriori gravidanze che, in concreto, potrebbero
4
Vedi www.gyneconline.net, sito divulgativo di ginecologia ed ostetricia.
5
Vedi www.treccani.it .
6
Entrambe le tipologie di sterilizzazione, come del resto la quasi
totalità dei trattamenti medici, necessitano il consenso informato
del paziente. Per quanto riguarda l’espressione “sterilizzazione di
comodo” è necessario sottolineare che, alla luce dell’ampiezza del
concetto di salute, ogni intervento volto a perseguire il benessere,
anche psichico del paziente dev’essere considerato terapeutico e
non di comodo.
essere a rischio o che, comunque, si ritengono fortemente controindicate.
La sterilizzazione di comodo o “edonistica” rappresenta, invece, l’ipotesi in cui l’intervento viene utilizzato come metodo contraccettivo, sempre con lo scopo di evitare l’instaurarsi di una gravidanza, ma in assenza di problematiche di carattere medico.
In origine, l’art 552 c.p. prevedeva che:
“chiunque compie su persona dell’uno o dell’altro sesso, col concorso di questa, atti diretti a renderla impotente alla procreazione, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni”.
In questo modo la norma sanciva l’illiceità dell’intervento di sterilizzazione.
Questa previsione è stata abrogata dalla legge 194/1978, che ha però mantenuto il secondo comma n.3 dell’art 583 c.p. il quale considera lesione gravissima quella da cui derivi la perdita della capacità di procreare: quest’ultima disposizione veniva, quindi, ritenuta in rapporto di specialità con l’abrogato art. 552 c.p.
Dubbia era altresì la compatibilità dell’ intervento di sterilizzazione con l’art 5 c.c. che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo in grado di cagionare una diminuzione permanente dell’integrità fisica o che siano altrimenti contrari alla legge, ordine pubblico, buon costume: risulta difficile sostenere che la sterilizzazione non determini una diminuzione permanente dell’integrità fisica, di cui la capacità di procreare rappresenta un importante profilo.
Il problema fu definitivamente risolto da una sentenza della Cassazione Penale del 1987 che ha avallato la liceità dell’intervento, sia dal punto di vista civilistico che penalistico
7: i
7
Si tratta della sentenza della Cassazione Penale 18 marzo 1987 n.
609 con cui è stato risolto il Caso Conciani, riguardante
giudici negarono il rapporto di specialità tra l’abrogato art. 552 c.p.
e la norma penale che punisce le lesioni gravissime.
La legge 194/1978, in definitiva, aveva operato un’autentica abolitio criminis; dal punto di vista civilistico si è ritenuto che l’art 5 c.c. rappresenti un generico divieto, suscettibile di essere derogato dal Legislatore, e che debba essere letto proprio alla luce dell’art 32 Cost. e della complessità del concetto di salute, non del tutto coincidente con quello di integrità fisica.
La possibilità che l’art 5 c.c. venga ridimensionato e derogato, infatti, non rappresenta il frutto di una illimitata libertà di autodeterminazione del singolo che l’art. 13 Cost. non sorregge, ma di quei principi personalistici e solidaristici che si pongono alla base del nostro ordinamento.
8-‐Quali sono le caratteristiche dell’intervento di sterilizzazione e quali le informazioni sulle eventuali possibilità di insuccesso?
La sterilizzazione maschile viene effettuata prevalentemente in strutture private, in ospedale non viene praticata, se non ci sono motivazioni di ordine medico. La sterilizzazione femminile può essere eseguita in relazione ad alcune patologie della donna per cui si ritiene la gravidanza fortemente controindicata oppure ad esempio dopo parti cesarei ripetuti, per cui dopo un terzo parto cesareo un’eventuale gravidanza potrebbe essere a rischio; a l’imputazione penale di un chirurgo che aveva sottoposto a vasectomia alcuni pazienti.
8
E. Giacobbe, La filiazione “da inadempimento” in Giustizia Civile, 2003, pag. 2602 e ss.. L’autrice rileva altresì una contraddizione tra la possibilità, riconosciuta dall’ordinamento, di sottoporsi ad un intervento di sterilizzazione volontaria e la limitazione di altre pratiche che, oltre ad eliminare la capacità procreativa, comportano ad esempio la perdita di organi sessuali o del loro uso.
Anche l’intervento di sterilizzazione, secondo questa parte della
dottrina, provoca una diminuzione dell’integrità psicofisica alla
luce del concetto ampio di salute ex art. 32 Cost..
monte di questo e della decisione della coppia di intraprendere un simile percorso il medico deve far sempre presente alla coppia o alla donna che sono interventi che hanno una percentuale di fallimento prevista.
9Passando ad analizzare la seconda ipotesi di wrongful pregnancy, ovvero il caso di insuccesso del metodo contraccettivo è opportuno innanzitutto fornire una definizione del termine contraccezione, con cui si intende l'adozione di metodi che impediscono temporaneamente il processo fisiologico della riproduzione per interferenza con uno o più fattori di fertilità a livello maschile o femminile.
10Il codice di deontologia medica dedica a questa materia un articolo rubricato Informazione in materia di sessualità, riproduzione e contraccezione che recita:
“Il medico, al fine di tutelare la salute individuale e collettiva e la procreazione cosciente e responsabile, fornisce ai singoli e alla coppia ogni idonea informazione, in materia di sessualità, riproduzione e contraccezione.” (art 42).
Nell’ipotesi di errata o inefficace prescrizione contraccettiva, come visto, il medico compie un errore nella prescrizione del metodo contraccettivo o non informa il/la paziente riguardo le caratteristiche o i rischi che quella strategia anticoncezionale presenta; si tratta di una fattispecie che, nell’esperienza italiana, presenta una casistica giurisprudenziale assai ridotta
11.
9
Intervista alla Dott.ssa Furia, Medico Chirurgo, Specialista in Ginecologia e Ostetricia.
10
Vedi www.treccani.it .
11
In particolare un caso deciso dal tribunale di Monza nel 2005
che ha riconosciuto la responsabilità di una ginecologa che aveva
prescritto ad una paziente non un farmaco anticoncezionale, ma
uno destinato alla terapia della menopausa. In questo filone
giurisprudenziale si è inserito un recente caso deciso dal Tribunale
-‐Per quanto riguarda la contraccezione?
Anche in sede di prescrizione di una metodica contraccettiva mettiamo sempre al corrente la paziente delle percentuali di insuccesso che esistono: una contraccezione molto efficace quale è quella della pillola anticoncezionale può essere invalidata da errori di assunzione, assunzione associata di farmaci, patologie come la celiachia, ecc… Non esiste attualmente un contraccettivo assoluto.
12Wrongful birth
La seconda ipotesi si concretizza, come detto, nell’insuccesso di un intervento di interruzione di gravidanza con conseguente nascita di un figlio sano, ma non voluto dai genitori.
Per poter analizzare la fattispecie in modo approfondito, di nuovo, si rendono necessarie alcune considerazioni di carattere scientifico che rendano possibile comprendere quali siano le caratteristiche dell’operazione, i suoi eventuali rischi e le precauzioni che il medico deve assumere per non essere giudicato responsabile.
L’interruzione volontaria di gravidanza è un risultato che può essere ottenuto attraverso due distinte modalità: la prima, di tipo chirurgico, consiste nello svuotamento mediante aspirazione del contenuto uterino, viene comunemente eseguita in anestesia di Milano nel 2014: in questo caso la vicenda ha riguardato una coppia di conviventi more uxorio a cui fu prescritto l’utilizzo di un cerotto transdermico, ma non avente funzione contraccettiva. Vedi L.Bardaro in Nascita indesiderata per errata prescrizione contraccettiva fra onere probatorio, interesse leso e danno risarcibile in Responsabilità Civile e Previdenza, 2014, 4, pag. 1265 e ss..
12
Intervista alla Dott.ssa Furia, Medico Chirurgo, Specialista n
Ginecologia e Ostetricia.
generale, ma è possibile effettuare l’intervento anche in anestesia locale.
La seconda modalità, l’aborto farmacologico, consiste nella somministrazione di due farmaci: il primo è un antiprogestinico oppure un farmaco con specifica citotossicità verso il trofoblasto, il tessuto che permette gli scambi fra madre e concepito, il secondo è una prostaglandina in grado di suscitare l’espulsione del prodotto del concepimento dopo la sua morte.
13Anche all’interruzione volontaria della gravidanza il Codice deontologico
14dedica un apposito articolo, intitolato appunto Interruzione volontaria di gravidanza che enuncia:
“Gli atti medici connessi all’interruzione volontaria di gravidanza operati al di fuori dell’ordinamento, sono vietati e costituiscono grave infrazione deontologica tanto più se compiuti a scopo di lucro. L’obiezione di coscienza si esprime nell’ambito e nei limiti dell’ordinamento e non esime il medico dagli obblighi e dai doveri inerenti alla relazione di cura nei confronti della donna” (art 43).
È fondamentale, a questo punto, fare riferimento alla legge 194/1978
15che contiene la disciplina dell’interruzione di gravidanza e tratteggia il perimetro entro il quale l’aborto può essere praticato lecitamente.
L’art 1 contiene un’affermazione di principio e stabilisce:
“Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio”.
13
Vedi www.treccani.it.
14
Codice di Deontologia Medica approvato in Consiglio Nazionale il 18 Maggio 2014.
15
Si tratta della legge 22 maggio 1978 n. 194 Norme per la tutela
sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della
gravidanza.
Si tratta di un enunciato la cui interpretazione, di cui ci si occuperà nei prossimi paragrafi, si presenta impegnativa perché svela i riferimenti assiologici che la regolamentazione intende perseguire e che debbono essere posti in equilibrio tra loro da parte dell’interprete.
L’art. 4 sancisce la possibilità per la donna di abortire durante i primi 90 giorni di gestazione quando si prefiguri un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, anche a causa delle sue condizioni economiche o sociali o delle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, oppure qualora si prevedano anomalie o malformazioni del feto.; dopo i primi 90 giorni di gravidanza, ex art.6, l’aborto, cd terapeutico, può essere praticato qualora la continuazione della gestazione possa comportare per la donna un pericolo non soltanto serio, ma grave, oppure quando sia in corso un processo patologico tale da costituire un grave pregiudizio per la salute psico-‐fisica della madre.
Il successivo art. 7 stabilisce che, qualora vi sia possibilità di vita autonoma per il feto
16, l’interruzione della gravidanza è possibile solo se la sua prosecuzione comporti un grave pericolo per la vita stessa della gestante
17.
16
È stato precisato da Cass 6735/2002 che “la situazione cui la norma si riferisce e che è descritta come situazione relativa al feto e non al nascituro, è quel grado di maturità del feto che gli consentirebbe, una volta estratto dal grembo della madre, di mantenersi in vita e di completare il suo processo di formazione anche fuori dall’ambiente materno: processo che la legge non consente di mettere in pericolo se non quando la continuazione della gravidanza o il parto stiano per mettere in grave pericolo la vita della madre, salvo ad affidare al medico di fare anche quanto possibile per salvaguardare la vita del feto”.
17
Cass. 12195/1998 in proposito ha affermato: “Mentre
l’interruzione della gravidanza entro i primi novanta giorni
costituisce un intervento profilattico nei confronti di un danno per
la salute della gestante, intesa in senso lato, dopo tale termine
costituisce un intervento terapeutico complementare, valido cioè
-‐Quali sono le procedure che vengono seguite per informare adeguatamente la donna circa i rischi di insuccesso e le conseguenze di un’interruzione volontaria di gravidanza?
Si procede attraverso vari colloqui con il medico.
Per quanto riguarda l’interruzione oltre il 90° giorno è molto difficile rientrare nei requisiti che la legge impone, anche perché la rianimazione neonatale ha fatto grandi passi e si considera che un feto di 24 settimane abbia ottime possibilità di sopravvivenza.
Per l’interruzione di gravidanza entro il 90° giorno la dottoressa mi mostra alcuni moduli: si tratta del foglio informativo e del modulo di consenso informato predisposti dalla Azienda Usl 1 di Massa e Carrara, Dipartimento Materno-‐Infantile, U.O. Ostetricia e Ginecologia.
Il primo contiene l’avvertenza che le informazioni riportate sul modulo non sostituiscono il colloquio con il medico che eseguirà il trattamento, si richiede alla donna di soprassedere, così come previsto dalla legge, sette giorni dalla data di richiesta attestata da un medico non obiettore.
Il foglio informativo presenta, inoltre, una parte dedicata alla descrizione del trattamento, all’interno della quale si specificano le modalità con cui verrà effettuato l’intervento; si avverte che il rientro a domicilio avviene tra le 2 e le 8 ore seguenti l’intervento, oppure il giorno dopo e che, generalmente, una visita di controllo viene effettuata nelle due settimane seguenti.
La parte successiva è dedicata invece a rischi, complicanze, effetti
collaterali: si informa la paziente che l’operazione può essere
effettuata in anestesia generale o locale, possono comparire dolori
dopo l’intervento o brevemente durante in caso di anestesia locale
nella globalità delle cure prestate per una condizione morbosa già
in atto.”.
La parte successiva contiene un’indicazione analitica di tutti i rischi e le complicazioni possibili con corrispondente indicazione delle probabilità di incidenza.
18Un’ulteriore sezione è dedicata alle condizioni per l’applicazione della legge 194/1978 art.4 dove si specifica che l’interruzione volontaria della gravidanza entro il 90° giorno può essere praticata, secondo la legge che la regolamenta, in circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto, o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la salute fisica o psichica in relazione o allo stato di salute, o alle condizioni economiche o sociali o familiari in cui versa la donna, o ancora per le circostanze in cui è avvenuto il concepimento o a previsioni di anomalie o malformazioni per il concepito.
Un’ultima sezione è dedicata, infine, alle possibili alternative all’intervento sulle quali si richiede al medico di fornire adeguate spiegazioni.
È richiesto che la paziente indichi il nome del medico che le ha illustrato il foglio informativo e certifichi la disponibilità del professionista a fornire chiarimenti ulteriori, apponga la data e la firma, data e firma che debbono essere apposte anche dal medico e dal rappresentante legale, quando si tratti di minorenni o di soggetti incapaci.
Il modulo di consenso informato richiede che venga specificata la modalità di intervento; la paziente dovrà indicare nome, cognome, data e luogo di nascita e dovrà dichiarare di aver ricevuto dal medico, indicandone il nome, informazioni chiare ed esaurienti sull’intervento, sulle sue caratteristiche, sugli eventuali rischi e complicanze, sulle possibili alternative e sul trattamento.
18
Vengono indicate in modo esaustivo le possibili complicazioni,
come perforazione dell’utero, trauma cervicale ecc… fra queste
figura anche la possibilità di fallimento o prosecuzione della
gravidanza con una frequenza di 2.3 per 1000 aborti.
Ella dovrà dichiarare, inoltre, di aver letto e compreso il foglio informativo consegnatole con sufficiente anticipo a conferma di quanto le è stato verbalmente detto, di aver avuto l’opportunità di porre domande chiarificatrici ed aver ottenuto risposte soddisfacenti, di essere stata informata degli effetti del trattamento sulla qualità della vita, di aver avuto tempo sufficiente per decidere, di essere consapevole che la decisione di accettare il trattamento è volontaria e di poter ritirare il consenso a sottoporsi al trattamento in ogni momento, di essere stata informata che tutti i dati personali e di salute saranno archiviati ai sensi del d.lgs. n.
196/2003 “Codice in materia di protezione dei dati personali” e di essere consapevole che per ogni problema o per ulteriori informazioni si può rivolgere al medico di riferimento (indicandone nome, indirizzo e recapito telefonico), dunque acconsentire o non acconsentire esplicitamente al trattamento, apporre la data, il proprio nome e cognome e la firma; il medico a sua volta apporrà data, nome e cognome e firma.
La dottoressa specifica che quando si pratica un’interruzione volontaria di gravidanza si dà sempre indicazione per un controllo nell’immediato post intervento, in modo che si evidenzino subito eventuali problemi.
19Wrongful life
La terza fattispecie rappresenta l’ipotesi più problematica e di cui la giurisprudenza, anche della Suprema Corte, si è più intensamente occupata
20.
19
Intervista alla Dott.ssa Furia, Medico Chirurgo, Specialista in Ginecologia e Ostetricia.
20
Tra le pronunce di legittimità più significative verranno prese in considerazione in particolare: Cass 6464/1994; Cass 12195/1998;
Cass 6735/2002; Cass 11488/2004; Cass 14488/2004; Cass
Il caso trova origine da un errore o da un difetto di informazione cagionato dal medico durante il delicato iter di monitoraggio della gestazione, soprattutto in merito agli accertamenti cui la donna deve sottoporsi durante questo periodo nonché alle eventuali terapie.
La diagnosi prenatale è l’insieme delle indagini strumentali e di laboratorio mediante le quali è possibile monitorare lo stato di salute e benessere del feto durante il corso della gravidanza;
l’impiego delle tecniche di diagnosi prenatale è volto ad identificare patologie che interessano il feto su base infettiva, iatrogena o ambientale.
Gli obiettivi che attraverso questo procedimento vengono perseguiti sono:
-‐ fornire rassicurazioni e ridurre l’ansia che si associa alla gravidanza, in tutte le coppie e specialmente in quelle a rischio elevato per patologie congenite;
-‐ fornire un ventaglio di dettagliate e specifiche informazioni alle coppie a rischio per patologie congenite;
-‐ informare le coppie a rischio per una determinata patologia congenita sulla eventuale esistenza di un test mirato per la diagnosi di quell’anomalia;
-‐ instaurare, se possibile, un trattamento farmacologico e/o chirurgico nei confronti del feto affetto da una determinata patologia;
-‐ ottimizzare la condotta medica, psicologica o postnatale a fronte dell’anomalia fetale diagnosticata;
L’indicazione all’esecuzione della diagnosi prenatale dipende da alcuni fattori come ad esempio l’età materna avanzata (maggiore o
10741/2009; Cass 9700/2011 (seppur in obiter); Cass.
16754/2012; Cass 7269/2013.
uguale a 35 anni), il fatto che la donna abbia già partorito un figlio con anomalie fisiche ecc…
21-‐Quali sono le caratteristiche degli accertamenti che si consigliano durante la gravidanza?
Fino agli inizi degli anni ’90 veniva normalmente eseguito il Tritest, da quell’epoca eseguiamo invece il Bitest
22che è possibile effettuare in epoca più precoce, 11-‐12 settimane di gestazione anziché 14, dunque in una tempistica ancora utile per effettuare un’eventuale interruzione di gravidanza.
Quando si presenta una donna in gravidanza il messaggio che cerchiamo di darle è che la gravidanza non è una malattia, ma un evento fisiologico, che ci sono molti esami a disposizione, ma che nessun esame, nessun accertamento può garantirci la sana e robusta costituzione del nato.
Normalmente eseguiamo il Bitest, ma informiamo la paziente, attraverso specifici colloqui pre-‐esame, che non si tratta di un esame diagnostico, ma di un test statistico che riguarda solo due patologie, la sindrome di Down e la sindrome di Edwards.
Si può poi effettuare un test del dna, attualmente a pagamento, che intercetta 4 patologie.
Questi sono test statistici e non invasivi, al contrario l’amniocentesi e la villocentesi sono test che sulle patologie cromosomiche forniscono risultati certi, ma al contempo comportano dei rischi per la gravidanza.
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Vedi www.treccani.it .
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La celebre sentenza 16754/2012 ha ad oggetto una vicenda
svoltasi alla fine degli anni ’90 e riguarda proprio la decisione del
medico in ordine alla scelta degli esami diagnostici: il medico
ritenne opportuno effettuare il solo Tritest, non prescrivendo
accertamenti più specifici come l’amniocentesi che, seppur
maggiormente invasivi e rischiosi, avrebbero fornito un esito certo
circa la presenza di patologie quali la Sindrome di Down.
Ci sono patologie che, invece, non è possibile individuare neppure con questi esami, come le patologie geniche o ad esempio problemi cardiaci o polmonari non diagnosticabili perché in utero il cuore funziona in modo diverso ed i polmoni sono collassati oppure patologie che addirittura non sono evidenti neppure al momento della nascita, ma dopo qualche mese di vita.
È importante fornire un’informazione il più completa possibile e poi lasciare margine di scelta alla paziente: ci sono donne che non vogliono sottoporsi neppure al Bitest e donne che, al contrario, preferiscono effettuare tutti gli esami a disposizione nonostante i rischi.
Il medico, una volta che ha informato la paziente, deve rispettare anche queste volontà.
Anche in questo caso esiste un modulo, predisposto dalla Asl, di richiesta e consenso informato per screening o diagnosi prenatale di anomalie cromosomiche che deve essere compilato dalla donna la quale deve indicare il proprio nome, data e luogo di nascita, dichiarare di essere stata esaurientemente informata dal medico, indicandone il nome, riguardo il rischio che il bambino possa essere affetto da sindrome di Down o da sindrome di Edwards e che questo rischio aumenta con l’aumentare dell’età materna;
23la donna deve dichiarare di essere stata informata della possibilità di diagnosi prenatale invasiva (villocentesi e amniocentesi) e di test di screening non invasivo (ecografico e biochimico) per tali sindromi.
La donna dichiara di sapere che il rischio aggiuntivo di aborto in seguito a villocentesi o amniocentesi è 1/100, la sensibilità dello
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A questo proposito vengono sottoposte alla gestante le tabelle di
Snijder e Nicolaides che mettono in relazione l’età materna con il
rischio di generare un bambino affetto da s. di Down o S. di
Edwards e le si chiede di dichiarare di essere consapevole del
tasso di rischio corrispondente alla sua età.
screening non invasivo mediante test combinato è circa del 90%
con un tasso di falsi positivi del 5%, i test di screening non sono diagnosi, ma solo calcolo di probabilità;
24la gestante deve dichiarare di aver ricevuto tutte le informazioni e, quindi, richiedere di essere sottoposta al test di tipo invasivo o di tipo non invasivo, deve poi apporre la data e la propria firma assieme a quella del medico.
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La donna viene informata di poter usufruire della diagnosi prenatale invasiva offerta dal SSN qualora si presentasse una situazione di rischio, come l’età materna avanzata, positività al test di screening, ecc…
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