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(1)88 CAPITOLO III PROGETTI PER LO SVILUPPO DI UN DIRITTO EUROPEO III.1 L'esigenza di un Diritto Contrattuale Europeo

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CAPITOLO III

PROGETTI PER LO SVILUPPO DI UN DIRITTO EUROPEO

III.1 L'esigenza di un Diritto Contrattuale Europeo.

Alla crescita della comunità e dell'Unione Europea si contrappone l’assenza di un centro unitario di produzione normativa.

L’ordinamento giuridico comunitario appare quindi composto da norme dirette alla soluzione pratica di problemi. È in questo contesto che nasce l’esigenza di creare un diritto unitario, tale da ridurre sempre più le distanze fra i diversi ordinamenti in materia di diritto civile, in particolar modo contrattuale, armonizzando i punti in comune e razionalizzando le differenze presenti nei vari ordinamenti.

Si tratta di un progetto non di facile ed immediata realizzazione, ma sul quale è già stata svolta un’intensa attività normativa, che ha comunque permesso l’elaborazione di testi normativi idonei ad accorciare le distanze tra gli ordinamenti degli Stati membri. Si tratta di un processo per gradi il cui scopo è l'ideazione di una comune coscienza giuridica europea, sulla base della quale alimentare il progetto legislativo di un quadro comune di riferimento della regolamentazione contrattuale.

Esso dovrà transitare dalla collaborazione tra giudici, avvocati e altre figure del mondo delle professioni legali dei vari Paesi.

Attualmente si evidenzia il rischio che la differenza tra le regole, da cui consegue un divergente trattamento giuridico degli operatori

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economici e dei consumatori tra un Paese e l'altro, crei un quadro complessivo di incertezza giuridica e operativa.

Il mercato unico esige, pertanto, regole unitarie atte a far sì che operatori e consumatori possano compiere delle azioni nella piena parità di condizioni e in totale trasparenza. L'ammodernamento e l'organizzazione dell'acquis comunitario sono da considerarsi come valore aggiunto imprescindibile alla costruzione di un' Europa unita.

In tale direzione sono stati svolti una serie di studi, di azioni e di progetti che, nel tempo, hanno indicato e precisato principi comuni in materia di diritto civile e, più precisamente, in materia di contrattuale, la cui osservazione sarà oggetto di studio nei paragrafi seguenti.

A questo punto diremo dei diversi tentativi realizzati in ambito europeo per uniformare il diritto contrattuale degli ordinamenti nazionali.

Esulerà dal nostro discorso l'analisi della legislazione comunitaria vigente (il c.d. acquis communautaire) finalizzata a regolare i contratti con i consumatori. Tratteremo, invece, dei tentativi di normazione che interessano la disciplina generale del contratto e che si sono originati sull'impulso di alcune Convenzioni delle Nazioni Unite, come quelle di Vienna sulla vendita internazionale di merci (CVIM) del 1980, di Ginevra sulla rappresentanza contrattuale (o agenzia) del 1983 e sulla base dei principi UNIDROIT sui contratti commerciali internazionali, pubblicati per la prima volta nel 1994 e successivamente aggiornati nel 2004, 2010 e 2016.

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La nostra attenzione si concentrerà sui progetti europei che hanno avuto maggiore risonanza negli ultimi anni, cominciando la trattazione dai principi del diritto contrattuale europeo (PECL).

III.2 I principi del diritto contrattuale Europeo (Principles of European Contract Law - PECL) e la clausola di buona fede.

I principi del diritto contrattuale europeo (PECL) sono stati pubblicati tra il 1995 e il 2001.

L'idea di elaborare un progetto sui principi di diritto contrattuale europeo nasce sul finire degli anni Settanta del '900, ma comincia a concretizzarsi nel 1981 con l'insediamento di un'apposita Commissione supportata dalle istituzioni europee e presieduta dal professore danese Ole Lando.

In seguito, furono potenziate le iniziative di provenienza accademica non ufficiale, con la formazione di gruppi di lavoro per la stesura di progetti e ricerche, il cui compito precipuo era quello di unificare ed integrare il diritto privato europeo. Hanno visto la luce gruppi di studio quali: la commissione Lando, il Gruppo di studio su un codice civile europeo e quello sull'acquis1, apportando un grande contributo al progetto di unificazione dei principi contrattuali comuni a livello europeo.

1G.Alpa-G.Conte, Riflessioni sul progetto di common frame of reference, in riv. civ. 2008, pag. 151; G. Luchetti, A. Petrucci Fondamenti di diritto contrattuale europeo, dalle radici romane al draft common frame of reference, Bologna, 2009, pag. 11.

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Nel 1995 la Commissione Lando pubblica la prima parte dei PECL cui seguono, nel 1999, la seconda e, nel 2001, la terza. Caratteristica comune delle tre Commissioni è stata quella di essere sempre costituite da componenti di tutti i Paesi membri della Comunità, scelti tra giuristi accademici, oppure dediti all'esercizio della professione forense.

La presidenza delle commissioni, sempre attribuita al professor Lando, ha costituito garanzia di continuità nel lavoro.

L'obiettivo è il coordinamento tra Stati membri, nella fase immediatamente precedente all'attuazione delle direttive2, motivo per il quale vengono, quindi, pubblicati i testi definitivi dei "PECL" nel 2001 e del "progetto preliminare" (l'Avant Project). Le tre parti dei

"Principles" contano 201 articoli e rivestono in larga misura la disciplina generale dei contratti e delle obbligazioni. Scopo dei PECL è dare unitarietà, uniformità ed armonizzare il diritto applicabile ai contratti e agli scambi commerciali intraeuropei. Si è arrivati così alla pubblicazione della prima e la seconda parte dei PECL, che contengono disposizioni di carattere fondamentale e preliminare (cap.

I), sulla formazione del contratto (cap. II), sulla rappresentanza ed il mandato (cap. III), sull'invalidità del contratto (cap. IV), sulla sua interpretazione (cap. V), sul contenuto e gli effetti (cap. VI), sul'adempimento (cap. VII), sull'inadempimento e le relative tutele

2G. Luchetti, A. Petrucci Fondamenti di diritto contrattuale europeo, dalle radici romane al progetto dei Principles of European Contract Law della Commissione Lando, Bologna, 2006, pag. 15.

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generali e speciali (capp. VIII-IX). La peculiarità della terza parte è quella di occuparsi delle obbligazioni solidali (cap. X), della cessione del credito (cap. XI), della cessione del contratto (cap. XII), della compensazione (cap. XIII), della prescrizione (cap. XIV), dell'illiceità (cap. XV), delle condizioni (cap. XVI), ed infine della capitalizzazione degli interessi (cap. XVIII).

La redazione di ogni articolo è in inglese ed è accompagnata da un commento e nella maggior parte dei casi anche da un'annotazione di tipo comparativistico. I singoli articoli non contengono norme imperative inderogabili, ad eccezione di quando esprimono esigenze indefettibili di protezione. Il loro contenuto si configura come soft- law in quanto non è vincolante per i legislatori nazionali, ma costituisce un modello a cui essi potrebbero ispirarsi per realizzare un quadro di riferimento generale comune in materia di contratti ed obbligazioni contrattuali3. I PECL si sono ispirati ad una pluralità di modelli, in particolar modo ai principi UNIDROIT, dei quali, per completezza, si darà qui un breve cenno in relazione a ciò che concerne l'argomento di questo studio, ovvero la buona fede. La buona fede oggettiva è stata riconosciuta come una delle nozioni fondamentali dei Principi UNIDROIT, la sua formulazione è stata inserita nelle successive redazioni dal 1994 al 2016 ed ha la finalità di

3A. Petrucci, Fondamenti romanistici del Diritto europeo, la disciplina generale del contratto, I, Torino, 2018, pag. 45 e ss.

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regolare il comportamento delle parti durante l'intero ciclo vitale del contratto, compresa la fase finale delle trattative.

Recita, l'art.1.7: (Buona fede) (1) Ciascuna parte deve agire in conformità alla buona fede nel commercio internazionale. (2) le parti non possono escludere o limitare quest'obbligo.

L'applicazione di questo principio opera come nei vari ordinamenti nazionali, sanzionando, ad esempio, l'abuso di un diritto e i comportamenti di un contraente finalizzati unicamente a danneggiare la controparte o a raggiungere scopi differenti da quelli per cui tale diritto è stato concesso. Di converso, il parametro della buona fede non coincide con un generico dovere di correttezza, lealtà ed onestà tra i contraenti, ma deve essere individuato in rapporto alle condizioni del commercio internazionale, i cui standard sono spesso differenti e possono variare da un settore all'altro a seconda degli ambienti economico-sociali. Il successivo art.1.8 dei Principi è volutamente dedicato, per la sua rilevanza pratica, alla definizione della regola, venire contra factum proprium nemini licet, operante senza bisogno di espresse previsioni normative, in molti ordinamenti nazionali come un'applicazione del principio della buona fede oggettiva: art.1.8 (venire contra factum proprium). Una parte non può agire in modo contraddittorio rispetto ad un intendimento che ha ingenerato nell'altra parte, e sul quale questa ha ragionevolmente fatto affidamento a proprio svantaggio. In esso si fa divieto ad un contraente di mettere in atto comportamenti contraddittori, rispetto

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all'affidamento che egli ha precedentemente ingenerato nella controparte. Questo comportamento può attenere al contenuto del contratto, alla sua esecuzione ed interpretazione e tradursi non soltanto in una condotta attiva, ma anche omissiva o addirittura nel silenzio. Indispensabile è però che l'altro contraente abbia potuto basare su di esso un ragionevole affidamento, da valutarsi alla luce delle circostanze concrete, per la realizzazione delle proprie aspettative contrattuali4.

Era doveroso procedere a questa disamina per comprendere al meglio da dove i PECL hanno tratto la loro origine.

La scelta di inserire una clausola generale di buona fede si realizza già nel progetto dei Principi di diritto contrattuale europeo (PECL), redatti dalla Commissione Lando e pubblicati in via definitiva nel 2001. Per indicarla si preferisce ricorrere all'espressione "buona fede e correttezza" (good faith and fair dealing), al fine di evitare confusioni terminologiche e concettuali tra la buona fede soggettiva ed oggettiva.

Viene posto in evidenza che nei vari ordinamenti europei la linea di confine tra le due nozioni non è sempre chiaramente definita, difatti le espressioni utilizzate per indicare la buona fede oggettiva e soggettiva

4UNIDROIT PRINCIPLES of International Commercial Contracts 2016, pag. 21 e ss; F. Astone, Venire contra factum proprium, divieto di contraddizione e dovere di coerenza nei rapporti tra i privati, Napoli, 2006, pag. 105 e ss.

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differiscono5. L'art.1.201 recita così: (Good faith and fair dealing):

(1) Each party must act in accordance with good faith and fair dealing. (2) The parties may not exclude or limit this duty. [(1) buona fede e correttezza: Le parti devono agire secondo buona fede e correttezza. (2) Le parti non possono escludere o limitare quest'obbligo]. Sono quindi questi Principi a disporre che le parti contrattuali, o comunque di un rapporto obbligatorio, debbano agire in conformità alla buona fede e correttezza senza poter in alcun modo escluderla o limitarla. A riprova di ciò il dovere di collaborazione tra di esse, diretto a consentire l'esecuzione del contratto o l'adempimento dell'obbligazione, è collocato sul piano sistematico nell'articolo immediatamente successivo, ovvero l'art.1.2026 (Duty of cooperation): each party owes to the order a duty to co-operate in order to give full effect to the contract [(obbligo di cooperazione) Le parti sono tenute reciprocamente a cooperare al fine di dare piena esecuzione al contratto].

5C. Castronovo, Principi di diritto europeo dei contratti, in Europa e diritto privato, I, Milano, 2001, pag. 115 e ss; G. Luchetti-A. Petrucci, Fondamenti, cit., pag. 29 e ss.

6 O. Lando, Lo spirito dei principi del diritto contrattuale europeo, a cura di G. Alpa- E.N. Buccico, Il codice civile europeo, Milano, 2001, pag. 64 e ss.

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III.3 Le linee guida del progetto di un quadro comune di riferimento (DCFR) del diritto privato Europeo.

Il Draft Common Frame of Reference rappresenta il maggiore lavoro compiuto fino ad oggi per avvicinare ed armonizzare alcune parti del diritto privato patrimoniale dei Paesi dell'Unione Europea.

Il 2003 è stato un anno nodale, si è difatti attivato un procedimento più incalzante del passato, che ha portato alla pubblicazione di un

"progetto di quadro comune di riferimento", Draft Common Frame Of Reference 7.

L'azione del legislatore Comunitario, partendo dalle disposizioni riguardanti la materia contrattuale, per mezzo di azioni di consolidamento e rifusioni degli strumenti esistenti, ha puntato alla realizzazione, avvalendosi dei Principles, di una comune base europea di diritto.

La Commissione europea, nel febbraio 2003, ha dato avvio ad un piano specifico, la cui finalità era realizzare una migliore coerenza nel diritto contrattuale europeo, assegnando un ruolo fondamentale ad un quadro comune di riferimento (Common Frame of Reference).

La Commissione si poneva come obiettivo l'accrescimento dell'acquis comunitario (vale a dire della legislazione comunitaria europea vigente) nel campo del diritto contrattuale, allo scopo di favorirne un'applicazione uniforme che puntasse ad un corretto andamento

7C. Von Bar, E. Clive e H. Schulte-Nolke, Principles Definitions and Model Rules of European Private Law Draft Common Frame of Reference (DCFR), Munich, 2009, pag. 89 e ss.

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delle transazioni transfrontaliere ed al completamento del mercato interno.

Osservato in una chiave più ampia avrebbe dovuto costituire il presupposto per la creazione di un diritto concorde e comune, vincolante solo se liberamente accettato dai Paesi membri. Si proponeva, inoltre, di elaborare una clausola generale di buona fede capace di riassumere le diverse esperienze dei vari Paesi membri.

Ricevuto l'apprezzamento del Parlamento Europeo e del Consiglio, venne adottata una risoluzione per la quale la Commissione, entro il 2006, avrebbe dovuto redigere il CFR, auspicandone l'impiego anche nei procedimenti arbitrali.

L'intenzione era predisporre un codice di diritto contrattuale europeo, originariamente opzionale per gli Stati membri ma successivamente vincolante, mediante uno strumento comunitario.

Per l'attuazione del CFR, la Commissione Europea ha costituito una rete di ricercatori: "DCFR-Network", composta da un gruppo di studio su un codice civile europeo (The Study Group on a European Civil Code) ed il Gruppo di ricerca sul diritto privato vigente dell'Unione Europea8 (Research Group on Existing EC Private Law).

8 A. Petrucci, Fondamenti, cit., pag. 47.

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I lavori svoltisi nel triennio 2004-2007 si sono conclusi con una prima edizione del progetto di CFR e poi con l'edizione definitiva9 pubblicata nel 2009. Tale edizione si è evoluta seguendo tre principali direttrici: la prima, terminare il lavoro con il completamento del libro IV e la redazione degli ultimi tre libri; la seconda, aver dato singolare evidenza alle osservazioni formulate nel corso delle discussioni sul progetto provvisorio e sulle ulteriori riflessioni intervenute da parte dei gruppi dei redattori; infine, la terza ha fatto precedere ai dieci libri, che contengono le regole modello (Model Rules), un'autonoma sezione di "Principi" sottostanti alle stesse, sull'esempio dei

"Principles directeurs du droit europèen du Contract", elaborati dall'Associazione Henri Capitant e dalla Societè de legislation comparèe.

Il DCFR è diviso in tre parti a) dieci libri di regole modello, b) una parte separata di principi, c) un annesso relativo alle definizioni, suddiviso in libri, capitoli, sezioni, tutti corredati da una rubrica.

Gli articoli sono contrassegnati da un ordine numerico progressivo all'interno delle varie sezioni, la lingua eletta è l'inglese, anche se è prevista la traduzione del testo nel maggior numero possibile di lingue comunitarie. Per tale motivo i realizzatori del progetto hanno selezionato con la massima cura una terminologia che, al contempo, fosse precisa, accessibile e chiara.

9Cfr. O. Lando, Introduction edizione provvisoria: Principles, Definitions and Model Rules of European Private Law, Draft, Common, Frame, Of Reference (DCFR), Münich, 2008, pag. 4 e ss.

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Possiamo asserire che nella materia dei contratti il PECL è confluito in larga misura nel DCFR, con precisazioni per lo più terminologiche, e l'inserimento di novità rappresentate dall'introduzione di tutto il settore delle obbligazioni non contrattuali.

Il contenuto di ciascuna parte è fornito nell' Introduzione, dalle indicazioni degli stessi autori e chiarisce il significato da ascrivere ai termini usati nell'intitolazione ufficiale del progetto: Principi- Definizioni e Regole Modello del Diritto Privato Europeo.

Il rimando ai Principi va considerato sotto tre aspetti: con riferimento al primo, esso è da intendersi come regole prive di forza di legge, così come avviene nei principi di diritto contrattuale europeo PECL, della Commissione Lando e nei Principi Unidroit10 sui contratti commerciali internazionali.

Nella seconda direzione sono da intendersi, quali regole di natura generale, la libertà di contratto e la buona fede.

Infine, possono essere intese come principi fondamentali, che sottointendono valori essenzialmente astratti.

Vengono individuati quattro principi sottostanti al progetto che sono:

libertà, sicurezza, giustizia ed efficienza, a cui si uniscono quelli sovrastanti inerenti alla protezione dei diritti umani, alla solidarietà e alla responsabilità sociale, la conservazione delle diversità culturale e

10M. J. Bonell, Principi Unidroit dei contratti commerciali internazionali, Milano, 2004.

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linguistica, lo sviluppo e la protezione del benessere sociale e, infine la promozione del mercato interno.

Le "Definizioni" offrono spunto per favorire una terminologia giuridica uniforme a livello europeo, allo scopo di offrire semplicità e certezza agli operatori economici.

Nel libro primo del Progetto, sono contenute le "Definizioni" attinenti a concetti ritenuti particolarmente pregnanti. Mentre per tutte le altre l'art. 1.1:108, rinvia "all'Annesso" che ne racchiude una lista, salvaguardandosi così il carattere di brevità al libro primo, acconsentendosi però con "l'Annesso" al possibile futuro ampliamento della lista senza dover stravolgere il volume primo del progetto.

Per Regole Modello (Model Rules) si intendono invece le regole, distribuite nei dieci libri del progetto, prive di forza normativa sulla scia del diritto contrattuale europeo della commissione Lando.

La nostra attenzione verterà sul libro primo in particolar modo sulle disposizioni generali applicabili a tutto il DCFR attinenti alla buona fede (art.1.-1:103), ma tutta l'opera consta di 1023 articoli distribuiti in dieci libri, costituenti, come per i PECL, (Principi del diritto europeo dei contratti scritte dalla Commissione Lando tra il 1996 e il 2001), una raccolta di soft law.

Il testo del DCFR trova in apertura la sezione dei Principi, dando a ciascuno di essi un'esplicazione in termini descrittivi e chiarendone anche il grado di importanza.

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La libertà, nel diritto privato, si fa consistere <<nel non stabilire regole imperative o altri controlli e nel non imporre restrizioni non necessarie di natura formale o procedurale, sugli atti e negozi giuridici delle persone>>.

Il principio della sicurezza è da valutarsi <<solo considerando alcuni dei modi con cui può essere minacciata la sicurezza delle persone fisiche e giuridiche nella normale conduzione delle proprie vite e dei propri affari>>.

Il principio di giustizia si ricava, al contrario, sussistendo la convinzione che <<sia difficile da definire, impossibile da misurare e soggettivo nei suoi contorni>>.

L'efficienza si sostanzia in due aspetti che si accavallano:

<<l'efficienza per gi scopi delle parti che potrebbero utilizzare le regole e l'efficienza per scopi pubblici più ampi>>.

Ultimata la sezione dei Principi viene mostrato il contenuto specifico dei dieci libri. Di particolare rilievo il primo che si compone di dieci articoli e racchiude al suo interno disposizioni generali valide per tutto il DCFR.

Su questo primo libro sarà proiettata la nostra attenzione in quanto in esso si fa riferimento, tra gli altri, ai concetti di buona fede e correttezza.

Per completezza espositiva è opportuno indicare che il progetto si conclude con "l'Annesso" relativo alle "Definizioni", nel quale sono enumerate in ordine alfabetico 164 voci comprendenti definizioni di

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concetti quali: professionista, consumatore, cose mobili e strumenti finanziari, oltre ai chiarimenti dei termini maggiormente ricorrenti quali, rappresentante, danno e risarcimento.

Al di là della stretta aderenza alla tematica della buona fede, i principali elementi distintivi tra il DCFR e i PECL attengono ad una separazione concettuale e terminologica tra contratto e obbligazioni in relazione del vincolo da esse nascente.

Con riguardo al contratto sono state sviluppate, le parti sulla responsabilità precontrattuale, sulla rappresentanza, sulle cause di invalidità e sul contenuto e gli effetti del contratto e per le obbligazioni quelle sull'adempimento e sui relativi rimedi in caso di inadempimento, entrambe traslate dalla disciplina del contratto a quella generale sulle obbligazioni.

Ulteriore novità è l'aggiunta di un intero capitolo sulla non discriminazione e sul diritto di recesso.

Per quanto maggiormente qui interessa volgeremo l'attenzione al libro primo del DCFR che ha ad oggetto la buona fede, confrontandolo con la precedente esperienza dei PECL nel corso del paragrafo III.5.

III.4 La clausola generale della buona fede nel Diritto comunitario Europeo prima del DCFR.

Notevole rilievo nell’ambito del processo di evoluzione del diritto contrattuale europeo, assume la clausola generale di buona fede. Essa pervade in larga misura il diritto derivante dalle direttive, rivestendo

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un ruolo centrale nei sistemi dei progetti di codificazione a livello europeo.

Nell'ordinamento giuridico comunitario alle clausole generali viene riconosciuto un ruolo fondamentale, in particolare alla buona fede. La giustificazione di ciò si evince dalla constatazione che norme elastiche e concetti indefiniti facilitano la convivenza delle culture giuridiche dei vari Paesi, permettendo un più agevole adattamento dei principi comunitari alle diverse tradizioni giuridiche nazionali.

La clausola generale della “buona fede comunitaria” ha, tra le sue fonti normative, quella del “diritto privato europeo” ed, in particolare, il codice europeo dei contratti, con un valore di carattere dottrinale, composto da un insieme di principi e regole, la cui introduzione è stata proposta da commissioni di giuristi europei, i quali volevano costruire un riferimento circa la possibile disciplina comune del contratto.

Tali clausole generali vengono richiamate, per esempio, nell’articolo 32 (c.d. clausole implicite)11 del Codice Europeo dei contratti, in

11 Art.32 (Clausole implicite) << Oltre alle clausole espresse, rientrano nel contenuto del contratto le clausole che: a) sono imposte dal presente codice o da disposizioni comunitarie o nazionali, anche in sostituzione di clausole difformi apposte dalle parti;b) derivano dal dovere di buona fede; c) devono considerarsi tacitamente volute dalle parti in base a precedenti rapporti d’affari, alle trattative, alle circostanze, agli usi generali e locali;

d) devono considerarsi necessarie affinché il contratto possa produrre gli effetti voluti dalle parti. 2. Salva l’osservanza delle disposizioni che disciplinano la forma, hanno effetto fra le parti contraenti, qualora trovino un qualche riscontro nel testo contrattuale, le dichiarazioni che ciascuna delle parti ha fatto all’altra durante le trattative o al momento della conclusione del contratto, circa situazioni o aspettative di fatto o di diritto che, in quanto relative ai soggetti, al contenuto o allo scopo del contratto,

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particolare alla lettera b, secondo cui rientrano nel contenuto del contratto tutte quelle clausole che derivano da un generale dovere di buona fede.

E' soprattutto l'art. 3912 del Codice Europeo dei contratti, a richiamare la clausola della buona fede, difatti relativamente all’analisi del testo contrattuale ed alle valutazioni degli elementi extratestuali dell’atto, rilevano sia il comportamento delle parti, improntato alla correttezza che la ragionevolezza, in quanto entrambi canoni dell'interpretazione e limiti insuperabili dell'attività ermeneutica.

La Commissione Lando, sempre nell’ambito del diritto europeo dei contratti, ha richiamato più volte la clausola di buona fede, in possono aver determinato il consenso delle parti; salva la facoltà di avvalersi dei rimedi previsti negli artt. 151 e 157. 3. Nei contratti internazionali-intercontinentali si presume, salvo patto contrario, che le parti abbiano implicitamente considerato applicabili al rapporto instaurato anche gli usi generalmente osservati per i contratti dello stesso tipo, nel relativo settore commerciale, dei quali esse sono o debbano ritenersi a conoscenza>>.

12Art. 39 (Analisi del testo contrattuale e valutazione degli elementi extratestuali all’atto) <<Analisi del testo contrattuale e valutazione degli elementi extratestuali all’atto 1. Quando le dichiarazioni contrattuali sono tali da rivelare in modo chiaro ed univoco l’intenzione dei contraenti, il contenuto del contratto deve desumersi dal significato letterale di esse, avendo riguardo al testo contrattuale nel suo complesso e coordinando le varie clausole le une per mezzo delle altre. 2. Rispetto al senso comune delle parole usate prevalgono quel significato che i contraenti hanno espressamente dichiarato di attribuire ad esse o, in mancanza, quella diversa accezione tecnica o invalsa negli usi del commercio che sia conforme alla natura del contratto. 3. Qualora l’esame del testo contrattuale susciti dei dubbi non superabili attraverso una valutazione globale di esso, e ciò anche in relazione a dichiarazioni o comportamenti delle parti sia pure successivi alla stipulazione del contratto e il cui significato trovi un qualche riscontro nel testo contrattuale, quest’ultimo deve interpretarsi conformemente alla comune intenzione dei contraenti, quale accertabile mediante il ricorso anche ad elementi extratestuali riferibili alle parti. 4. In ogni caso l’interpretazione del contratto non deve condurre ad un risultato che sia contrario a buona fede o a ragionevolezza>>.

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particolar modo, agli artt. 1.106, 4.109 e all’art. 5.102, ed anche in altri articoli che seguiranno nelle pagine successive.

Nel primo caso, relativamente all’interpretazione analogica, affermando la necessità di promuovere la buona fede e la correttezza.

Nell'articolo 4.109, poi rubricato "Ingiusto profitto e vantaggio iniquo", ancora una volta si fa riferimento alla buona fede, in esso si prevede che: “il giudice, può, ove il rimedio sia adeguato, modificare il contratto in modo da metterlo in armonia con quanto si sarebbe potuto essere convenuto nel rispetto della buona fede e della correttezza13". E, infine, nell'articolo 5.102 con riguardo alle circostanze del contratto, si sostiene che per una giusta interpretazione dello stesso occorre avere particolare riguardo a: (a) le circostanze nelle quali esso è stato concluso, comprese le trattative;

(b) il comportamento delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto; 16 (c) la natura e l’oggetto del contratto; (d) l’interpretazione che le parti abbiano già data a clausole simili e le pratiche che hanno adottato nei loro rapporti; (e) il significato dato normalmente alle clausole e alle espressioni nel settore di attività interessato nonché l’interpretazione che clausole simili possano già avere ricevuto; (f) gli usi; e (g) la buona fede e la correttezza.

Il legislatore comunitario, pur tentando di circoscrivere i limiti dell’autonomia negoziale, contestualmente, salvaguarda un minimo di apertura del sistema, affinché questo possa continuare ad evolversi.

13 O. Lando, Lo spirito, cit., pag. 30 e ss.

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L’art. 1:102 dei Principles, disciplinando il principio dell’autonomia contrattuale, gli affianca in funzione complementare l’ulteriore principio della buona fede e della correttezza, quale criterio generale, al rispetto del quale detta autonomia è tenuta a conformarsi.

Un’ulteriore previsione, che evidenzia la particolare importanza del principio nel sistema in parola, è contenuta nell’art. 1:201, secondo cui le parti devono agire nel rispetto della buona fede e della correttezza.

Particolarmente significativa nel ribadire la centralità del principio della buona fede è la previsione contenuta nel secondo comma, che sancisce l’inderogabilità dell’obbligo della stessa ad opera delle parti, le quali non possono né escluderlo né limitarlo, e fa sì che quest’ultimo trovi applicazione anche al di fuori delle previsioni che vi fanno espresso riferimento14. Il considerevole rilievo attribuito dai Principles al principio di buona fede costituisce, tuttavia, fonte di risvolti problematici, risultando esso l’elemento di maggiore incertezza nel contesto di quel sistema. Nonostante i Principles, infatti, attribuiscano alla volontà delle parti una funzione determinante nel momento della nascita e dell' esecuzione del contratto, nondimeno riconoscono un ruolo ancor più pregnante alla correttezza che determina tuttavia, di certo, un rischio di

14E. Navarretta, Le ragioni della causa e il problema dei rimedi.

L’evoluzione storica e le prospettive nel diritto europeo dei contratti, in Studi in onore di Cesare Massimo Bianca, III, Milano, 2006, pag. 645 e ss.

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allontanamento dal tenore letterale del contratto. Il contratto inteso come atto di volontà ed espressione di autonomia delle parti è, quindi, previsto come nel sistema del Codice civile italiano, integrabile attraverso il riferimento alla buona fede. Nel sistema dei Principles, la buona fede diviene criterio direttivo essenziale della condotta delle parti, previsto dall’art. 1:201, il quale, nell’imporre ad esse di agire nel rispetto della buona fede e della correttezza, gli attribuisce un'efficacia che si ritiene esso esplichi anche al di là delle singole previsioni che lo richiamano. La portata espansiva che caratterizza la clausola generale si estrapola dalla lettura dell’art. 1:302 che, nel definire il concetto di ragionevolezza, prevede che “è da ritenersi ragionevole ciò che chiunque in buona fede e nella stessa situazione delle parti dovrebbe considerare ragionevole15”.

Il dovere di cooperazione tra le parti rientra dunque certamente tra quelli per cui l’obbligo di buona fede è posto. Con riguardo alla buona fede nella fase esecutiva dell’accordo può essere preso in esame anche l’art. 6:111 che disciplina l’ipotesi del mutamento delle circostanze originarie stabilite nel contratto. La regola generale, in questi casi, è quella dell’irrilevanza delle circostanze sopravvenute, salvo che esse determinino, rispetto alla situazione preesistente, una eccessiva onerosità. In tal caso le parti sono tenute ad intavolare trattative al fine di modificare o sciogliere il contratto, ma se queste

15Principi di diritto europeo dei contratti, Capitolo primo, Disposizioni generali, Sezione seconda: Ambito di applicazione dei Principi, tratto da www.unisob.na.it, pag. 3.

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non danno esito in un tempo ragionevole, il giudice può scioglierlo o modificarlo onde ottenere una giusta ed equa ripartizione di perdite e vantaggi.

In entrambi i casi l’Autorità giudiziaria può condannare al risarcimento dei danni per la perdita cagionata dal rifiuto di una parte di intraprendere trattative o dalla rottura di esse in maniera contraria alla buona fede e alla correttezza, imponendo che l'obbligo di buona fede debba essere osservato in tutte le varie fasi della vita del contratto. L’art. 2:301 fissa come regola generale della fase precontrattuale la libertà delle parti di entrare in trattative, senza che esse possano incorrere in responsabilità alcuna, a fronte del mancato raggiungimento dell’accordo. Il secondo comma dell’articolo precisa, tuttavia, che chi in fase di trattative si sia comportato in maniera contraria alla buona fede e alla correttezza è responsabile delle perdite che la controparte abbia sofferto in conseguenza di tale condotta. Nel terzo comma dell’art. 2:301 sono contemplate due ipotesi di responsabilità precontrattuale, che consistono rispettivamente nell’aver dato inizio alle trattative con la consapevolezza che non si sarebbe concluso alcun contratto e nell’averlo proseguito, nonostante la decisione di non giungere alla stipula dell’accordo.

Come è stato autorevolmente rilevato16, le specificazioni del concetto di buona fede di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 2:301, costituiscono

16C. Castronovo, Principi, cit., pag. 220 ss.

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espressione dell’esigenza avvertita dalla Commissione, che ha steso il testo dei Principles, di tipizzare, anche se non esaustivamente, i comportamenti contrari alla buona fede, per poter così garantire, in una fase delicata quale quella della formazione del contratto una maggiore certezza per i soggetti coinvolti in trattative contrattuali in ambito internazionale. Si è, altresì, posta l'attenzione su come dette specificazioni siano espressione di una più generale tendenza del legislatore europeo a trasformare le clausole generali, quale quella di buona fede, in norme a fattispecie determinata (come, ad esempio, l’obbligo di informazione). Deve comunque reputarsi, nonostante l’intervento regolatorio del legislatore europeo sulla fase precontrattuale nel commercio elettronico, che rimangano, tuttavia, in tale ambito, ancora delle ipotesi in cui l’obbligo generale di buona fede, imposto dai Principles, per la fase di formazione del contratto conserva una propria autonoma e rilevante ragion d’essere, essendo molto più vasto l'ambito di applicazione di questa disciplina, rispetto a quello più recente della vendita telematica. Un’ulteriore funzione svolta dalla buona fede è quella di fonte di integrazione dell’atto.

Infatti, ad un ruolo integrativo del contratto svolto dalla buona fede fa espresso riferimento l’art. 6:102, che disciplina le clausole implicite17. La disposizione prevede che, oltre alle clausole espresse, il contratto possa contenerne delle altre implicite che possono derivare

17 V. Ricciuto, La responsabilità precontrattuale dei Principles of European Contract Law, in Il contratto e le tutele Prospettive di diritto europeo, Milano, 2002, pag. 143.

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dall’intenzione delle parti, dalla natura e dall’oggetto del contratto, dalla buona fede e dalla correttezza. Il rapporto contrattuale, dunque, è composto da quanto le parti hanno espressamente pattuito, ma il contenuto di esso deve ritenersi integrato anche da quegli ulteriori elementi che, secondo buona fede, compongono l’assetto contrattuale.

La buona fede, in tal senso, è da considerarsi quale fonte integrativa del contratto ed offre quindi al giudice la possibilità di ritenere sussistenti delle clausole non espressamente pattuite, ma che, tenendo conto del corretto comportamento delle parti, devono ritenersi costituire parte integrante dell’accordo.

Come ampiamente chiarito precedentemente, una delle peculiarità della clausola generale della buona fede è la sua elasticità e la sua predisposizione ad essere interpretata in base alle esigenze del caso concreto e rispetto al periodo storico-politico e sociale in cui viene applicata, in tale contesto, un ruolo fondamentale è attribuito, all’interprete.

Con riferimento al diritto comunitario, si pone il quesito di stabilire chi sia il soggetto deputato alla “concretizzazione” della clausola generale della buona fede, tra la Corte di Giustizia della Comunità Europea, il legislatore nazionale dei singoli Stati membri e il giudice nazionale dei singoli Stati membri. Nel 2003, la questione è stata risolta con la decisione nell’ambito del caso SENA18. In

18 Corte di Giustizia dell' Unione Europea (sesta sezione), proc. c-245/00, 6 Febbraio 2003.

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quell'occasione la Corte di Giustizia Europea veniva adita in via pregiudiziale dalla Suprema Corte olandese. La decisione che ne scaturì merita di essere annoverata in questa sede, poiché è rilevante conoscere quale sia l'organo deputato all'interpretazione delle clausole generali (tra cui quella di buona fede).

Si è addivenuti, dunque, con la decisione sul caso Sena, a rilevare che costituisce una prerogativa propria dalla Corte di Giustizia, non in via esclusiva, ma solo qualora il suo intervento sia richiesto, in via incidentale, per la necessità di meglio comprendere il significato della norma. Inoltre, nell’ambito della decisione del caso SENA, la Corte di Giustizia ha colto l’occasione per chiarire, nelle motivazioni, l’esistenza di clausole generali che sono proprie del diritto comunitario, sganciate dal diritto nazionale dei singoli Stati membri;

in questo senso le clausole generali vengono considerate come una disposizione autonoma di diritto comunitario e devono essere interpretate in modo uniforme nell’intero territorio della Comunità.

Solo in mancanza di una nozione comunitaria della clausola generale, cioè in assenza di un contenuto chiaro e definito dal giudice comunitario, allora l’esercizio interpretativo sarà attribuito ai singoli Stati membri, nei limiti imposti dal diritto comunitario19.

Chiarito quest'ultimo aspetto è opportuno rilevare la funzione primaria che viene svolta dalla clausola di buona fede che consiste nel superare o comunque nel ridurre le differenze tra le diverse

19I. Musio, Breve,cit., pag. 40.

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legislazioni nazionali attraverso "l'armonizzazione" del diritto comunitario valorizzando i principi cardinali della comune storia giuridica europea allo scopo di produrre un diritto comune europeo20. E' proprio al fine di raggiungere “l’armonizzazione del diritto europeo” che le clausole generali comunitarie hanno un contenuto proprio, non rinviato alle legislazioni nazionali, ma “predeterminato tramite un’operazione di sintesi che tenga conto del contenuto che le clausole generali, di volta in volta evocate, assumono nelle varie legislazioni nazionali21".

A questo punto giova citare la direttiva 93/13/CEE22 nella quale il principio di buona fede rileva quale strumento idoneo ad attuare una valutazione globale dei vari interessi in causa, tenendo in considerazione le differenti forze contrattuali delle parti, dal consenso prestato dal consumatore, al comportamento legale ed equo tenuto dal professionista nel rispetto dei legittimi interessi della controparte. La Corte di Giustizia Europea ha, quindi, considerato abusive le clausole di un contratto tra professionista e consumatore che non siano scritte, concordate singolarmente, chiare, trasparenti e comprensibili. Il giudice, se la nullità della postilla inficia tutto il patto, può sostituirla con una norma suppletiva, ma non può revisionarne e/o integrarne il

20Marongiu-Pugliese, I principi di buona fede e correttezza nel processo integrativo europeo, Master in diritto privato europeo e della cooperazione, Roma, 2014, in www.masterdirittoprivatoeuropeo.it.

21G. Meruzzi, L’Exceptio doli dal diritto civile al diritto commerciale, Padova, 2005, pag. 11.

22Direttiva 93/13/CEE del Consiglio del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori.

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testo23. In alcuni casi, la norma posta dal legislatore fornisce al giudice criteri di valutazione talmente precisi da rendere secondario il ricorso dello stesso alla buona fede integrativa. In altri casi, il legislatore comunitario prevede che in sede di valutazione giudiziale anche altri obblighi, sebbene non menzionati nella normativa, possano configurare la violazione del principio medesimo. Nello specifico all’art. 3 della direttiva 93/13/CE, vi è l’elenco, indicativo e non esauriente, di clausole vessatorie, al quale si affianca la valutazione di vessatorietà rimessa al giudicante, sulla base del principio in questione24. Laddove a carico del consumatore si determini un «significativo squilibrio» dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, si dovrà tener conto delle disposizioni applicabili nel diritto comunitario, in mancanza di un accordo tra le parti in tal senso. Sarà proprio questa analisi comparativistica che permetterà al giudice nazionale di valutare se, ed in che misura, l'accordo tra le parti collochi il consumatore in una situazione giuridica meno favorevole rispetto a quella prevista dal vigente diritto nazionale.

In virtù del principio della buona fede, nell’individuare le regole concrete da applicare al caso specifico l’interprete potrà non limitarsi a quelle espressamente enunciate dalle parti, ma basarsi su considerazioni desumibili dall’economia del contratto e su principi di

23Corte di Giustizia UE, 30 aprile 2014, n.26, sez. IV.

24G. Alpa, Commento alla direttiva n. 93/13/CEE in tema di clausole abusive, in Corr. giur., 1993, p. 640.

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trattamento, elaborati dalla giurisprudenza o dalla pratica. In conclusione è possibile sostenere che il contenuto della clausola generale della buona fede comunitaria è, pertanto, una sintesi (in chiave comparata) delle varie nozioni di buona fede dei singoli ordinamenti giuridici europei.

Per ovviare ai problemi applicativo-interpretativi della clausola generale, il legislatore comunitario affianca alle nozioni che hanno

“contenuto elastico” una disciplina dettagliata, capace di ridurre al minimo l’ambito interpretativo del contratto.

La facilità degli scambi commerciali e la globalizzazione del mercato, hanno indotto il legislatore comunitario ad optare per criteri semplici ed universali ovvero a norme ad alto contenuto specifico. La clausola della buona fede comunitaria, pur non potendo essere schematizzata entro parametri rigidi, tuttavia, esprime quel senso comune assunto dalla buona fede nei vari ordinamenti che sono stati oggetto di approfondimento nel corso di queste pagine.

I diversi concetti di buona fede: in Francia, in Germania, in Inghilterra e in Italia, nonostante presentino talune differenze che sono state precedentemente analizzate, sono comunque riconducibili ad un concetto superiore presente in tutti gli ordinamenti. Il diritto comunitario assurge, pertanto, quale espressione di una comune esigenza di dare ad unico grande territorio, categorie e principi giuridici generali uniformi, che meglio possono agevolare gli scambi e le contrattazioni internazionali.

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III.5 La clausola di buona fede nel Draft Common Frame of Reference (DCFR).

Alla buona fede oggettiva è riconosciuto un ruolo preponderante e pervasivo in tutto il progetto come si evince dalla sua inclusione tanto nei Principi di Sicurezza e Giustizia premessi ai dieci libri di Regole- Modello quanto nell'allegato finale delle Definizioni.

Una prima ed ampia nozione del concetto di buona fede indicata, come già nei PECL, con l'espressione buona fede e correttezza" (good faith and fair dealing), si rinviene altresì nelle Disposizioni generali del libro I del DCFR, ed è destinata a valere anche per tutti i successivi.

E' il primo comma dell'articolo I.-1:103 a precisare che con tale espressione si fa riferimento ad un tipo di condotta caratterizzata da onestà, chiarezza e considerazione degli interessi "delle parti" con riguardo ad uno specifico rapporto giuridico.

Al secondo comma viene specificato quale comportamento è da intendersi contrario alla buona fede e, quindi, pregiudizievole per l'altra parte, individuandolo in quello che sia incoerente con l'anteriore condotta o con le precedenti dichiarazioni, allorché l'altra parte vi abbia fatto ragionevole affidamento25.

25Art. I.-1:103 (Good faith and fair dealing). "the expression "good faith and fair dealing" refers to a standard of conduct charatcterised by Honesty, openness and consideration for the interests of the other party to the transaction or relationship in question.(2) It is, in particular, contrary to

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Inequivocabilmente tale articolo fa riferimento alla buona fede in senso oggettivo, ciò si rileva dal richiamo a condotte leali, oneste e trasparenti e dal divieto di attività contraddittorie e pregiudizievoli agli interessi delle controparti. Risalta, inoltre, l'indicazione dell'osservanza dei doveri di collaborazione, ogni qual volta ciò sia necessario per l'adempimento dell'obbligazione, nonché l'enunciazione, racchiusa nel secondo comma, della regola relativa al divieto di venire contra factum proprium proprium a cui si è fatto cenno precedentemente con riguardo ai principi UNIDROIT26.

Viene riconosciuta alla disposizione dell'art. I-I:103 la funzione di clausola generale, a cui si conforma tutta la disciplina relativa alle altre materie trattate nel Progetto.

In tal modo, si accolgono i suggerimenti espressi dalla maggioranza dei giuristi di civil law e si condivide, inoltre, la scelta adottata dai

good faith and fair dealing for a party to act inconsistently with that party’s prior statements or conduct when the other party has reasonably relied on them to that other party’s detriment. [(buona fede e correttezza). 1 L'espressione buona fede e correttezza si riferisce ad uno standard di condotta caratterizzata da onestà, chiarezza e considerazione per gli interessi dell'altra parte nei confronti dell'affare o del rapporto in questione. (2) E', in particolare, contrario alla buona fede e correttezza che una parte agisca in modo incoerente con le sue precedenti dichiarazioni o condotta a detrimento dell'altra parte, quando questa abbia fatto ragionevolmente affidamento su di essa].

26C. Von Bar, E. Clive e H. Schulte-Nolke, Principles, cit., pag. 18 e ss.:

Princ 23 <<... la sicurezza di una parte contrattuale rafforzata dall'obbligo dell'altra di agire in accordo con i requisiti della buona fede...in più il ruolo della correttezza e buona fede nel DCFR va oltre le previsioni della sicurezza contrattuale>>; Princ 24 <<la sicurezza contrattuale e anche rafforzata dall'imposizione di un obbligo di collaborare>>.

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Principes directeurs de droit européen du contract27. Lo scopo è il raggiungimento di un'uniformità del diritto comunitario vigente (acquis communautaire) in tema di contratti con i consumatori, mirando ad una maggiore armonizzazione fra ordinamenti nazionali, che permetterebbe il superamento delle differenze tra quelli in cui è già operante un principio generale di buona fede e quelli che vi vanno riferimento in via più marginale.

Nel primo capitolo del libro terzo, relativo al campo delle obbligazioni contrattuali e non, vi è un'applicazione molto più ampia del principio della buona fede.

L'art. III.-I:103 la traduce in tre precetti, due dei quali riproducono il testo dei PECL: l'obbligo di agire in buona fede da parte del debitore e del creditore nell'adempimento dell'obbligazione e nell'esercizio dei rispettivi diritti sostanziali e processuali derivanti dal rapporto obbligatorio (1°comma). Il divieto di escludere o limitare questo obbligo (2°secondo). Il 3° comma costituisce, invece, un'aggiunta diretta a regolare le conseguenze della violazione di questo obbligo, sancendo la preclusione dell'esercizio di un diritto, di un rimedio o di un'eccezione28. La violazione di questo dovere non fa sorgere direttamente rimedi per l'inadempimento di un'obbligazione, ma può impedire all'autore della violazione di esercitare o fare affidamento su

27Elaborati dall'Associazione H. Capitant e dalla Sociètè de lègislation comparèe sotto la direzione di B. Fauvarque-Cosson e D. Mazeaud, Parigi, 2008.

28 A.Petrucci, Fondamenti,cit., pag. 85 e ss.

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di un diritto, rimedio o eccezione che questi avrebbe in caso contrario29.

Sempre nel terzo libro, l'articolo immediatamente successivo (art. III.- I:104)30, sulla scia del modello dei PECL, impone come prima concreta attuazione della clausola di buona fede un dovere di collaborazione tra le parti del rapporto obbligatorio, al fine di realizzarne l'adempimento. Tale dovere di collaborazione, tuttavia, opera solo "quando e nella misura in cui..." si può ragionevolmente attendere per l'adempimento dell'obbligazione del debitore31.

29 III. – 1:103: Good faith and fair dealing A person has a duty to act in accordance with good faith and fair dealing in performing an obligation, in exercising a right to performance, in pursuing or defending a remedy for non-performance, or in exercising a right to terminate an obligation or contractual relationship. (2) The duty may not be excluded or limited by contract or other juridical act. (3) Breach of the duty does not give rise directly to the remedies for nonperformance of an obligation but may preclude the person in breach from exercising or relying on a right, remedy or defence which that person would otherwise have [(Buona fede e correttezza). (1) Una persona a il dovere di agire in conformità con la buona fede e correttezza nell'adempiere un'obbligazione, nell'esercitare un diritto relativo all'adempimento, nel far valere un rimedio in caso di inadempimento o nell'opporsi ad esso, oppure nell'esercitare un diritto per estinguere un'obbligazione o un rapporto contrattuale.(2) Questo dovere non può essere escluso o limitato da un contratto o da un altro atto giuridico. (3) La violazione di questo dovere non fa sorgere direttamente i rimedi per l'inadempimento di un'obbligazione, ma può impedire all'autore della violazione di esercitare o fare affidamento su di un diritto, rimedio o eccezione che questi avrebbe in caso contrario].

30C. Von Bar, E. Clive e, H.Schulte- Nolke, Principles, cit., pag. 676 e ss.

31III.–1:104: Co-operation The debtor and creditor are obliged to co- operate with each other when and to the extent that this can reasonably be expected for the performance of the debtor’s obligation.[(cooperazione).Il debitore e il creditore sono obbligati a cooperare reciprocamente quando e nella misura in cui ciò possa ragionevolmente aspettarsi per l'adempimento dell'obbligazione del debitore]. Su questo articolo e quello riportato nella nota precedente si veda ancora il commento di C. Von Bar, E. Clive, H.

Schulte-Nolke, Principles, cit., pag. 676 e ss.

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I medesimi principi ricorrono in fonti codicistiche vigenti, negli artt.

1104 e 1194 del codice civile francese, nell'art. 57 del codice di commercio Spagnolo, nell'art. 7 del codice civile Spagnolo, nel codice civile generale austriaco all'art. 863, nel codice Svizzero all'art. 2, in quello tedesco all'art. ꭍ. 242, nel codice civile portoghese (artt. 239-334-762), nel codice civile olandese (artt. 3.12-6.2-6.248), nei principi UNIDROIT (2004) art. 1.7, nelle fonti romanistiche, nel Digesto e nelle Istituzioni di Giustiniano e Gaio D.19,1,50;

D.19,2,21; Gai.3,137; Gai.4,61-63; Gai.4,119; D.19,1,48;

D.16,3,31pr-1; D.44,4,1; D.44,4,8; D.19,1,11,1; D.13,22,3; nelle fonti medievali e moderne in Bartolo e Baldo. Per quanto maggiormente ci interessa, punti di contatto con questa regolamentazione sono presenti nel nostro codice civile all'art.1175 (comportamento secondo buona fede e correttezza) : "Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza" e all'art. 1374: (Integrazione del contratto), da cui si apprende che il contratto obbliga le parti a quanto in esso espresso e a quanto ne deriva secondo la legge o in mancanza secondi gli usi e le equità, inoltre, all'art. 1375 (esecuzione secondo buona fede), si prescrive che il contratto deve eseguirsi secondo buona fede.

A conclusione, un breve confronto tra la disciplina dei DCFR e quella dei PECL mostra che la prima ha proceduto sulla scia della seconda, accentuando però, attraverso alcune significative innovazioni, il già rilevante ruolo assegnato al principio della buona fede in senso

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oggettivo. L'art 1.201 dei PECL costituisce il principio basilare finalizzato a <<dare attuazione alle convenienze sociali, alla correttezza e ragionevolezza nei rapporti commerciali contrattuali e dove i termini di buona fede e correttezza sono da considerarsi come nozione di buona fede oggettiva32>>.

La nozione di buona fede oggettiva, infatti, nel DCFR si traduce anche in una serie di applicazioni particolari che formano oggetto di specifiche disposizioni, quali, ad esempio, il dovere di ciascuna parte di svolgere trattative contrattuali in modo corretto, di non rivelare le informazioni confidenziali avute nel corso di esse, non trarre vantaggio iniquo dalla dipendenza, dalle difficoltà economiche o altra debolezza dell'altra parte. Si desume, quindi, anche da ciò la natura imperativa dell'obbligo di buona fede e correttezza, con l'esplicito divieto per le parti di potersi accordare per escludere o anche solo modificarne la portata.

32C. Castronovo, Principi, cit., pag. 118.

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CONCLUSIONI

Il lavoro svolto ha voluto mostrare gli elementi di contatto in materia di clausola generale della buona fede tra i vari ordinamenti comunitari di diritto privato, ponendo l’attenzione sulla comune base giuridica costituita dalla tradizione romanistica e dello ius commune.

Per tale motivo l'elaborato prende avvio dalla tradizione romanistica, osservando come il principio di buona fede sia mutato da allora fino ai giorni nostri.

Successivamente si è elaborata una comparazione della disciplina della clausola della buona fede in alcuni Paesi: Italia, Francia, Germania e Paesi anglosassoni, volendosi con ciò dimostrare l’esistenza di numerosissimi punti di contatto e comunanza nella visione e interpretazione della regola di buona fede.

Nel primo capitolo viene operata una comparazione della clausola della buona fede, partendo dall’evoluzione che tale definizione ha avuto dalle origini romane, durante il periodo medievale e moderno fino a giungere alla definizione attuale, presente nel codice civile italiano.

Nel secondo capitolo l’attenzione è stata posta sulla previsione della regola di buona fede all’interno degli ordinamenti, francese, tedesco e inglese.

Sono stati quindi confrontati gli ordinamenti di Civil Law, caratterizzati dall’impiego del codice e delle leggi nella

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regolamentazione ordinamentale, ma anche quelle di Common Law, la cui tradizione giuridica, invece, si basa sul presupposto che sia la risoluzione dei precedenti casi giuridici a costituire la base per la definizione dei conflitti insorti tra le parti.

Nel terzo ed ultimo capitolo, infine, viene rilevato il ruolo attribuito alla clausola di buona fede, nei PECL, nel progetto del DCFR e nel diritto Comunitario Europeo.

La comune base del diritto privato degli Stati membri, ovvero la tradizione romanistica, vista alla luce dei risultati ottenutisi a seguito di anni di studio tra giuristi di diverse Nazioni, rafforza ancor di più l’idea della possibile realizzazione di un diritto privato unitario comunitario, al quale tutti i contraenti degli Stati possano fare ricorso per dirimere le eventuali controversie che possono insorgere durante la conclusione di rapporti commerciali o contrattuali, sia tra privati che tra Stati sovrani.

In particolar modo, con riguardo al principio della buona fede, i lavori di elaborazione di un diritto comunitario unitario europeo, primo tra tutti i PECL (Principles of European Contract Law), seguito poi dal DRAFT (Draft Common Frame of Reference), hanno evidenziato a mezzo di una comparazione tra gli ordinamenti dei vari Stati membri, la molteplicità di punti dei contatto. Seppure con alcune divergenze risolvibili, si può auspicare nei fatti la creazione di un diritto contrattuale comune europeo. Gli studi sopra citati sono il frutto del lavoro di giuristi e docenti della materia, rappresentanti di tutti i Paesi

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membri, formalmente autonomi da influenze di carattere politico dei propri Stati di appartenenza. Il principio di buona fede aveva assunto un ruolo centrale già nei PECL, dove oltre a segnare la linea direttrice del dovere di correttezza delle parti contrattuali era dalle stesse pure inderogabile.

Tale principio si rileva anche in altri articoli dei PECL, sempre allo scopo di mostrare quanto tale clausola sia fondamentale per il corretto svolgimento delle contrattazioni. Ai PECL si rifà il DRAFT, opera che consta di dieci Libri, ma per quanto di nostro interesse volgeremo l'attenzione al solo Libro primo, ove l'istituto della buona fede trova accoglimento, in questo lavoro la clausola di buona fede nel Draft Common Frame of Reference (DCFR), è trattata nel capitolo III al paragrafo V.

Si è in questa sede messo in evidenza come, nonostante la presenza di una clausola generale, art. I.-I:103, informante l'intera altra disciplina contenuta nel progetto, il legislatore abbia sentito la necessità di ribadire il necessario ossequio alla buona fede in tema di doveri del debitore e del creditore nella fase dell'adempimento e dell'esercizio dei propri diritti, sanzionando l'inosservanza attraverso la preclusione dell'esercizio di un diritto, di un rimedio o di un'eccezione (art. III.- I:103 comma terzo).

Inoltre malgrado queste disposizioni generali, anche si è deciso di ribadire la vigenza del principio esplicitamente in tema di trattative

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contrattuali, interpretazione del contratto e clausole abusive nella contrattazione tra professionisti e imprenditori.

La buona fede da nozione incerta, nei secoli si è evoluta fino a divenire uno di quei principi unificatori da cui partire per progettare il nuovo diritto contrattuale europeo su basi romanistiche.

In questa stessa ottica appare poco utile soffermarsi sulle differenze, palesi, tra gli ordinamenti di Civil Law e quelli di Common Law, in quanto alla luce dell’analisi svolta, ciò che prevale è la ratio comune sottesa alla disciplina del contratto in tutti i sistemi presi in esame. Il diritto comunitario diventa, quindi, espressione di una necessità comune di un unico grande territorio, dal quale è possibile trarre categorie e principi generali ed uniformi applicabili all'intero ambito europeo.

Così facendo, la buona fede assumerà il ruolo di centro nevralgico per avviare un nuovo progetto di avvicinamento della disciplina contrattuale europea.

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