1. INTRODUZIONE
1.1 L’artrite reumatoide: segni clinici, epidemiologia, costi sociali
L’artrite reumatoide (AR) è una patologia infiammatoria cronica a patogenesi autoimmune che interessa principalmente le cartilagini e le terminazioni ossee delle articolazioni sinoviali, ma anche diversi altri organi, come i polmoni, i vasi e il sistema ematopoietico.
A livello articolare, si osserva un’infiltrazione di cellule infiammatorie nella membrana sinoviale delle diartrosi, che conduce ad iperplasia della membrana stessa fino alla formazione del cosiddetto panno sinoviale, distruzione della cartilagine ed erosione del tessuto osseo adiacente. Il risultato è la perdita della funzione delle articolazioni interessate, che appaiono gonfie e doloranti. I pazienti riferiscono dolore, difficoltà nei movimenti e rigidità soprattutto al risveglio (2). In effetti, questi sintomi possono essere tanto gravi da comportare invalidità.
La malattia non è però ristretta alle articolazioni ma presenta numerose manifestazioni extra - articolari con un impatto a lungo termine su diversi organi:
formazioni nodulari polmonari, alveolite fibrotica, pericardite, alterazioni della conduzione e delle valvole cardiache, vasculiti, neuropatie.
Infine, possono presentarsi situazioni di comorbidità con ipertensione, infarto del miocardio, stroke, linfoma e patologie linfo-proliferative, neoplasie polmonari e cutanee (1; 2).
L’esordio della patologia può avvenire a qualsiasi età, ma risulta più frequente fra i 40 ed i 60 anni. Tipicamente, a livello articolare si manifesta con tumefazione simmetrica delle articolazioni interfalangee prossimali (PIP), metacarpo- falangee (MCP), metatarso - falangee (MTP) e dei polsi. Tuttavia, l’AR può iniziare in maniera più graduale, a partire da poche articolazioni ed evolvendosi da oligoartrite o poliartrite indifferenziata ad AR conclamata. In altri casi la manifestazione iniziale è una monoartrite che interessa, per esempio, il ginocchio (2).
Il decorso della malattia è molto variabile: si alternano periodi di remissione, spontanea o indotta dalle terapie, a periodi di attività, e la durata di entrambi non è prevedibile.
Per ciò che concerne l’epidemiologia, l’AR ha un’incidenza dello 0.5-1% nella
popolazione adulta di Europa ed America del Nord, con significative differenze
regionali: ad esempio in alcune tribù di Nativi Americani gli individui colpiti
salgono al 5% della popolazione adulta. Studi condotti in Cina riportano un’incidenza fra 2.5 e 3.5 casi su 10000 individui adulti per anno, mentre la malattia sembra essere sconosciuta in alcune zone rurali dell’Africa.
Il sesso femminile è più colpito di quello maschile, con un rapporto variabile da 3:1 a 5:1 (1).
Da quanto detto, emerge come l’impatto socio-economico di errate diagnosi e, conseguentemente, di trattamenti inappropriati dell’AR sia particolarmente elevato e, sebbene l’AR non sia considerata una patologia mortale, è stata calcolata una riduzione dell’aspettativa di vita dei pazienti di circa sette anni.
1. 2 Patogenesi della sinovite reumatoide
L’aspetto caratteristico dell’AR è l’infiammazione cronica della sinovia.
Come illustrato in figura 1, in condizioni normali essa è una membrana molto sottile, costituita da tessuto connettivo fibroso, che riveste internamente la capsula articolare fibrosa delle diartrosi e le parti ossee che rientrano nella cavità articolare fino ai bordi delle cartilagini che la tappezzano. Inoltre, la sinovia riveste anche i legamenti interarticolari ed i tendini.
La sua struttura è variabile a seconda dell’articolazione ed anche all’interno della stessa articolazione, ma è possibile distinguere due strati: uno si interfaccia con la cavità articolare ed è chiamato lining e l’altro è la continuazione del primo sul versante opposto (sublining). Il lining è costituito da due tipi di sinoviociti: tipo A, o macrophage- like synoviocytes (MLS), e tipo B, o fibroblast- like synoviocytes (FLS). Le seconde denominazioni sono dovute al fatto che queste cellule presentano somiglianze con, rispettivamente, i macrofagi ed i fibroblasti.
Figura 1.Anatomia di una diartrosi
I sinoviociti di tipo B secernono componenti della matrice extracellulare, riforniscono la cavità articolare e la cartilagine adiacente di proteine plasmatiche nutritive e molecole lubrificanti come l’acido ialuronico, che conferisce al liquido sinoviale la sua viscosità, mentre quelli di tipo A svolgono un’azione tipica dell’immunità naturale, cioè la fagocitosi di sostanze estranee, macromolecole antigeniche o costituenti autologhi danneggiati o morti (ad esempio, cellule in apoptosi) che possono trovarsi nel liquido sinoviale.
Il sublining è costituito da tessuto connettivo fibroso o tessuto adiposo, ed è vascolarizzato.
Lo spessore della sinovia è, generalmente, paragonabile a quello occupato da due strati cellulari al massimo, ma durante lo stato infiammatorio presente nell’AR stabilizzata esso aumenta fino a 15 strati cellulari (9), soprattutto a livello del lining.
Questo cambiamento è dovuto a due fenomeni: il primo è l’infiltrazione nella sinovia di linfociti T CD4
+, linfociti B e macrofagi, che nelle fasi avanzate della malattia giungono ad organizzarsi in foci linfoidi ectopici che presentano centri germinali simili a quelli osservabili di solito soltanto nei linfonodi durante le fasi di riconoscimento dell’antigene da parte dei linfociti T helper e delle conseguenti attivazione e differenziazione degli stessi, dei linfociti B e dei macrofagi. Il secondo evento è la proliferazione anomala dei sinoviociti di entrambi i tipi (10).
Figura 2. Istologia della sinovia nell’AR. La fotomicrografia (ingrandimento 2200 x) mostra gli strati ridondanti del panno sinoviale e l’intensa infiltrazione di cellule infiammatorie. Lo strato del lining (freccia in grassetto) è iperplastico, costituito da strati multipli di cellule rispetto ad un normale rivestimento spesso uno o due strati. Il sublining (tessuto connettivo fibroso, freccia tratteggiata) è evidenziato dall’accumulo di cellule mononucleate come cellule T CD4+, macrofagi e cellule B.
La distruzione della matrice extracellulare e delle strutture articolari avviene per
l’espressione a livello locale di enzimi degradativi fra i quali si possono citare serin-
proteasi e metalloproteinasi (MMPs) come le collagenasi (MMP-1, MMP-8, MMP- 13), la stromalisina-1 (MMP-3), le gelatinasi (MMP-2, MMP-9).
Più in dettaglio, la patogenesi dell’AR- e quindi della sinovite- avviene in tre fasi:
1) fase di induzione o della risposta immune innata
2) fase infiammatoria o della risposta immune antigene-specifica 3) fase mesenchimale o distruttiva
Figura 3. Modello dei molteplici meccanismi patogenetici nell’AR. Secondo questo modello, la progressione della malattia avviene secondo passaggi successivi che iniziano con l’attivazione della risposta immune innata mediante la stimolazione delle cellule dendritiche, dei macrofagi, dei fibroblasti e delle mastcellule. Dopo la migrazione delle cellule immunitarie nella sinovia, negli individui geneticamente predisposti si innesca la risposta immune specifica. Mentre la presentazione dell’antigene avviene nella sinovia, possono partecipare anche siti extra- articolari se cellule dendritiche migrano nei linfonodi e polarizzano le cellule T verso il fenotipo Th1. Nella fase distruttiva della malattia, l’attivazione degli osteoclasti provoca un importante riassorbimento del tessuto osseo, sotto l’influenza del RANKL, mentre i sinoviociti invadono la cartilagine. Questi processi non si escludono necessariamente a vicenda: la risposta immune innata e specifica possono avvenire parallelamente (indicato dalle frecce bidirezionali), contribuendo probabilmente all’alternanza delle fasi di attività e di remissione che si osservano nel corso della malattia. DC, cellule dendritiche; CCP, peptidi ciclici citrullinati; FLS, sinoviociti simil- fibroblastici; Mf, macrofagi.
1.2.a- Fase di induzione o della risposta immune innata
Questa fase è innescata da una risposta rapida a diversi stimoli patogeni, spesso di
tipo esogeno, che saranno precisati più avanti. Cominciano le alterazioni
proliferative dei sinoviociti e dei capillari sanguigni sinoviali, accompagnate
dall’aumento del fattore di trascrizione nucleare NF-kB nei sinoviociti simil-
macrofagici, col risultato di aumentare la trascrizione, e quindi la traduzione, di
citochine e chemochine infiammatorie che promuovono l’infiltrazione di leucociti
polimorfonucleati, monociti, linfociti T. Fra le chemochine responsabili di questo
processo si possono annoverare IL-8, prodotta dai fagociti mononucleati e da cellule
tissutali come quelle endoteliali ed i fibroblasti, ed agente soprattutto sui monociti.
1.2. b- Fase infiammatoria o della risposta immune antigene-specifica
Riguarda gli aspetti tipici della sinovite. A livello sinoviale l’antigene viene presentato dalle cellule APC ai linfociti T, passaggio per il quale è essenziale l’adesione fra i sinoviociti simil-macrofagici ed i linfociti T, mediata dall’interazione fra i recettori CD80 e CD86, sulle cellule che presentano l’antigene, ed il CD28 sulle cellule T. Questo legame innesca l’attivazione e la differenziazione di tali linfociti T (soprattutto di tipo Th, CD4+), i quali secernono interleuchina -2 (IL-2) ed altre citochine, come interferone- γ (IFN- γ), IL-3, IL-4, IL-5, IL-6. All’interno della popolazione di linfociti T h, sembra importante lo squilibrio fra due sottotipi: Th1 e Th2. Infatti, il primo produce IFN-γ (una glicoproteina omodimerica pro- infiammatoria costituita da due subunità di 21-24 kD) ma non IL-4 (anti- infiammatoria), mentre per il secondo è vero l’inverso (6). Nell’AR c’è una netta predominanza del fenotipo Th1, e quindi sovrapproduzione di IFN-γ non bilanciata da un’adeguata quantità di IL-4 ed altre citochine con funzione simile, come IL-13.
In realtà, altri studi attribuiscono il maggior contributo allo squilibrio fra citochine pro- e anti- infiammatorie ad un sottotipo di linfociti T helper individuato recentemente, il Th17 (8). La sua caratteristica è la produzione della citochina IL- 17, altamente infiammatoria, che ha un ruolo importante nella distruzione della matrice osteo-cartilaginea, come sarà spiegato meglio più avanti.
• Ruolo di IL-2 e IFN- γ
L’IL-2 è il principale mediatore della progressione dei linfociti T dalla fase G1 del ciclo cellulare alla fase S ed agisce come fattore di crescita sia autocrino che paracrino, attraverso il legame con il relativo recettore situato sui linfociti T, e costituito dal sistema IL-2Rα/βγ. L’IL-2 stimola anche la crescita delle cellule Natural Killer (NK), vale a dire di quei particolari linfociti che lisano le cellule infettate da alcuni virus o appartenenti ad alcune linee tumorali, senza previo riconoscimento antigenico. Per questo motivo le cellule NK sono considerate appartenenti al sistema dell’immunità naturale. Infine, l’IL-2 agisce sui linfociti B sia come fattore di crescita che come induttore della sintesi di anticorpi. La differenziazione dei linfociti T IL-2- mediata si esplica soprattutto nelle cellule effettrici Th1.
L’eccesso di IFN- γ attiva la produzione di altre citochine pro-infiammatorie da
parte dei macrofagi (specialmente IL-1 e il Fattore di Necrosi Tumorale – α, indicato
come TNF-α), i quali aumentano anche l’espressione delle molecole HLA (Human
Leucocyte Antigens) sulla loro membrana. Com’è noto, le molecole tradotte dalle regioni geniche HLA sono gli analoghi umani delle molecole MHC individuate in origine nel topo, cioè delle molecole del Complesso Maggiore di Istocompatibilità che sono espresse dalle cellule presentanti gli antigeni in modo che esse li leghino (in modo non covalente) e li offrano, in questa veste, al riconoscimento da parte dei linfociti T. In altri termini, l’IFN- γ potenzia le reazioni infiammatorie e promuove una sinergia tra la risposta immune aspecifica (attraverso i macrofagi) e specifica (mediante il riconoscimento e l’attivazione dei linfociti T).
• Ruolo dei linfociti T, B e del Complemento
A questo punto avviene il processo di localizzazione dei linfociti T nel sito di infiammazione, detto homing: i linfociti circolanti che esprimono particolari recettori di membrana (homing receptors) migrano attraverso la parete endoteliale delle venule post-capillari, e sono richiamati sotto la superficie della sinovia dal gradiente chemotattico prodotto dai linfociti T attivati già infiltratisi nella fase infiammatoria precedente, oltre che da altre cellule infiammatorie. RANTES (Regulated upon Activation, Normal T-cell Expressed, and Secreted) è una delle chemochine che partecipa a tale gradiente. Essa è una proteina di 8 kDa codificata dal gene CCL5, appartiene al gruppo delle chemochine CC ed è prodotta dai linfociti T e dai FLS.
Esami istologici delle articolazioni affette da AR rivelano una grande espressione di RANTES/CCL5 a livello dell’intima e della sub intima (39). L’espressione di RANTES nei FLS in coltura aumenta, in modo tempo e dose-dipendente, sotto stimolo con TNF-α e IL-1β, ed agisce primariamente sui linfociti T CD4+ e sui monociti. Questi linfociti formano degli aggregati sotto la sinovia, grazie anche al potenziamento della loro adesività dovuto a IFN-γ, IL-1 e TNF-α che consente la migrazione transendoteliale, l’interazione con la matrice extracellulare e con le altre componenti cellulari.
Le citochine rilasciate dai linfociti T CD4+ attivano i linfociti B, che proliferano, infiltrano anch’essi la membrana sinoviale, ed in parte si differenziano in plasmacellule secernenti anticorpi. Concausa di questo evento è anche un deficit di linfociti T regolatori (Treg), i quali potrebbero modulare l’attività delle cellule APC e la maturazione dei linfociti T, bloccando l’evoluzione del processo infiammatorio.
La Figura 4 alla pagina seguente schematizza gli eventi della risposta immune
antigene-specifica (4):
Figura 4. Sviluppo di una risposta immune. Viene rappresentato uno schema di risposta immune ad un patogeno generico. Le fasi sono indicate in grassetto. Ulteriori aspetti del processo non mostrati sono il coinvolgimento dei tessuti linfoidi secondari nell’attivazione iniziale dei linfociti T e B da parte delle cellule dendritiche che migrano dal sito d’infiammazione ai linfonodi e ad altre strutture linfoidi secondarie.
Nel liquido sinoviale si formano immunocomplessi fra i cosiddetti fattori reumatoidi,
e le IgG autologhe prodotte in situ. I fattori reumatoidi sono IgG o IgM capaci di
reagire con il frammento costante (Fc) di altre IgG. Gli immunocomplessi attivano il
sistema del Complemento e quindi la liberazione, mediante proteolisi, di peptidi
derivanti da proteine complementari e che causano a loro volta infiammazione. Tali
peptidi sono chiamati anafilotossine perché quando liberate in grandi quantità nel
torrente circolatorio causano l’anafilassi, e fra di essi si annoverano il C3a e il C5a, i
quali agiscono come chemotattici dei leucociti polimorfonucleati (neutrofili), e
legano appositi recettori anche su mastociti, basofili, linfociti, monociti/macrofagi e
cellule endoteliali. Ognuno di questi eventi attiva meccanismi di trasduzione del
segnale il cui risultato è un tassello del processo infiammatorio: il legame a mastociti
e basofili ne provoca degranulazione e, pertanto, liberazione di ammine vasoattive
come l’istamina, ed anche di TNF; il legame ai recettori endoteliali stimola, fra
l’altro, la traslocazione sulla membrana cellulare, per esocitosi, di P-selectina, la
quale favorisce l’adesione dei neutrofili e dei monociti. Essi fagocitano gli
immunocomplessi, oltre a debris cellulari e materiale fibrinoso, e secernono enzimi
lisosomiali: proteasi acide (catepsine B e D), neutre (elastasi, collagenasi), radicali
liberi dell’ossigeno; dall’azione della fosfolipasi A
2sui fosfolipidi di membrana dei
neutrofili parte la cascata di reazioni a carico dell’acido arachidonico, mediante le
vie della lipo-ossigenasi e della ciclo-ossigenasi. Fra i prodotti di queste reazioni la
prostaglandina E2 (PGE2) e il leucotriene TB4 (LTB4) sono particolarmente efficaci come amplificatori dell’infiammazione, perpetuando quelle modificazioni a livello vasale caratteristiche della fase acuta (vasodilatazione e conseguente aumento della permeabilità capillare) che favoriscono l’ingresso delle componenti cellulari del processo, prima citati.
I linfociti T CD4+ attivano anche le cellule della linea monocito- macrofagica che, rilasciando IL-1, IL-8, fattore stimolante le colonie 1 (CSF-1) e TNF-α, inducono la proliferazione dei linfociti T e B, l’angiogenesi e l’iperplasia sinoviale.
1.2.c- Fase mesenchimale o distruttiva
In questa fase la sinovite procede in assenza della stimolazione antigenica originaria, ed è sostenuta dalla reazione autoimmune verso antigeni self e dalla stimolazione autocrina delle citochine. Tali citochine sono, in particolare, IL-1 e TNF-α prodotti dai macrofagi, che agiscono in sinergia reciproca.
Contemporaneamente gli stessi macrofagi promuovono la differenziazione dei monociti provenienti dal torrente circolatorio in altri macrofagi, mediante la secrezione autocrina del fattore stimolante le colonie di macrofagi (M-CSF), del fattore stimolante le colonie di granulociti e macrofagi (GM-CSF) e IL -3. Il danno articolare è dovuto in larga parte all’infiammazione persistente nella sinovia, anche se in vari casi sembra essere indipendente da essa. Comunque, esistono diversi fattori che agiscono in sinergia. Essi sono:
• L’ipertrofia del tessuto sinoviale sia a causa della proliferazione dei sinoviociti sia dell’homing di monociti e fibroblasti provenienti dal torrente circolatorio. Infatti, l’impressionante velocità di proliferazione del lining sembra non essere spiegabile esclusivamente con quella dei soli sinoviociti A e B residenti, e l’abbondanza nella sinovia di chemochine che inducono la migrazione dei FLS in vitro, come CCL2, CCL3, CCL5, CXCL12, induce a ritenere che in vivo essi vengano richiamati nel lining dal sublining e/o lo stesso succeda per precursori dei fibroblasti provenienti dalla circolazione sanguigna. La conseguenza è la formazione del panno sinoviale, fortemente invasivo dei tessuti confinanti, con una elevata capacità di riproduzione e di resistenza all’apoptosi, caratteristiche che l’hanno spesso fatto paragonare ad un tumore.
• La differenziazione e lo sviluppo degli osteoclasti, che intervengono
direttamente sull’osso sottostante la sinovia.
• L’alterazione della funzione dei condrociti.
1.3 Il comportamento dei sinoviociti nell’AR
Per quanto riguarda il ruolo dei sinoviociti, quello dei simil- fibroblastici è fondamentale. I FLS sono delle cellule mesenchimali la cui attivazione porta ad un’ampia gamma di conseguenze che sottendono il danno osteo- cartilagineo finale, e che vanno dalla produzione di mediatori solubili dell’infiammazione all’interazione con i vari tipi cellulari residenti nella sinovia infiammata e nel fluido sinoviale: linfociti T, linfociti B, osteoclasti.
Il ruolo dell’interazione linfociti T- FLS in questo passaggio del processo infiammatorio è dimostrato da recenti studi (6; 7; 8) che ne dimostrano due aspetti importanti: il primo è che l’attivazione di tali sinoviociti richiede l’adesione diretta dei linfociti T, ed il secondo è che tale attivazione può prescindere da un precedente riconoscimento antigenico da parte dei linfociti. Per quanto riguarda il primo aspetto, cellule T non previamente stimolate purificate dal sangue periferico o dal liquido sinoviale di pazienti affetti da AR e FLS sono state coltivate insieme, e dopo 96 h di co- coltura è stata osservata l’espressione della Molecola di Adesione InterCellulare- 1 (ICAM-1/CD54) sulla membrana dei FLS, la quale si lega al Leucocyte Functional Antigen-1 (LFA-1/CD11aCD18) sulla membrana dei linfociti T. È noto che l’interazione fra questi due recettori è importante nell’adesione dei linfociti T e nella formazione delle sinapsi immunologiche fra questi ultimi e le normali cellule APC. Inoltre, è stata rilevata la presenza di IL-8, IL-6 e IL-15.
Figura 5. Interazione fra cellule T e FLS. Co-colture di FLS (cellule grandi, fusate) e linfociti T purificati da sangue periferico (cellule piccole, arrotondate) mostrano l’intimo contatto fra queste cellule.
La necessità del contatto fra i due tipi di cellule per questi fenomeni è risultato
evidente quando esse sono state separate da un setto all’interno della coltura: la
separazione fisica è stata sufficiente a bloccare l’attivazione dei sinoviociti. Nello stesso studio, l’assenza di stimolazione antigenica per l’attivazione dei FLS adesi ai linfociti T è dimostrata coltivando insieme FLS e linfociti T “a riposo”, cioè non previamente stimolati con composti come il PMA (Phorbol Myristate Acetate un diestere del forbolo ricavato dall’olio di Croton, potente agente mitogeno), sia autologhi sia allogenici. Si è visto, infatti, che i FLS sono attivati in modo simile dai vari subset di linfociti T: cellule T CD4+, CD8+, CD45RO+ e CD45RA+
possiedono tutti una capacità comparabile di attivare i FLS. Essa si esplica nell’aumento dell’mRNA di proteine importanti nell’infiammazione e nel danno articolare, come la stromalisina e le già citate citochine IL-6 e IL-8 (7).
I FLS sono attivati anche da TNF-α, IL-1β (prodotti dai macrofagi), altre citochine già citate, come IL-6, IL-17, IFN- γ, fattori di crescita come TGF- β, prostaglandine e leucotrieni. Inoltre, un meccanismo di recente identificazione coinvolge Toll-like receptors (TLRs) espressi dai FLS (9). I toll- like receptors sono situati sulla membrana di diversi tipi di cellule (monociti/macrofagi, cellule epiteliali intestinali, mastcellule, linfociti B, cellule dendritiche, etc.) e riconoscono molecole di derivazione microbica (per es., il lipopolisacccaride), innescando la risposta immune innata. Tuttavia, essi possono legare anche molecole endogene come heat shock proteins, prodotti di degradazione del fibrinogeno o di necrosi generati durante l’infiammazione, e la conseguente risposta può contribuire a perpetuare quest’ultima. I sottotipi espressi dai FLS sono TLR2, TLR3, TLR4, e la loro attivazione induce il rilascio di citochine, chemochine, metalloproteinasi (MMPs).
Fra queste molecole, l’IL-1β, appartenente alla famiglia dell’IL-1, agisce insieme ai ligandi dei TLRs citati nell’up- regulation dei recettori TLR stessi. Ciò suggerisce un meccanismo attraverso il quale l’infiammazione può essere amplificata nel lining sinoviale sia dai MLS che dai FLS. Altri attivatori dei FLS sembrano essere i prodotti di degradazione di componenti del fluido sinoviale come l’acido ialuronico e la lubricina, e l’ipossia causata dall’infiammazione.
Le interazioni dei FLS con i linfociti B sono altrettanto significative. Il tessuto
sinoviale affetto da AR è organizzato per circa il 25% in strutture simili ai centri
germinali dei linfonodi (9), in cui avviene l’espansione monoclonale dei linfociti B
immaturi (zona follicolare, dark zone in figura 5) e la loro maturazione dopo
l’incontro con l’antigene presentato dalle cellule dendritiche follicolari (FDC; light
zone in figura 5).
Figura 6. Rappresentazione schematica del centro germinale di un linfonodo
I sinoviociti di tipo B mostrano delle caratteristiche in comune con le cellule mesenchimali stromali situate nella zona profonda dei centri germinali. Infatti, esprimono la chemochina stromale CXCL12 (detta anche SDF-1, stromal-derived factor-1), ligando del recettore CXCR4 (CXC chemokine receptor type 4, detto anche fusina o CD 184, perché inteso come marcatore di superficie -cluster of differentiation- 184) espresso sulla membrana dei linfociti B immaturi.
Inoltre, da esperimenti di co- coltura di FLS con linfociti B risulta che questi ultimi migrano ed aderiscono a monostrati costituiti dai primi, ed il loro tempo di sopravvivenza è maggiore del normale a causa dell’inibizione dell’apoptosi dovuta a vari meccanismi, fra cui l’espressione sui FLS della molecola di adesione VCAM- 1 (Vascular cell adhesion protein 1/CD 106), la suddetta chemochina CXCL12, la citochina del gruppo dei Fattori di Necrosi Tumorale BAFF (B-cell activating factor) e la molecola anti- apoptotica Bcl- x
L, interazioni mediate anche dalle cellule stromali degli organi linfoidi.
Un altro effetto dei FLS sui linfociti B è l’aumento dell’espressione di immunoglobuline e, quindi, la loro maturazione a plasmacellule: cellule B CD20+
(immature) prelevate da tessuto tonsillare ed incubate con FLS perdono il fenotipo
CD20 ed assumono il CD38+, tipico delle plasmacellule. Le plasmacellule formatesi
nel tessuto sinoviale sono responsabili della produzione locale di autoanticorpi, che
contribuiscono con vari meccanismi all’amplificazione del processo flogistico.
L’attivazione dei sinoviociti di tipo B ha importanti conseguenze sull’integrità dell’articolazione interessata, in quanto promuove la degradazione della matrice extracellulare. Essi esibiscono, infatti, un comportamento aggressivo verso la cartilagine articolare, come dimostrato da modelli in vivo in cui FLS prelevati da pazienti con AR sono impiantati insieme a tessuto cartilagineo sotto la capsula renale o direttamente nell’articolazione del ginocchio di topi affetti da SCID (ImmunoDeficienze Combinate Gravi; 9): i sinoviociti in questione erodono la cartilagine, e questo comportamento è inibito dal blocco delle metalloproteinasi (MMP-1 in particolare) o della catepsina-L. Tali esperimenti indicano che l’esposizione all’ambiente dell’infiammazione cronica induce nei FLS dei comportamenti nuovi che sembrano essere stabili e di entità e qualità sufficienti a provocare la malattia.
Il meccanismo dell’erosione osteo- cartilaginea mediato dai FLS non è ben noto, ma si suppone coinvolga cambiamenti indotti in queste cellule dall’infiammazione. Fra questi, è dimostrato l’aumento dell’espressione di diverse integrine β1, molecole importanti per l’attacco alla matrice extracellulare: infatti, il blocco, tramite anticorpi specifici, delle integrine CD49dCD29 e CD49eCD29 arresta l’invasione di cartilagini coltivate in vitro. La figura seguente riassume la complessa rete di interazioni dei sinoviociti B con le altre cellule presenti nella sinovia.
Figura 7. I fibroblasti sinoviali interagiscono con diversi tipi di cellule in tutta la sinovia promuovendo l’infiammazione e la distruzione dell’articolazione.
1.3.a- Colture di Fibroblast-like synoviocytes
I FLS possono essere isolati dal tessuto sinoviale e crescere in coltura per lunghi
periodi di tempo. Tali cellule, che presumibilmente derivano dall’intima,
rappresentano un importante strumento per capire la patogenesi dell’AR e valutare nuove strategie terapeutiche. La degradazione enzimatica del tessuto sinoviale produce una sospensione cellulare e queste cellule vengono fatte aderire alla piastra di coltura. Le cellule non-aderenti vengono rimosse, cosicché rimanga una miscela delle due principali popolazioni cellulari presenti nella membrana sinoviale. Quella dei macrophage-like è fagocitica ed esprime antigeni DR, recettori Fc e markers della linea monocito-macrofagica come CD14 e CD68, mentre i fibroblast-like synoviocytes sono caratterizzati da assenza di capacità di fagocitosi e di markers dei macrofagi e dalla presenza di antigeni solitamente presenti nei fibroblasti. I macrofagi sinoviali hanno una vita di durata limitata in vitro per cui raramente sopravvivono più di due settimane in coltura. Dopo tre o quattro passaggi, i FLS proliferanti sono il tipo cellulare dominante, per cui risulterà una popolazione relativamente omogenea. Queste cellule possono essere tenute in coltura per diversi mesi, con un tempo di raddoppiamento di 5-7 giorni. Dopo circa 10-12 passaggi esse vanno in senescenza e la proliferazione gradualmente declina (44).
L’origine precisa dei FLS che crescono nelle colture di cellule sinoviali non è certa, dato che potrebbero derivare dall’intima, dalla subintima o da altre strutture del campione originario. Una percentuale significativa di fibroblasti in coltura esprime VCAM-1, CD55 e Uridindifosfoglucosio deidrogenasi (UDPGD), e da ciò si deduce che essi derivano dallo strato intimo. Oltre ai markers tradizionali, cadherin-11 è stata identificata come un marker di superficie unico presente principalmente nei FLS dell’intima (44). Questa molecola di adesione è stata identificata come una delle proteine più importanti coinvolte nell’omoaggregazione dei sinoviociti in vivo e in vitro per cui essi sono in grado di formare la struttura sinoviale (9; 45).
1.3.b- Fenotipo dei FLS
I FLS in coltura al microscopio appaiono allungati, talvolta ovali o poligonali con
poche ramificazioni citoplasmatiche (fig. 2). Al microscopio elettronico si osserva
che i FLS contengono un abbondante reticolo endoplasmatico ruvido ed evidenze di
processi di secrezione attiva.
Figura 8. a) FLS da soggetto sano; b) FLS da soggetto con osteoartrite; c) FLS da soggetto con artrite reumatoide.
I fibroblasti in coltura producono spontaneamente proteoglicani, citochine, fattori di crescita, MMPs, prostaglandine e altri piccoli mediatori molecolari durante le prime settimane di coltura. La produzione gradualmente diminuisce e i FLS diventano abbastanza quiescenti al terzo passaggio. Il fenotipo AR può essere ripristinato con l’esposizione a citochine come IL-1 e TNF. Anche i FLS in coltura da molto tempo secernono alcune citochine e fattori di crescita, compresi IL-6, TGFβ e fattori di crescita dei fibroblasti, senza alcuno stimolo. Molecole di adesione come VCAM-1, ICAM-1 e integrine sono espresse costitutivamente e tale espressione può essere rafforzata da citochine. IL-1, TNF, IFNγ e IL-4 sono gli stimoli maggiori per l’induzione di molecole di adesione (44; 46).
I FLS derivati dalla sinovia AR esibiscono caratteristiche uniche con proprietà aggressive e invasive. Essi possono crescere in condizioni di libertà dall’ancoraggio e possono superare l’inibizione da contatto come cellule trasformate (47). I sinoviociti reumatoidi mostrano quindi delle caratteristiche uniche che ricordano le cellule trasformate. Tra queste, è importante la forte capacità d’invasione, non osservata negli altri fibroblasti. In realtà, i sinoviociti nell’AR non sono veramente trasformati, sebbene essi possiedano caratteristiche di cellule tumorali. Per esempio, vari oncogeni coinvolti nella regolazione del ciclo cellulare o che rappresentano fattori di trascrizione come c-fos, ras, raf, myc e myb sono espressi ad alti livelli.
L’aumento di attività della telomerasi, un’altra caratteristica delle cellule trasformate, può essere osservata nei sinoviociti AR stimolati con fattori di crescita dei fibroblasti (48).
Il comportamento aggressivo dei FLS nell’AR è probabilmente multifattoriale ed è influenzato dall’esposizione cronica alle citochine oltre che dalle mutazioni somatiche ai geni chiave. È importate capire che le mutazioni nei FLS non causano
a b c
l’AR, piuttosto sono il risultato di una prolungata esposizione a un ambiente genotossico.
1.3.c- Ruolo dell’ipossia e della riossigenazione nella sinovite da AR
Le specie reattive dell’ossigeno (Reactive Oxigen Species, ROS) e dell’azoto (Reactive Nitrogen Species, RNS) vengono prodotte normalmente durante il metabolismo cellulare e hanno funzioni molto importanti: sono essenziali per mantenere lo stato redox cellulare; sono richiesti per le vie di trasmissione del segnale intracellulare e per l’attività dei fattori di trascrizione; sembrano, infine, avere un ruolo importante nella pre-attivazione delle cellule del sistema immunitario.
Se tali specie reattive sono presenti in quantità non regolate possono però indurre danno ossidativo e portare a morte cellulare.
L’organismo ha vari meccanismi che gli permettono di difendersi dal danno ossidativo, fra i quali l’espressione di enzimi cellulari come la superossido dismutasi, la glutatione perossidasi, la catalasi e altre perossidasi, la tioredoxina reduttasi e altri.
Molti studi suggeriscono un ruolo per lo stress ossidativo nella patogenesi dell’AR e un danno ossidativo alla cartilagine, al collagene extracellulare, al DNA intracellulare. Infatti, i ROS e i RNS danneggiano le componenti della matrice extracellulare direttamente o indirettamente tramite l’up-regulation dei mediatori della degradazione della matrice e inibiscono la sintesi delle componenti della matrice; determinano anche una perossidazione dei lipidi, che arreca danno alla membrana cellulare. Essi sono in grado di danneggiare il DNA con la rottura delle eliche o con il danno alle singole basi nucleotidiche, e di rendere inefficaci i meccanismi di riparazione. Inoltre sono stati riscontrati una instabilità microsatellitare che riflette la mutagenesi in corso, mutazioni somatiche del DNA e danno al DNA mitocondriale (49).
Il liquido sinoviale è ipossico, acidosico e contiene poco glucosio ed elevate
concentrazioni di lattato. Questo profilo biochimico è indicativo di un metabolismo
anaerobico nella sinovia (50). L’ipossia inibisce la degradazione di HIF-1α
(hypoxia-inducible factor-1α): esso è un fattore di trascrizione sensibile all’ossigeno,
che orchestra l’espressione di vari geni che permettono alla cellula di usare un
metabolismo anaerobico per generare energia, incrementano la sopravvivenza e
inibiscono l’apoptosi, aumentano l’apporto di ossigeno promuovendo l’angiogenesi
e aumentando la capacità di trasporto dell’ossigeno. Inoltre, HIF-1α regola
l’espressione di molti altri geni con varie funzioni: struttura citoscheletrica,
chemochine, matrice extracellulare, regolazione trascrizionale, apoptosi, metabolismo del Fe, tono vascolare, angiogenesi, metabolismo del glucosio, dei lipidi, sopravvivenza e proliferazione cellulare. È stato osservato che le cellule del tessuto sinoviale, in condizioni di ipossia, esprimono molto HIF-1α (49).
Studi sulla sinovia di AR in vivo hanno suggerito che la perfusione sinoviale sia influenzata direttamente dalle alte pressioni intra-articolari che sono ancor più aumentate dal movimento. Sulla base di queste osservazioni, è stato proposto che il carico intermittente alle articolazioni dato dalla deambulazione aumenti l’ipossia locale articolare, che a sua volta è seguita dalla riossigenazione quando l’articolazione non è più sottoposta al carico. Questi cicli di ipossia e riossigenazione potrebbero rispecchiarsi in cicli di espressione di HIF-1α e dei geni da esso regolati, seguiti dalla formazione ripetitiva di ROS. I ROS così generati inducono l’attivazione di NF-κB che induce l’espressione di molti geni pro infiammatori, molti dei quali sono regolati anche da HIF-1α (51). Tutto ciò potrebbe promuovere l’infiammazione, l’angiogenesi, ed aumentare la sopravvivenza cellulare, tutte caratteristiche fondamentali dell’AR.
1.4 L’osteoclastogenesi nell’AR
Gli osteoclasti sono sincizi formati dalla fusione di numerose cellule di origine mesenchimale (fino a 20), aventi il compito di rimodellare il tessuto osseo attraverso fasi di riassorbimento che formano spazi occupabili dagli osteoblasti (di origine ematopoietica), che producono nuova matrice ossea. La digestione di quest’ultima avviene grazie ad alcuni elementi. Il primo è una ATPasi di membrana che agisce da pompa protonica, abbassando il pH dello spazio fra la membrana plasmatica dell’osteoclasto e la superficie ossea fino a favorire lo scioglimento dei sali di Ca
++della matrice. Il secondo è costituito dal corredo di enzimi degradativi come
metalloproteinasi e catepsine, che idrolizzano il collagene. Normalmente, gli
osteoclasti si trovano solo in vicinanza di tessuti mineralizzati, e quindi di quello
osseo, ma nell’AR si trovano anche nella sinovia. La natura osteoclastica delle
grandi cellule polinucleate ivi rinvenibili è dimostrata dall’espressione del recettore
per la calcitonina (CTR), che avviene solo nelle fasi avanzate della differenziazione
degli osteoclasti, da quella della catepsina K e della fosfatasi acida tartrato-resistente
(TRAP), che invece sono markers di precursori degli osteoclasti, cioè di cellule
mononucleate in via di fusione fra loro (11). Per quanto riguarda la loro
localizzazione, questi precursori degli osteoclasti si accumulano vicino alla
superficie dell’osso, anche se il loro sviluppo non dipende dal contatto diretto con la
matrice ossea. È importante notare che, sebbene anche i FLS manifestino la suddetta aggressività verso quest’ultima, la distinzione con gli osteoclasti è netta anche perché essi recano markers di membrana tipici della linea monocitica come il CD68, che li identifica come cellule di derivazione ematopoietica, al contrario dei FLS che, come già detto, sono di derivazione mesenchimale.
Nell’AR, i capi ossei confinanti con la sinovia infiammata vedono sconvolta l’omeostasi fra riassorbimento (mediato dagli osteoclasti) e formazione (mediato dagli osteoblasti) del tessuto osseo, in quanto l’osteoclastogenesi è potenziata. Essa è un processo che parte da un precursore mononucleato prodotto dal midollo osseo ed appartenente alla linea monocito- macrofagica, il quale si differenzia in osteoclasto attraverso vari passaggi che vedono l’espressione di numerosi fattori di trascrizione (come il PU.1, nelle primissime fasi; il NF-kB, già citato), di proto- oncogeni come c- src e c-fos, del fattore stimolante le colonie di macrofagi M-CSF (12). La figura seguente illustra in breve i passaggi fondamentali del fenomeno:
Figura 9. Schema delle cellule della linea osteoclastica e delle loro relazioni con quelle della linea monocito- macrofagica. All’interno di ciascuna sono indicati i punti di transizione in cui agiscono particolari molecole, così come indicato dall’analisi di opportune mutazioni indotte in animali da esperimento.
I pre-osteoclasti derivanti dai progenitori mieloidi esprimono i già citati markers di
membrana TRAP e CTR, e la fusione di numerose fra queste cellule produce
osteoclasti TRAP+ e CTR+, ma ancora inattivi. Sia la differenziazione che l’attivazione finale degli osteoclasti vedono l’intervento di un importante sistema di regolazione che si avvale di un recettore transmembrana membro della superfamiglia dei recettori dei fattori di necrosi tumorale (TNFR), chiamato RANK (Receptor Activator of the nuclear factor NF-kB), del suo ligando RANKL e del modulatore negativo della loro attività, l’osteoprotegerina (OPG). Il recettore RANK umano è un peptide di 616 amminoacidi, con il dominio N- terminale extracellulare, quello transmembrana costituito da 21 amminoacidi, un peptide- segnale di 28 amminoacidi e un ampio dominio C-terminale citoplasmatico.
L’osteoprotegerina è una glicoproteina anch’essa appartenente alla superfamiglia dei TNFR, ma solubile. RANKL non è un fattore solubile, bensì è espresso sulla membrana degli osteoblasti (che, diversamente dagli osteoclasti, derivano dalle cellule staminali mesenchimali), ma anche di altre cellule di origine analoga, come le cellule stromali ed i sinoviociti. Inoltre, RANKL viene prodotto anche dai linfociti T attivati (13), in particolare dai T helper-1 (14). Di conseguenza, l’attivazione del sistema RANK/RANKL/OPG richiede il contatto fra le cellule recanti il ligando e quelle recanti il recettore (progenitori mieloidi e cellule dei passaggi successivi della differenziazione osteoclastica, monociti/macrofagi, linfociti T attivati). RANK trimerizza dopo il legame con RANKL, innescando la trasduzione del segnale che parte con l’attivazione del fattore 6 associato con il recettore TNF (TNF receptor associated- factor 6, TRAF6) prosegue con diverse vie, come quella del NF-kB e delle MAP- chinasi (MAPKs, Mitogen- Activated Protein Kinases), comprese la chinasi Jun N-terminale (JNK) e la p38. Il risultato è
l’attivazione dei fattori di trascrizione su citati c-fos e c-src ed altri. Come
conseguenza, vengono tradotti geni specifici del fenotipo osteoclastico. Inoltre,
RANKL svolge anche una funzione chemotattica verso i monociti/macrofagi e
favorisce la sopravvivenza degli osteoclasti maturi (13). L’OPG, invece, è il
principale regolatore negativo di questo sistema, in quanto, essendo solubile, occupa
RANKL e ne impedisce il legame con RANK. Per questo motivo viene spesso
indicato come recettore- “esca” (12):
Figura 10. Regolazione dell’osteoclastogenesi da parte di fattori prodotti dalle cellule stromali o dagli osteoblasti interagenti con i precursori ematopoietici degli osteoclasti. RANKL: receptor activator of NF-kB ligand; RANK: receptor activator of NF-kB; OPG: osteoprotegerina; M-CSF: macrophage- colony stimulating factor.
Oltre al meccanismo fin qui illustrato, esiste un gran numero di citochine e chemochine che esercitano direttamente o indirettamente il loro effetto sull’osteoclastogenesi. Fra le citochine si possono citare:
• IL-1, che agisce solo in presenza di adeguate concentrazioni di RANKL, attivando la MAP- chinasi p38 nei precursori degli osteoclasti e nelle cellule stromali del midollo osseo.
• M-CSF, che viene prodotto dalle cellule stromali del midollo ed agisce inducendo l’espressione di RANK sui pre-osteoclasti.
• TNF- α, che agisce anche in assenza di RANK/RANKL, in quanto induce un recettore co-stimolatorio di RANK, detto PIR-A (Paired Ig-like Receptor-A). Il ruolo di questa citochina è stato dimostrato anche dall’efficacia dei farmaci anti- TNF nel ridurre il danno erosivo, l’infiammazione e nell’indurre l’apoptosi dei macrofagi residenti nelle articolazioni affette da AR.
• Oltre a TNF- α e IL-1, altre citochine pro-infiammatorie compiono una
funzione osteoclastogenica, spesso in maniera indiretta. Ad esempio, l’IL-17
(sintetizzata dai linfociti Th-17) stimola la produzione di TNF- α, IL-1 e IL-6 da
parte dei macrofagi e di PGE2 e di mRNA di RANKL in colture di osteoblasti. A
questo proposito, si pensa che IL-17 induca l’espressione di RANKL tramite quella di PGE2 (attraverso la via della Cicloossigenasi-2 (COX-2) (13).
Da quanto detto, e considerando che le citochine pro-infiammatorie sono presenti in quantità elevata nel fluido sinoviale e che i FLS della sinovia affetta da AR sovra- esprimono RANKL sulla loro membrana, risulta chiaro come possano verificarsi gli effetti erosivi caratteristici della malattia.
La figura seguente illustra il ruolo di varie citochine citate, indicando anche alcuni fattori inibitori del processo, come IL-4 e IL-10 (prodotte dai linfociti Th-2), IFN- γ e il fattore stimolante le colonie di macrofagi e dei granulociti (GM-CSF; prodotti dai linfociti Th-1), IL-18.
Figura 11. La differenziazione degli osteoclasti dai precursori ematopoietici è un processo guidato dalle citochine. I mediatori citochinici essenziali sono RANKL (receptor activator of nuclear factor- B (RANK) ligand) e M-CSF (macrophage colony-stimulating factor), espressi dai fibroblasti sinoviali e dalle cellule T helper 1 (TH1). La differenziazione in osteoclasti viene raggiunta grazie alle azioni del fattore di necrosi tumorale (TNF), dell’interleuchina-1 (IL-1), dell’interleuchina 17 (IL-17), prodotta dalle cellule T helper 17 (TH17), e dell’interleuchina IL-7, prodotta dai fibroblasti sinoviali.
Al contrario, IL-4 e IL-10, prodotte dalle cellule Thelper-2 (TH2), il fattore stimolante le colonie di granulociti e macrofagi (GM-CSF) e l’interferone- (IFN- ), che sono espressi dalle cellule Thelper- 1, (TH1), inibiscono la differenziazione.
1.5 La cartilagine articolare: fisiologia
Nell’uomo adulto, la cartilagine articolare delle diartrosi ha la funzione di diminuire l’attrito durante il movimento e di assorbire, trasmettere e distribuire le forze di carico all’osso subcondrale. Essa è popolata pressoché esclusivamente dai condrociti e dai loro precursori, i condroblasti: entrambi secernono i componenti della matrice peri- ed extracellulare, che li contiene in caratteristiche lacune. La matrice pericellulare, che li circonda nelle immediate vicinanze, è costituita da microfibrille di collagene di tipo VI che interagiscono con molecole di proteoglicani a basso peso molecolare, come biglicano e decorina. Il collagene in forma fibrillare è quasi assente in questo spazio di confine con le cellule, oltre il quale si sviluppa la matrice extracellulare, composta da collagene di tipo II, IX e XI. Il collagene di tipo XI rientra nella composizione delle fibrille di collagene II, mentre quello di tipo IX è situato più perifericamente nelle fibrille, in quanto lega componenti della matrice di natura diversa, fra le quali il principale è il proteoglicano aggrecano, cui si deve la resistenza alla compressione (16). Esso, legando a sua volta l’acido poli-ialuronico tramite proteine intermedie, conferisce al tessuto cartilagineo la sua tipica resistenza alla compressione. Nella matrice extracellulare sono presenti anche i piccoli proteoglicani residenti nello spazio pericellulare, le matriline, la Proteina Oligomerica di Matrice della Cartilagine (Cartilage Oligomeric Matrix Protein, COMP;
15).
La composizione della matrice e l’organizzazione dei suoi costituenti permettono di distinguere nella cartilagine articolare quattro zone: la superficiale tangenziale, in cui le fibrille di collagene sono disposte in senso tangenziale, associate ad un’elevata concentrazione di decorina e ad una bassa concentrazione di aggrecano; la zona mediana o di transizione, caratterizzata da fibrille di collagene più spesse, ordinate radialmente; la zona profonda, che contiene fibrille ancora più spesse ed anch’esse radiali, ed infine la zona calcificata situata sulla superficie ossea, che funge da cuscinetto meccanico fra quest’ultima e gli strati cartilaginei sovrastanti non mineralizzati (16).
Nella figura 12 a pagina seguente sono descritte la posizione della cartilagine
articolare in una diartrosi, la struttura e l’organizzazione della matrice extracellulare
e la morfologia dei condrociti in rapporto alla ECM in cui sono situati.
Figura 12. Struttura e composizione della matrice extracellulare (ECM) di una cartilagine articolare. Questo schema rappresenta un condrocita articolare circondato da una matrice composta da collagene di tipo II e proteoglicani. La diffusione di sostanze ad alto PM è impedita dalla ECM ma cationi, gas e soluti come zuccheri semplici ed amminoacidi diffondono liberamente (17).
In condizioni fisiologiche, i condrociti mantengono un equilibrio stabile fra la sintesi
e la degradazione dei componenti la matrice, con un loro basso turnover (l’emivita
del collagene di tipo II è teoricamente maggiore di 100 anni, e quella dell’aggrecano
varia fra i 3 ed i 24 anni). Inoltre, anche il turnover dei condrociti stessi è basso, e
l’ingresso di altre linee cellulari è raro. Trattandosi di un tessuto non vascolarizzato,
la cartilagine riceve glucosio, altri nutrienti e metaboliti solo per diffusione
attraverso la matrice. Il glucosio è fondamentale sia perché costituisce il principale
nutrimento del condrocita, sia perché fornisce ad esso il materiale di base per la
sintesi dei proteoglicani, ed il suo trasporto all’interno delle cellule è mediato da
appositi trasportatori (Glucosio Trans Porter Proteins, GLUTs) espressi sia costitutivamente (GLUT3, GLUT8), sia indotti da citochine (GLUT1, GLUT6).
Essi appartengono ad un’ampia famiglia di proteine che mediano il trasporto facilitato degli zuccheri in diversi tessuti sia di piante che di animali, che nelle cellule di vari microrganismi, la GLUT/SLC2A (quest’ultima sigla deriva da Solute Carrier Family, il cui acronimo SCL identifica i relativi geni). La loro struttura è caratterizzata da 12 segmenti ad α-elica che attraversano la membrana cellulare con i domini sia ammino- che carbossiterminale rivolti sul lato citoplasmatico, e da alcune sequenze altamente conservate fra le specie in cui sono espresse. Il Progetto Genoma Umano ha identificato e clonato 14 membri della famiglia GLUT/SLC2A e, grazie alle omologie di sequenza osservate, sono stati suddivisi in tre sottoclassi.
Le isoforme da GLUT-1 a GLUT-5 sono quelle meglio caratterizzate. La figura seguente ne illustra la struttura generale ed il meccanismo di trasporto facilitato del Glc:
Figura 13. Topologia di GLUT-1 (a sinistra) e formazione del poro per il trasporto facilitato del Glc (a destra). Le 12 eliche transmembrana sono numerate. CHO indica un oligosaccaride legato con legame N-glicosidico. Il poro è costituito dal raggruppamento di almeno 5 α-eliche anfipatiche: H indica le catene laterali idrofobiche, mentre quelle polari sono indicate dalle rispettive cariche +, - δ±.
Il Glc si lega a queste catene laterali mediante ponti idrogeno, ed attraversa il canale acquoso da esse delimitato (18).