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Academic year: 2022

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Ernie della parete addominale 22 complicate

P

AUL

N. R

OGERS

“Potete giudicare il valore di un chirurgo da come opera un’ernia.”

(Thomas Fairbank, 1876-1961)

Ernia inguinale complicata

Attualmente, nel mondo occidentale vengono trattate in elezione molte più ernie che in passato e, malgrado ciò, i chirurghi si trovano spesso a dover trattare ernie inguinali complicate: è importante sapere quindi come agire.

Qualche accenno sulla terminologia: le ernie inguinali o crurali possono esse- re riducibili, irriducibili, incarcerate, strozzate. Questa terminologia può creare confusione ed i termini, che possono avere significati diversi da persona a persona, sono molto meno importanti dei concetti su cui si basano l’identificazione e la gestione delle ernie acute. La cosa importante da capire è che le ernie che causano dolore, che sono dolenti alla sola pressione, che non sono subito riducibili, devono essere considerate urgenze chirurgiche.

Esordio

I pazienti possono avere un esordio acuto con:

Sintomi e segni correlati direttamente all’ernia.

Sintomi e segni addominali che inizialmente possono non sembrare correla- ti ad un’ernia.

Il primo tipo di esordio di solito si presenta come una ernia tesa, irriducibi- le, molto dolente, spiccatamente dolorabile alla palpazione. Ricordiamoci che, un’ernia riducibile può improvvisamente divenire irriducibile. Il problema è evi- dente come si deduce dalla

Figura 22.1.

Il secondo tipo è molto più insidioso. Occhio alla signora anziana con vomi-

to! Inizialmente trattata dal medico di famiglia per una gastroenterite, finisce per

essere ricoverata per una emesi incoercibile: è disidratata e ha bisogno di essere sot-

toposta a terapia infusionale per riequilibrare lo scompenso idroelettrolitico crea-

tosi. In questi casi, è sorprendentemente facile non accorgersi della piccola ernia

crurale, appena palpabile all’inguine, che ha intrappolato un piccolo tratto di inte-

stino tenue: quanto basta per provocare una occlusione. Non sono presenti sinto-

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mi o segni addominali e la Rx diretta addome non è diagnostica. Nonostante la pre- senza di tali difficoltà, pensate comunque all’imbarazzo quando, il mattino seguen- te, verrà scoperta l’ernia!

Le ernie rimangono una delle cause più frequenti di occlusione dell’inte- stino tenue (

Cap. 21). In tutti i casi di occlusione intestinale in atto o sospet- ta è necessario ricercarle con attenzione; questo implica la palpazione meticolo- sa, prolungata e sgradevole di inguini che non vedono la luce del sole da tempo, figuriamoci acqua e sapone! Tuttavia, nella maggior parte dei casi, la diagnosi è facile con tanto di tipica occlusione intestinale e di ernia che protrude dallo scroto.

Attenti all’ernia di Richter, tipica delle ernie crurali in cui soltanto una parte della circonferenza intestinale è strangolata. Dato che il lume intestinale non è com- pletamente bloccato, l’esordio avviene tardivamente e non è specifico.

Preparazione

L’intervento chirurgico per le ernie complicate inguinali deve essere eseguito senza eccessivo ritardo; tuttavia i pazienti non devono essere sottoposti di corsa all’intervento senza essere stati prima valutati e preparati adeguatamente (

Cap. 6).

Come abbiamo già detto, alcuni possono aver bisogno di assistenza/stabilizzazione al fine di conseguire, durante il ricovero in ospedale, un equilibrio idroelettrolitico, cardiocircolatorio e respiratorio.

L’analgesia è una fase importante del trattamento di questi pazienti. La somministrazione di oppioidi ed il riposo con i piedi del letto tenuti leggermente sollevati, possono portare alla risoluzione di una ernia intasata e dolente che si

Fig. 22.1. “Questa deve essere strozzata, eh?”

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è manifestata da poco tempo. Una volta che gli analgesici hanno avuto effetto è giustificabile eseguire dei delicati tentativi di riduzione dell’ernia. Se la riduzio- ne dell’ernia ha successo è possibile eseguire un intervento in semi-elezione, sul- la prima lista di routine disponibile, invece di un intervento in urgenza in ore impossibili – un vantaggio sia per il chirurgo che per il paziente. Occorre nota- re che la riduzione manuale di un’ernia incarcerata deve essere tentata soltanto in assenza di segni di strangolamento intestinale; deve essere eseguita delicata- mente per evitare una “riduzione en masse” – quando cioè sia l’intestino erniato che l’anello erniario vengono ridotti in blocco, con segni persistenti di strango- lamento.

Intervento chirurgico Ernia inguinale

L’incisione inguinale è un approccio soddisfacente. Se è necessario eseguire una resezione intestinale è possibile effettuarla mobilizzando un tratto sufficiente- mente lungo di intestino attraverso il canale inguinale.

Per quanto riguarda la dissezione, la differenza principale tra un interven- to in urgenza ed uno in elezione è nel momento in cui viene aperto il sacco ernia- rio. In urgenza, l’ernia spesso si riduce spontaneamente appena viene sezionato l’anello erniario. La sede del restringimento può essere l’anello inguinale super- ficiale; in questo caso l’ernia si riduce quando viene aperto l’obliquo esterno.

Consigliamo caldamente di aprire il sacco e di afferrarne il contenuto, per ispe- zionarlo successivamente, prima che esso scivoli in cavità addominale. Se l’ernia si riduce prima dell’ispezione del contenuto del sacco è importante che questo venga successivamente identificato e recuperato in modo da non lasciare acci- dentalmente in addome un’ansa intestinale non vitale. Il recupero del contenuto del sacco ridotto attraverso l’anello interno può risultare difficoltoso e a volte può essere necessario eseguire una laparotomia per poter esaminare adeguata- mente il contenuto.

Se il sacco erniario contiene soltanto l’omento, è doveroso resecare tutto il

tessuto necrotico o di dubbia vitalità, assicurando una emostasi meticolosa

durante tale procedura. Se invece è coinvolto l’intestino, le zone di dubbia vitalità

devono essere avvolte in garze umide, calde, e lasciate così per qualche minuto per

permetterne il recupero vascolare. L’intestino ischemico irrecuperabile deve esse-

re resecato. Se c’è una piccola area necrotica che non interessa tutta la circonfe-

renza intestinale, questa può essere trattata con una “invaginazione” piuttosto che

con la resezione: in questo caso, la parete dell’intestino danneggiato viene invagi-

nata con una sutura siero-muscolare, facendo delle “prese” sull’intestino vitale di

entrambi i lati del difetto. A volte, soprattutto se è stato necessario eseguire una

resezione intestinale, la presenza di un edema dell’intestino erniato rende diffici-

le il suo riposizionamento in addome. Manovre come quella di posizionare il

paziente in un marcato Trendelenburg e di comprimere delicatamente l’intestino

eviscerato, coperto da una garza umida, permettono il riposizionamento dell’in-

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testino in addome. È possibile ridurre le probabilità che si verifichi questo pro- blema stando bene attenti, in corso di resezione, ad estrarre dall’addome solo lo stretto necessario.

È raro che i visceri erniati non si riposizionino in addome senza tirarli dal- l’interno; in tal caso può essere utile la manovra di La Rocque: estendete l’incisio- ne verso l’alto e lateralmente, ampliate lo split dell’aponeurosi obliqua esterna, seguitela con una incisione e divaricate l’obliquo interno e i muscoli trasversi al di sopra dell’anello interno. Mediante questa incisione accedete alla cavità peritonea- le e riducete il contenuto erniario limitandovi a tirarlo dall’interno.

Quale tipo di riparazione eseguire dipende sì dal singolo chirurgo, però ad una condizione. Nell’attuale era delle riparazioni erniarie tension-free non è pru- dente posizionare nell’inguine una mesh, se è stato resecato un intestino necrotico.

In questo caso è consigliabile eseguire un altro tipo di riparazione per evitare l’in- fezione della mesh.

Ernia crurale

Potete accedere ad un’ernia crurale complicata, da sotto, da sopra o attraver- so il canale inguinale.

Adottando l’approccio inferiore, praticate l’incisione al di sotto del legamen- to inguinale, direttamente sopra il rigonfiamento. Cercate il sacco erniario ed apri- telo, assicurandovi di afferrare il contenuto per una adeguata ispezione. È possibi- le escidere l’omento strangolato e ridurre l’intestino vitale, riposizionandolo nella cavità peritoneale attraverso l’anello femorale. Quando l’anello è stretto – e solita- mente lo è – potete allargarlo con il mignolo, inserendolo medialmente alla vena femorale. Con questo approccio potete resecare il tenue non vitale e persino ana- stomizzarne le estremità; tuttavia spingere una anastomosi manuale o meccanica in addome è come cercare di spremere un pomodoro in un bicchiere da cocktail.

Perciò quando l’intestino deve essere resecato, è consigliabile farlo mediante una piccola laparotomia, nel quadrante inferiore destro e divaricando i ventri muscola- ri (come per l’appendicectomia).

Alcune fonti autorevoli preferiscono l’approccio attraverso il canale ingui- nale, ma non vediamo molti vantaggi in questo approccio che distrugge l’ana- tomia del canale ed è probabilmente associato al rischio di ernie inguinali reci- dive.

Un altro approccio è quello di McEvedy che prevede l’accesso allo spazio

extraperitoneale lungo il margine laterale della parte inferiore del rectus abdomi-

nis. L’incisione cutanea può essere verticale, allineata al bordo del muscolo retto,

o obliqua/orizzontale. L’incisione verticale ha il vantaggio di permettere l’esten-

sione fino al di sotto del legamento inguinale; questo può essere utile per ridur-

re le ernie irriducibili, consentendo la trazione da sopra e la compressione da sot-

to. Una volta entrati nello spazio dietro il muscolo retto, potrete liberare l’ernia

da dietro il legamento inguinale. È possibile aprire il peritoneo quanto serve per

poter ispezionare il contenuto del sacco erniario ed eseguire, se necessario, una

resezione intestinale.

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Tutti gli approcci suddetti sono giusti a condizione che permettano di esami- nare il contenuto del sacco erniario e di gestirlo adeguatamente. Come per le ernie inguinali, è bene evitare di impiantare grosse quantità di rete nei pazienti con con- taminazione del campo operatorio da parte del contenuto intestinale. Dopo questo avvertimento, la scelta della riparazione non è diversa da quello che fareste in ele- zione.

Laparoceli

I laparoceli sono frequenti, ma la maggior parte di essi sono asintomatici, se escludiamo l’antiestetico rigonfiamento e il fastidio che a volte possono provocare.

Sono i piccoli laparoceli con colletto stretto che diventano acutamente sintomatici – incarcerando l’omento o l’intestino.

Conoscete bene la presentazione: un vecchio laparocele “silente” o una ci- catrice addominale, improvvisamente cominciano a provocare dolore addominale;

se l’intestino è incarcerato possono associarsi i sintomi di una occlusione del tenue (

Cap. 21). Il laparocele è teso, dolente alla palpazione, irriducibile. È importante fare una distinzione tra una occlusione intestinale causata da un laparocele e una occlusione associata ad esso. Quest’ultimo caso, non è raro, indica che il paziente è affetto da SBO dovuta, ad esempio, ad aderenze e che le anse intestinali ostruite e distese, invadono il vecchio laparocele. All’esame clinico, il laparocele dolente, con- tenente l’intestino, può simulare una incarcerazione. Per questo motivo è necessa- rio esaminare attentamente, durante l’intervento, il contenuto laparocelico nei casi associati ad occlusione, per assicurarsi che il laparocele ne sia veramente la causa.

Questo vale anche per tutti i tipi di ernia. Ci ricordiamo di un caso di occlusione che fu trattato riducendo e riparando un’ernia crurale non riducibile; molti giorni dopo, dato che il paziente non mostrava segni di ripresa dal primo intervento, fu riscontrata alla laparotomia un’ernia otturatoria che era la vera causa dell’occlusio- ne.

Tutti i laparoceli “complicati” rappresentano una urgenza chirurgica. Questo

vale anche per altri tipi di ernie della parete addominale, come ad esempio quelle

paraombelicali o epigastriche. Tuttavia va notato che le ernie epigastriche rara-

mente, se non addirittura mai, danno dei problemi: contengono soltanto del gras-

so extraperitoneale proveniente dal legamento falciforme e, per questo motivo,

non è neanche necessario – se asintomatiche – sottoporle ad intervento di routi-

ne. In corso di intervento è necessario entrare nel sacco erniario per valutare il

contenuto incarcerato che deve essere ridotto o resecato a seconda dei reperti. I

reperti chirurgici devono giustificare la presentazione clinica. Ad esempio, se nel

sacco non si reperta omento od intestino strangolato, è necessario esaminare l’in-

tero intestino per cercare una SBO distale. Se nel sacco c’è del pus dovete ricer-

carne la origine. Abbiamo visto pazienti operati per un “laparocele strozzato” men-

tre la diagnosi di base era una appendicite perforata. Dopo aver sistemato il con-

tenuto laparocelico, identificate i margini fasciali del difetto, eseguite la vostra

riparazione convenzionale “migliore”, ma non dimenticatevi che il posizionamen-

to di una mesh (rete) in un campo contaminato può dare dei problemi. Ricordatevi

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anche che lasciando una mesh non riassorbibile a contatto con l’intestino potreb- bero poi insorgere delle difficoltà e verificarsi un disastro. In un paziente critico, quando riteniamo che la riparazione sia complessa o che possa aumentare note- volmente la pressione intra-addominale, ci limitiamo a richiudere la cute, lascian- do il paziente con un grosso laparocele. Ricordatevi – i pazienti non muoiono di ernia (o laparocele), ma per le sue complicanze intestinali o per una plastica di parete troppo stretta (

Capp. 36 e 38).

“Nei casi di vomito persistente eseguite sempre una esplorazione se scoprite che una massa, anche piccola, occupa uno degli anelli addominali e se la sua natura è incerta.” (Augustus Charles Bernays, 1854-1907)

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