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Academic year: 2021

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Il convento

2.1 I caratteri architettonici e tipologici

Il monachesimo cenobitico ha sempre ritenuto di fondamentale importanza la realizzazione del monastero come “Città di Dio”, nella quale il monaco poteva trovare l’ambiente ideale per la sua crescita spirituale. Ogni complesso monastico va perciò visto come testimonianza delle esigenze spirituali dei religiosi dell’epoca, in quanto tutta la struttura deve contribuire ad aiutare il monaco ad amare Dio e ad incontrarlo nella vita quotidiana.

I primi monasteri occidentali costruiti intorno al III secolo d.C., si ispirano, nelle scelte architettoniche e nella distribuzione degli ambienti, a quelli orientali e soprattutto ai cenobi greci, integrando queste precedenti modalità costruttive con il modello dell’antica villa romana. Nei primi monasteri la chiesa è posta al centro del complesso monastico ed è circondata, come in oriente, dalle altre costruzioni; fra queste si inserisce l’innovazione del chiostro, retaggio della cultura romana. Infatti, come le stanze della domus romana risultano isolate rispetto all’esterno, ma collegate fra loro per mezzo del peristilio, il cortile interno, così, già nelle prime abbazie, il chiostro permette il libero accesso a tutti i locali monastici, senza che nulla del mondo esterno distragga il religioso dalla contemplazione di Dio.

Un primo esempio di tale concezione spaziale del monastero è rappresentato dall’abbazia di Montecassino: quella che possiamo vedere oggi non è la struttura originaria che, fondata nel 529, dopo svariate vicissitudini, fu distrutta da un terremoto nel 1349. La ricostruzione, che

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avvenne nei secoli successivi, fu, però, abbastanza fedele all’impianto originale, per cui nell’attuale pianta del complesso, sono rintracciabili ancora oggi le principali caratteristiche architettoniche di cui abbiamo appena parlato.

Figura 1. L’abbazia di Montecassino prima del terremoto del 1349.

Con il cosiddetto Piano di San Gallo dell’820 d.C. (progetto per la realizzazione dell’omonimo convento svizzero, considerato il più antico documento in forma di disegno sull’organizzazione del monastero a noi giunto), già si presenta una seconda tipologia costruttiva, che nei secoli successivi, con modifiche e razionalizzazioni, sarà utilizzata da molti monasteri. Le innovazioni introdotte, vengono messe in relazione con le riforme conventuali degli inizi del IX secolo di Benedetto da Aniane, che sottolinea alcuni elementi essenziali di un monastero e la necessità della totale autonomia dei monaci al suo interno, ai fini di una maggiore serenità spirituale. "Il monastero, se è possibile, sia costruito in modo da avere al proprio interno tutte le cose necessarie, cioè l’acqua, il mulino, l'orto e le strutture per le varie attività di lavoro, così che i monaci non abbiano

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bisogno di uscire fuori, cosa che non giova alle loro anime." Il nuovo concetto di vita monastica è bene espresso dall’impianto planimetrico dell’abbazia di San Gallo, rigorosamente unitario e centrico, nello stesso tempo pratico e razionale, che rispecchia lo stesso sistema di gestione interna dell’ordine religioso, basato sull’auctoritas dell’abate e sulla circolazione all’interno dell’ordine stesso di mezzi, persone, idee.

Figura 2. Planimetria dell'abbazia di San Gallo con evidenziata la posizione centrale del chiostro.

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Che il chiostro rappresenti il nucleo istituzionale veramente importante per l’insediamento monastico in occidente, è dimostrato dall’attenzione che a esso dedica la letteratura religiosa medievale. La struttura quadrata e ripartita del chiostro, sotto il profilo simbolico, rappresenta l’immagine concreta di quella “Città di Dio” che nell’Apocalisse scendeva dal cielo sulla terra per portare l’idea di un mondo nuovo. Il pozzo che si trova all’incrocio delle quattro vie che segnano lo spazio interno del chiostro rappresenta invece il centro del mondo, un centro che sul piano spirituale si pone anche come un chiaro elemento simbolico: affondando le sue radici nel regno delle tenebre per poi slanciarsi verso il cielo, diviene infatti il simbolo vivo del percorso della salvezza dell’anima attraverso quelle tre dimensioni (il regno delle tenebre, il mondo terrestre, la città celeste) tanto contrapposte nella coscienza dell’uomo medievale.

Lo schema del monastero con la disposizione dei vari edifici intorno al chiostro, così come presentato per la prima volta nell’abbazia di San Gallo, rimane in vigore anche nei secoli successivi.

In seguito alla riforma di Cluny, con la quale S. Bernardo nel 910 d.C. svincolò i monasteri dalle intromissioni dei signori feudali, ponendoli alle dirette dipendenze del papa, sorse l’esigenza per i monasteri dell’epoca di divenire edilizi fortificati, vere cittadelle monastiche sedi di comunità autosufficienti, dotate di tutte le funzioni e i servizi, concezione che sarà poi accolta dagli ordini riformati. La cittadella oltre alla chiesa, comprendeva il chiostro, un cortile quadrato porticato situato al centro del complesso e raggiungibile solo tramite quest’ultimo, la residenza dell’abate, le sedi del capitolo, dei monaci, dei novizi, dormitori, refettori e cucine, foresteria, infermeria, magazzini, officine, scuderie, cimitero, portinerie ecc…Tale struttura accoglieva, tuttavia, diverse soluzioni e molte varianti, a seconda dei luoghi (aperta campagna, collina, montagna) e del genere di lavoro della comunità.

Con la riforma cistercense, diffusa ampiamente da Bernardo di Chiaravalle nei primi anni del XII secolo, che mirava a riportare l’ordine

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benedettino all’originario rigore, si potenziò l’autorità dell’abate e l’abbazia divenne un centro propulsore di vita. Le abbazie cistercensi sono vere città contadine di cui l’abbazia è il centro nevralgico e le “grange” (fattorie, officine e relative strutture abitative) sono l’elemento vitale ed operante. Inoltre, l’ideale estetico di S. Bernardo, fondato sul più assoluto rigorismo morale, ispirò la sobrietà formale propria degli edifici cistercensi, caratterizzati dall’essenzialità assoluta, in cui ogni forma è ridotta alla propria essenza strutturale e l’uso della “ratio” si identifica con l’uso del numero. Allo scopo Bernardo usa una struttura modulare basata su una modernissima programmazione matematica sulla quale si reggono l’intero edificio dell’abbazia e le sue diramazioni, agrarie e industriali. Il “modulor” bernardino – dedotto da un calcolo proporzionale traducibile nella figura del quadrato e delle figure semplici in esso inscrivibili – è alla base dell’intera operazione costruttiva, dalle fondamenta ai capitelli, alle mattonelle dei pavimenti, ai tasselli di vetro delle finestre. Le “grange” strutture modulari dell’abbazia, si diramano nella campagna circostante in una sorta di proliferazione ad infinitum, che in alcuni casi portò alla creazione di vere e proprie città ad quadratum.

Nelle abbazie cistercensi gli ambienti del cenobio che si affacciano sul chiostro sono collocati sempre nella stessa posizione, in un’armonia che non è lasciata al caso, ma risponde alle esigenze della particolare vita monastica, tanto che si può parlare di una pianta ideale cistercense.

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Figura 3. Pianta ideale cistercense.

1) chiesa 2) presbiterio 3) cappelle 4) scala notturna 5) porta dei morti 6) porta dei coristi 7) porta dei conversi 8) coro dei coristi 9) banco degli infermi 10) coro dei conversi 11) nartece 12) sacrestia 13) chiostro 14) mandatum 15) lavabo 16) armarium 17) sala capitolare 18) scala diurna 19) passaggio 20) scriptorium 21) calefactorium 22) refettorio dei coristi 23) cucina

24) refettorio dei conversi 25) ingresso

26) dispensarium

27) passaggio dei conversi 28) latrine

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Generalmente la chiesa (orientata sull'asse Est-Ovest) copre con le sue strutture più alte degli altri corpi di fabbrica il lato Nord, proteggendo il chiostro dai venti invernali; le porte d’accesso alla chiesa si aprono quindi alle due estremità del lato Nord, quella ad Est è generalmente la più frequentata, quella ad Ovest usata per entrare processionalmente in occasioni particolarmente solenni. La sala capitolare è frequentemente disposta sul lato Est, il più vicino possibile al coro della chiesa; su questo lato si trovano anche gli altri locali di raduno. Sul lato opposto alla chiesa si apriva generalmente il refettorio, all'esterno del quale, spesso in un angolo del colonnato, si trovava il lavabo. Spesso un giardino era ricavato nella superficie a cielo aperto al centro del chiostro; dove l'approvvigionamento idrico era difficile vi si costruiva spesso, secondo il modello romano, una cisterna per l'acqua piovana nel sottosuolo, che era alimentata dalle grondaie.

La nascita degli ordini mendicanti (Frati Minori di S. Francesco d’Assisi, 1208; Predicatori di S. Domenico, 1215) comportò grandi novità anche nella storia dell’architettura, non tanto all’interno del monastero, bensì fuori di esso, nei modi di rapporto tra ordini mendicanti e città medievale. L’inedito tipo d’esperienza ed impegno religioso proposto, porta i religiosi ad un contatto diverso e quotidiano con la società. La chiesa non è più solo il luogo per l’esperienza mistica e di preghiera per il singolo o per la comunità religiosa, ma apre le sue porte a elementi esterni al gruppo, per i quali interviene anche sulle strutture architettoniche, modificandole o utilizzandole per fini del tutto nuovi.

Le residenze collettive degli ordini mendicanti costituiscono una svolta nell’organizzazione delle case religiose che non sorgono più in luoghi isolati, come le abbazie e i monasteri degli ordini contemplativi, ma nei centri abitati dove è più facile svolgere l’opera caritativa e assistenziale. I vari locali sono ancora disposti intorno ad un chiostro come nelle abbazie, ma il complesso tende a perdere quel carattere di microcosmo proprio degli insediamenti isolati e autosufficienti, fruendo della vita dell’intero centro

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abitato; il chiostro diventa luogo di rappresentanza, dove sono stipulati numerosi atti, espressione del ruolo rilevante esercitato dagli ordini mendicanti nella vita pubblica delle comunità cittadine.

Dal tardo Rinascimento il monastero, ormai diffuso nei centri abitati, si avvicina molto al tipo del palazzo civile: si formano i piani sovrapposti, i livelli secondari per i magazzini e per i servizi, si trasformano gli ambulacri scoperti in corridoi chiusi, mentre gli ambienti di rappresentanza assomigliano per grandiosità e decorazione ai corrispondenti ambienti civili.

2.2 Il Convento di Nicosia

Il Convento di Nicosia sorge nella valle che ha come centro Calci, in località Rezzano (anticamente chiamato Retano), sulle ultime pendici del monte della Verruca, sul quale già in epoca medievale esisteva la famosa fortezza, e più in basso l’Abbazia di San Michele Arcangelo dell’Ordine Cistercense. E’ situato in luogo appartato rispetto al centro storico calcesano ma in posizione dominante tra la fortezza della Verruca e la Valle di Calci.

I suoi primi abitanti, nonché fondatori, appartenevano all’Ordine degli Agostiniani che, all’epoca della costruzione del monastero calcesano (1264), stava subendo importanti trasformazioni. Infatti, nel 1256 papa Alessandro IV, aveva cercato di porre fine alla confusione derivante dall'eccessivo numero di piccoli gruppi religiosi, unendo varie congregazioni nell'"unica professione e regolare osservanza dell'Ordine degli Eremitani di S. Agostino". Gli Agostiniani, finora un ordine di tipo contemplativo, entrarono così a far parte dei frati Mendicanti insieme con i Domenicani, i Francescani e altri.

La collocazione scelta, appartata, ma al tempo stesso prossima al centro abitato, rispecchia perfettamente il momento di transizione che gli ordini monastici stavano attraversando in quel periodo. E’, infatti, lecito supporre che essa sia stata considerata dal fondatore come il giusto connubio tra la vecchia vita contemplativa, che gli agostiniani erano abituati

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a condurre, e la nuova missione apostolica che la Chiesa gli aveva da poco affidato.

Ad oggi vari fabbricati compongono il complesso: la Chiesa, il cimitero, il blocco un tempo destinato ad ospitare i locali dell’infermeria e l’edificio del convento vero e proprio. Al complesso si accede attraverso un portale, da cui si apre una sorta di piccola piazza; su questa si affacciano gli ingressi ai vari corpi di fabbrica: lungo il lato Ovest l’edificio dell’infermeria, sul lato Est l’ingresso alla Chiesa e al cimitero, verso Nord l’ingresso al monastero.

2.3 Le vicende storiche

Il monastero e la chiesa, dedicati a Sant’Agostino, alla vergine Maria ed a San Tommaso Apostolo, furono fondati nel 1258 dal Beato Ugo da Faggiano, Vescovo di Nicosia di Cipro. Da alcuni documenti storici si ricava che il fondatore scelse questo luogo boschivo sulle pendici del Monte Verruca per contribuire a rendere meno pericolose le zone che in quel tempo erano un abituale malfamato rifugio di ladri, i quali molestavano le tranquille popolazioni delle borgate calcesane con le loro azioni criminose. Come risulta da una conversazione tra l’Arcivescovo di Pisa Federico Visconti e Ugo da Faggiano riportata da Sainati, il Vescovo Ugo volle chiamare il luogo “Nicosia” a ricordo della sua lontana sede vescovile4

.

Per edificare il complesso già nel 1258 il Vescovo Ugo aveva scelto questo terreno, che aveva acquistato dall’Abate Cistercense di San Michele della Verruca. Il 21 dicembre 1264, data che coincide con la festa di San

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Tommaso, furono iniziati i lavori. Con solenne cerimonia fu posta e benedetta dall’Arcivescovo Visconti la prima pietra dell’edificio e, come si ricava dalla pergamena esistente nell’Archivio di Stato di Pisa5

, nello stesso giorno venne firmato l’atto di fondazione. Dallo stesso documento si ricava inoltre che l’Arcivescovo Federigo Visconti, con una lettera diretta a tutti i fedeli della città e diocesi di Pisa, li esortò a contribuire con sussidi al compimento della fabbrica del monastero.

Al 1268 l’opera del monastero e della chiesa risulta essere ormai terminata. Nella data dell’8 giugno 1268, la Repubblica di Pisa, rispondendo alle richieste di Ugo da Faggiano, accolse sotto la propria protezione e tutela la chiesa di Sant’Agostino con le sue persone ed i suoi beni.6

L’8 dicembre 1268 l’Arcivescovo celebrò la prima messa nella nuova chiesa e vestì i monaci. Ebbe inizio così la vita religiosa all’interno del monastero.

Il fondatore volle dare un particolare statuto ai suoi confratelli, a cui dette il nome di Costituzione dei Canonici Regolari di Nicosia7. Essa, oltre alle norme che regolavano la vita monastica dei religiosi appartenenti all’ordine, contiene anche alcuni riferimenti utili alla ricostruzione storico-architettonica dello stato originale del complesso. Il monastero doveva ospitare al massimo 20 persone: nessuno era ammesso come novizio prima che un posto si fosse reso vacante. Il numero dei canonici stabilito dal Vescovo Ugo si presentava nel modo seguente:

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ASP, Diplomatico di Nicosia, 1264, 21 ottobre.

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ASP, Diplomatico di Nicosia, 1268, 8 giugno.

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• 13 chierici, distinti tra 1 priore, 5 presbiteri, 3 diaconi, 3 suddiaconi e 2 accolti

• 7 servitori, a cui era escluso il lavoro manuale, se non per ciò che concerneva l’occuparsi dei vigneti e degli oliveti posti nelle vicinanze della canonica, erano considerati sufficienti per la famiglia religiosa

Ai monaci era permesso, con opportune limitazioni, di esercitare il ministero parrocchiale, ma gli era negata la cura delle anime. I religiosi promettevano inoltre di obbedire alla regola di Sant’Agostino e a quelle istituite dal fondatore di Nicosia, che vietò qualsiasi accrescimento di beni, se non quello derivato da elemosine o donazioni, e desiderò che il surplus delle rendite fosse donato ai bisognosi.

Alla morte del Vescovo Ugo, sepolto nella Chiesa del monastero, nell’anno 1282 gli subentrò il monaco Guido come priore8

. Il suo priorato fu lungo e autorevole, come testimoniano due pergamene9

-10

in cui si documenta che il Priore Guido era chiamato ad assumere la carica di giudice in controversie che riguardavano cittadini pisani.

Dall’anno 1313, anche il Monastero di San Paolo all’Orto in Pisa fu annesso alla canonica di Nicosia11

, ma fra i documenti conservati che si riferiscono a tale data, l’atto di unione non appare. La prima notizia nei documenti riguardante le aggregate comunità di San Paolo e di Sant’Agostino, si ha per la prima volta in una pergamena del 1325; in

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ASP, Diplomatico di Nicosia, 1282, 2 marzo.

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ASP, Diplomatico Olivetani, 1288, 1 ottobre.

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ASP, Diplomatico Olivetani, 1291, 23 ottobre.

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Targioni Tozzetti, Relazione di alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana, Firenze, 1768, p. 403.

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seguito l’unione dei monasteri appare nei documenti del 1346, nel 1357 e in altri successivi.

Nel periodo del priorato del monaco Guido i documenti testimoniano di numerosi acquisti di proprietà e donazioni a favore del monastero. Citiamo ad esempio nel 1403 Guiduccia del fu Bencio da Appiano, vedova di Nardo da Calcinaia, che con il suo testamento dispose che fosse eretta una cappella nella Chiesa di Sant’Agostino, assegnando nello stesso tempo tutti i suoi beni a Nicosia12

.

Con l’avvento della Signoria, fu mantenuta la protezione dell’ordine come già avveniva sotto la Repubblica Pisana. Addirittura, con decreto del 18 maggio 1404, Gabbriello Maria Visconti, signore di Pisa, aggiunse al privilegio della protezione, l’esenzione di tutti i beni in quel monastero da qualunque imposizione e gabella. Successivamente, nel XVI secolo, i privilegi e i benefici fiscali furono riconfermati anche dalla Signoria di Firenze, al potere dal 1406 del territorio pisano. Tale favorevole situazione contribuì all’allargamento del patrimonio di Nicosia a danno dei conventi circostanti. E così abbiamo notizie di tre pezzi di terra a San Lorenzo al Sasso (Montemagno) acquistati nel 1419 da Benedetto di Gardone, Abate dei monasteri uniti di San Michele alla Verruca e di Sant’Ermete in Orticaia dell’Ordine Cistercense13

, e di un grosso acquisto fatto nel Comune di Calcinaia di trenta pezzi di terra per fiorini 9014

nel 1423.

Si può dedurre anche che nel 1425 si sia attuata una modifica delle regole dell’ordine per concessione dell’Arcivescovo di Pisa, in quanto per la

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ASP, Diplomatico di Nicosia, 1403, 30 novembre.

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ASP, Diplomatico di Nicosia, 1419, 7 giugno.

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prima volta fu consentito l’ingresso nel monastero ad una donna15

: le modifiche delle regole conventuali non fanno altro che testimoniare la potenza e lo sviluppo del monastero in questi anni. Potenza che trova conferma anche nei sostanziali ampliamenti architettonici del convento in questo periodo. Al 1446 risale una pergamena16

dalla quale risulta che i monaci di Nicosia, essendo creditori del Comune di Firenze della somma di fiorini 400, abbiano ottenuto dai Priori di Firenze che tale somma fosse pagata da loro in tre anni per poter terminare la costruzione della nuova infermeria. Nello stesso periodo, si presume, fu ampliato il chiostro, il piano primo, fu costruito il portico di fronte all’infermeria e il portale di ingresso.

Osservando i documenti si nota che fino agli ultimi anni del 500 continuarono gli acquisti immobiliari del convento: nell’anno 1452 fu infatti comprato dai monaci l’acquedotto di Sant’Agata17

; nel 1457 fu aggregata al convento la chiesa di San Lorenzo di Anghio del Piviere di Calcinaia18

e nel 1476 la chiesa e l’eremo di San Bernardo di Val di Calci19. Risulta inoltre che il convento di Nicosia possedesse anche case a Pisa in prossimità della Piazza del Ponte di Mezzo, e altre dalla parte opposta di Borgo Stretto20

. Al 1503 risale l’atto di unione di Nicosia ai canonici Regolari della Congregazione Renana di San Salvatore di Bologna; con questo atto, si

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ASP, Diplomatico di Nicosia, 1440, 12 marzo.

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ASP, Diplomatico di Nicosia, 1446, 10 giugno.

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ASP, Diplomatico di Nicosia, 1452, 28 maggio.

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ASP, Diplomatico di Nicosia, 1457, 13 febbraio.

19

ASP, Diplomatico di Nicosia, 1476, 13 febbraio.

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ebbe la prima Canonica dei Roccetini in Toscana21

, che veniva governata dall’Abate Generale eletto ogni tre anni dal Capitolo Generale.

Nel 1771, come riporta l’iscrizione posta sopra la porta centrale, la chiesa fu ristrutturata ed adeguata al gusto decorativo dell’epoca mediante ornamentazioni in marmo e stucco e pavimentata con ambrogette di marmo proveniente da Carrara e da Stazzema. Con questi lavori la quota del pavimento fu modificata, e durante quest’operazione, furono scoperte le reliquie di Beato Ugone che furono depositate altrove22

.

Il 22 settembre 1771 il Granduca Leopoldo I con suo decreto generale, soppresse il monastero per la mancanza di monaci, ed il patrimonio, valutato in scudi 66200, venne donato al conservatorio dei poveri orfani di Pisa, chiamato Qualconia o Calconia. In virtù di quest’atto la comunità religiosa fu associata, nei diritti e nelle funzioni amministrative, allo stesso orfanotrofio. Con la soppressione furono venduti tutti i mobili e le suppellettili del monastero, e pare che l’archivio cartaceo andasse disperso. Tra i documenti dell’Archivio di Stato di Bologna23, troviamo qualche esempio degli oggetti che erano destinati per la vendita.

La fase di chiusura del complesso e la vendita dei suoi beni, durarono fino al 1779, data dopo la quale l’ordine religioso mutò la sua configurazione: nel 1782, il monastero passò alla Provincia Francescana

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ASP, Monasteri Soppressi – San Salvatore del Reno, f.n. 210 (2657), Lettere diverse, nota del 30 agosto 1778.

22

Biblioteca Riccardiana, Miscellanee, Palagi n. 20.

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delle SS. Stimmate, divenendo un convento, con l’obbligo quindi della cura delle anime24.

Nell’ottobre dello stesso anno, la Chiesa di Sant’Agostino divenne parrocchia, a cui fu affidata la zona di Pieve di Calci e Pieve di Montemagno. Si avvertì quindi fin dal 1783, la necessità di un nuovo cimitero che fu realizzato nell’area ad Est del monastero (dove rimane attualmente) a spese del convento e della Curia.

Con l’occasione della soppressione dei conventi in regime napoleonico, furono fatti tra il 1809 e il 1811 gli inventari del patrimonio del complesso di Nicosia. Da questi risulta che nella chiesa e nel convento non esistevano più i quadri, i mobili, i libri ed altri oggetti pregiati, precedentemente venduti. Inoltre, dal “Prospetto dei Conventi conservati o di quelli soppressi nelle Comunità della Cancelleria di Pisa”25

risulta che a Nicosia vi erano al 1808 otto sacerdoti, dei quali quattro professori e quattro conversi.

Il convento fu poi ripristinato nel 1815 senza tuttavia avere i fondi necessari per le sue attività26

: i frati minori francescani che lo occupavano vivevano principalmente d’elemosine.

Tra il 1866 e il 1869 la parrocchia fu soppressa.

Nei primi anni del 900 il convento venne adibito a seminario, scelta che comportò una riorganizzazione funzionale degli ambienti di notevole entità, specie al piano primo del complesso.

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Biblioteca Riccardiana, Miscellanea, Palagi n. 20.

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ASP, Prefettura di Pisa, n. 1.

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Nel 1911 la parte del complesso destinato ad infermeria fu data in affitto al Comune per adibirlo a lazzaretto. Con la fondazione nel 1922 della Schola Cantorum, il piano inferiore del lazzaretto fu trasformato in teatro.

Nel 1941, durante la guerra, la maggior parte del convento, eccettuata la zona prospiciente la facciata della Chiesa, fu ceduta alle FS per il trasferimento dei collegi Regina Elena e Rosa Maltoni del Calambrone, mentre i locali dell’ex infermeria furono convertiti a dormitorio per i ragazzi della scuola media. Ciò comportò numerosi interventi murari all’interno di tutto il complesso, e solo nel 1949, cessati tali usi, venne ripristinato lo stato originario da parte delle FS.

Nel 1970 si ha l’abbandono del convento da parte dei suoi ultimi abitanti, i frati minori francescani. Acquisito dal Demanio nel 1978, il complesso (di cui non fanno oramai più parte la Chiesa, il campanile, la sagrestia e il sagrato, che appartengono invece alla parrocchia), fu concesso in uso perpetuo e gratuito alla Scuola Normale Superiore di Pisa, la quale s’impegnò ad elaborare un progetto di restauro e recupero, nella realtà mai concretizzato.

Fra il 1988 e il 1994 la Soprintendenza di Pisa è intervenuta provvedendo alle opere strettamente necessarie per evitare l’ulteriore degrado ed il crollo.27

27

Figura

Figura 1. L’abbazia di Montecassino  prima del terremoto del 1349.
Figura 2. Planimetria dell'abbazia di San Gallo con evidenziata la posizione centrale  del chiostro
Figura 3. Pianta ideale cistercense.

Riferimenti

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