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PARTE II: VENETIA ET HISTRIA La

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Academic year: 2021

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PARTE II: VENETIA ET HISTRIA

La Venetia et Histria è la regione più orientale dell’Italia Annonaria ed è quella che più assomiglia alla corrispondente circoscrizione augustea. A tale proposito Calderini sostiene che ci sia una precisa coincidenza tra la provincia dioclezianea e la regione alto imperiale sia per l’estensione che per il nome, che sarebbe sempre stato Venetia et Histria1. L’affermazione dello storico, però, non riscuote un consenso unanime, infatti Claudio Zaccaria2 sostiene che in epoca classica venisse usato esclusivamente il nome Regio X e argomenta tale ipotesi con valide prove. Lo storico, infatti, prende in esame la documentazione: dall’analisi delle fonti epigrafiche risulta che solo nel pieno III secolo si trova attestata la forma Venetia et Histria, che appare in un’epigrafe del 219 o 2263, per la quale si può proporre la lettura Hist]riae Veneti[ae Tra]spadanae4

, mentre una menzione sicura si trova solo in un’iscrizione datata 297, cioè realizzata dopo il riassetto tetrarchico5. D’altra parte, poi, anche le fonti letterarie possono essere d’aiuto: in Plinio e negli autori di età classica viene sempre e solo utilizzata l’espressione Regio X 6. Di conseguenza mi pare ragionevole pensare che il nome Venetia et Histria sia stato introdotto soltanto in epoca tarda per designare la nuova unità amministrativa dioclezianea. Anche l’estensione e il perimetro delle due circoscrizioni non sono i medesimi: la comunità degli studiosi7 è fondamentalmente d’accordo su questo punto ed è possibile ricostruire i confini delle due regioni; da una parte abbiamo la circoscrizione augustea che presenta un perimetro molto complesso condizionato da fattori etnici e linguistici, dall’altra confini molto più lineari legati alle barriere naturali. Il primo territorio è delimitato dall’alto corso dell’Oglio, da un tratto di Serio, dall’ultimo tratto dell’Adda, dal confine settentrionale del municipio di Adria e dalla costa; invece il secondo ha come confini l’Adda, il Po e la linea di costa. Per quanto, poi, riguarda i confini orientali di tale regione, sin dal tempo di Marco Aurelio si espandono oltre le Alpi Giulie e inglobano la città di Emona. Confini settentrionali e meridionali sono costiuiti dall’arco alpino e dal mare Adriatico. Tenendo conto dei nuovi confini è chiaro che con la

1 CALDERINI, 1930. 2 ZACCARIA, 1986. 3 CIL,VI 31369.

4 Alcuni preferiscono l’integrazione Liguri]ae. 5 ZACCARIA, 1986, pp. 74-75. 6 ZACCARIA, 1986, p. 74. 7 MAZZARINO, 1980, pp. 214-257.

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tarda antichità la Venetia et Histria guadagna nuovi territori, infatti Adria e Bergamo8 passano sotto tale provincia.

Come è stato detto la Venetia et Histria è un territorio di confine e rappresenta la parte più orientale dell’Italia Annonaria e della Terra Italia. Questa sua posizione conferisce alla provincia un ruolo molto importante: in epoca tarda ha la responsabilità di costituire il confine della penisola non solo rispetto alla Pars Orientis dell’impero, ma anche rispetto al mondo barbarico con tutte le sue minacce. A tal proposito, da una parte, non bisonga dimenticare che le regioni danubiane nel IV secolo cadono sotto la pressione dei barbari e il limes, un tempo lontano, si è pericolasamente avvicinato alle Alpi, facilmente valicabili grazie alla strada Emona-Aquileia9; dall’altra, si deve tenere presente che la Venetia è vicinissima ai Balcani, un’area calda percorsa da fortissime tensioni, soprattutto dopo la disfatta di Adrianopoli. Di conseguenza tale regione diventa fondamentale per la difesa della penisola e necessita di importanti interventi difensivi volti a controllarla al meglio: dal punto di vista naturale non è particolarmente vantaggiata visto che le Alpi Giulie, che pure la proteggono, non hanno un’altezza eccessiva e sono facilmente attraversabili. La vulnerabilità della regione è dimostrata dal noto attacco di Quadi e Marcomanni, che spinge Marco Aurelio a creare la Praetentura Italiae et Alpium, una fascia militarizzata, ma fondamentalmente inutile, a cavallo delle Alpi Giulie, munita di castra e castella per la difesa dell’ingresso alla penisola10.

La Venetia et Histria, dunque, rappresenta una vera e propria zona chiave non solo per la difesa, ma anche per il controllo dell’Italia: chi tiene tale regione è padrone anche del resto della penisola. Considerando, poi, il ruolo che, più in generale, ha la pianura padana all’interno delle dinamiche dell’impero, si comprende meglio quanto possa essere importante il ruolo di tale provincia per chi desideri controllare l’Occidente. Non a caso, questa regione nel III e IV secolo diventa palcoscenico di svariate guerre civili e per i vari usurpatori anche un territorio indispensabile. Sin dai tempi di Massimino il Trace, infatti, Aquileia ha un ruolo di primo piano nelle contese imperiali. Nel V secolo, invece, la strategia verrà cambiata e Ezio abbandonerà la tradizionale difesa del Veneto per fare della Gallia la nuova zona chiave: si rinuncerà dunque a considerare l’Italia una terra

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Non tutti sono d’accordo con tale possibilità e con la collocazione del confine sull’Adda. Favorevole è, ad esempio, Thomsen, incerto è invece Chevallier.

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Tale direttiva è molto importante nella dinamica delle migrazioni barbariche. Si veda: MAZZARINO, 1980, p. 245. 10

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difendibile e si deciderà di spostare più a Nord lo sforzo bellico nella speranza di proteggere tutto l’impero d’Occidente e non esclusivamente la penisola11.

CAPITOLO I: AQUILEIA12

All’interno della Venetia et Histria un ruolo importante per la difesa è affidato ad Aquileia, che si trova in una posizione privilegiata militarmente sotto diversi punti di vista. Prima di tutto tale città sorge molto a oriente, proprio all’estremità del territorio italico e si trova, quindi, ad essere il primo centro che si incontra una volta varcate le Alpi; di conseguenza la sua funzione diviene quella di baluardo difensivo per tutta l’Italia Annonaria. D’altronde la stessa fondazione della colonia, nel 181 a.C., è legata a tale funzione: a quell’epoca Aquileia era l’ultima piazzaforte romana davanti ad un impero ancora da conquistare e dopo il periodo pacifico del I secolo d.C., la città torna nuovamente a valorizzare le sue componenti bellico-difensive davanti alle minacce che pendono sull’Italia. Aquileia ha, poi, una posizione strategica anche per le vie di comunicazione interne, poiché si trova al centro di un’importante rete stradale: arrivano ad Aquileia la via Postumia, che attraversa l’intera pianura padana, la così detta via Giulia Augusta che collega l’alto adriatico al Norico, l’Annia, la via per Emona, la Gemina e, infine, molti rami viari minori che si propagano nell’entroterra rendendo il territorio aquileiese facilmente raggiungibile da ogni parte13.

Anche il sito stesso della città è degno di nota: Aquileia sorge in una zona pianeggiante, presso il fiume Natiso cum Turro, a dieci chilometri dal mare della laguna di Grado. Tale posizione sensibilmente distante dall’Adriatico, non impedisce, però, ad Aquileia di diventare un importantissimo emporio commerciale, infatti viene creato un grande porto fluviale che diventa la naturale meta delle navi provenienti da Oriente; inoltre la presenza della laguna fa sì che la città sia circondata e quindi protetta da paludi, elemento nell’antichità avvertito molto positivamente sotto il punto di vista difensivo. Non a caso, molte testimonianze letterarie antiche sottolineano la presenza di questo paesaggio14, si pensi ad esempio a Giuliano che descrive Aquileia protetta sia dalle Alpi sia dalla distesa paludosa paragonabile alle lagune del delta del Nilo, utile riparo per gli attacchi via mare15. Non si deve, però, pensare ad un paesaggio segnato dall’incuria e dall’abbandono, al contrario la ricerca archeologica ci consegna l’immagine di una terra capillarmente

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MAZZARINO, 1980, pp. 245-246. 12

Si veda la tavola in appendice. 13 BOSIO, 1979. 14 VEDALDI-IASBEZ, 2000. 15 IULIAN. 1, 8 C.

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abitata e sfruttatissima dal punto di vista agricolo16: cnel territorio di Aquileia esiste una rete di canali di scolo che riescono a far defluire le acque rendendo così possibile l’insediamento. Nonostante tali interventi la situazione idrogeologica della zona aquileiese non è certo ottimale, i canali devono costantemente lottare contro l’impaludamento e nello stesso centro cittadino l’archeologia ci dà testimonianza di forti infiltrazioni: nella zona Nord-Est della città sono stati scavati pavimenti che presentano durante il III-IV secolo rialzamenti continui dovuti all’umidità del terreno17. Inoltre bisogna considerare che dall’età repubblicana il Natiso cum Turro sta formando un apparato deltizio di notevole estensione: tale sviluppo si interrompe, però, quando la portata del fiume diminuisce18 e quando parallelamente si verifica un innalzamento del livello del mare, accompagnato da fenomeni di bradisismo. Conseguenza di tali fenomeni è ovviamente, la tendenza all’impaludamento, da registrare nell’immediato entroterra che i Romani avevano costantemente bonificato con canali di scolo e quant’altro. Inoltre, venendo meno la presenza di un fiume capace di convogliare le acque, mentre vene d’acqua sotterranea emergono, i corsi fluviali minori cercano da soli il mare, con il risultato di un aumento drastico delle paludi19; tutt’oggi la zona presenta tendenze di questo tipo, che vengono però contrastate tramite l’uso di idrovore.

1: LA COLLOCAZIONE GEOGRAFICA

Introdotto l’ambiente in cui sorge Aquileia è necessario considerare la situazione della città nel corso dell’epoca tardoantica.

Mi pare importante sottolineare che questo centro, fondato per esigenze militari e con finalità agricole, ben presto diventa un nodo commerciale molto importante e mantiene tale funzione fino al V secolo. Nel IV secolo i traffici che toccano Aquileia sono ancora intensissimi e rendono tale città una delle più floride dell’Italia Annonaria. A tal proposito sono molto significativi gli scavi e gli studi sul sistema portuale aquileiese.

Il porto si trova sul fianco orientale della città subito a valle della confluenza di due corsi d’acqua, il più importante è il Natiso cum Turro, fiume largo circa 37 metri20 che, in epoca romana, ha un lungo percorso e una buona portata, ma che oggi è solo un torrente, il Roggia del Mulino di Monastero; l’altro corso fluviale, il cui nome antico non è noto, è 16 VEDALDI-IASBEZ, 2000 pp 299-300. 17 VERZAR-BASS, 2001. 18

Forse al tempo di Giuliano. 19

BERTACCHI, 1990, pp. 227-228. 20

Il calcolo è stato effettuato tramite la misurazione di un ponte romano che lo attraversava e che è stato studiato da Brusin: BRUSIN, 1934, p. 30.

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chiamato ai nostri giorni Roggia della Pila ed è un fiume di risorgiva. Entrambi i corsi si trovano attualmente nella stessa posizione dell’età antica.

Il porto è stato scavato per la prima volta negli anni trenta da Brusin21, al quale si devono studi molto estesi su tutta l’area di Aquileia. La larghezza del complesso è pari a 48 metri, ampiezza considerevole forse legata ai problemi di risalita delle imbarcazioni: la Bertacchi, a questo proposito, considera che un tale bacino possa rallentare la forza della corrente e rendere più agevole l’arrivo al porto che si trova a ben 10 chilometri dal mare; la studiosa ipotizza anche che il sito stesso della città non sia stato scelto a caso, poiché la risalita della marea arriva fino all’altezza di Aquileia, che, quindi, si trova da una parte su un terreno solido e dall’altra ben collegata al mare22.

2: IL PORTO

Secondo gli studiosi la prima fase del porto coincide con quella descritta da Strabone23 e consiste in un muro fondato su pali, accompagnato da un lastricato e da una gradinata. A tali semplici strutture si sovrappone, poi, un impianto monumentale che comprende una banchina con due piani di carico e tre serie di rampe: la prima rampa unisce il piano di carico con la banchina inferiore a cui è perpendicolare, la seconda è parallela al fiume e collega la banchina più bassa a quella superiore, infine, la terza presenta rampe perpendicolari che consentono il passaggio tra la banchina più alta e il livello della città; inoltre fa parte del complesso anche un magazzino parallelo al fiume collegato al porto vero e proprio da due scalinate monumentali24. Il complesso è, poi, racchiuso da due sponde murate. Quella orientale è formata da blocchetti di pietra e presenta tre gradinate che scendono fino all’acqua e possiede, anche, anelli di ormeggio e uno scivolo in legno25. La sponda occidentale secondo Brusin è più recente rispetto a quella orientale, che egli attribuisce all’epoca di Claudio. Calderini, invece, ritiene che il complesso sia databile al principato di Augusto26. La Bertacchi pensa che la sponda occidentale sia stata edificata in due fasi successive, la prima presenta pochissimi elementi27 e sembra anteriore all’assetto complessivo del porto28, mentre la seconda coinvolge tutto il resto dell’impianto che si mostra così unitario. Le rampe che uniscono le banchine servono anche da collegamento 21 BRUSIN, 1934. 22 BERTACCHI, 1990 p. 234. 23 STRABO, 5, 8, 1. 24 BERTACCHI, 1982, p. 338. 25 BRUSIN, 1934, pp. 18-20, 25-26. 26 CALDERINI, 1930. 27

Una palificata, un lastricato ed una gradinata. 28

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con il livello superiore, giacché si immettono sui decumani della città ed entrano nei magazzini tramite sottopassi29. L’intero impianto portuale è caratterizzato dalla pietra d’Istria .

In epoca tardoantica il porto subisce, poi, importanti modifiche, quando vengono costruiti tratti murari sopra le banchine. Brusin ritiene che tali fortificazioni risalgano al 238, quando Massimino assedia la città; la Bertacchi è d’accordo e ritiene che interventi di questo tipo si ripetano più volte durante tale periodo30. Per quanto riguarda, poi, la natura delle fortificazioni l’archeologa si oppone alla tesi di alcuni studiosi ed esclude che esse insistano sui ruderi delle mura repubblicane, visto che Erodiano scrive che il fiume scorre proprio sotto le mura31 e quelle repubblicane si trovano, al contrario, a 25 metri dall’alveo32. Mirabella Roberti si è interrogato sulla sopravvivenza del porto ormai occupato dalle fortificazioni33 e a tali domande viene data una risposta molto precisa da Luisa Bertacchi34. La studiosa sostiene che gli interventi tardoantichi non abbiano reso inagibile il porto: al contrario gli scavi hanno rinvenuto delle strutture che integrano i due impianti, così le rampe parallele al fiume sono eliminate, mentre quelle perpendicolari vengono coperte da voltoni e si collegano direttamente al piano di carico, dove si aprono; tali passaggi, poi, possono essere agevolmente chiusi nei momenti di necessità35. Infine, all’esterno della banchina si trovano due scalinate monumentali, protette da due coppie di torri ciascuna, che scendono fino al fiume e sono collegate ai magazzini tramite corpi di fabbrica36. La Bertacchi data tale sistemazione, che tra l’altro prevede un generale innalzamento di tutto l’impianto, dopo la metà del III secolo, visto che nel torrione settentrionale della scalinata Nord è reimpiegata un’iscrizione in onore della vittoria su Massimino, di conseguenza non si può pensare che essa sia stata riutilizzata prima della morte di Gordiano III nel 24437. La stessa archeologa, infine, ritiene che al tempo di Giuliano l’assetto del porto sia ancora questo38.

Inoltre anche la documentazione epigrafica può essere utile: dalle iscrizioni funerarie emerge una forte presenza di stranieri, in particolar modo ebrei e siro-palestinesi39. Per tali personaggi si può proporre, con una certa sicurezza, un impiego mercantile: di 29 BERTACCHI, 1990, p. 232. 30 BERTACCHI, 1990, p. 233. 31 HERODIAN., 8, 2, 6. 32 BERTACCHI, 1982, p. 338-339. 33 MIRABELLA ROBERTI, 1968, pp. 383-395. 34 BERTACCHI, 1982. 35 BERTACCHI, 1982 p. 339. 36 BERTACCHI, 1982, p. 339. 37 BERTACCHI, 1982, p. 340. 38 BERTACCHI, 1982, p. 340. 39 MAZZOLENI, AAAd 28, p. 325.

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conseguenza la presenza di queste comunità40 non fa che avvalorare l’immagine di un’Aquileia al centro di intensi traffici. Nella basilica di Monastero, poi, sono state trovate, sul più antico pavimento, numerose iscrizioni diverse dedicate da orientali, ancora una volta, siriaci ed ebrei; la loro presenza va sicuramente legata al quartiere popolare sviluppatosi in questa località in rapporto col vicino porto e con le sue attività41.

3: I MERCATI

All’interno di una città portuale sono, poi, molto importanti i luoghi destinati alla vendita dei prodotti, cioè i mercati. L’archeologia ha rinvenuto i resti di alcuni di essi. All’interno delle mura di Aquileia ha attirato l’attenzione un complesso che si erge a Nord-Ovest del foro, presso il così detto Essiccatoio Nord, posto lungo la via Giulia Augusta, immediatamente a Nord-Ovest dell’incrocio con la via Gemina. Tale edificio è stato interpretato come un macellum, cioè un particolare tipo di mercato dove sono venduti soprattutto carne, pesce e in misura minore si trovano anche pane e ortaggi42. Il modello di tale edificio è medioitalico: presenta una pianta quadrata, all’interno della quale si sviluppa una serie di botteghe che si affacciano su un cortile circolare e hanno pareti radiali. All’interno del cortile, forse, vengono allestiti dei banchi mobili per la vendita delle mercanzie, mentre nella parte più centrale si può pensare che sia collocata una vasca o una statua di una divinità come Mercurio43. E’ probabile che altre botteghe siano state, poi, aggiunte alla parete Nord del macellum44. Tale edificio risale al I secolo a.C e la sua ultima fase è da collocare nel secolo successivo. La posizione del complesso non è casuale45: a parte la vicinanza del foro, bisogna sottolineare che in questa zona giungono non solo le vie consolari, ma anche il canale Anfora46.

Per quanto riguarda l’epoca tarda, sono state trovati alcuni siti identificati con aree di mercato. All’interno della cinta muraria ha destato molto interesse la zona a Est dell’area forense47. Qui sorge una struttura architettonica piuttosto articolata e di lettura non chiara. Il complesso è distante solo 10 metri dalle botteghe individuate da Luisa Bertacchi, nel

40 MAZZOLENI, AAAd 28, p. 307. 41 CUSCITO, 2004 B, p. 550. 42 MASELLI SCOTTI, 1995. 43 MASELLI SCOTTI, 1995, p. 162. 44 MASELLI SCOTTI, 1995, p. 161. 45 VERZAR-BASS, 1995, p. 176. 46

Tale canale ha funzioni piuttosto significative per l’area di Aquileia, poiché drena e porta verso il mare le acque stagnanti e secondarie, permette la risalita ai natanti ed è utilizzato dall’industria artigianale locale. L’Anfora è collegato al Natisone tramite un canaletto, ma non si immette in tale fiume.

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lato orientale del foro 48, per cui viene spontaneo chiedersi se tali tabernae, possano avere un qualche rapporto con l’area limitrofa. Tale area è divisa in due settori, uno meridionale e uno settentrionale. Il primo, che risale all’epoca tardorepubblicana, presenta pochissimi elementi per la fase tardoantica; il secondo, invece, è dominato da un edificio di quest’epoca. Tale costruzione mostra due fasi, la prima, da un punto di vista stratigrafico e tipologico, sembra risalire all’inizio del IV secolo49, la seconda, ricca di reperti, è da riferire ad un periodo compreso tra l’età costantiniana a la metà del IV, quando, probabilmente, vengono aggiunti un’abside nella parte scoperta centrale e un nuovo corpo di fabbrica, forse un vestibolo d’accesso nella parte settentrionale50. Una simile datazione è riferibile anche alla zona del foro scavata dalla Bertacchi, cosicché si può ipotizzare un vero e proprio collegamento tra i due complessi e, dunque, una funzione commerciale anche per la zona a Est del foro51. Bisogna notare, poi, che in molte città romane52, troviamo il mercato alimentare leggermente defilato rispetto al foro e, nei centri marittimi, è spesso rilevata l’abitudine di costruire il foro civico e amministrativo separato da quello commerciale che viene collocato in una posizone più vicina al porto53. Inoltre nelle città teatro di importanti scambi si sviluppano varie aree mercantili con funzioni differenziate: da una parte si hanno luoghi destinati alla vendita all’ingrosso, dall’altra mercati rivolti alla popolazione locale54. Considerando l’importanza del nodo commerciale aquileiese è facile immaginare che la grandissima quantità di merci abbia portato alla proliferazione di diversi punti di vendita. Per quanto riguarda la funzione del complesso scavato ad Est del foro, si può pensare, quindi, che si tratti di un piccolo mercato destinato ai residenti oppure specializzato nella vendita di un tipo particolare di generi alimentari55. La tipologia dell’edificio, caratterizzata, tra l’altro, da un cortile con ingresso monumentale, ha portato alcuni a vedere in tale struttura una basilica cristiana. L’interpretazione di tale struttura, dunque, si dimostra abbastanza complicata e non è scontato vedere in essa un edificio con funzione mercantile: esistono poche tipologie architettoniche di mercato ricorrenti, ufficialmente conosciute e tra di esse il modello con abside è poco diffuso56; nel nostro caso, però, lo stesso contesto urbano può venire in aiuto, dal momento che, tale dedifcio si

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BERTACCHI, L., Il Foro romano di Aquileia. Gli stud,i gli interventi e le principali scoperte fino al marzo 1989, in AN 60, 1989. 49 VERZAR-BASS, 1995, p. 172. 50 TIUSSI, 2004, p. 300. 51 VERZAR-BASS, 1995, p. 173. 52

Così a Pompei, Ostia, Minturnae, Ordona. 53 VERZAR-BASS, 1995, pp. 174-175. 54 VERZAR-BASS, 1995, p. 174. 55 VERZAR-BASS, 1995, p. 176. 56 VERZAR-BASS, 1995, p. 178.

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mostra integrato e connesso alle tabernae del foro. Inoltre, mi pare interessante notare che tale complesso commerciale può essere stato construito per contrastare alcune dinamiche urbanistiche: edificare un tale polo d’attrazione in un determinato luogo può attirarvi persone e investimenti e così rivaleggiare con altri quartieri che cercano di diventare il nuovo centro cittadino. Tale fenomeno è accertato nel caso di Ostia57 e potrebbe verificarsi anche ad Aquileia, dove nel IV secolo la zona meridionale vive un momento di grande crescita, che potrebbe ledere gli interessi del quartiere forense. Infine bisogna notare che i rifacimenti di tale complesso, approntati nel tardo IV secolo, si inseriscono all’interno di una grande campagna di restauri che coinvolge in questo periodo l’intera città veneta, che, quindi, gode di una prosperità e ricchezza collegabile all’attività mercantile58.

I mercati importanti si trovano, però, a meridione della cinta muraria, in aree più vicine al porto. Gli scavi archeologici hanno individuato ben tre siti destinati a tale funzione. Il primo si trova a Sud-Ovest della città, a sinistra del fiume ed è stato scavato negli anni sessanta da Luisa Bertacchi59; tale impianto è particolarmente esteso ed importante. Un secondo polo commerciale, probabilmente destinato alla vendita di generi alimentari60 è stato, poi, individuato nei pressi dell’ansa Sud-Est del fiume: qui si trovano, uno vicino all’altro, tre piccoli complessi a destinazione commerciale61, che presentano al centro uno spazio aperto lastricato con arenaria e spolia, circondato da un porticato ligneo; la scoperta, qui, di anfore interrate avvalora l’ipotesi della presenza di botteghe con piccoli magazzini, che sono, poi, collegati al Natisone tramite tre aperture. Per quanto riguarda la datazione, tali resti sono collocabili in un periodo che va dal IV al V secolo. Infine è stata ipotizzata una terza area mercantile presso la chiesa di S.Giovanni al foro dove, nella tarda antichità, potrebbero trovarsi edifici con funzioni pubbliche62. Infine a Ovest della città, subito fuori dalle mura, probabilmente si trova il Forum Pecuarium, che si colloca, così, non lontano dal termine della via Postumia e dal macellum a Settentrione del foro63

4: I MAGAZZINI

Elemento di connessione tra il porto e i mercati sono gli horrea. La situazione dei magazzini aquileiesi è ben studiata e la documentazione archeologica è piuttosto ricca.

57

Nel IV secolo Ostia vive la rivalità di Porto che le sottrae molte funzioni; Aurelio Anicio Simmaco a metà secolo finanzia il rifacimento del mercato di Ostia, cercando così di salvarla dal declino.

58

VERZAR-BASS, 1995, pp. 179-180. 59

BERTACCHI, L., Grande mercato pubblico a sud della Natissa, Aqu. Chiama 1976, p.12. 60

La presenza dei porticati e di impianti idraulici suggerisce tale interpretazione. 61 TIUSSI, 2004, pp 297-298. 62 VERZAR-BASS, 1995, p. 175. 63 VERZAR-BASS, 1995, p. 176.

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Alcune strutture destinate al deposito di merci sono localizzate nell’area alle spalle del porto. Qui sono stati notati interventi di restauro e di rialzamento dei pavimenti legati a problemi idrogeologici, che si inseriscono in più ampi interventi di restauro: l’edificio viene diviso in navate tramite file di pilastri e un ambiente di forma irregolare viene aggiunto al corpo principale64.

Il magazzino meglio studiato è, però, quello che si erge nella zona meridionale della città all’interno delle mura. Tale edificio avrà una vita molto lunga, poiché, sarà trasformato in palazzo patriarcale65. Un disegno del 1723, eseguito da Gian Domenico Bertoli, ne ritrae il lato meridionale, che appare scandito da paraste e arconi; il complesso non è giunto ai nostri giorni, ma è stato distrutto, presumibilmente, nel 1751. Il primo a riconoscere sotto il distrutto patriarcato un magazzino è, nel 1864, Karl Babela. Successivamente nl 1915 Gnirs ipotizza che il palazzo patriarcale si sviluppasse sopra i resti del palazzo imperiale. Gli scavi sono, poi, ripresi negli anni trenta da Brusin66, che, in un primo momento vede sotto il patriarcato un grande edificio pubblico, ma ben presto abbandona tale ipotesi per riallacciarsi a quella del Gnirs. Nonostante ciò, le ricerche dell’archeologo italiano sono accurate e consentono di conoscere a fondo questo edificio. Nel 1965 Mirabella Roberti67 mette in relazione il patriarcato con le aule teodoriane, corregge la pianta di Brusin e dimostra la parallelità tra i due edifici; inoltre, confrontando i risultati degli scavi di Brusin con il disegno di Bertoli, comprende che le paraste del patriarcato sono sopravvivenze dell’horreum. L’archeologo, a questo punto, vede in tale struttura somiglianze con altri edifici che gli permettono di datare l’impianto all’età tetrarchica. Infatti tale impianto ha strette analogie di carattere planimetrico e strutturale con gli horrea di Milano e Treviri, che sono, come il magazzino aquileiese, articolati in due grandi aule rettangolari, divisi da pilastri in navate e provvisti di un’area scoperta centrale; inoltre tutti e tre i complessi hanno un perimetro esterno scandito da lesene e arcate cieche68. La planimetria del magazzino è stata, successivamente, studiata a fondo da Luisa Bertacchi69: lo spiccato dell’edificio misura 200 per 300 piedi romani70, è articolato in due corpi di fabbrica che presentano la stessa misura, ma divisione interna diversa e sono intervallati da un cortile lastricato. L’ala settentrionale71 è, con buona probabilità, dotata di portico sul lato verso il 64 TIUSSI 2004, pp. 298-299. 65 BERTACCHI, 1982. 66 BRUSIN, 1930. 67 MIRABELLA ROBERTI, 1965, pp. 51-52. 68 TIUSSI 2004, p. 293. 69 BERTACCHI, 1982, pp. 345-346. 70 In metri 66,10 per 88,80. 71 BERTACCHI, 1982, pp. 346-347.

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cortile; al suo interno è divisa in due parti uguali da un muro trasversale che, però, consente il passaggio tra i due ambienti. Quella meridionale possiede invece un muro continuo che separa l’ambiente in due parti di grandezza diversa; nella parte occidentale è, poi, presente un disimpegno, collocato tra un ulteriore muro trasversale e il muro continuo, dove si apre una porta che collega le due parti. La struttura è molto massiccia; per quanto riguarda la copertura, Mirabella Roberti ipotizza volte a crociera, mentre la Bertacchi pensa che possano essere compatibili sia le volte che un soffitto a botte72, tale struttura, infine, è specializzata nell’immagazzinamento delle granaglie73. Il fatto stesso che tale complesso sia tanto simile a quelli di Milano e Treviri, suggerisce l’idea che possa esistere una vera e propria direttiva centrale che condizioni l’architettura funzionale delle città con importante ruolo strategico-militare, cioè quelle bisognose di immagazzinare provviste per gli eserciti74. Il legame tra questi centri è attestato anche per altri edifici ed è molto vistoso nel caso degli horrea di Milano che presentano su alcuni mattoni un bollo75 ben attestato ad Aquileia. L’impianto è, poi, ben inserito nel contesto urbano, dove si sviluppa per circa un terzo sulla parte Sud-orientale dell’isolato su cui si trova; su tre lati è delimitato da strade, una di esse è un cardine orientale non distante dal Natisone, dunque il magazzino si pone in posizione privilegiata rispetto al corso d’acqua, verso il quale si apre una delle porte dell’impianto76.

5: LE AULE TEODORIANE77

Il quartiere meridionale vive durante il IV secolo un grande sviluppo, qui viene costruito il primo centro episcopale cittadino: la zona dei magazzini si trasforma in zona di culto e diventa un nuovo polo di attrazione all’interno delle mura urbane. Tale complesso è molto antico, viene infatti datato approssimativamente prima del 32078, poiché Teodoro, il vescovo che grazie a generose donazioni79 promuove tale costruzione, occupa il seggio episcopale, presumibilmente, tra 308 e 31980.

72

BERTACCHI, 1982, p. 349. 73

A tal proposito il Bertoli, in una lettera del 1723 scrive che alcuni anni prima era stata trovata una grande quantità di granaglie all’interno di una stanza sotterranea, nel recinto del patriarcato. Si veda: Msc. Fontanini, vol 9, Arch. Capit. Udine.

74

TIUSSI 2004, p. 297. 75

Sono stati trovati tre mattoni con bollo M C SCITI. 76

TIUSSI 2004, p. 297. 77

Si veda la tavola in appendice. 78

DUVAL, 1982, p. 399. 79

C’è chi ha ipotizzato che dietro alla costruzione delle aule teodoriane ci sia l’intervento imperiale. Tale teoria parte da presupposti che, come vedremo, sono sbagliati, ma più in generale si può confutare la donazione dell’imperatore constatando che la chiesa non presenta decorazioni particolarmente elaborate a parte i mosaici, che presentano, però, dei donatori privati. Rimane però aperta la questione dei “benefici incredibili” che Aquileia e Modena avrebbero ottenuto

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La scelta di tale quartiere è stata oggetto di riflessione da parte di molti studiosi, infatti, può sembrare strano costruire un tale complesso all’interno di una zona di vocazione mercantile. La critica ha spesso posto l’accento sulla marginalità di tale posizione: a tal proposito Tavano sostiene che si debba vedere in questa scelta un atteggiamento di prudenza e diffidenza verso una società ancora tradizionale81. Tale teoria è, però, contestabile, perché, come vedremo, le aule teodoriane insistono su edifici pubblici preesistenti82 per cui si deve pensare che il cantiere abbia il permesso delle autorità cittadine se non addirittura il loro appoggio83; inoltre, in generale non è accettabile l’idea che questo quartiere sia marginale visto che qui si trovano magazzini e mercati, per cui è facile ipotizzare una frequentazione piuttosta intensa84. Forse la spiegazione più ragionevole è, in questo caso, la più banale: il complesso episcopale richiede un certo spazio, che si può trovare più facilmente in una zona leggermente defilata, che inoltre è sicuramente meno costosa di quella centralissima del foro.

La comunità degli studiosi ha molto discusso anche sullo stato del quartiere prima della costruzione del complesso episcopale e, più in particolare, si è cercato di capire quale tipo di costruzione abbia preceduto la chiesa. Negli anni sessanta gli studiosi si sono orientati su due ipotesi85: da una parte Cecchelli e Brusin hanno sostenuto che la chiesa insista sui resti dell’abitazione del vescovo Teodoro, dall’altra Fink e Kaeller hanno ipotizzato che le aule si trovino su strutture del palazzo imperiale donate personalmente dall’imperatore86. Tali ipotesi sono oggi da scartare: l’ipotesi che vede nella zona Sud il palatium è stata completamente confutata, mentre gli scavi hanno mostrato che l’edifico sopra i cui resti la chiesa è stata edificata non è una domus, ma un magazzino. Già nel 1952, Fausto Franco considerando la vicinanza del porto ha ipotizzato per questo quartiere la presenza di edifici di tipo utilitario e commerciale87; Mirabella Roberti ha, poi, sostenuto che sotto le teodoriane ci sia stata una domus88 provvista di magazzini, poiché i muri intuibili sotto le aule sono numerosi e si diramano ben oltre il perimetro della chiesa. Luisa Bertacchi,

da Costantino, secondo il panegirista Nazario. Si veda: TAVANO, 2000, pp. 342-345. Alcuni studiosi pensano, comunque, al particolare intervento evergetico di un ricco cristiano. Si veda: CUSCITO, 1987, p. 183.

80 TESTINI, 1982, p. 369. 81 TAVANO, 1983, pp. 61-62, 69-70. 82 TAVANO, 2000, p.342. 83

Di conseguenza a tali considerazioni è naturale porre la costruzione del complesso episcopale dopo l’editto di Costantino. 84 MIRABELLA ROBERTI 1965. 85 DUVAL, 1982, p. 400. 86 DUVAL, 1982, p. 400. 87 FRANCO, 1952, p. 331. 88

Sotto le aule teodoriane è stata infatti individuata una domus di età augustea precedente agli horrea sui quali verrà edificato l’impianto ecclesiastico.

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infine, ha ritenuto che la struttura sottostante sia costituita esclsusivamente da magazzini e non da una abitazione privata; considerando, poi, che il patriarcato insisterà su horrea databili all’età tetrarchica, la stessa studiosa ha ipotizzato che i nuovi magazzini prendano il posto della struttura vecchia, sulla quale viene appunto edificato il centro episcopale89. Allo stato attuale degli studi quest’ultima ipotesi è senz’altro la migliore.

È molto interessante, poi, prendere in considerazione la planimetria della chiesa, che si presenta piuttosto particolare. L’antico centro episcopale aquileiese si sviluppa all’interno di un’area rettangolare, che risulta divisa in una serie di ambienti, tra i quali i più importanti e conosciuti sono le due aule, cioè gli ampi vani posti rispettivamente all’estremità settentrionale e a quella meridionale del complesso; la loro lunghezza coincide con il lato corto del rettangolo che le contiene e la loro larghezza risulta poco meno di un terzo della lunghezza dell’intero edificio. Le due aule sono divise in tre navate, presentano cancelli destinati a isolare la zona orientale di esse e sono, poi, collegate da un ampio corridoio che si trova sul lato occidentale del complesso; l’entrata è collocata a Est, mentre la parte centrale è occupata da un cortile e da una serie di ambienti tra cui si trova il battistero. L’immagine che ne risulta è piuttosto lontana dallo schema della basilica cristiana e mostra, invece, molte affinità con i luoghi di culto esistiti prima dell’editto di Milano, cioè le domus ecclesiae. Tali edifici si diffondono dopo la metà del II secolo90 e sono attestati in diverse parti dell’impero, tra cui Cirta e Dura Europos91, dove è stata scavata la domus cristiana più importante. Quest’ultimo complesso può essere considerato il modello delle aule teodoriane: a Dura, come ad Aquileia, si riscontra lo schema ad U e si ha una collocazione periferica rispetto al centro cittadino92. Non bisogna, però, pensare che il complesso adriatico sia completamente aderente al modello della domus ecclesiae: le affinità sono molte, ma non si deve negare un certo sviluppo rispetto allo schema precedente; le aule teodoriane si collocano, cioè, in un momento di passaggio tra la vecchia chiesa domestica e la basilica, manifestazione architettonica del trionfo cristiano. A tale momento di passaggio si può far risalire anche il progetto realizzato dalla famiglia imperiale a Treviri, dove si ritrova la doppia aula, mentre altri elementi collocano il complesso in una fase leggermente successiva: le dimensioni delle aule, gli avancorpi, il rapporto tra le diverse parti travalicano il modello di domus ecclesiae e conferiscono

89

BERTACCHI, 1977, pp. 251-254; BERTACCHI, 2003, p. 56. 90

Tale datazione si può dedurre dal fatto che Giustino non parla di luoghi di riunione stabili per i cristiani e Eusebio riporta un episodio datato al 268, in cui il clero condanna Paolo di Samosata, vescovo di questa città, per la sua gestione dell’edificio di culto, che viene esplicitamente chiamato domus ecclesiae. Si veda: IUST. Apol. 1, 67, 3; EUS. H. E. 7 30, 9 e 19.

91

TESTINI, 1982, p. 383-384. 92

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all’edificio una grandiosità, che s’avvicina molto all’architettura basilicale costantiniana. Dunque potremmo dire che le aule teodoriane sono l’ultima evoluzione della domus

ecclesiae che ancora sopravvive in età constantiniana, ma sta per essere schiacciata da

un’altra tipologia, la basilica93. Krautheimer94, invece, ritiene che la aule teodoriane insieme alle cattedrali di Tiro e Orléansville, siano delle varianti all’interno dello schema della basilica costantiniana.

A questo punto può essere utile l’analisi delle due aule, che costituiscono il complesso. I due ambienti hanno le medesime dimensioni e si trovano in posizione simmetrica all’interno del complesso, tanto che si può parlare di basiliche doppie, cioè un impianto ecclesiastico geminato, modello abbastanza diffuso nell’Italia del Nord95. Gli studiosi, a lungo, si sono interrogati sul motivo che ha portato alla costruzione di due aule e a tal proposito hanno formulato alcune ipotesi che collegano queste sale a funzioni diverse. Ad esempio, Testini96 partendo dall’analisi dei tappeti musivi ha elaborato un’interessante teoria; i due ambienti sono decorati con mosaici che si rifanno ad un repertorio zoo e fitomorfo, molto in voga nell’Occidente del III secolo, ma pur appartenendo allo stesso stile sono molto notevoli le differenze tra le due sale: da una parte l’aula Nord presenta una decorazione priva di elementi antropomorfi97 e si affianca, quindi, alla linea del canone 36 del concilio di Elvira, che si schiera contro le pitture e l’idolatria98; dall’altra parte l’aula Sud presenta, invece, medaglioni con immagini umane: busti maschili e femminili anonimi all’interno di clipei immortalano, probabilmente, i patroni dell’edificio. Partendo da tale constatazione, Testini ipotizza che la sala settentrionale sia la vera e

93

TESTINI, 1982, p. 390-391. 94

KRAUTHEIMER, Early Christian and Byzantine Architecture, Harmondsworth 1965, p. 24. 95

In età paleocristiana si ha nell’Italia settentrionale una certa diffusione dello schema della basilica doppia. Secondo Hurbert le cattedrali che rispondono a tale schema sarebbero: Albenga, Aquileia, Bergamo, Brescia, Como, Concordia, Feltre, Grado, Milano e Parenzo, Pavia (molto studiata da Krautheimer), Torino, Trento, Trieste, Vercelli e Nesazio (chiesa non episcopale). In precedenza era stata già considerata basilica doppia anche la cattedrale di Verona e in seguito si aggiungono all’elenco anche Pola, Mantova, Vicenza, Cremona e Zuglio. Bisogna sottolineare, però, che esistono riscontri archeologici solo per pochi centri, cioè: Aquileia, Brescia, Concordia, Grado, Nesazio, Parenzo, Pola, Verona, Trento e Zuglio.

96

TESTINI, 1982, p. 391-394. 97

Sono presenti, però, iscrizioni musive che riportano il nome di benefattori della chiesa aquileiese. Nessuno, a parte il vescovo Teodoro, è noto, né siamo in grado di spiegare la differenza che corre tra i personaggi ritratti nell’aula Sud e quelli ricordati dall’iscrizione nella Nord. Penso che potrebbe essere interessante confrontare da questo punto di vista i mosaici e verificare se si ha corrispondenza, quanto meno per il sesso, tra le raffigurazioni e i nomi.

98

Placuit picturas in ecclesia esse non debere, ne quod colitur et adoratur in parietibus depingatur. Anche nella

domus ecclesiae di Dura Europos troviamo un analoga differenziazione di tematiche tra l’ambiente del battistero e

quello adibito alle funzioni. Più difficile stabilire se esistesse una corrente di comportamento unica o se ciascuna comunità si regolasse autonomamente.

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propria aula di culto riservata ai soli battezzati, mentre la sala meridionale sia destinata ai catecumeni99.

Inoltre, in prossimità del verosimile ingresso all’aula Nord troviamo i resti di un’iscrizione non più leggibile e di un apprestamento costituito dal raddoppio del muro perimetrale dell’aula intermedia con un’ipotizzabile funzione di vestibolo100. Data la particolarità di tale accesso, la Cantino Wataghin101 pensa che l’aula Nord abbia un rilievo maggiore rispetto a quella meridionale. All’interno delle aule si possono rilevare elementi che mostrano una certa suddivisione funzionale degli spazi: non solo tracce di transenne, ma anche l’organizzazione del disegno musivo102.

Una interpretazione sensibilmente diversa è offerta da Paolo Piva103. Tale studioso, basandosi sull’interpretazione di iscrizioni e raffigurazioni musive, pensa di poter evidenziare la funzione dell’aula Sud. In primo luogo, qui si trova un’iscrizione che si riferisce al vescovo Teodoro: Theodore feli[x] / [a]diuvante Deo omnipotente et / poemnio

caelitus tibi / [tra]ditum omnia / baeate fecisti et / gloriose dedicas/ti. Secondo Piva “dopo

che il gragge ti fu affidato dal cielo” potrebbe testimoniare che in questa aula avvengono le riunioni di tale gregge, ovvero i riti domenicali104. In secondo luogo, la quarta campata della meridionale è decorata dal ciclo di Giona105 che nell’iconografia paleocristiana richiama la morte e risurrezione di Cristo: la presenza di tale motivo potrebbe collegare l’aula al rito eucaristico. A questo punto Piva ipotizza che la teodoriana Nord sia destinata agli uffici di lode dei giorni feriali; per dimostrare tale ipotesi si rifà agli elenchi di letture per l’anno liturgico che egli attribuisce a Fortunaziano, vescovo di Aquileia, in cui appaiono letture in madodinis e ad madodinas, nonché Exhortationes matutinales: secondo Piva tali testimonianze garantiscono, per la chiesa aquileiese, l’esistenza di riti feriali che si celebrerebbero nell’aula settentrionale, dove si riuniscono catecumeni e fedeli106. Lo stesso studioso, inoltre, vede nell’aula Nord un ambiente di pertinenza vescovile, poiché qui si trova un’iscrizione musiva riferita a Teodoro: Theodo]re felix/ hic

99

Infatti il divieto di raffigurazioni iconiche riguarda solo l’ecclesia e di conseguenza un ambiente di tipo diverso non subisce tali restrizioni.

100 CANTINO WATAGHIN, 1996, p. 117. 101 CANTINO WATAGHIN, 1996, p. 117. 102 CANTINO WATAGHIN, 1996, p. 117. 103 PIVA, 1996. 104 PIVA, 1996, p. 76. 105

La superficie di tale mosaico risulta intaccata da incassi che potrebbero essere collegati alla collocazione di una cattedra. Anche un altro mosaico della stessa aula, quello della Vittoria, riporta simili segni, qui da riferire ad un ciborio sormontante un altare fisso.

106

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crevisti/ hic felix, che secondo Piva garantisce al vescovo l’uso esclusivo di tale aula107. Questa ipotesi si basa, però, anche su argomentazioni, a mio parere, più convincenti, legate all’interpretazione dell’ampio corridoio centrale che unisce le due aule e consente l’accesso a quella settentrionale. Considerando che la teodoriana Nord è raggiungibile unicamente da tale corridoio, non mi pare irragionevole ipotizzare un certo collegamento tra le funzioni dei due ambienti. Entrando nei particolari, Piva vede in tale corridoio la sala d’udienza del centro episcopale aquileiese, ovvero il secretarium. Questo termine si riferisce ad un vano tipico dei centri episcopali caratterizzato da molteplici funzioni: qui si riuniscono concili e sinodi, si raccoglie il clero e si dà udienza ufficiale108

Infatti, come sostiene Müller-Wiener109, gli elementi che permettono di distinguere una casa privata da un palazzo vescovile sono il portico interno colonnato, il portale a timpano e la sala delle udienze110; di conseguenza non è sbagliato ipotizzare anche per Aquileia la presenza di un tale ambiente. Se, poi, analizziamo a fondo le fonti letterarie questa ipotesi si trasforma in certezza. Sotto il nome di Ambrogio, infatti, vanno gli atti di un concilio tenutosi nel 381, proprio ad Aquileia111; poiché tali eventi hanno luogo, per lo più, all’interno di complessi ecclesiastici è pacifico che sia proprio il complesso della cattedrale urbana ad ospitare questa riunione. Secondo altri il secretarium della teodoriana coincide con l’aula meridionale, ma a tal proposito Piva112 obbietta che la sala delle udienze ha tradizionalmente una posizione legata a quella dell’atrio113, tale aula misurando 37 per 20 metri si presenta così come un ambiente tutt’altro che angusto ed, infine, il continuo uso liturgico non può permettere il tranquillo svolgersi delle riunioni114. Anche la Bertacchi vede in tale aula intermedia una sala per le udienze o un consignatorium; tale interpretazione deriva dall’aver constatato per l’ampio corridoio un elemento comune alle due aule: i tre ambienti possiedono predisposizioni per cancelli, che separano buona parte del vano da un settore più ristretto. L’archeologa suppone che anche per il grande corridoio imtermedio tale divisione abbia delle funzioni di tipo sacrale sì, ma di segno diverso, ovvero potrebbe avere scopi di rappresentanza episcopale115.

107

Secondo Piva l’iscrizione connota l’aula a cui appartiene come ambiente di pertinenza vescovile, al di là del significato spirituale o materiale del termine crevisti. Si veda: PIVA, 1996, pp.75-76.

108 PICARD, 1989, pp. 87-104. 109 MUELLER-WIENER, , 1983. 110 PIVA, 1996, p. 75. 111

Il concilio è presieduto dai vescovi Ambrogio e Valeriano contro i vescovi ariani Palladio e Secondiniano. 112

PIVA, 1996, p. 75. 113

Si pensi a S. Pietro in Vaticano e a S. Giovanni in Laterano. 114

BERTACCHI, 1985, p. 366. 115

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6: LA DOMUS EPISCOPALIS TEODORIANA

A questo punto, mi pare opportuno approfondire l’argomento della domus episcopalis, cioè gli ambienti in cui il vescovo e i suoi collaboratori svolgono tutte le funzioni non propriamente liturgiche che riguardano la loro comunità. Prima di tutto, bisogna dire che i palazzi episcopali tardoantichi non sono molto studiati: da una parte gli scavi archeologici si sono concentrati specificamente sulle chiese e dall’altra tali edifici non sono ben riconoscibili perché non rispondono ad uno schema fisso, ma sono condizionati dalle esigenze e dalle condizioni del luogo in cui sorgono e della comunità che rappresentano. All’interno dei centri episcopali, comunque, si può individuare una serie di ambienti utilitaristici, che, al di là delle loro realizzazioni, sono costantemente presenti. Un elemento importantissimo è, come abbiamo visto, la sala delle riunioni o secretarium, che spesso è accompagnata da ambienti di tipo amministrativo come uffici e archivi; a volte troviamo anche il salutatorium, un ambiente di minore prestigio che possiede, però, funzioni simili a quelle del secretarium: viene utlizzato come sala per le udienze, ma anche come parlatorio o semplice sagrestia116. Di certo non possono mancare, poi, l’abitazione del vescovo, le stanze per i sacerdoti di passaggio, mentre altri vani adibiti ad esempio a biblioteca o a cappella non sono indispensabili. Infine, col passare del tempo, e con l’ampliarsi dell’edificio e dei poteri vescovili, si può pensare alla costruzione di magazzini e depositi, ma anche di ospizi e ospedali117.

Per quanto riguarda l’episcopio di Aquileia, sono attestate diverse fasi: l’ultima è quella degli horrea nuovi, mentre la prima è, ovviamente, quella del complesso teodoriano. Le notizie a riguardo sono poche e neanche gli scavi offrono certezze, ciononostante sono state fatte delle ipotesi molto interessanti. Luisa Bertacchi sostiene che gli ambienti della

domus episcopalis si sviluppino al centro della struttura ad U formata dalle tre sale, tra

l’entrata al complesso e il cortile interno. La studiosa ritiene che il corridoio ad Est del supposto secretarium sia un ambiente di disimpegno, probabilmente coperto alle sue estremità per la presenza di mosaici, mentre la parte centrale lastricata in pietra sembrerebbe all’aperto; in questo settore si trova anche un pozzo, forse residuo di una sistemazione precedente. Tra questo corridoio e l’aula meridionale si trova una serie di ambienti mosaicati o pavimentati con cotto. In essi si può individuare l’abitazione del vescovo118, un grande cortile lastricato e il battistero teodoriano 119. Inoltre si può notare la

116

PICARD, 1989, pp. 87-104. 117

BERTACCHI, 1985, p. 362.

118 Secondo la Bertacchi l’iscrizione rinvenuta nella teodoriana settentrionale (Theodo]re felix/ hic crevisti/ hic felix) testimonia che il vescovo abbia abitato in tali ambienti. Altri studiosi interpretano tale iscrizione come prova del fatto che il complesso sia stato costruito sulla casa del vescovo. Tale ipotesi non è in nessun modo accettabile, poiché, sotto il

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presenza di un portico presso l’entrata del complesso e un cortile quasi quadrato tra il portico e il battistero, a metà del lato orientale dell’edificio.

7: LE BASILICHE POST-TEODORIANE120

L’espressione complesso post-teodoriano, a mio parere, non è particolarmente funzionale alla descrizione delle evoluzioni che coinvolgono il primitivo complesso teodoriano. Infatti, se il centro episcopale progettato da Teodoro è caratterizzato da un progetto unitario che integra le sue diverse parti in uno stesso quadro, le costruzioni che nei decenni successivi sostituiscono la domus ecclesiae si mostrano, invece, come parti di progetti diversi realizzati in tempi diversi senza, probabilmente, la volontà di creare un insieme organico.

L’evoluzione della cattedrale aquileiese non è lineare: quello che è chiamato comunemente complesso post-teodoriano viene a sostituire l’impianto precedente in modo molto graduale, tanto che potrebbe essere più opportuno parlare di fasi di evoluzione post-teodoriana. Inoltre resta abbastanza difficile collocare nel tempo tali sviluppi, col risultato di ricavare soltanto periodizzazioni abbastanza imprecise.

La prima fase è senz’altro quella che vede una grande ristrutturazione per l’ala settentrionale del complesso originale: l’aula Nord viene sostituita dalla basilica post-teodoriana settentrionale. Durante i lavori di costruzione l’intera vita liturgica si svolge all’interno dell’aula meridionale e di quella intermedia.

La seconda fase si realizza immediatamente dopo, quando, una volta terminati i lavori, si ha un netto cambiamento nell’equilibrio di tutto il complesso: non solo centro del complesso diviene la nuova basilica, molto più grande rispetto alle aule teodoriane, ma anche viene cambiato l’orientamento dell’impianto, visto che l’ingresso si trova ora ad Ovest e non più a Est; si crea, poi, un dislivello di 50 centimetri121 tra l’aula meridionale e la basilica settentrionale122, di conseguenza le vecchie strutture subiscono una certa emarginazione rispetto a quella nuova. Inoltre lo spostamento del baricentro spinge i costruttori ad edificare un nuovo battistero a ridosso del lato meridionale e del

complesso teodoriano sono stati trovati, sì, i resti di una domus, ma essa è ormai datata unanimamente all’età augustea e non a quella tardoantica.

119

BERTACCHI, 1985, p. 367. 120

Si veda la tavola in appendice. 121

Tale dislivello inizialmente non è previsto, infatti, gli scavi archeologici effettuati dalla Bertacchi (BERTACCHI, 1980, p. 224) mostrano che in un primo momento la basilica post-teodoriana settentrionale cerca di riutilizzare i pavimenti musivi dell’aula teodoriana. Tale progetto viene, però, abbandonato con l’acquisto di un terreno ad occidente del complesso, che permette così un importante ampliamento della chiesa, ma condiziona, con il suo dislivello, l’intera basilica, la quale deve essere costruita su un piano più alto rispetto a quello iniziale. Inoltre, anche l’ingresso è spostato sul terreno recentemente acquistato, cioè ad Ovest.

122

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quadriportico antistante123. L’edificazione della basilica è datata, verosimilmente, alla metà, seconda metà del IV secolo124.

A questo punto si dovrebbe parlare, dunque, di terza fase, ovvero della costruzione della basilica post-teodoriana meridionale, che viene datata a fine IV secolo o durante la seconda metà del V, una cronologia, dunque, piuttosto incerta125. Il dibattito126 su tale edificio riguarda anche il suo rapporto con la basilica settentrionale: ci si chiede se i due edifici siano stati contemporaneamente in uso o se la chiesa più recente abbia sostituito l’altra, che mostra segni indiscutibili di incendio127.

Dopo tale incendio l’antico edificio viene completamente obliterato, ma sui suoi resti, secondo Brusin, vengono erette alcune strutture di dimensioni più piccole128. Per quanto riguarda il complesso post-teodoriano, mi pare molto interessante osservare che nella stessa basilica e nel portico antistante si trovano numerose sepolture di età tardoantica: alla basilica si associa, quindi, una funzione cimiteriale urbana abbastanza precoce, che la Cantino Wataghin legge come ad sanctos. Tale ipotesi non sembra affatto irragionevole se si considera che da una parte ad Aquileia si trovano diverse chiese martiriali su aree cimiteriali e dall’altra non è affatto da escludere l’arrivo di reliquie orientali in concomitanza con l’inaugurazione della basilica concordiese. Dunque si potrebbe pensare che nel complesso post-teodoriano, se non addirittura in quello teodoriano129, si trovi parte delle famose reliquie degli apostoli130. A mio parere tale ipotesi non è totalmente convincente. Nel caso della post-teodoriana meridionale può essere interessante considerare la possibilità della presenza di reliquie, soprattutto se si opta per una datazione bassa della basilica; nel caso delle teodoriane, invece, credo che in mancanza di dati più precisi sia meglio negare la presenza di tali resti considerando che saremmo di fronte ad una manifestazione molto precoce di tale pratica; inoltre, secondo la tradizione, le reliquie sarebbero arrivate in Italia del Nord sullo scorcio del IV, cioè dopo la costruzione della post-teodoriana Nord.

La basilica post-teodoriana Nord è la prima basilica vera e propria che viene eretta ad Aquilieia. La datazione, come abbiamo detto, è solo approssimativa, ma un dato

123 CANTINO WATAGHIN, 1996, p. 118. 124 CANTINO WATAGHIN, 1996, p. 118. 125 CANTINO WATAGHIN, 1996, p. 118. 126 CANTINO WATAGHIN, 1996, p. 118. 127

Secondo alcuni potrebbe trattarsi dell’incendio attiliano. 128

BRUSIN, 1934. 129

Tavano penserebbe alla deposizione delle reliquie nell’aula meridionale. 130

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cronologico può venire dalla testimonianza di Atanasio di Alessandria131 da cui si può dedurre che nel 345 tale edificio sia ancora in costruzione, perché lo stesso santo, ad Aquiliea per la Pasqua, presenzia ad una messa celebrata all’interno di un cantiere. La maggior parte degli studiosi, poi, data gli inizi dei lavori sotto l’episcopato di Fortunaziano132.

La basilica è quattro volte maggiore dell’aula teodoriana che sostituisce e misura 73 metri per 31. Presenta tre navate, ma ricalca le proporzioni di una planimetria a cinque: all’interno della chiesa il colonnato si trova nella posizione, in cui si troverebbe il colonnato esterno in una basilica a cinque navate con il risultato che la navata centrale appare eccessivamente ampia e sproporzionata133. Davanti alla chiesa si estende un ampio nartece quadriporticato, che nella sua parte scoperta misura 31 metri per 17 ed è quindi nella sua totalità più ampio del lato minore della basilica.

Tavano pensa che il nuovo impianto occupi parte di una strada pubblica e che questo mostri verso il mondo esterno un nuovo atteggiamento, caratterizzato dal deciso imporsi della nuova fede: secondo alcuni archeologi il nartece di tale basilica occuperebbe la strada pubblica antistante la chiesa mostrando così un atteggiamento nuovo nei confronti del contesto urbano; secondo Tavano, poi, tale atrio avrebbe, rispetto alla città, una funzione di diaframma o di raccordo; questo elemento architettonico, però, potrebbe anche assumere un significato diverso se si considera l’occupazione del suolo pubblico: un appropriamento che testimonia la forza e l’autorità della chiesa; tale prestigio è, secondo lo stesso archeologo, da collegare alla benevolenza di Costanzo presente in questa chiesa durante le celebrazioni pasquali del 345134. Inoltre lo stesso Tavano dà una particolare importanza alla collocazione occidentale dell’ingresso: la nuova entrata renderebbe meglio accessibile la chiesa da parte della città con il risultato di superare l’iniziale diffidenza, espressa dall’accesso orientale e defilato delle teodoriane135.

Bisogna, però, dire che l’occupazione della strada pubblica non è un fatto provato dagli scavi archeologici, ma solo un’ipotesi; certo esistono casi simili attestati in altri centri come Brescia e Nesazio, ma nel caso di Aquileia ci si trova nel campo delle supposizioni, tant’è che diversi studiosi negano fermamente tale possibilità. Si pensi alla Bertacchi e alla pianta di Aquileia da lei disegnata, dove nessuna strada è scavalcata dal complesso post-teodoriano; l’archeologa ritiene opportuno negare la presenza di un cardo minore in

131

ATHANAS., Apol. In Constantium imperatorem, 3, 15, in PG 25, cc. 597, 613-614. 132

TAVANO, 2000, p. 348. 133

TAVANO, 2000, pp. 347-348. 134

ATHANAS., Apol. In Constantium imperatorem, 3, 15, in PG 25, cc. 597, 613-614. 135

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questa zona: gli scavi archeologici hanno dato risultati totalmente negativi a riguardo e il fatto stesso che il precedente complesso teodoriano non presenta accessi su tale lato può essere testimonianza dell’assenza di strade da quella parte. Inoltre, Cuscito136 considera più verosimile, osservando piantine e scavi, ipotizzare che siano i grandi horrea tardoantichi e il complesso teodoriano a scavalcare eventuali strade: per quanto riguarda il centro post-teodoriano ritiene, invece, opportuno negare ogni estensione sul suolo pubblico.

A mio parere, l’ipotesi del nartece che si sovrappone al cardo minore non è accettabile: da una parte le ricerche archeologiche non hanno evidenziato alcuna traccia di tale strada; dall’altra considero sbagliati i presupposti di base, giacché si parte dall’idea che il complesso originale sia deliberatamente orientato ad Est come scelta di basso profilo; secondo me tale supposizione è sbagliata perché non c’è motivo di avere un tale atteggiamento di difesa e se ci fosse stata una strada sul lato Ovest, ritengo che non ci sarebbero stati problemi ad aprirvi un accesso.

Secondo la Verzàr-Bass, poi, la costruzione della nuova basilica ha un valore che va ben oltre quello architettonico e urbanistico, perché, rappresenterebbe la prova dell’affermazione della chiesa nei confronti della realtà urbana aquileiese e delle sue istituzioni, che devono riconoscerne il ruolo137.

Infine bisogna aggiungere che il battistero di questa basilica non è architettonicamente indipendente e si sviluppa sul lato meridionale della basilica, mentre a Nord della basilica si estende il complesso episcopale.

La basilica post-teodoriana Sud138 è chiamata anche cromaziana139, misura 67 metri per 29, si erge sui resti di una casa di III secolo e rappresenta l’ulteriore conferma del potere acquisito dalla chiesa di Aquileia. La nuova chiesa scavalca altre insulae140 e, pur mantenendo lo schema rettangolare del complesso teodoriano, dà al centro episcopale un’imponenza molto diversa. Tavano, addirittura, vede nel complesso che s’è delineato una vera e propria cittadella che si erge all’interno della città, contropposta ad essa141. Si deve notare, inoltre, che con la costruzione di questa seconda basilica si potrebbe

136 CUSCITO 1987, p. 184. 137 VERZAR-BASS, 2003, p. 76. 138

Secondo Tavano il modello a cui tale edificio si ispira è da individuare, per il sistema assiale longitudinale (chiesa e battistero), in alcuni ambienti di rappresentanza tardo romani come quelli della villa di Desenzano, ma anche in edifici religiosi come il santuario siriaco del Gianicolo. Si veda: TAVANO, 2000, p. 350.

139

Dal nome di Cromazio, vescovo di Aquileia dal 388 al 408. Uomo di vasta cultura e grande energia organizzativa, contribuisce insieme al vescovo Valeriano (368-388) alla fioritura della chiesa aquileiese.

140

TAVANO, 1983, p. 752. 141

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recuperare il modulo della basilica doppia142; infatti, se si postula una contemporanea attività dei due edifici, ci troviamo di fronte ad un tipico esempio di tale schema, già riscontrato nel complesso teodoriano.

Mi pare, poi, interessante segnalare che per la prima volta con la post-teodoriana meridionale il battistero143 assume una forma archittetonica autonoma: sorge ad occidente in asse con la basilica, ma al di fuori di essa. Il fonte battesimale, però, non rappresenta un corpo isolato rispetto alle due basiliche, poiché, è collegato al nartece antistante la basilica Nord, tramite due lunghi ambienti che creano così un ampio rettangolo lungo 105 metri davanti alle due chiese, col risultato che l’immagine della cittadella fortificata, di cui abbiamo parlato sopra, viene rafforzata. Lo schema che ne deriva potrebbe, poi, aver rappresentato un modello per l’area altoadriatica tardoantica: secondo Tavano, le basiliche di Parenzo e Pola rappresentano delle derivazioni del complesso aquileiese, come anche le cattedrali altomedioevali di Cividale , Feltre e Torcello144.

A mio avviso può essere interessante valutare anche l’evoluzione della domus episcopalis. Con l’edificazione della post-teodoriana settentrionale si ha una nuova sistemazione anche per l’episcopio; a metà del IV secolo, tale complesso viene spostato a Nord della stessa basilica e presenta l’ingresso sul lato settentrionale del quadriportico posto davanti alla chiesa, l’entrata si trova, probabilmente, a metà di tale braccio, dove è stato portato alla luce un lampadario tardo antico di grande pregio145. A tale fase si possono attribuire tre corpi di fabbrica, da considerare collegati visto il carattere dei mosaici e la corrispondenza del livello dei pavimenti. Dall’analisi di alcune basi di pilastri rinvenute in questi ambienti, si può ipotizzare che esistesse un piano superiore e qui si trovasse una grande sala, forse per le riunioni146.

La presenza del centro episcopale, prima teodoriano e poi post-teodoriano, ha un certo peso all’interno dell’urbanistica aquileiese perché porta senz’altro importanti cambiamenti soprattutto all’interno del quartiere in cui sorge. Alcuni studiosi, come abbiamo visto, hanno ipotizzato un vero e proprio spostamento del centro cittadino dall’area forense a quella meridionale147. Senz’altro la presenza di queste strutture porta una nuova vitalità nel quartiere e va collocata all’interno di una più ampia rinascita tardoantica di tutta la 142 TAVANO, 2000, p. 351. 143 CUSCITO 2004 B, p. 526. 144 TAVANO, 1983, pp. 76-78. 145 BERTACCHI, 1985, p. 367. 146 BERTACCHI, 1985, p. 373-374. 147

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zona Sud di Aquileia: qui vengono costruiti i grandi horrea, il circo, le grandi terme ed anche il palazzo imperiale148. Nel IV secolo, la città, dunque, risulta sempre più rivolta a tale quartiere149

8 : LE BASILICHE EXTRA-URBANE

8.1 SAN GIOVANNI AL FORO

La chiesa di S. Giovanni al Foro non è giunta fino ai nostri giorni, ma è stata demolita nel 1852. Comunque, l’indagine archeologica ha recuperato importanti informazioni che si possono poi confrontare con le planimetrie realizzate nel XIX secolo. La chiesa si trova presso l’attuale piazza S. Giovanni, immediatamente fuori dalle mura antiche, a Sud-Ovest della città. La natura di tale basilica è quasi sicuramente cimiteriale: gli scavi hanno rinvenuto un nartece, presso il quale, sia all’interno che all’esterno, si sono trovate numerose tombe databili tra IV e V secolo150. Secondo la Bertacchi151 tale basilica potrebbe presentare una pianta a croce latina con navata unica, essa misura 27 metri per 9,40 e possiede un transetto di 16,40 metri. La Vigi Fior rileva, poi, una convergenza regolare delle pareti longitudinali verso il fondo e la presenza di cappelle absidate sul transetto152. Si può ipotizzare che il complesso sia collegato ad un culto martiriale: dal

Martyrologium Hieronymianum153 sappiamo che alla fine del IV secolo arrivano ad

Aquileiea alcune reliquie di Giovanni evangelista, che potrebbero essere collocate qui, visto il nome della chiesa. Se si accetta tale ipotesi è facile capire come il sito attragga numerose sepolture che trovano così una collocazione ad sanctos. Nel tardoantico tale zona vive un grande sviluppo: nel V secolo si avrà una contrazione delle mura che escluderà la zona del foro e valorizzerà l’area di S. Giovanni, assorbita dalla nuova cinta e qui verranno collocati gli organi direzionali della città154. Rita Lizzi155 ipotizza che la chiesa di S. Giovanni sia la basilica apostolorum di Cromazio, visto che la planimetria a croce di questo edificio richiama strutture datate all’età ambrosiana ed ha un forte valore simbolico. La Lizzi, quindi, crede che il vescovo di Aquileia, sotto l’influenza del collega 148 TAVANO, 2000, p. 339. 149 CUSCITO, 2004 B, pp. 525-526. 150 CUSCITO, 2004 A, p. 217. 151 BERTACCHI, 1972. 152 VIGI FIOR, 1980. 153

Tale martirologio è redatto probabilmente tra Aquileia e Milano in un lasso di tempo che va dal 431 al 450. Il codice Bernese, uno dei codici che ci ha tramandato il Martyrologium, attesta che il tre settembre viene dedicata una basilica. Gli altri codici parlano soltanto dell’arrivo di reliquie.

154

CUSCITO, 2004 A, p. 218. 155

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milanese, abbia deciso di attribuire tale schema ad una basilica importante come quella destinata a conservare i resti degli apostoli, che, appunto per la presenza di reliquie, rientra nella politica di evangelizzazione ambrosiana. Inoltre, la stessa studiosa osserva che S. Giovanni possiede un ruolo abbastanza importante all’interno dell’opera di Cromazio: il sermone pronunciato durante la consacrazione della basilica concordiese riserva molto spazio a tale santo e, d’altra parte, ben due prediche sono interamente dedicate a questo apostolo156. Nella zona dell’immediato suburbio della città si trovano, poi, altre chiese: a Nord-Ovest sulla via per Terzo si trovano: S. Stefano posto in un borgo con una qualche funzione economica; S. Andrea, poi divenuta S. Antonio; le due basiliche, forse paleocristiane, di S. Felicita e S. Cosmo; infine si possono ricordare a Nord-Est S. Siro e la chiesa dedicata alle quattro vergini, a Nord-Ovest S. Silvestro. Tali edifici, però, potrebbero essere di origine alto medievale157.

8. 2 MONASTERO.

Un’altra basilica paleocristiana suburbana si trova nella località di Monastero, a Nord-Ovest della città. La datazione è piuttosto dibattuta: c’è chi, come la Bertacchi, la pone nel V secolo e c’è chi propone una cronologia più alta, come Brusin e Tavano. Il nome non deve trarre in inganno: per la fase tardoantica non abbiamo nessuna testimonianza di un impiego monastico, che si trova invece a partire dal X secolo.

Gli scavi hanno, inoltre, riportato alla luce un quartiere popolare caratterizzato dalla presenza di edifici con piccoli vani, chiamato vicus provincialium e frequentato soprattutto da orientali legati alle attività del porto. Monastero appare per la sua configurazione, non tanto una propaggine extra-muraria di Aquileia, quanto un vero e proprio borgo autonomo. In tale località sono state, poi, rinvenute numerose tombe, che sembrerebbero indice di una necropoli tardo romana. Bisogna, poi, notare che tale sito non sembra legato esclusivamente alla religione cristiana: secondo Maionica158 nella zona Sud si troverebbero i resti di un mitreo, mentre per altri studiosi si potrebbe collocare qui un tempio di Iside e Serapide.

La chiesa medievale probabilmente insiste su quella tardo antica. La fase originaria è rappresentata da un’aula a navata unica delle misure di 16,85 metri per 48,25, con abside internamente circolare e esternamente poligonale. Nell’area antistante si trova un nartece più largo del lato breve della chiesa e provvisto di tre porte di ingresso; sul lato sinistro di 156 Sermones 21 e 22. 157 CUSCITO, 2004 B, pp. 535-536. 158

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tale struttura si trovano, poi, tombe di particolare rilievo. La basilica si presenta molto diversa rispetto al complesso episcopale cittadino, può aver avuto una funzione cimiteriale e insieme di servizio per la zona in cui sorge159.

Alcuni studiosi, ormai pochi, ipotizzano per tale complesso una precedente fase di sinagoga che sarebbe andata distrutta per un incendio doloso verso il 388, anno della morte del filopagano e filoebreo Magno Massimo e della sconfitta dei suoi sostenitori160. Tale ipotesi si basa sul rinvenimento di donatori orientali sul pavimento più antico della chiesa e, in special modo, sulla scoperta di una epigrafe particolare che riporta l’acclamazione d(omi)n(o) Sab(aoth). Al di là di tale identificazione, si può ragionevolmente credere che ad Aquilieia si trovi una sinagoga: da una parte la presenza di una numerosa comunità ebraica potrebbe comportare l’esigenza di tale struttura, dall’altra Lellia Cracco Ruggini pensa di trovare un riferimento ad essa in un oscuro passo di Ambrogio161.

8. 3 BELIGNA

A circa due chilometri dalle mura cittadine, in una località chiamata Beligna sorge un complesso basilicale paleocristiano con pianta a croce162. Esso si trova ad Ovest della strada che da Aquilieia porta a Grado, su un dosso in posizione sopraelevata rispetto ai circostanti impaludamenti. La basilica viene comunemente chiamato della Beligna o del Fondo Tullio, infatti gli studiosi ignorano la titolatura originale di tale chiesa163. L’edificio presenta delle dimensioni paragonabili a quelle del complesso post-teodoriano e molto più ampie rispetto alle altre chiese suburbane. La pianta presenta un’abside circolare e si articola in un corpo centrale lungo circa 53 metri, diviso in tre navate e attraversato da un ampio transetto. All’interno della chiesa sono stati, poi, trovati i resti una abside poligonale; tra le due strutture absidali si articola uno spazio finemente decorato: Piussi ipotizza che tale deambulatorio abbia una finalità martiriale e crede che in questa basilica si trovino le reliquie degli apostoli164. Anche Mirabella Roberti opta per tale identificazione e ritiene che l’abside sia stata edificata allo scopo di contenere le preziose reliquie e sia precedente al resto dell’impianto. Inoltre, Piussi e Mirabella Roberti 159 CUSCITO, 2004 B, p. 551. 160 CUSCITO, 1987, p. 190. 161

AMBR. Ep. 40, 8. Si tratta di una missiva inviata a Teodosio da parte di Ambrogio, che si trova ad Aquileia per l’elezione del vescovo Valeriano nel dicembre 388. Ambrogio parlando della distruzione della sinagoga di Callinico, fa qui un cenno alla provvidenziale distruzione di quella aquileiese.

162 CUSCITO, 2004 A, p. 225. 163 CUSCITO, 2004 A, p. 225. 164 PIUSSI, 1978, pp. 466-468.

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