• Non ci sono risultati.

CAPITOLO 2 La gestione dell’azienda museo.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "CAPITOLO 2 La gestione dell’azienda museo."

Copied!
55
0
0

Testo completo

(1)

CAPITOLO 2

La gestione dell’azienda museo.

SOMMARIO: Introduzione – 2.1 Missione, obiettivi, statuto – 2.2 Le interrelazioni con l’ambiente – 2.3 Il marketing e le altre opzioni strategiche – 2.4 Il processo di direzione aziendale e il profilo organizzativo – 2.4.1 Il TQM come filosofia organizzativa – 2.5 Alcuni aspetti sulla rendicontazione e comunicazione delle

performance gestionali.

Introduzione

Abbiamo concluso il primo capitolo cercando di motivare, sulla base della situazione gestionale ed istituzionale presentata, l’applicazione di alcuni strumenti tipicamente aziendali all’azienda museo. In linea con tale capitolo, l’obiettivo del secondo è quello di indicare le essenziali tecniche gestionali che le istituzioni museali dovrebbe utilizzare per un loro migliore funzionamento in termini di efficacia, efficienza ed economicità.

Infatti, le istituzioni museali, come ogni altra azienda, debbono essere in grado di creare le più opportune condizioni per lo svolgimento delle loro complesse attività. Ciò significa intendere per gestione quel processo che permette di amministrare i vari fattori di produzione, nel nostro caso principalmente il lavoro umano, e di raggiungere quell’equilibrio economico-finanziario necessario per la sopravvivenza e lo sviluppo dell’istituzione stessa. Tale processo viene comunemente suddiviso in due fasi: la definizione della gestione strategica e quella della gestione direzionale [Sciarelli, 1997].

(2)

La gestione strategica è la gestione di tipo imprenditoriale: riguarda sia la determinazione degli obiettivi di lungo periodo sulla base delle finalità, delle risorse aziendali e dei cambiamenti strutturali e congiunturali dell’ambiente operativo, sia la determinazione, nel quadro della strategia globale d’azienda, di obiettivi di breve periodo a livello di particolari aree decisionali (sub- strategie) [Sciarelli, 1997]. Secondo Pellicelli [2005, pag. 8-9], può essere quindi definita come “il processo mediante il quale un’organizzazione:

- fissa gli obiettivi di lungo termine che intende raggiungere - individua le proprie forze e debolezze e le proprie capacità di

competere

- individua opportunità e minacce esterne

- decide le azioni per raggiungere gli obiettivi e i tempi relativi - sceglie tra le varie opzioni che si presentano

- modifica i piani per quanto è necessario al fine di adattarsi al

cambiamento, e valuta i risultati ottenuti”.

La gestione direzionale è invece il passaggio dalla strategia all’azione: è il “momento direttivo ovvero il passaggio dalle decisioni

all’esecuzione. È questo un momento complesso perché richiede lo sviluppo delle decisioni di fondo assunte a livello imprenditoriale, la predisposizione delle risorse necessarie, la trasmissione delle decisioni ai livelli dell’esecuzione e, infine, la valutazione dei risultati, la gestione direzionale si articola secondo un processo che vede i suoi momenti essenziali nella programmazione, nell’organizzazione, nella conduzione e nel controllo e che richiede un’apposita organizzazione (struttura direttiva) e un complesso di procedure (sistemi direttivi)” [Sciarelli, 1997, pag. 116].

Nella cornice teorica qui adottata, il seguente capitolo è stato costruito seguendo le fasi che caratterizzano il tipico processo di gestione aziendale, ovvero:

(3)

- la determinazione della missione del museo e, sulla base di questa, l’individuazione degli obiettivi di lungo termine e di breve termine

- l’analisi ambientale interna ed esterna - l’individuazione delle opzioni strategiche

- la realizzazione delle strategie attraverso precise scelte organizzative

- la valutazione delle performance.

2.1 Missione, obiettivi, statuto

Il museo italiano, per un lungo periodo, si è caratterizzato come un istituto non regolato da norme specifiche, senza una identità autonoma e finalità proprie, ad eccezione di quelle di custodia e conservazione, in quanto unità funzionale di enti sovraordinati e pertanto raramente dotato di statuti o regolamenti che né dichiarassero in modo esplicito finalità e funzionamento [§ Cap. 1.1]. Da questa assenza di autonomia e di identità giuridica è dipeso il mancato obbligo di definire chiaramente la missione, e di conseguenza gli obiettivi e le modalità operative per raggiungerli.

Per ciò la definizione di uno statuto o di un regolamento è il primo requisito richiesto alle istituzioni museali dal già citato Atto di indirizzo sui criteri tecnico scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei1, così come dal Codice di

1 Gli elementi obbligatori da adattare caso per caso alle specifiche caratteristiche di ciascun

museo, che costituiscono le linee guida per la redazione di uno statuto e/o regolamentoche tenga conto della missione del museo, delle sue scelte organizzative e delle politiche intraprese, sono: - Denominazione e sede - Finalità - Funzioni o compiti - Ordinamento interno - Patrimonio - Personale - Assetto finanziario

(4)

deontologia dell’ICOM2. Infatti, dotare i musei di tali documenti equivale a riconoscere loro uno status giuridico ed assicurare compiti e funzioni precisi al fine di portare a termine la loro specifica missione e per “favorire una maggiore riflessione della direzione su tutti gli

aspetti della vita del museo, sollecitando tutti gli operatori al conseguimento di obiettivi condivisi e consentendo inoltre di registrare nel tempo i risultati, la storia e i mutamenti di rotta

dell’istituzione” [Maresca Compagna, 2005, pag. 55].

In realtà, l’obbligo di dotarsi di uno statuto era già stato previsto per tutti quei musei dotati di personalità giuridica disciplinati dal C.C. al Titolo II, Capo I, II e III, mentre l’obbligo di dotarsi di un regolamento era già stato previsto per i musei non statali3; quindi l’obbligatorietà non è l’aspetto innovativo [Marchi, 2001], ma lo è il ruolo assunto da questi documenti, in quanto costituiscono il punto di riferimento per orientare l’attività ed organizzare il funzionamento di ogni museo.

In virtù di quanto detto, lo statuto dovrebbe essere definito per iscritto alla nascita dell’istituzione museale, poiché innanzi tutto ne esplicita la condizione di esistenza (status giuridico) e la sua ragione d’essere (mission). La missione, in particolare, da vita all’identità, indicando il progetto generale e le priorità a cui l’istituzione museale ispira la sua intera gestione. Ma va anche oltre l’enunciazione dei motivi di esistenza, poiché con la sua formulazione ogni organizzazione intende definire gli obiettivi di lungo termine, i campi di attività in cui operare, le politiche e i valori che contribuiscono a

- Servizi al pubblico

- Partecipazione.[Ambito I]

2 “Ogni museo deve avere uno statuto scritto o altro documento che ne definisca

chiaramente lo status giuridico, la missione e la natura permanente di organismo senza fini di lucro, in conformità con la legislazione nazionale in materia. L’amministrazione responsabile di un museo deve redigere e rendere pubblici le finalità, gli obiettivi e le politiche del museo, nonché il ruolo e la composizione dell’amministrazione responsabile stessa” [Art. 2.2].

(5)

creare l’immagine di istituzione responsabile verso i vari portatori di interesse.

La sua definizione e divulgazione ha anche un altro vantaggio: comporta la comunicazione del valore pubblico che si vuole creare e quindi la successiva legittimazione del museo agli occhi degli

stakeholders esterni ad esso. Ma per ottenere tale risultato la missione

deve essere preventivamente comunicata a tutti i componenti dell’organizzazione, affinché sia da essi compresa e condivisa; solo così può generare effetti concreti, in primis la capacità di motivare e di unire il personale grazie alla condivisione di un valore.

Compreso il ruolo svolto, all’interno e all’esterno

dell’organizzazione museale, dalla definizione della missione, adesso dobbiamo affrontarne il contenuto. Se fino a pochi anni fa l’unica funzione riconosciuta al museo era quella della conservazione, adesso con il riconoscimento del servizio culturale svolto nei confronti del pubblico, si pone l’esigenza di garantire a chiunque il diritto alla fruizione dei beni culturali. La conservazione e la fruizione sono quindi gli elementi essenziali di cui un museo deve tenere conto nel definire la propria missione. Essa può essere più o meno orientata verso la conservazione o verso la fruizione, ciò dipende dalle istanze dei portatori di interesse, dalla sua storia e dal contesto culturale in cui l’istituzione è nata e vive, considerando che in Italia sono fortemente radicate nel territorio, di cui spesso rappresentano la memoria. Si parla, infatti, di museo diffuso: “qui da noi il museo esce dai suoi

confini, dilaga nelle piazze e nelle strade, occupa le chiese e i palazzi, moltiplica i suoi capolavori nelle città e nelle campagne. Tutta l’Italia è un museo a cielo aperto” [Paolucci in Mottola Molfino e Morigi

Govi, 1996, pag. 36] . “I nostri musei… nascono in massima parte

dalla storia della città del territorio che li ospita, si nutrono di ciò che nelle stesse città è stato prodotto e collezionato, raccontano non solo

(6)

se stessi ma la storia e la cultura del nostro paese” [Settis, 2002, pag. 19].

Qualunque sia l’orientamento preponderante del museo, gli obiettivi e i traguardi di lungo e di breve periodo vanno definiti per ogni attività principale, giacché forniscono in ogni ambito l’orientamento e la motivazione al personale, le linee guida per le decisioni e gli standard per la rilevazione dei risultati. Secondo le studiose Mottola Molfino e Morigi Govi [2004, pag. 9-10] gli obiettivi di lungo periodo devono necessariamente riguardare le “tre

componenti di un museo, che sono anche i suoi capitali: le collezioni,

il contenitore e il pubblico. Gli obiettivi dei musei, in relazione ai

capitali dati, sono:

• per le collezioni: conservare, proteggere, restaurare, esporre,

incrementare il patrimonio, promuovere la conoscenza, lo studio e l’esame scientifico, ricercare e studiare anche oltre le collezioni

• per il contenitore: mantenere e migliorare gli edifici e le sale • per il pubblico: accoglierlo, allargarne le tipologie, aumentare

gli orari e gli accessi, gestire al meglio i servizi, offrire educazione permanente, con sussidi didattici, visite guidate e pubblicazioni specifiche.

Per realizzare questi obiettivi ci vogliono: personale, competenze,

mezzi finanziari, beni strumentali e organizzazione”.

2.2 Le interrelazioni con l’ambiente

I musei, come tutte le organizzazioni, sono sistemi aperti4 che dipendono dalle interrelazioni con l’ambiente in cui operano, da cui traggono le risorse materiali, umane, finanziarie e tecnologiche,

4 “…entità che si formano per effetto dell’interazione tra gli individui, interazione che ha

certamente un fondamento economico, ma anche sociale e psicologico.” [Costa e Giubitta, 2004, pag. 22].

(7)

indispensabili per raggiungere la missione e gli obiettivi che ispirano il processo decisionale dell’istituzione museale. L’ambiente transazionale ha quindi un impatto diretto sulle decisioni strategiche e organizzative prese dalla direzione museale, che non può né essere ignorato né completamente governato.

L’analisi ambientale rappresenta quindi quella fase del processo aziendale che mira ad individuare i punti di forza, di debolezza (analisi interna), le opportunità5 e le minacce6 (analisi esterna) della gestione museale (c.d. analisi SWOT: strengths, weaknesses,

opportunities, and threats), fornendo un quadro della situazione

strategica aziendale che è di supporto al vertice direzionale per la successiva formulazione della strategie al fine di evitare le minacce, cogliere le opportunità, enfatizzare i punti di forza e minimizzare i punti di debolezza [Cuccurullo e Tommasetti in Sibilio Parri, 2004] [Pellicelli, 2005].

L’analisi delle interrelazioni con l’esterno ha lo scopo di valutare il contesto in cui opera l’azienda museo, sulla base delle informazioni relative alla Politica, all’Economia, alla Società e alla Tecnologia, quali variabili dell’ambiente esterno che incidono notevolmente nella creazione di minacce ed opportunità per un’organizzazione (analisi PEST) [Pellicelli, 2005] [Cuccurullo e Tommasetti in Sibilio Parri, 2004].

La politica è la variabile che maggiormente incide nella creazione di minacce ed opportunità per un museo. Da essa infatti dipendono: l’autonomia gestionale e le possibilità di autofinanziamento, oltre ai principi di tutela, fruizione e valorizzazione.

Come abbiamo potuto vedere nel precedente capitolo [§ Cap. 1.1; 1.4], la riforma istituzionale in atto in questi ultimi anni rappresenta

5 Opportunità: tendenze positive o cambiamenti dell’ambiente che possono contribuire a

migliorare i risultati di un’impresa rafforzando o costruendo un vantaggio competitivo. [Pellicelli, 2005, glossario].

6 Minacce: tendenze negative dell’ambiente o cambiamenti che peggiorano i risultati di

(8)

per i musei italiani l’occasione di ottenere l’autonomia gestionale e finanziaria. Ciò significa avere finalmente la possibilità di ottenere e gestire le proprie risorse finanziarie e umane.

Dall’ambiente politico dipende anche la disciplina che regola le elargizioni che confluiscono nelle tasche del museo. Il contributo pubblico rappresenta la fonte principale di finanziamento, soprattutto in considerazione del fatto che, per le ragioni di tipo storico-evolutive in cui sono nati e si sono diffusi, i musei italiani sono per la maggior parte statali o comunque di proprietà pubblica. Questa è una voce delle entrate del bilancio che non può essere eliminata ma che negli ultimi anni rappresenta una minaccia per le istituzioni museali poiché, a causa di esigenze e di pressioni finanziarie sempre più forti7, risulta cronicamente insufficiente. Contemporaneamente il passaggio da un orientamento verso la conservazione ad uno orientato al pubblico e alla qualità ha portato ad una lievitazione dei costi, dovuta anche alla richiesta, da parte del mercato, di una programmazione ed attivazione delle attività quantitativamente e qualitativamente superiori. Ne segue che la somma di queste due minacce ha portato la maggior parte delle istituzioni museali a non riuscire a soddisfare tali istanze, proprio a causa delle esigue risorse annuali di bilancio.

Da ciò il sorgere dell’importanza delle leve di finanziamento come opportunità per reperire i fondi aggiuntivi necessari per ampliare e raggiungere un’offerta idonea e di qualità. Gli introiti derivanti da biglietti e abbonamenti, dalle attività collaterali, dal merchandising, dalle concessioni e dalle donazioni private, sono però limitati: c’è quindi la necessità di trovare nuove forme di finanziamento – dalle sponsorizzazioni e agli interventi delle fondazioni ex bancarie – oltre che ridurre i costi fissi grazie ad una gestione efficiente ed efficace. I responsabili delle istituzioni museali si trovano così a dover affrontare

7 Dovute alle minori sovvenzioni statali per il settore artistico-culturale, e all’interno di

(9)

una vera sfida: attirare l’attenzione del potenziale mecenate, sia esso un’azienda, un privato o una fondazione ex bancaria. Per far ciò devono entrare in una logica economica, dopo anni in cui avevano concentrato la loro attenzione solo sul consenso di decisori pubblici, poiché da loro finanziati. Si presenta allora la necessità di sviluppare capacità manageriali di tipo gestionale e organizzativo, di comunicazione e di marketing, di progettazione e di fund raising [Causi e Ceccon] [Kotler e Kotler, 1999].

La prima leva per reperire i fondi aziendali analizzata è il biglietto

di entrata, un’idea che trova nella letteratura sia dei sostenitori, che la

ritengono un’opportunità, sia degli oppositori, che invece la ritengono una minaccia. Quest’ultimi sostengono la tesi secondo cui l’istituzione dell’ingresso a pagamento è nociva per i musei stessi. Tale tesi si basa sulla considerazione che legare l’entrata alle collezioni al pagamento di un biglietto permette solo un’esigue ricavo (nei migliori casi non superiore al 20% del budget per il funzionamento del museo), che non risolve il problema dell’autofinanziamento, ma anzi, scoraggiando i visitatori: ostacola lo svolgimento del servizio museale, aumenta il costo medio di un visitatore, e riduce l’interesse degli sponsor [Mottola Molfino, 2004]. I difensori della tariffa di ingresso sostengono invece che la domanda non è elastica rispetto al prezzo del biglietto. Abbassando il prezzo del biglietto non si ha un aumento di pubblico significativo, poiché l’ostacolo alla fruizione dei musei non è da ricercare nell’incidenza del prezzo di entrata sul reddito disponibile del visitatore, quanto piuttosto nel background culturale e nella condizione sociale: per determinate categorie di utenti, pensionati, militari, studenti, bambini sono infatti previste delle agevolazioni come l’ingresso gratuito o ridotto, oltre a fasce orarie e giorni gratuiti per tutti.

Di fatto, con il Decreto Legge 276/1996 si è prevista la soppressione della tassa di ingresso ai musei, monumenti, gallerie e

(10)

scavi di antichità statali, e l’istituzione del biglietto di ingresso, prevedendo, inoltre, la possibilità da parte del Ministero di stipulare convenzioni con enti pubblici, privati e altri soggetti per la distribuzione e vendita dei biglietti di ingresso (unici, cumulativi o integrati) e carte museo, anche utilizzando nuove tecnologie informatiche, con possibilità di pre-vendita e vendita presso terzi convenzionati. Il recente Codice Urbani8 prevede inoltre che nel caso di gestione in forma diretta, cioè per mezzo di strutture organizzative interne alle amministrazioni, gli introiti derivanti da istituti e luoghi o beni appartenenti o in consegna allo Stato siano versati alla sezione di tesoreria provinciale dello Stato. Successivamente il Ministero dell’economia e delle finanze riassegna le somme incassate secondo i criteri e nella misura fissati dal Ministero medesimo: in particolare gli introiti derivanti dai biglietti di ingresso devono essere destinati alla realizzazione di interventi per la sicurezza e la conservazione dei luoghi medesimi, nonché all’espropriazione e all’acquisto di beni culturali; gli introiti derivanti dalla vendita dei biglietti d’ingresso agli istituti e luoghi appartenenti o in consegna ad altri soggetti pubblici sono invece destinati all’incremento e alla valorizzazione del patrimonio culturale.

Sulla base della realtà dei musei pubblici italiani, che vuole che il prezzo del biglietto di ingresso sia determinato dall’amministrazione competente a un livello socialmente desiderabile e che i proventi non rimangano al museo, l’ingresso a pagamento, salvo rari casi9 (per lo più riguardanti i musei indipendenti), non può quindi essere considerato una leva strategica di autofinanziamento [Chirieleison, 2002], ma piuttosto un aiuto complementare all’incremento delle risorse di bilancio.

8 Art. 110 del D.Lgs. 42/2004.

9 Tra le eccezioni rientra il caso dell’Opera Primaziale Pisana indagato nel quarto capitolo

(11)

Sotto il profilo economico le attività collaterali non rappresentano una opportunità di finanziamento maggiormente remunerativa rispetto al biglietto di ingresso, soprattutto in considerazione del fatto che non sono attività praticabili in ogni museo. Solo alcuni possono infatti creare lo spazio adatto per il loro svolgimento, visto che la maggior parte dei musei italiani sono situati in edifici storici. La loro importanza non dipende quindi dall’entrate aggiuntive10, ma bensì dalla ricaduta positiva in termini di immagine di organizzazione vitale e moderna, generate da attività come conferenze, corsi di formazione, dibattiti, rappresentazioni teatrali, proiezioni di film, concerti, incontri con le scuole, affitto dei locali, vendita di particolari competenze sviluppate all’interno dell’organizzazione museale [Avorio, 1999].

Una fonte di finanziamento che può invece garantire sostanziali entrate è il merchandising: la vendita di oggetti nei museums shop o per corrispondenza, l’editoria e le royalties derivanti dai diritti sulle riproduzioni.

Molti però, di fronte alla paura che la core activity venga spostata dalla funzione di conservazione e fruizione delle collezioni alla funzione commerciale, si oppongono alla sua adozione.

Per evitare di considerare tale leva come una minaccia, capace di creare delle tensioni all’interno della direzione del museo, è necessario chiarire preventivamente che questa attività sarà svolta coerentemente con la missione, la reputazione e l’immagine del museo, mettendo in secondo piano la mera logica di mercato. Il merchandising deve quindi essere inteso anzitutto come uno strumento per l’educazione, per colmare il desiderio di appropriazione attraverso l’acquisto di oggetti collegati alla collezione, per continuare il dialogo che si è creato fra opere e visitatore durante la visita, per arricchire l’esperienza del visitatore attraverso il miglioramento del servizio

10 Ridistribuite dal Ministero dell’economia e delle finanze nel caso di una gestione in

(12)

complessivo ed infine anche per la promozione del museo stesso. Per questo nella scelta dei prodotti da commercializzare e nella progettazione dei punti vendita interni deve essere rispettata l’identità dell’istituzione museale, la pertinenza con le collezioni, oltre al livello qualitativo.

Altre entrate aggiuntive, nate con la c.d. legge Ronchey, sono rappresentate dalle concessioni per la gestione dei servizi aggiuntivi offerti a pagamento al pubblico nei musei, nelle gallerie, nelle aree archeologiche, nelle biblioteche e negli archivi di proprietà statale, a soggetti privati, ad enti pubblici economici, a fondazioni culturali e bancarie, a società e a consorzi costituiti a tal fine, a cooperative regolarmente costituite, qualora non possano essere svolti mediante le risorse umane e finanziarie dell’amministrazione e qualora risulti finanziariamente conveniente, quando cioè producano aumenti di proventi, nuovi proventi o minori costi11. Per servizi aggiuntivi si intende una molteplicità di servizi per migliorare la qualità della visita ai musei, quali “il servizio editoriale e di vendita riguardante la

riproduzione di beni culturali e la realizzazione di cataloghi e di altro materiale informativo; servizi riguardanti i beni librari e archivistici per la fornitura di riproduzioni e il recapito nell’ambito del prestito bibliotecario; servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba e di altri beni correlati all’informazione museale”12, oltre “ai servizi di

accoglienza, di informazione, di guida e assistenza didattica e di fornitura ai sussidi catalografici, audiovisivi ed informatici, di utilizzazione commerciale delle riproduzioni, di gestione dei punti vendita, dei centri di incontro e di ristoro, delle diapoteche, delle raccolte discografiche e biblioteche museali, dei servizi di pulizia, di vigilanza, di gestione dei biglietti di ingresso, dell’organizzazione delle mostre e delle altre iniziative promozionali”13. Un maggiore

11 Art. 2 del D.M. 139/97.

12 Art. 4 della L. 4/93.

(13)

coinvolgimento dei privati nella gestione dei servizi e funzioni relativi al museo era previsto dall’articolo 33 della Legge Finanziaria per il 200214, da molti visto come la più grande minaccia all’essenza del museo stesso [§ Cap. 1.1]. Tale articolo consentiva di “dare in

concessione a soggetti diversi da quelli statali la gestione di servizi

relativi ai beni culturali di interesse nazionale”, sulla base di

modalità, criteri e garanzie da definirsi con regolamento ministeriale, passando quindi dalla logica dei servizi aggiuntivi a quella del cosiddetto global service.

Di fatto, la portata finanziaria della concessione dei servizi aggiuntivi è limitata. Infatti, la legge c.d. Ronchey prevede che gli introiti derivanti dalle concessioni siano riassegnati dal Ministero per i beni culturali e ambientali in misura non inferiore al 50% del loro ammontare alle soprintendenze per i musei e gli altri istituti di provenienza. Con il codice Urbani si prevede inoltre per gli introiti derivanti da istituti e luoghi o beni appartenenti o in consegna allo Stato, così come per i proventi derivanti dai biglietti di ingresso, il versamento alla sezione di tesoreria provinciale dello Stato, per essere successivamente riassegnati dal Ministero dell’economia e delle finanze per la realizzazione di interventi per la sicurezza e la conservazione dei luoghi medesimi, nonché all’espropriazione e all’acquisto di beni culturali (anche in questo caso gli introiti derivanti da istituti e luoghi appartenenti o in consegna ad altri soggetti pubblici sono destinati all’incremento e alla valorizzazione del patrimonio culturale).

Anche l’apporto di privati può contribuire all’entrate di un museo. Vari possono essere i motivi che spingono un privato a elargire una somma di denaro ad un’istituzione museale. Secondo Kotler e Kotler (1999) essi possono essere suddividisi in benefici tangibili (il

14 Che modificava l’articolo 10 del D. Lgs. 368/1998 aggiungendo la lettera b- bis, articolo

(14)

riconoscimento sul rapporto annuale del museo, l’invito ad eventi da esso organizzati, gli sconti sulle attività programmate dal museo, ed altro ancora) e benefici intangibili (incontrare nuova gente, godere del senso di appartenenza alla comunità, la soddisfazione di sostenere una causa di valore, ed altro ancora). Rientra quindi fra i benefici tangibili il caso dalla c.d. membership, ovvero individui o imprese che contribuiscono in varia misura alle elargizioni al fine di ottenere privilegi ed entrare nel circolo esclusivo del museo. Per mantenere attivi questi privilegi, come conferenze, ingressi guidati alle mostre, ed altro, il museo consegue altri vantaggi oltre quello economico, quali: mantenere vitali i rapporti con la società, monitorare le esigenze della domanda e migliorare il servizio offerto [Chirieleison, 2002].

Rientra sempre nella categoria delle donazioni private il volontariato, anche se l’apporto è più in termini di entusiasmo, di spirito d’iniziativa, e di risparmio di costi del personale, piuttosto che un mero un apporto economico. Il volontariato presenta però anche dei lati negativi: il difficile coordinamento, la disponibilità non vincolata e la mancanza di formazione. Il volontariato può essere anche di impresa, quando si offre, cioè, la propria struttura produttiva. Ovviamente tali imprese ottengono dei vantaggi: il ritorno positivo in termini di immagine, la valorizzazione delle proprie competenze e l’aumento della visibilità su mercati potenziali [Chirieleison, 2002].

Le ultime due leve di finanziamento, le più importanti per i musei italiani da un punto di vista delle opportunità finanziarie, sono: la

sponsorizzazione e le donazione delle fondazioni ex bancarie.

La prima, secondo l’articolo 120 del già citato Codice Urbani, è definita come: “ogni forma di contributo in beni e servizi da parte di

soggetti privati alla progettazione o all’attuazione di iniziative del Ministero, delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali, ovvero di soggetti privati, nel campo della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, con lo scopo di promuovere il nome, il marchio,

(15)

l’immagine, l’attività o il prodotto dei soggetti medesimi… in forme compatibili con il carattere artistico o storico, l’aspetto e il decoro del bene culturale da tutelare o valorizzare, da stabilirsi con il contratto

di sponsorizzazione”.

La sponsorizzazione, così come il cause related marketing15, rappresenta per l’azienda un investimento in attività promozionale e quindi una spesa collegata a programmi di marketing, e non una donazione liberale [Rich in Colbert, 2004]. Si differenzia dalla pubblicità tradizionale perchè utilizza indirettamente il messaggio pubblicitario, che si trova inserito in un diverso e autonomo evento: l’oggetto principale del messaggio non è infatti la comunicazione dell’azienda ma l’avvenimento trasmesso.

Questa collaborazione fra privati e musei presenta però sia delle note positive che negative. Da un lato garantisce ai musei entrate aggiuntive e alle aziende: il rafforzamento della notorietà e della visibilità del marchio aziendale, una valorizzazione dell’immagine imprenditoriale sul mercato e un proprio posizionamento competitivo sul mercato. Dall’altro quando lo sponsor investe solo in iniziative che garantiscono un ritorno di immagine e quando cerca di influenzare i contenuti della mostra per difendere i propri interessi, si verifica il lato negativo della sponsorizzazione, che può rappresentare una minaccia per la reputazione del museo. Ne è un esempio il caso della mostra

Nuclear Physics/ Nuclear Power Gallery aperta allo Science Museum

nel 198216, sponsorizzata principalmente dall’Ente Nazionale per l’Energia Nucleare. In quella circostanza l’esposizione non è riuscita a rappresentare il tema della mostra nella sua interezza, poiché il finanziatore aveva ottenuto la non trattazione delle implicazioni

15 “(marketing delle cause di interesse sociale) che indica uno sforzo promozionale

pianificato strategicamente per aumentare le vendite di un’azienda o per migliorare la sua posizione nel mercato tramite azioni vanno anche a beneficio di un’organizzazione non- profit. Generalmente ciò significa che quando un consumatore acquista il prodotto o il servizio dell’azienda, l’azienda effettua una donazione” [Rich in Colbert, 2004, pag. 211-212].

(16)

ambientali e socioeconomiche dell’utilizzo dell’energia nucleare, ma solo la spiegazione degli aspetti tecnici. Questo fatto da un monito affinché lo sponsor sia scelto nel rispetto della missione museale e sia mantenuta una certa distanza fra esso e il prodotto artistico, evitando così l’intrusione degli interessi dell’azienda nel lavoro dei curatori. Solo seguendo queste due regole basilari la sponsorizzazione può essere considerata come una opportunità di finanziamento per le istituzioni museali.

Le seconde derivano da una tradizione plurisecolare di mecenatismo. Le banche svolgono da tempo un ruolo importante nella tutela del patrimonio artistico italiano in forme diverse: dal collezionismo all’editoria bancaria e all’attività di restauro [Dell’Orso, 2002]. Fra i settori di intervento delle fondazioni di origine bancaria il settore dell’arte e della cultura occupa le prime posizioni: considerando infatti la dimensione territoriale d’azione delle Fondazioni si spiega la loro naturale tendenza a promuovere attivamente il patrimonio artistico italiano: per stimolare lo sviluppo economico basato sul turismo e la qualità della vita del territorio di appartenenza [Endrici, 2001].

Il processo di riforma per una ristrutturazione e modernizzazione del sistema bancario italiano comincia nel 1990, con l’obiettivo di scorporare l’attività finanziaria e creditizia da quella di promozione di interventi di pubblica utilità, attività, quest’ultima, che le banche ereditano dalla loro storia. Con la privatizzazione formale degli istituti di credito di diritto pubblico si è avuta la separazione delle sorti di molte banche pubbliche da quelle delle fondazioni di origine bancaria. Con lo scorporamento, l’attività di credito è stata conferita a delle S.p.a., lasciando alla Fondazione (proprietaria della banca) solo il perseguimento “di scopi di utilità sociale e di promozione dello

sviluppo economico secondo quanto previsto dai rispettivi statuti”17.

17 Art. 2 comma 1 D.Lgs. 153/99.

(17)

Con la Legge 461/1998, e il successivo Decreto Legislativo 153/1999, le fondazioni di origine bancaria hanno ottenuto lo status di soggetti giuridici privati senza fine di lucro, dotate di piena autonomia statutaria e gestionale, con scopi da perseguire nel campo dell’utilità sociale, con l’inclusione di almeno uno dei settori d’intervento che la legge definisce rilevanti: ricerca scientifica, istruzione, sanità, arte, cultura, difesa delle categorie sociali deboli.

Gli strumenti operativi che le fondazioni ex bancarie possono utilizzare per compiere il proprio scopo, e che rappresentano un’opportunità finanziaria per le istituzioni museali, sono [Endici, 2001]:

- finanziamenti generici (granting foundation)

a cui sono però preferiti interventi strutturali e strutturati tramite: - interventi diretti, mediante istituzione di imprese strumentali, e

assunzione di partecipazione (anche di controllo) in società operanti nei settori rilevanti (operating foundation)

- costituzione di proprie fondazioni e partecipazione a fondazioni con finalità specifiche (operating foundation)

- convenzioni e accordi con enti pubblici e privati (operating

foundation)

- attività di formazione.

L’importante ruolo svolto dalle Fondazioni ex bancarie nel finanziamento delle attività culturali e artistiche è messo però in pericolo dall’articolo 11 della Legge 448/2001, secondo cui si ampliano i settori d’intervento delle Fondazioni: alla famiglia, alla prevenzione della criminalità, allo sviluppo locale, all’edilizia popolare locale, etc. Si prevede inoltre, nell’ambito dell’organo di indirizzo, una prevalente e qualificata rappresentanza degli enti diversi dallo Stato, rischiando così che gli enti territoriali ottengano il controllo sulle fondazioni, impiegando le risorse a favore di quelle politiche in cui hanno un impegno diretto [Chirieleison, 2002].

(18)

Nell’operare una sintesi, possiamo affermare che negli ultimi anni l’ambiente politico è fonte di nuove opportunità per i nostri musei, sia dal punto di vista gestionale [§ Cap. 1.1], che dal punto di vista finanziario. Sta allora alle direzioni museali sacrificare la renitenza verso gli studi economico-aziendali per farsi promotori di politiche di sviluppo che sfruttino appieno tali circostanze favorevoli.

Nell’elaborazione delle politiche di sviluppo per un’istituzione museale è anche necessario tener conto dei risultati, in termini di minacce e di opportunità, ottenuti dall’analisi della società, dell’economia e della tecnologia18. Ad una prima analisi di tali

contesti si può affermare che l’incremento dei redditi individuali, della propensione al consumo (economia), del tempo libero e del livello di istruzione e culturale (società), e l’accorciamento delle distanze fisiche e temporali di viaggio e di informazione (tecnologia), rappresentano una circostanza favorevole per i musei, dal momento che portano ad una crescita del numero totale dei visitatori e, soprattutto, permettono l’ingresso di quei musei marginali nel circuito

turistico. In realtà i medesimi effetti rappresentano

contemporaneamente una minaccia per ogni istituzione museale, dato che sono la causa della competizione per il pubblico fra i musei stessi e altri eventi o organizzazioni artistiche-culturali (concorrenza verticale), e all’interno del settore dell’entertainment (concorrenza orizzontale). Solo in tempi recenti le direzioni museali hanno messo da parte la consapevolezza che ogni singola istituzione museale offre un unicum per confrontarsi con la realtà. Hanno finalmente aperto gli occhi sull’esistenza della concorrenza fra musei e organizzazioni che, anche se non offrono lo stesso servizio o prodotto, possono proporre alternative alla visita museale e soddisfare gli stessi bisogni.

18 Le opportunità fornite dall’ambiente tecnologico sono già state ampiamente descritte nel

(19)

Sono bisogni legati “alla sfera più profonda delle nostre emozioni e

della nostra conoscenza… che tendono ad appagare e soddisfare uno

stato psicologico piuttosto che uno fisico” [Soda in Salvemini e Soda,

2001, pag. 1-2], gli stessi bisogni che nella scala di Maslow rientrano nella sfera più alta, fra quelli di auto-realizzazione.

La concorrenza fra musei e nel settore dell’entertainment non dipende quindi dal prezzo di acquisto del servizio/prodotto consumato (la domanda non è elastica rispetto al prezzo), e nemmeno dalle distanze (visto che il progresso tecnologico ha permesso di raggiungere qualsiasi località a prezzi accessibili), bensì dal tempo in cui vengono consumati, che rappresenta la risorsa scarsa. “Non si

parla di un tempo esclusivamente fisico, ma anche di uno psicologico,

perché occorre essere predisposti per far si che un prodotto culturale, di svago o della conoscenza produca i suoi effetti sulla sfera

emozionale” [Soda in Salvemini e Soda, 2001, pag. 2-3].

Questa concorrenza rappresenta un pericolo per l’essenza stessa di ogni museo, dato che lo ostacola nell’adempimento del proprio ruolo di educatore.

L’obiettivo delle istituzioni museali deve quindi riguardare l’eliminazione, o almeno la riduzione, dei costi psicologici, fisici e temporali che ogni visitatore considera e valuta prima di effettuare una visita, ovvero: il costo opportunità legato al tempo libero per raggiungere e ritornare dal museo, per informarsi e per effettuare la visita, il costo di entrata e di trasporto rispetto al proprio reddito disponibile, oltre allo sforzo mentale necessario per apprendere che dipende dal livello culturale e di istruzione. Un passo di questo genere può essere affrontato solamente conoscendo ed identificando il pubblico potenziale. Soltanto uno studio su chi sono i visitatori (sui motivi che li spingono alla fruizione, su come vivono la visita al museo…), e su chi sono i non visitatori, può sostenere la direzione museale nel tentativo di individuare le più adeguate strategie, che

(20)

rendendo il museo il più familiare e accogliente possibile spinga i visitatori a varcare la soglia.

Da quello che abbiamo finora detto, risulta che l’ambiente interrelazionale in cui operano le istituzioni museali si caratterizza per l’alta incertezza, in quanto allo stesso tempo complesso, dinamico e con scarse risorse disponibili. Da ciò l’importanza delle informazioni ottenute con questo tipo di analisi, come valido aiuto per dare priorità a una o all’altra strategia di sviluppo aziendale.

Per avere un quadro completo della situazione aziendale su cui successivamente elaborare le strategie, è necessario interrogarsi anche sulle interrelazioni interne alle organizzazioni museali.

L’analisi ambientale interna fornisce infatti informazioni sulle risorse, sui processi e sui risultati distintivi di ogni museo, al fine di individuare i punti di forza e di debolezza. I più noti punti di debolezza di molti musei sono: la mancanza al loro interno di risorse (finanziarie e umane) e delle competenze, capacità e strumenti manageriali. La maggior parte dei musei non riesce quindi a programmare attività didattiche e di comunicazione di qualità, ma al massimo riesce a raggiungere i livelli minimi richiesti. La presenza di personale in grado di applicare logiche di gestione “aziendale” potrebbe invece rappresentare il punto di forza, permettendo di trasformare le minacce, che attualmente le direzioni museali si trovano a dover affrontare, in opportunità che riducono i punti di debolezza. A titolo di esempio l’utilizzo di competenze e conoscenze di bilancio, di

fund raising, ma anche di organizzazione e gestione delle risorse umane, può attenuare la deficienza di risorse finanziarie ed umane grazie ad una loro efficiente gestione e ad una ricerca di contributi esterni; ed ancora, le competenze e conoscenze strategiche e di

marketing permettono grazie all’elaborazione di strategie, pianificate e

(21)

efficientemente gli obiettivi desiderati, rispetto ad una semplice lista di obiettivi lasciata a sé stessa.

2.3 Il marketing e le altre opzioni strategiche

Lo scopo principale dell’analisi delle interrelazioni ambientali è quindi quello di fornire le informazioni sui cambiamenti ambientali strutturali o congiunturali in atto, necessarie alla direzione per formulare le strategie di indirizzo e di sviluppo delle attività del museo.

È quindi sulla base di queste informazioni che vengono costruite, ovviamente nel rispetto della missione, dell’identità e dei valori dell’azienda museo, in primis le strategie direzionali o strategie aziendali globali. È con esse che si indicano gli obiettivi (creazione di valore pubblico e legittimazione degli stakeholders) che il museo vuole perseguire nel lungo periodo, e che saranno il punto di partenza per la formulazione delle altre strategie applicate dal museo.

Fra gli obiettivi che ogni museo deve inserire nella formulazione della propria strategia direzionale vi sono quelli che ne determinano l’identità. Essa non è più definita “solo in relazione alle

caratteristiche e all’importanza della collezione, ma sulla base della volontà e della capacità del museo di ampliare e articolare la propria offerta”19 [ Cirrincione in Sibilio Parri, 2004, tomo II, pag. 173], rispondendo efficacemente alle esigenze richieste prima, durante e dopo la visita dai potenziali visitatori, grazie ad investimenti [Chirieleison, 2002]:

• nella riqualificazione del servizio espositivo, rendendo la visita piacevole, comoda e non noiosa, tramite l’offerta di servizi quali:

19 In considerazione del fatto che, secondo la definizione di museo, la missione deve dare la

stessa importanza alle funzioni di conservazione e di fruizione e che, dal punto di vista aziendale, l’azienda-museo è una organizzazione customer oriented.

(22)

impianti di illuminazione, di controllo della temperatura, guardaroba…

• nel miglioramento dei servizi complementari alla visita (mostre, attività didattiche, di ricerca e di studio)

• nell’implementazione di soluzioni tecnologiche di supporto che migliorano la funzionalità del museo, così come descritte nel capitolo precedente [§ Cap. 1.2]

• nello sviluppo di attività di comunicazione verso l’esterno (promozione), finalizzate al miglioramento dell’immagine e della notorietà del museo, che ha come conseguenza una maggiore attrazione di pubblico e di risorse.

Per essere in grado di raggiungere questi obiettivi, in un periodo come quello odierno in cui la spesa pubblica verso le istituzioni culturali è ridotta, i musei debbono mettere in atto politiche di “innovazione di processo” e/o di “innovazione di prodotto” per accrescere la loro efficienza operativa, ovvero ridurre i costi e/o incrementare i ricavi [Valentino]. “Nell’ambito specifico dei musei,

l’innovazione di processo comporta che le attività di tutela, conservazione e valorizzazione siano riorganizzate in modo tale che, a parità di standard di servizio, i costi da sostenere per la loro realizzazione si riducano. Mentre l’innovazione di prodotto implica una crescita, qualitativa e quantitativa, dei servizi offerti in modo che il museo sia messo in grado di attrarre una domanda maggiore sia in

termini di fruitori sia in termini di spesa pro capite” [Valentino, pag.

1].

A mio parere, sono tre le possibili politiche che le direzioni museali possono mettere in pratica al fine di raggiungere una innovazione di processo. E sono:

1. le politiche di gestione 2. le politiche di finanziamento 3. le politiche per il pubblico.

(23)

Queste possono essere messe in atto grazie alla implementazione delle seguenti strategie:

- la strategia di sviluppo degli investimenti in conoscenze e strumenti tecnologici, che permettono di aumentare l’efficienza in ogni attività svolta dal museo: conservazione, custodia e sorveglianza, comunicazione, promozione…. [§ Cap.1.2] [§ Cap. 4.3].

- l’applicazione di strumenti aziendali [§ Cap. 1.4] [§ Cap. 2.2] - l’esternalizzazione di alcune attività (ad esclusione di quella di conservazione), le collaborazioni con altri soggetti pubblici o privati20, la loro condivisione tramite una rete museale [§ Cap. 3]. Questa opportunità deve essere attentamente valutata soprattutto dai musei minori che non hanno le risorse finanziarie, umane e tecnologiche per svolgere le proprie funzioni

- la strategia di sviluppo dei finanziamenti. Questa è una strategia poco applicata, in quanto la gran parte dei musei italiani rientra nella categoria dei musei finanziati con risorse pubbliche. Di fatto rappresenta una opportunità per tutte quelle istituzioni che vogliono incrementare le proprie risorse, al fine di accrescere sia qualitativamente che quantitativamente le attività svolte [§ Cap. 2.2]

- il marketing.

Anche per quanto riguarda l’innovazione di prodotto le nuove tecnologie svolgono un ruolo importante, poiché sono riuscite a mutare il ruolo dell’utente da passivo ad attivo, cambiando così il concetto di prodotto museale: esso esiste in quanto esiste colui che ne usufruisce [§ Cap. 1.2] [§ Cap. 4.3].

Ma è il marketing lo strumento di gestione strategica che permette, ad ogni museo, di rinnovare agli occhi del pubblico il proprio prodotto, sia grazie all’attività di promozione, sia grazie alle indagini di mercato che forniscono utili informazioni per agire sul prodotto

20 Ne sono un esempio le collaborazioni fra L’OPA e gli istituti di eccellenza presenti sul

territorio pisano, al fine di coniugare arte e tecnologia. L’argomento verrà approfondito nel quarto capitolo.

(24)

offerto21. Il suo utilizzo nel settore museale ha però tempi recenti, in quanto è stato visto, e forse lo è ancora, come un killer delle attività museali in nome del profitto. In realtà, rappresenta solo un mezzo per raggiungere più efficacemente lo scopo costituente l’istituzione museale stessa, ovvero svolgere la propria funzione educativa. È un

mezzo, dicevamo, per arrivare a quegli utenti che presentano un

bisogno culturale differenziato. Il marketing deve quindi essere inteso come strumento coerente con la missione d’azienda. Il suo utilizzo nel settore museale risponde quindi più ad un obiettivo di attrazione e di fidelizzazione tramite l’informazione e la comunicazione, che ad uno di tipo finanziario, anche se non si nega il ruolo positivo che può svolgere nella concorrenza per i finanziamenti che il museo si trova ad affrontare giornalmente. L’attività di marketing generalmente comporta la legittimazione da parte degli stakeholders del valore sociale generato, la quale giustifica l’aumento dei contributi pubblici e privati versati nel portafoglio del museo.

Detto ciò si comprende il perché lo strumento del marketing mix, ovvero l’utilizzo delle 4P (il prodotto, il prezzo, il place (distribuzione) e la promozione) per ottenere l’effetto desiderato sul potenziale consumatore [Colbert, 2003], non possa essere integralmente applicato ai musei, ma deve essere adattato in relazione alla missione e ai mezzi a disposizione.

Infatti, il tanto temuto “prezzo” non è una variabile che incide sull’attrazione o meno dei visitatori. Chi va al museo lo fa per vedere quello che vi è contenuto, che rappresenta un unicum e quindi non sostituibile. Per ciò è disposto a pagare un biglietto di ingresso, che

21 Le ricerche di marketing si distinguono dalle forme tradizionali di ricerca messe in atto

dai musei per i seguenti aspetti [Kotler e Kotler, 1999]: 1) sono sistematiche, strategiche ed ad ampio raggio 2) sono regolari e continue nel tempo

3) tentano di anticipare problemi, avvenimenti, mutamenti e fattori emergenti 4) raggiunge una comprensione più approfondita dell’insieme dei fattori che prende

(25)

ovviamente sarà sempre un prezzo politico, in quanto i musei sono istituzioni senza scopo di lucro al servizio della società.

Ciò che veramente conta è invece il prodotto. Come sostiene Colbert (2003), il modello di marketing per le arti e la cultura non segue il classico percorso che ha inizio nel mercato (in primo luogo l’azienda ha l’esigenza di indagare i gusti dei consumatori e solo successivamente, sulla base dei risultati, sviluppa il proprio prodotto e il piano di marketing mix); ma ha inizio con il prodotto. L’artista quando crea non si basa sulle aspettativa del pubblico. L’opera d’arte è creata indipendentemente, e solo successivamente alla sua creazione si possono individuare coloro che ne sono interessati. L’approccio si discosta quindi da quello del mondo economico (adeguamento dell’offerta alla domanda), poiché si basa su un percorso che va dal prodotto al cliente, ovvero “il prodotto conduce al pubblico e non il

contrario” [Colbert, 2003, pag. 14].

La ricerca di mercato tramite il ricorso ad indagini sistematiche e strutturate è quindi successiva alla creazione del prodotto, ed è fondamentale per delineare il profilo del pubblico reale e di quello potenzialmente interessato. Infatti, solo successivamente alla loro individuazione la direzione museale può formulare le strategie idonee per ottenere più alti livelli di soddisfazione dei visitatori, ed un piano di promozione al fine di avvicinare il maggior numero di utenti.

La prima tappa per un museo che vuole indagare il proprio pubblico è la predisposizione di un sistema informativo, che utilizzando metodi diversi fornisca i dati secondari e i dati primari. I dati secondari sono informazioni facilmente reperibili a basso costo, dal momento che sono già esistenti: fonti interne al museo o fonti esterne (ad esempio: ricerche qualitative sulle abitudini culturali o quantitative sui consumi culturali della popolazione, effettuate dalle Università o da istituti di statistica, governativi, …) [Kotler e Kotler, 1999]. I dati primari si ottengono invece con il ricorso a indagini sul campo, che implicano

(26)

però una spesa. Bollo (2004) distingue tra le ricerche che seguono un approccio quantitativo, utilizzando lo strumento del questionario strutturato, e ricerche che seguono invece un approccio qualitativo. Quest’ultime possono essere svolte utilizzando diversi metodi quali: i

focus group, le interviste in profondità, l’analisi del guest book e l’osservazione. Per un confronto fra tali strumenti si può fare riferimento alla tabella seguente.

Matrice strumenti/Temi di indagine [Bollo, 2004, pag. 19]

Strumento Tema indagine Questionario Interviste in profondità Focus group Analisi guest book Osservazione Profilo socio- demografico x Modalità di fruizione x o Motivazioni o x x Valutazione esperienza x x x o Analisi impatto cognitivo o x x Canali di comunicazione utilizzati x o Consumi e familiarità museo x Comportamento durante la visita x

X: possibilità di utilizzare lo strumento in modo indipendente ed efficace

(27)

O: auspicabile un utilizzo in forma complementare ad altri strumenti/approcci

Il metodo più utilizzato dalle istituzioni museale è però il questionario: autocompilato direttamente dall’intervistato o somministrato dall’intervistatore. Esso offre infatti la possibilità di essere sottoposto ad un numero elevato di soggetti da cui si ricava una certa mole di informazioni, sulla base della quale è possibile generalizzare i risultati, piuttosto che comprendere i fenomeni. Il questionario autocompilato è fra i due quello maggiormente sfruttato, poiché risulta meno costoso (manca la figura dell’intervistatore), ma allo stesso tempo presenta anche lo svantaggio di avere un tasso di compilazione più basso e quindi di fornire risultati non rappresentativi e distorti [Bollo, 2004]. È necessario allora convincere il maggior numero di visitatori a partecipare all’indagine, indipendentemente dal fatto che il questionario sia autocompilato o meno. Secondo Bollo (2004), per raggiungere tale scopo è indispensabile: informare il pubblico dell’esistenza e degli obiettivi della ricerca, direttamente dal personale o tramite manifesti posti nei pressi della biglietteria e nei punti di accoglienza, persuaderlo che la ricerca è di notevole utilità per l’istituzione museale, offrire un gadget a chi ha compilato il questionario, ed infine strutturare i questionari con poche, semplici e chiare domande che impiegano un margine di tempo del visitatore non troppo elevato. Solo successivamente alla raccolta dei dati e all’elaborazione dei risultati si possono individuare quei segmenti di utenza su cui è opportuno investire per ampliare il pubblico e, per ogni segmento, individuare il mix di attività promozionali più efficace.

Determinati i target di utenza, le direzioni museali possono applicare la strategia competitiva di posizionamento (leadership di costo, differenziazione e focalizzazione), al fine di competere con i propri concorrenti. In realtà i musei non possono applicarla

(28)

integralmente, in quanto, per i motivi pocanzi descritti, la leadership di costo non è adatta ai musei, mentre lo sono la differenziazione o la focalizzazione. La prima si basa sulla possibilità di creare una posizione di vantaggio competitivo grazie all’unicità (contenuti), all’eccellenza (immagine) e alle caratteristiche distintive (servizi collaterali) percepite dal pubblico rispetto a quelle dei concorrenti. La seconda mira a segmenti di pubblico specifico attraverso una differenziazione in tali segmenti, attuata in particolare da piccoli e medi musei a forte caratterizzazione tematica [Giargia, 1998]. Questa tipologia di museo può usufruire anche dei vantaggi della differenziazione: se inseriti in una rete museale possono infatti approfittare della superiorità in termini di bacino di utenza potenziale rispetto ai concorrenti.

Nell’elaborazione di tali strategie le direzioni museali non devono però rischiare di attuare una mera conformazione alle richieste del pubblico, mettendo così in pericolo l’identità e i valori del museo. L’obiettivo deve essere quello di farsi conoscere per il tramite di un’immagine positiva e di una notorietà diffusa, differenziandosi così dalle altre istituzioni, e di offrire a ciascuna fascia di utenza le chiavi di lettura più idonee per apprezzare e comprendere l’offerta.

La promozione è quindi quel complesso di attività che l’istituzione museale deve necessariamente svolgere, poiché è il miglior modo per diffondere in maniera convincente il proprio messaggio culturale, il proprio valore aggiunto. In tal modo si raggiungono due obiettivi: la differenziazione, mettendo in risalto i propri attributi distintivi, e l’abbattimento della principale barriera all’entrata, ovvero la non conoscenza e la non comprensione da parte dei potenziali fruitori.

Da ciò l’importanza del mix di promozione22 come strumento di comunicazione e di informazione capace di influenzare e modificare

22 Fra pubblicità, vendita diretta (personalmente o contatto telefonico), e relazioni pubbliche

(29)

le percezioni e le opinioni che il pubblico ha del museo e del suo prodotto [Colbert, 2003].

2.4 Il processo di direzione aziendale e il profilo

organizzativo

La gestione direzionale è il “momento direttivo ovvero il passaggio

dalle decisioni all’esecuzione. È questo un momento complesso perché richiede lo sviluppo delle decisioni di fondo assunte a livello imprenditoriale, la predisposizione delle risorse necessarie, la trasmissione delle decisioni ai livelli dell’esecuzione e, infine, la valutazione dei risultati, la gestione direzionale si articola secondo un processo che vede i suoi momenti essenziali nella programmazione, nell’organizzazione, nella conduzione e nel controllo e che richiede un’apposita organizzazione (struttura direttiva) e un complesso di procedure (sistemi direttivi)” [Sciarelli, 1997, pag. 116].

Dopo aver analizzato le possibili strategie applicabili dall’azienda museo, il passo successivo riguarda l’esplicitazione del piano di gestione, in cui si determinano le indispensabili ed adeguate condizioni organizzative e finanziarie che ogni museo deve garantire per passare dalla formulazione all’implementazione.

Tali condizioni sono esaurientemente descritte nel già citato Atto di indirizzo che, come abbiamo già potuto vedere, non è solo un elenco dei requisiti minimi che ogni museo deve rispettare, ma descrive ogni aspetto della vita museale.

Questo documento può essere preso come riferimento per la costruzione del piano di gestione23, dove con gli ambiti:

I Status giuridico II Assetto finanziario

23 Anche l’Opera Primaziale Pisana ha utilizzato l’Atto di indirizzo come riferimento per

(30)

III Strutture IV Personale,

si indicano le condizioni finanziarie ed organizzative che ogni istituzione museale deve possedere per svolgere le proprie attività fondamentali di:

V Sicurezza

VI Gestione delle collezioni

VII Rapporti con il pubblico e relativi servizi VIII Rapporti con il territorio.

Detto ciò, il punto di partenza per l’elaborazione di tale piano è la enunciazione della missione e degli obiettivi generali e di lungo periodo, ovvero il museo si impegna a garantire, per la generazione presente e per quella futura, la conservazione e la contemporanea fruibilità del patrimonio che custodisce.

Al fine di disporre delle condizioni necessarie per una gestione caratterizzata da efficienza, efficacia ed economicità, non basta l’individuazione delle strategie in relazione alla propria situazione ambientale interna ed esterna, ma è necessario che le istituzioni museali abbiano una dotazione economica adeguata per poterle mettere in atto. Questa somma deve essere sì garantita dagli enti proprietari e dalle amministrazioni competenti, con una programmazione annuale e pluriennale delle attività e con eventuali integrazioni dei deficit di bilancio, ma anche grazie alla predisposizione delle strategie di finanziamento di cui abbiamo parlato nei precedenti paragrafi. Ottenute le risorse finanziarie, esse vanno però gestite. Per quanto riguarda le modalità di gestione finanziaria e contabile, l’Atto di indirizzo distingue fra musei dotati di autonomia finanziaria e musei–ufficio. I primi dovranno dotarsi del bilancio preventivo e consuntivo, nel rispetto della normativa vigente, “prevedendo apposite forme di controllo e di monitoraggio della loro

(31)

criteri tecnico scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei, pag. 25]. Per i secondi è invece raccomandata l’adozione di documenti di rendicontazione contabile che diano conto delle entrate e delle uscite per una maggior trasparenza gestionale. Ovviamente non può esistere un modello unico di formazione di un bilancio museale, poiché la sua strutturazione è influenzata da un insieme di fattori variabili da caso a caso, primo fra tutti, il grado di autonomia decisionale dei responsabili manageriali e amministrativo-contabili; per tale ragione l’Atto di indirizzo prevede solo uno “schema di

massima nel quale vengono sinteticamente enucleate e aggregate per aree omogenee e funzionali le fondamentali voci di entrata e di uscita di un’ipotetica istituzione museale” 24.

24 Entrate

a) Autofinanziamento

– biglietti di ingresso, abbonamenti

– contributi volontari dei visitatori e forme di associazione al museo – proventi derivanti da servizi di vendita e ristorazione a gestione diretta – canoni per i servizi in concessione di caffetteria, ristorazione, bookshop – proventi derivanti dai servizi di accoglienza (guardaroba, visite guidate) – diritti di riproduzioni fotografiche, pubblicazioni, merchandising, ecc. – affitti e locazioni

– gestione finanziaria dei fondi di dotazione

– servizi resi a terzi (servizi regolamentati di consulenza e ricerca) – altri proventi

b) Finanziamenti esterni

– spese e servizi direttamente sostenuti/erogati continuativamente dall’ente proprietario, dall’amministrazione responsabile o da altri enti

– altri trasferimenti pubblici

– contributi straordinari , contributi in servizi di soggetti privati – donazioni e legati – sponsorizzazioni – quote di partecipazione Uscite a) Funzionamento – personale

– utenze, materiali di consumo, pulizie, gestione e manutenzione ordinaria e straordinaria dell’edificio e degli impianti, forniture di servizi continuativi (premi assicurativi ecc.) – gestione amministrativa e operativa

b) Gestione delle collezioni

– registrazione inventariale , documentazione e catalogazione dei beni custoditi – restauro delle collezioni e del contenitore se antico

– attività di studio e ricerca scientifica, pubblicazioni

c) Servizi al pubblico

– mostre – conferenze – attività didattica

– iniziative culturali connesse alle collezioni e al territorio

(32)

Il compimento efficace di una strategia non comporta solo la determinazione delle risorse finanziarie, ma anche l’organizzazione di “un sistema in parti interdipendenti e correlate, ciascuna avente una

specifica funzione o rapporto rispetto al complesso. In senso

aziendale, le parti sono gli organi dell’impresa e l’organizzazione25 si

rivolge in primo luogo a disciplinare i compiti, i poteri e le responsabilità che ciascuno di questi dovrà assumere nel corso della

gestione” [Sciarelli, 1997, pag. 211], attraverso l’individuazione

dell’assetto dell’alta direzione e del modello di struttura organizzativa adeguata.

Per quanto riguarda il settore museale pubblico italiano esiste uno spinoso dibattito sulla figura del direttore museale, che:

- non ha la possibilità di agire con autonomia rispetto alla soprintendenza. Soprattutto le risorse umane, più che quelle finanziarie, sono in gran parte fuori dal controllo delle singole realtà. Ciò che rende impossibile un effettivo processo di organizzazione del lavoro

- ha responsabilità su più istituzioni museali contemporaneamente. Questo significa avere poco tempo per mettere in pratica una gestione strategica per ogni museo

- non ha competenze manageriali, ovvero è poco aperto al confronto e allo scambio, sia all’interno dell’organizzazione che

– incremento e sviluppo delle collezioni (acquisti, scavi, depositi a lungo termine ecc) – piani di promozione

– adeguamenti tecnologici

Stato patrimoniale

L’inventariazione/registrazione deve riportare il valore economico dei beni immobili e mobili periodicamente aggiornato ai valori di mercato. Le operazioni di stima dovranno riguardare i singoli beni e ove si tratti di collezioni unitarie il valore complessivo. Tale valutazione oltre a rispondere ad adempimenti normativi è necessaria per la stipula di contratti assicurativi ai fini di indennizzo per furti, danneggiamenti, ecc..”. [Atto di indirizzo sui criteri tecnico scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei, pag. 65-66].

25 “…la funzione organizzativa si pone lo scopo di definire: 1) i centri decisionali, di

controllo ed esecutivi da istituire nell’impresa, 2) l’autorità e le responsabilità da attribuire a ciascuno di essi, 3) le relazioni formali da attivare fra i vari centri. 4) le procedure di decisione, di informazione e di esecuzione, necessarie per l’ordinato svolgimento della gestione”. [Sciarelli, 1997, pag. 212].

(33)

all’esterno. Risulta così che la maggior parte dei musei italiani non può che applicare lo stile di management conservatore, a scapito di quello più adatto, ovvero lo stile di management innovativo. Quest’ultimo è caratterizzato dall’apertura verso la sperimentazione, sia nell’innovazione di processo che di prodotto, ovvero segue un approccio imprenditoriale.

I nostri musei non sono quindi in grado di attuare i cambiamenti organizzativi, richiesti dalle dinamiche e complesse interrelazioni trattenute con i diversi portatori di interesse. Quello di cui hanno bisogno le direzioni museali è di una apertura mentale che permetta di passare dalla logica del museo adattivo a quella del museo proattivo [Lorenzoni e Odorici in Zan, 1999]. Nel primo caso la direzione è concentrata solo sulle attività centrali di conservazione e di gestione del patrimonio storico-artistico, escludendo ogni attività di valorizzazione. Il responsabile ha il controllo solo sulle uscite e non è in grado di attuare una gestione economica delle entrate e delle uscite stesse. Nel secondo caso la direzione ha una visione allargata della missione a tutte le attività di creazione del valore e il responsabile è in grado di attuare una gestione economica.

Per fare un tale passo è necessario che il direttore abbia anche delle competenze manageriali, e allora la domanda che sorge spontanea è: “il museo deve essere diretto da un manager?” [Paolucci in Mottola

Molfino e Morigi Govi, 1996, pag. 41].

La maggior parte degli interessati nella gestione museale risponde che “se il museo ha una funzione scientifica ed educativa, allora il

direttore dovrà essere, più che un manager, una persona che sa leggere e scrivere, che frequenta le biblioteche, che conosce (da

studioso) le opere che gli sono affidate” [Paolucci in Mottola Molfino

e Morigi Govi, 1996, pag. 41]. Quindi il direttore dovrebbe essere una

persona dotata di autorevolezza scientifica e culturale: solo una direzione di questo tipo potrebbe contribuire alla creazione della

Riferimenti

Documenti correlati

[r]

La suddetta quota di iscrizione dovrà essere pagata in due rate di pari importo, la prima rata entro la data di scadenza delle iscrizioni, la seconda rata entro il 26 febbraio

È attivato per l’anno accademico 2020/21 il Corso di Formazione in “Progettazione e gestione di database” XIII edizione presso l’Area Internazionalizzazione, Ricerca e

La seguente attività viene svolta su speci- fico mandato del ri- chiedente, con il qua- le sono definiti e con- cordati i tempi di

106, intervenuto a regolare i rapporti tra Ufficio del Pubblico ministero ed organi di stampa, testualmente dispone che: «Il procuratore della Repubblica mantiene

Nella pagina Criteri, per limitare il rapporto a determinati clienti, fare clic su Seleziona ed eseguire quanto segue:.. Inserire un valore nella casella di testo Nome società e

Domanda di partecipazione alla selezione per l’ammissione al master Il personale civile per accedere alla selezione di ammissione al Master dovrà effettuare la domanda

La suddetta quota di iscrizione dovrà essere pagata in due rate di pari importo, la prima rata entro la data di scadenza delle iscrizioni, la seconda rata entro il 14 maggio